2006-06-17 15:43:54

Intervista con il presidente Oscar Arias dopo l'incontro con il Papa: d'accordo sulla priorità del disarmo per la lotta alla povertà


(17 giugno 2006 - RV) I temi della globalizzazione, dello sviluppo e del disarmo sono stati al centro dell’incontro ieri mattina in Vaticano tra Benedetto XVI e il presidente della Costa Rica, Oscar Árias Sanchez, insignito nel 1987 del Premio Nobel per la pace per la sua opera di riconciliazione nella regione centroamericana. Al termine del colloquio il collega Luís Badilla lo ha intervistato chiedendogli innanzitutto le sue impressioni: RealAudioMP3

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R. - PUES COMO YO ME LO IMAGINABA …
Come immaginavo ho trovato una persona molto intelligente. Il Papa conosce bene tutti i problemi del mondo di oggi. Così gli ho illustrato un’idea che so bene che anche lui personalmente approva. Mi riferisco al fatto che per diminuire la povertà nel mondo occorre al tempo stesso diminuire le spese militari. So che lui è molto interessato a questa prospettiva. Io, da molti anni tento di convincere alcune istituzioni finanziarie internazionali come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario nonché il G8 affinché agiscano in questa direzione. Credo che queste istituzioni dovrebbero condonare il debito estero di molti Paesi imponendo certe condizioni. Tra queste una drastica riduzione delle spese militari. Basta con l’acquisto smisurato di armi e basta con il mantenimento di soldati e apparati militari non necessari! Molti Paesi oggi sprecano le loro poche risorse poiché spendono molto di più per i loro apparati militari che per l’educazione dei giovani. Ma c’è di più e lo dobbiamo dire con forza: molti di questi Paesi che spendono tanto denaro nell’acquisto di strumenti di morte violano i diritti umani apertamente, non sono democratici, non sono trasparenti e spesso sono preda della corruzione. A volte, in questi Paesi, le armi vengono utilizzate per muovere guerra contro le nazioni confinanti oppure per opprimere e reprimere i propri popoli.


D. – Cosa propone lei?

R. – EL MUNDO ESTA’ LLENO…
Certo, il mondo oggi è pieno di bei discorsi e abbonda di buoni propositi. Occorre passare all’azione! Io propongo un grande evento mondiale, con la presenza ovviamente della Chiesa cattolica, per creare una maggiore consapevolezza su questa realtà e, se possibile, intraprendere la strada giusta. La Santa Sede, in questo campo, può svolgere un ruolo decisivo e insostituibile. Ho anche raccontato al Papa che noi, io e gli amici della “Fondazione Arias per la pace”, da molti anni proponiamo l’elaborazione di un Trattato internazionale per la regolazione del commercio delle armi. E’ una cosa che ho fatto come semplice cittadino e ora, come presidente della Costa Rica, vorrei continuare a proporre come iniziativa del mio Paese e del mio governo. Attraverso l’ONU, dobbiamo convincere molti governi che ormai non è più possibile, né conveniente, vendere armi a chiunque abbia denaro per comprarle.


D. - A lei, sig. presidente, è stato assegnato il Nobel per la pace del 1987 per il suo impegno in favore della pacificazione dell’America Centrale. Sono passati molti anni dalla firma del Trattato che ha portato la pace in Nicaragua, Guatemala ed El Salvador. Quale è il suo bilancio? E’ valsa la pena tanta fatica diplomatica e politica?

R. - YO DIRÌA QUE SÌ. HEMOS LOGRADO …
Sì, certamente ne è valsa la pena. Siamo riusciti a pacificare l’America Centrale con lo sforzo e il valore non solo nostro ma di tanti. Oggi, per fortuna, non è più come nel passato quando nelle nostre terre si sparavano tutti contro tutti. Siamo riusciti a dimostrare al mondo intero che la pace era possibile, e raggiungibile, sul tavolo del negoziato e non sulle montagne centroamericane. Ci siamo riuniti nell’agosto del 1987 in Guatemala per firmare il Piano di pace regionale da applicare nelle singole nazioni rispettando le realtà e le complessità di ogni conflitto. Il sostegno dell’Unione Europea e di tanti altri Paesi, quasi 20 anni fa, è stato un segnale rilevante per fare capire che si può far tacere le armi con la diplomazia, il negoziato, il dialogo, nel rispetto dei legittimi interessi di tutte le parti. Oggi però i problemi sono diversi: lavoriamo per far crescere i nostri Paesi, lavoriamo per eliminare la povertà, per generare nuove risorse, per creare occupazione, per dare più salute e più scuole, per avere le infrastrutture necessarie. Oggi lavoriamo anche per decidere come e quando inserire le nostre economie nel grande processo dell’economia mondiale, e in particolare, lavoriamo per farlo nell’ambito del commercio planetario come abbiamo fatto noi, giorni fa, firmando un accordo di libero scambio commerciale con gli Stati Uniti.


D. - E quali sono le prospettive?


R. – EL CENTRO-AMERICA…
L’America Centrale, insieme con l’Unione Europea, è una delle regioni del mondo dove da molti anni si lavora in favore dell’integrazione. Noi siamo partiti negli anni ’60. Ma oggi tutto questo va visto dall’ottica della globalizzazione. In questo processo, gli scambi commerciali sono strategici. L’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC/WTO) continua con le sue negoziazioni nel cosiddetto “Round di Doha” è ciò e molto positivo, ma non è facile essere ottimisti. Gli europei, il Gruppo dei 20 che guidano il Brasile e l’India e gli stessi Stati Uniti, sono poco flessibili e non hanno la volontà politica necessaria per rinunciare a molti privilegi che si protraggono da troppi anni. Qui, in Europa, per esempio, il 2 % della popolazione esercita attività agricole eppure riceve ciò che corrisponderebbe al 20 % della medesima popolazione. Non è giusto. E’ un strada che porta all’impoverimento degli agricoltori dei Paesi poveri dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. A volte tutti parlano in favore del libero commercio ma poi nessuno è disposto a praticarlo veramente.


D. – Questi problemi sono stati trattati nei suoi colloqui in Vaticano?

R. – SI’, ESTO ES UN TEMA…
Sì, su questa questione ho parlato col Santo Padre e anche con il Segretario di Stato, il cardinale Sodano e, tutti e due, si sono dichiarati d’accordo nell'affermare che i Paesi piccoli hanno diritto a cercare i modi migliori per aumentare le loro esportazioni. Prendiamo l’esempio del Cile: è la nazione che più cresce in tutta l’America Latina e ciò è possibile perché è il Paese più globalizzato della regione dal punto di vista commerciale avendo firmato trattati di libero commercio con numerosi Paesi. Noi lavoriamo per una prospettiva simile.
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