Intervista con il presidente Oscar Arias dopo l'incontro con il Papa: d'accordo sulla
priorità del disarmo per la lotta alla povertà
(17 giugno 2006 - RV) I temi della globalizzazione, dello sviluppo e del disarmo sono
stati al centro dell’incontro ieri mattina in Vaticano tra Benedetto XVI e il presidente
della Costa Rica, Oscar Árias Sanchez, insignito nel 1987 del Premio Nobel per la
pace per la sua opera di riconciliazione nella regione centroamericana. Al termine
del colloquio il collega Luís Badilla lo ha intervistato chiedendogli innanzitutto
le sue impressioni:
********* R.
- PUES COMO YO ME LO IMAGINABA … Come immaginavo ho trovato una persona molto intelligente.
Il Papa conosce bene tutti i problemi del mondo di oggi. Così gli ho illustrato un’idea
che so bene che anche lui personalmente approva. Mi riferisco al fatto che per diminuire
la povertà nel mondo occorre al tempo stesso diminuire le spese militari. So che lui
è molto interessato a questa prospettiva. Io, da molti anni tento di convincere alcune
istituzioni finanziarie internazionali come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario
nonché il G8 affinché agiscano in questa direzione. Credo che queste istituzioni dovrebbero
condonare il debito estero di molti Paesi imponendo certe condizioni. Tra queste una
drastica riduzione delle spese militari. Basta con l’acquisto smisurato di armi e
basta con il mantenimento di soldati e apparati militari non necessari! Molti Paesi
oggi sprecano le loro poche risorse poiché spendono molto di più per i loro apparati
militari che per l’educazione dei giovani. Ma c’è di più e lo dobbiamo dire con forza:
molti di questi Paesi che spendono tanto denaro nell’acquisto di strumenti di morte
violano i diritti umani apertamente, non sono democratici, non sono trasparenti e
spesso sono preda della corruzione. A volte, in questi Paesi, le armi vengono utilizzate
per muovere guerra contro le nazioni confinanti oppure per opprimere e reprimere i
propri popoli.
D. – Cosa propone lei?
R. – EL MUNDO ESTA’ LLENO…
Certo, il mondo oggi è pieno di bei discorsi e abbonda di buoni propositi. Occorre
passare all’azione! Io propongo un grande evento mondiale, con la presenza ovviamente
della Chiesa cattolica, per creare una maggiore consapevolezza su questa realtà e,
se possibile, intraprendere la strada giusta. La Santa Sede, in questo campo, può
svolgere un ruolo decisivo e insostituibile. Ho anche raccontato al Papa che noi,
io e gli amici della “Fondazione Arias per la pace”, da molti anni proponiamo l’elaborazione
di un Trattato internazionale per la regolazione del commercio delle armi. E’ una
cosa che ho fatto come semplice cittadino e ora, come presidente della Costa Rica,
vorrei continuare a proporre come iniziativa del mio Paese e del mio governo. Attraverso
l’ONU, dobbiamo convincere molti governi che ormai non è più possibile, né conveniente,
vendere armi a chiunque abbia denaro per comprarle.
D. - A lei, sig. presidente,
è stato assegnato il Nobel per la pace del 1987 per il suo impegno in favore della
pacificazione dell’America Centrale. Sono passati molti anni dalla firma del Trattato
che ha portato la pace in Nicaragua, Guatemala ed El Salvador. Quale è il suo bilancio?
E’ valsa la pena tanta fatica diplomatica e politica?
R. - YO DIRÌA QUE SÌ.
HEMOS LOGRADO … Sì, certamente ne è valsa la pena. Siamo riusciti a pacificare
l’America Centrale con lo sforzo e il valore non solo nostro ma di tanti. Oggi, per
fortuna, non è più come nel passato quando nelle nostre terre si sparavano tutti contro
tutti. Siamo riusciti a dimostrare al mondo intero che la pace era possibile, e raggiungibile,
sul tavolo del negoziato e non sulle montagne centroamericane. Ci siamo riuniti nell’agosto
del 1987 in Guatemala per firmare il Piano di pace regionale da applicare nelle singole
nazioni rispettando le realtà e le complessità di ogni conflitto. Il sostegno dell’Unione
Europea e di tanti altri Paesi, quasi 20 anni fa, è stato un segnale rilevante per
fare capire che si può far tacere le armi con la diplomazia, il negoziato, il dialogo,
nel rispetto dei legittimi interessi di tutte le parti. Oggi però i problemi sono
diversi: lavoriamo per far crescere i nostri Paesi, lavoriamo per eliminare la povertà,
per generare nuove risorse, per creare occupazione, per dare più salute e più scuole,
per avere le infrastrutture necessarie. Oggi lavoriamo anche per decidere come e quando
inserire le nostre economie nel grande processo dell’economia mondiale, e in particolare,
lavoriamo per farlo nell’ambito del commercio planetario come abbiamo fatto noi, giorni
fa, firmando un accordo di libero scambio commerciale con gli Stati Uniti.
D.
- E quali sono le prospettive?
R. – EL CENTRO-AMERICA… L’America Centrale,
insieme con l’Unione Europea, è una delle regioni del mondo dove da molti anni si
lavora in favore dell’integrazione. Noi siamo partiti negli anni ’60. Ma oggi tutto
questo va visto dall’ottica della globalizzazione. In questo processo, gli scambi
commerciali sono strategici. L’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC/WTO) continua
con le sue negoziazioni nel cosiddetto “Round di Doha” è ciò e molto positivo, ma
non è facile essere ottimisti. Gli europei, il Gruppo dei 20 che guidano il Brasile
e l’India e gli stessi Stati Uniti, sono poco flessibili e non hanno la volontà politica
necessaria per rinunciare a molti privilegi che si protraggono da troppi anni. Qui,
in Europa, per esempio, il 2 % della popolazione esercita attività agricole eppure
riceve ciò che corrisponderebbe al 20 % della medesima popolazione. Non è giusto.
E’ un strada che porta all’impoverimento degli agricoltori dei Paesi poveri dell’Africa,
dell’Asia e dell’America Latina. A volte tutti parlano in favore del libero commercio
ma poi nessuno è disposto a praticarlo veramente.
D. – Questi problemi
sono stati trattati nei suoi colloqui in Vaticano?
R. – SI’, ESTO ES UN TEMA… Sì,
su questa questione ho parlato col Santo Padre e anche con il Segretario di Stato,
il cardinale Sodano e, tutti e due, si sono dichiarati d’accordo nell'affermare che
i Paesi piccoli hanno diritto a cercare i modi migliori per aumentare le loro esportazioni.
Prendiamo l’esempio del Cile: è la nazione che più cresce in tutta l’America Latina
e ciò è possibile perché è il Paese più globalizzato della regione dal punto di vista
commerciale avendo firmato trattati di libero commercio con numerosi Paesi. Noi lavoriamo
per una prospettiva simile. **********