GUATEMALA: CON UNA SOLENNE MESSA DI SUFFRAGIO RICORDATO MONS. GERARDI, IL VESCOVO
UCCISO A CITTA’ DEL GUATEMALA NEL 1998
CITTA’ DEL GUATEMALA, 29 apr ’06 - Migliaia di persone da tutto Guatemala
hanno reso omaggio mercoledì a mons. Juan José Gerardi Conedera, il vescovo ausiliare
di Città del Guatemala assassinato il 26 aprile 1998 nella sua parrocchia di San Sebastián.
L’anniversario della sua morte è stato commemorato con una solenne messa di suffragio
presieduta nella cattedrale metropolitana della capitale dal cardinale Rodolfo Quezada
Toruño. “Sono ormai passati otto anni da quando monsignor Juan José Gerardi Conedera
venne selvaggiamente ucciso e siamo ancora qui a chiedere giustizia per un uomo giusto”,
ha detto l’arcivescovo di Guatemala all’omelia. Durante la celebrazione un gruppo
di indigeni arrivati dal dipartimento di Cobán ha cosparso di fiori l’atrio della
tomba del vescovo prima di pregare in lingua Maya Quechí. Sul pavimento, con i petali
di diversi colori è stata disegnata una scritta ‘Niños en paz’ (bambini in pace),
in ricordo dei 22.000 minori vittime della guerra civile che dal 1960 al 1996 ha insanguinato
il Paese centro-americano. L’omicidio di mons. Gerardi resta ancora impunito.
L’anno scorso anno un tribunale ha ridotto da 30 a 20 anni le condanne comminate in
prima istanza nel 2001 al colonnello dell’esercito in pensione Disrael Lima Estrada
e a suo figlio, il capitano Byron Lima Oliva, per l’assassinio del presule. La stessa
corte ha confermato la pena a 20 anni di condanna inflitta a padre Mario Orantes,
ex-segretario del presule. Tutti e tre hanno presentato ricorso in appello, ma il
nuovo processo non è stato ancora celebrato. Due giorni prima di essere ucciso, monsignor
Gerardi aveva pubblicato il dossier "Guatemala nunca más" (‘Guatemala mai più’) sui
crimini compiuti durante la guerra civile. Nel documento sono elencate oltre 55.000
violazioni dei diritti umani perpetrate nel corso del conflitto interno, concluso
con un bilancio di almeno 200.000 vittime, tra morti e ‘desaparecidos’. L’80 per cento
dei casi è attribuito all’esercito. (Apic/Misna – ZENGARINI)