L'invito del Papa ai giovani a lasciarsi trasformare in Dio e a divenire una cosa
sola con Lui e tra di noi, nell'omelia pronunciata a conclusione della XX Giornata
Mondiale della Gioventù
Nella celebrazione della santa messa nella spianata di Marienfeld, nella mattina di
domenica 21 agosto,a conclusione della XX Giornata Mondiale della Gioventù, Benedetto
XVI ha rivolto ai giovani l'invito a vivere profondamente la propria "ora", a riconoscere
la presenza di Gesù in mezzo a noi.
Rivolgendosi a loro al suo arrivo nella
spianata, Benedetto XVI ha risposto così al saluto del Cardinale Meisner, arcivescovo
di Colonia:
"Cari amici giovani, vorrei ringraziare te, amico caro nell’episcopato,
per le tue commoventi parole che sono il modo migliore per iniziare questa celebrazione
eucaristica. Mi sarebbe piaciuto tanto attraversare la spianata in lungo e in largo,
con la papa-mobile, (interrotto dagli applausi – Viva il Papa) per riuscire ad essere
vicino, quanto più possibile, a ciascuno di voi. Purtroppo, il percorso non è stato
facilissimo e quindi ciò non è stato possibile. Ma saluto ciascuno di voi di tutto
cuore: il Signore vede ogni singola persona e la ama, e noi tutti insieme formiamo
la Chiesa viva e ringraziamo Iddio per questa ora, in cui ci dona il mistero della
sua presenza e della comunione con Lui stesso. Sappiamo tutti che siamo imperfetti,
che in realtà non possiamo essere dimora adeguata per Lui. Ecco perché iniziamo la
Santa Messa con il raccoglimento, pregandolo di togliere da noi quello che ci separa
da Lui e tra di noi, e che ci doni la capacità di vivere i santi misteri nella maniera
giusta."
Al momento dell'omelia, si è poi rivolto così ai giovani:
(traduzione italiana del testo dell'omelia)
Cari giovani!
Davanti
all’Ostia sacra, nella quale Gesù per noi si è fatto pane che dall’interno sostiene
e nutre la nostra vita (cfr Gv 6,35), abbiamo ieri sera cominciato il cammino interiore
dell’adorazione. Nell’Eucaristia l’adorazione deve diventare unione. Con la Celebrazione
eucaristica ci troviamo in quell’“ora” di Gesù di cui parla il Vangelo di Giovanni.
Mediante l’Eucaristia questa sua “ora” diventa la nostra ora, presenza sua in mezzo
a noi.
Insieme con i discepoli Egli celebrò la cena pasquale d’Israele, il
memoriale dell’azione liberatrice di Dio che aveva guidato Israele dalla schiavitù
alla libertà. Gesù segue i riti d’Israele. Recita sul pane la preghiera di lode e
di benedizione. Poi però avviene una cosa nuova. Egli ringrazia Dio non soltanto per
le grandi opere del passato; lo ringrazia per la propria esaltazione che si realizzerà
mediante la Croce e la Risurrezione, parlando ai discepoli anche con parole che contengono
la somma della Legge e dei Profeti: “Questo è il mio Corpo dato in sacrificio per
voi. Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue”. E così distribuisce il pane
e il calice, e insieme dà loro il compito di ridire e rifare sempre di nuovo in sua
memoria quello che sta dicendo e facendo in quel momento.
Che cosa sta succedendo?
Come Gesù può distribuire il suo Corpo e il suo Sangue? Facendo del pane il suo Corpo
e del vino il suo Sangue, Egli anticipa la sua morte, l’accetta nel suo intimo e la
trasforma in un’azione di amore. Quello che dall’esterno è violenza brutale, dall’interno
diventa un atto di un amore che si dona totalmente. È questa la trasformazione sostanziale
che si realizzò nel cenacolo e che era destinata a suscitare un processo di trasformazioni
il cui termine ultimo è la trasformazione del mondo fino a quella condizione in cui
Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15,28).
Già da sempre tutti gli uomini in
qualche modo aspettano nel loro cuore un cambiamento, una trasformazione del mondo.
Ora questo è l’atto centrale di trasformazione che solo è in grado di rinnovare veramente
il mondo: la violenza si trasforma in amore e quindi la morte in vita. Poiché questo
atto tramuta la morte in amore, la morte come tale è già dal suo interno superata,
è già presente in essa la risurrezione. La morte è, per così dire, intimamente ferita,
così che non può più essere lei l’ultima parola. È questa, per usare un’immagine a
noi oggi ben nota, la fissione nucleare portata nel più intimo dell’essere – la vittoria
dell’amore sull’odio, la vittoria dell’amore sulla morte. Soltanto questa intima esplosione
del bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che poco
a poco cambieranno il mondo. Tutti gli altri cambiamenti rimangono superficiali e
non salvano. Per questo parliamo di redenzione: quello che dal più intimo era necessario
è avvenuto, e noi possiamo entrare in questo dinamismo. Gesù può distribuire il suo
Corpo, perché realmente dona se stesso.
Questa prima fondamentale trasformazione
della violenza in amore, della morte in vita trascina poi con sé le altre trasformazioni.
Pane e vino diventano il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la trasformazione
non deve fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il Sangue di
Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta. Noi
stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo, consanguinei di Lui. Tutti mangiamo l’unico
pane, ma questo significa che tra di noi diventiamo una cosa sola. L’adorazione, abbiamo
detto, diventa unione.
Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente
Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. La sua dinamica ci penetra e da noi vuole
propagarsi agli altri e estendersi a tutto il mondo, perché il suo amore diventi realmente
la misura dominante del mondo. Io trovo un’allusione molto bella a questo nuovo passo
che l’Ultima Cena ci ha donato nella differente accezione che la parola “adorazione”
ha in greco e in latino. La parola greca suona proskynesis. Essa significa il gesto
della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma
accettiamo di seguire. Significa che libertà non vuol dire godersi la vita, ritenersi
assolutamente autonomi, ma orientarsi secondo la misura della verità e del bene, per
diventare in tal modo noi stessi veri e buoni. Questo gesto è necessario, anche se
la nostra brama di libertà in un primo momento resiste a questa prospettiva. Il farla
completamente nostra sarà possibile soltanto nel secondo passo che l’Ultima Cena ci
dischiude. La parola latina per adorazione è ad-oratio – contatto bocca a bocca, bacio,
abbraccio e quindi in fondo amore. La sottomissione diventa unione, perché colui al
quale ci sottomettiamo è Amore. Così sottomissione acquista un senso, perché non ci
impone cose estranee, ma ci libera in funzione della più intima verità del nostro
essere.
Torniamo ancora all’Ultima Cena. La novità che lì si verificò, stava
nella nuova profondità dell’antica preghiera di benedizione d’Israele, che da allora
diventa la parola della trasformazione e dona a noi la partecipazione all’“ora” di
Cristo. Gesù non ci ha dato il compito di ripetere la Cena pasquale che, del resto,
in quanto anniversario, non è ripetibile a piacimento. Ci ha dato il compito di entrare
nella sua “ora”.
Entriamo in essa mediante la parola del potere sacro della
consacrazione – una trasformazione che si realizza mediante la preghiera di lode,
che ci pone in continuità con Israele e con tutta la storia della salvezza, e al contempo
ci dona la novità verso cui quella preghiera per sua intima natura tendeva. Questa
preghiera – chiamata dalla Chiesa “preghiera eucaristica” – pone in essere l’Eucaristia.
Essa è parola di potere, che trasforma i doni della terra in modo del tutto nuovo
nel dono di sé di Dio e ci coinvolge in questo processo di trasformazione.
Per
questo chiamiamo questo avvenimento Eucaristia, che è la traduzione della parola ebraica
beracha – ringraziamento, lode, benedizione, e così trasformazione a partire dal Signore:
presenza della sua “ora”. L’ora di Gesù è l’ora in cui vince l’amore. In altri termini:
è Dio che ha vinto, perché Egli è l’Amore. L’ora di Gesù vuole diventare la nostra
ora e lo diventerà, se noi, mediante la celebrazione dell’Eucaristia, ci lasciamo
tirare dentro quel processo di trasformazioni che il Signore ha di mira. L’Eucaristia
deve diventare il centro della nostra vita.
Non è positivismo o brama di potere,
se la Chiesa ci dice che l’Eucaristia è parte della domenica. Al mattino di Pasqua,
prima le donne e poi i discepoli ebbero la grazia di vedere il Signore. D’allora in
poi essi seppero che ormai il primo giorno della settimana, la domenica, sarebbe stato
il giorno di Lui, di Cristo. Il giorno dell’inizio della creazione diventava il giorno
del rinnovamento della creazione. Creazione e redenzione vanno insieme. Per questo
è così importante la domenica.
È bello che oggi, in molte culture, la domenica
sia un giorno libero o, insieme col sabato, costituisca addirittura il cosiddetto
“fine-settimana” libero. Questo tempo libero, tuttavia, rimane vuoto se in esso non
c’è Dio.
Cari amici! Qualche volta, in un primo momento, può risultare piuttosto
scomodo dover programmare nella domenica anche la Messa. Ma se vi ponete impegno,
constaterete poi che è proprio questo che dà il giusto centro al tempo libero. Non
lasciatevi dissuadere dal partecipare all’Eucaristia domenicale ed aiutate anche gli
altri a scoprirla. Certo, perché da essa si sprigioni la gioia di cui abbiamo bisogno,
dobbiamo imparare a comprenderla sempre di più nelle sue profondità, dobbiamo imparare
ad amarla. Impegniamoci in questo senso – ne vale la pena!
Scopriamo l’intima
ricchezza della liturgia della Chiesa e la sua vera grandezza: non siamo noi a far
festa per noi, ma è invece lo stesso Dio vivente a preparare per noi una festa. Con
l’amore per l’Eucaristia riscoprirete anche il sacramento della Riconciliazione, nel
quale la bontà misericordiosa di Dio consente sempre un nuovo inizio alla nostra vita.
Chi
ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non si può tenere
per sé. Bisogna trasmetterla. In vaste parti del mondo esiste oggi una strana dimenticanza
di Dio. Sembra che tutto vada ugualmente anche senza di Lui. Ma al tempo stesso esiste
anche un sentimento di frustrazione, di insoddisfazione di tutto e di tutti. Vien
fatto di esclamare: Non è possibile che questa sia la vita! Davvero no.
E
così insieme con la dimenticanza di Dio esiste come un boom del religioso. Non voglio
screditare tutto ciò che c’è in questo contesto. Può esserci anche la gioia sincera
della scoperta. Ma, per dire il vero, non di rado la religione diventa quasi un prodotto
di consumo. Si sceglie quello che piace, e certuni sanno anche trarne un profitto.
Ma la religione cercata alla maniera del “fai da te” alla fin fine non ci aiuta. È
comoda, ma nell’ora della crisi ci abbandona a noi stessi.
Aiutate gli uomini
a scoprire la vera stella che ci indica la strada: Gesù Cristo! Cerchiamo noi stessi
di conoscerlo sempre meglio per poter in modo convincente guidare anche gli altri
verso di Lui. Per questo è così importante l’amore per la Sacra Scrittura e, di conseguenza,
importante conoscere la fede della Chiesa che ci dischiude il senso della Scrittura.
È lo Spirito Santo che guida la Chiesa nella sua fede crescente e l’ha fatta e la
fa penetrare sempre di più nelle profondità della verità (cfr Gv 16,13).
Papa
Giovanni Paolo II ci ha donato un’opera meravigliosa, nella quale la fede dei secoli
è spiegata in modo sintetico: il Catechismo della Chiesa Cattolica. Io stesso recentemente
ho potuto presentare il Compendio di tale Catechismo, che è stato elaborato a richiesta
del defunto Papa. Sono due libri fondamentali che vorrei raccomandare a tutti voi.
Ovviamente,
i libri da soli non bastano. Formate delle comunità sulla base della fede! Negli ultimi
decenni sono nati movimenti e comunità in cui la forza del Vangelo si fa sentire con
vivacità. Cercate la comunione nella fede come compagni di cammino che insieme continuano
a seguire la strada del grande pellegrinaggio che i Magi dell’Oriente ci hanno indicato
per primi. La spontaneità delle nuove comunità è importante, ma è pure importante
conservare la comunione col Papa e con i Vescovi. Sono essi a garantire che non si
sta cercando dei sentieri privati, ma invece si sta vivendo in quella grande famiglia
di Dio che il Signore ha fondato con i dodici Apostoli.
Ancora una volta devo
ritornare all’Eucaristia. “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo
un corpo solo” dice san Paolo (1 Cor 10,17). Con ciò intende dire: Poiché riceviamo
il medesimo Signore ed Egli ci accoglie e ci attira dentro di sé, siamo una cosa sola
anche tra di noi. Questo deve manifestarsi nella vita. Deve mostrarsi nella capacità
del perdono. Deve manifestarsi nella sensibilità per le necessità dell’altro. Deve
manifestarsi nella disponibilità a condividere. Deve manifestarsi nell’impegno per
il prossimo, per quello vicino come per quello esternamente lontano, che però ci riguarda
sempre da vicino.
Esistono oggi forme di volontariato, modelli di servizio
vicendevole, di cui proprio la nostra società ha urgentemente bisogno. Non dobbiamo,
ad esempio, abbandonare gli anziani alla loro solitudine, non dobbiamo passare oltre
di fronte ai sofferenti. Se pensiamo e viviamo in virtù della comunione con Cristo,
allora ci si aprono gli occhi. Allora non ci adatteremo più a vivacchiare preoccupati
solo di noi stessi, ma vedremo dove e come siamo necessari. Vivendo ed agendo così
ci accorgeremo ben presto che è molto più bello essere utili e stare a disposizione
degli altri che preoccuparsi solo delle comodità che ci vengono offerte.
Io
so che voi come giovani aspirate alle cose grandi, che volete impegnarvi per un mondo
migliore. Dimostratelo agli uomini, dimostratelo al mondo, che aspetta proprio questa
testimonianza dai discepoli di Gesù Cristo e che, soprattutto mediante il vostro amore,
potrà scoprire la stella che noi seguiamo.
Andiamo avanti con Cristo e viviamo
la nostra vita da veri adoratori di Dio! Amen.