La "penosa sorpresa" della S. Sede per le accuse israeliane contro Benedetto XVI e
Giovanni Paolo II.
(29 luglio 2005 - RV) “Accusa pretestuosa”, “dichiarazioni destituite di ogni fondamento”:
con una nota, la Santa Sede torna a rispondere alle proteste israeliane per la mancata
citazione dell’attentato di Netanya all’Angelus di domenica scorsa. Dopo la convocazione
del nunzio, infatti, il signor Nimrod Barkan, funzionario del ministero degli Esteri,
ha rilasciato al Jerusalem Post un’intervista piena di insinuazioni. Sentiamo Andrea
Sarubbi:
Ancora parole
dure, accuse insostenibili. Tanto da coinvolgere, oltre a Benedetto XVI, anche Giovanni
Paolo II. Israele gli imputa di non aver condannato abbastanza il terrorismo palestinese,
addirittura afferma di essere intervenuto presso la Santa Sede perché il nuovo Pontificato
cambiasse atteggiamento. Invenzioni, ribatte la Sala Stampa vaticana, senza nascondere
la “penosa sorpresa” per il fatto che gli interventi di Papa Wojtyla, “numerosi e
pubblici”, siano passati inosservati. Il documento ne cita diversi, e spiega: “non
sempre ad ogni attentato è stato possibile far seguire una dichiarazione di condanna”,
anche a causa delle “immediate reazioni israeliane, non sempre compatibili con il
diritto internazionale. Sarebbe stato impossibile condannare i primi e passare sotto
silenzio le seconde”. “La Santa Sede non può accettare di ricevere insegnamenti e
direttive circa orientamento e contenuti delle proprie dichiarazioni”, ribadisce il
testo, concludendo che “le affermazioni contrarie alla verità storica possono solo
fomentare animosità e contrasti”.
DICHIARAZIONE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA
SEDE
Circa le dichiarazioni che il Sig. Barkan, funzionario del Ministero degli
Esteri d’Israele, ha rilasciato al Jerusalem Post del 26 luglio.
1. L’insostenibilità
della pretestuosa accusa rivolta al Papa Benedetto XVI per non aver menzionato anche
l’attacco terroristico di Netanya del 12 luglio dopo la preghiera dell’Angelus di
domenica 24 luglio, non può non essere apparsa evidente a chi l’ha sollevata. Forse
anche per questo si è cercato di sostenerla, spostando l’attenzione su asseriti silenzi
di Giovanni Paolo II circa gli attentati degli anni passati contro Israele, inventando
anche che, al riguardo, il Governo d’Israele sarebbe in passato intervenuto ripetutamente
presso la Santa Sede, e richiedendo che con il nuovo Pontificato la Santa Sede cambi
atteggiamento.
2. In merito si fa presente:
a. Gli interventi di Giovanni
Paolo II contro ogni forma di terrorismo e contro singoli atti di terrorismo nei confronti
di Israele sono stati numerosi e pubblici, come appare dall’unita Nota.
b. Non
sempre ad ogni attentato contro Israele è stato possibile far seguire subito una pubblica
dichiarazione di condanna, e ciò per diversi motivi, tra l’altro per il fatto che
gli attentati contro Israele talora erano seguiti da immediate reazioni israeliane
non sempre compatibili con le norme del diritto internazionale. Sarebbe stato pertanto
impossibile condannare i primi e passare sotto silenzio le seconde.
c. Così
come il Governo israeliano comprensibilmente non si lascia dettare da altri ciò che
esso deve dire, nemmeno la Santa Sede può accettare di ricevere insegnamenti e direttive
da alcun’altra autorità circa l’orientamento ed i contenuti delle proprie dichiarazioni.
28
Luglio 2005
NOTA DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE
1. Recenti dichiarazioni
da parte israeliana hanno accusato la Santa Sede, e il Papa Giovanni Paolo II in
particolare, di non aver manifestato il proprio pensiero nei confronti del terrorismo,
che tante volte ha colpito gli abitanti dello Stato di Israele. Documenti di pubblico
dominio fanno apparire tali dichiarazioni come destituite di ogni fondamento. In realtà
il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha espresso molte volte e in occasioni di diversa
natura il proprio pensiero in merito, sia in riferimento allo Stato di Israele ed
ai suoi diritti, sia in riferimento agli obblighi nei confronti del popolo palestinese,
nella chiara coscienza che la violenza e il terrorismo non portano alla pace.
2. Senza
avere la pretesa di completezza, si desidera ricordare in particolare alcuni degli
interventi del Papa Giovanni Paolo II a condanna delle violenze contro i civili e
a favore del diritto dello Stato di Israele a vivere nella sicurezza e nella pace.
In questo senso Egli si espresse, ad esempio, già nel discorso al Corpo Diplomatico
del 12 gennaio 1979 e in quello del 16 gennaio 1982. All'Angelus del 4 aprile
1982 espresse la propria amarezza per i "nuovi dolorosi episodi [che] si sono prodotti
in Cisgiordania, con morti e feriti, mentre si è accresciuta l'ansietà e l'insicurezza
della popolazione". All'udienza generale del 15 settembre 1982 chiese che fossero
abbandonate da ambo le parti le "forme di lotta armata, alcune delle quali sono state
in passato particolarmente spietate e disumane". Il 15 gennaio 1983 ammonì che
le parti devono poter cessare di vivere nella paura, come anche smettere di ricorrere
alla violenza, al terrorismo e alle rappresaglie. Nella Lettera apostolica Redemptionis
anno del 20 aprile 1984, scrisse, per il popolo ebraico che vive in Israele, che "dobbiamo
invocare la desiderata sicurezza e la giusta tranquillità che è prerogativa di ogni
nazione e condizione di vita e di progresso per ogni società". Tali parole furono
ripetute durante l'incontro di Giovanni Paolo II con la Comunità ebraica di Miami
l'11 settembre 1987 e con la Comunità ebraica di Vienna il 24 giugno 1988, dove soggiunse
che "ricordarsi della Shoà significa anche opporsi ad ogni incitamento alla violenza,
e proteggere e promuovere ogni tenero germoglio di libertà e pace con pazienza e costanza".
E forse che l’affermazione del "diritto inalienabile a vivere in pace" per quanti
abitano la Terra Santa, come affermò il Papa il 3 febbraio 1989 ai Vescovi della CELRA
(Conferenza Episcopale dei Vescovi Latini nelle Regioni Arabe), non significa anche
condanna di chi compie atti di violenza? E il 10 ottobre 1990, all'Udienza generale,
denunciò le violenze in Gerusalemme davanti alle quali "non è possibile rimanere indifferenti
e non condannare". Con ferme parole, il 12 gennaio 1991 Giovanni Paolo II disse
che "si deve risconoscere che certi gruppi palestinesi hanno scelto, per farsi ascoltare,
metodi inaccettabili e condannabili", e che occorre garantire "allo Stato di Israele
le giuste condizioni per la sua sicurezza". Parlando, poi, all'Angelus del 27
gennaio 1991, del Medio Oriente e del ricorso all'arma del terrorismo, pregò "che
Dio allontani da tutti la tentazione di un impiego di simili mezzi contrari ai più
elementari principi morali e condannati dal diritto internazionale!". Ed incontrando
la Comunità ebraica di Brasilia, il 14 ottobre 1991, Giovanni Paolo II fece voti che
gli Ebrei, nella loro terra, possano "vivere in pace e in sicurezza". Né alcuno
ha dimenticato le parole dette all'Angelus del 1° gennaio 1993, quando il Pontefice
affermò: "Come non rinnovare una ferma condanna nei confronti della violenza in Medio
Oriente, da qualunque parte essa provenga?". Ribadì tale posizione il 15 gennaio
1994, quando auspicò che il dialogo prevalesse sugli estremismi e, l'anno successivo,
il 9 gennaio 1995, quando osservò come in Terra Santa "la pace non si scrive con lettere
di sangue, ma con l'intelligenza e con il cuore". A pochi giorni di distanza, il 22
gennaio dello stesso anno, Giovanni Paolo II espresse dolore e ferma condanna per
il grave atto di terrorismo compiuto a Netanya, e fiducia che tutti vedessero il male
e l’inutilità della violenza. Turbato dalla strage del 30 luglio 1997 al mercato
di Gerusalemme, il Papa fece diramare una dura nota dalla Sala Stampa, nella quale
si affermò che "La Santa Sede deplora questa violenza cieca che semina la morte indiscriminatamente.
Non è con questo genere di azioni che si costruisce la pace. Il Santo Padre ha ricordato
più volte che la violenza genera soltanto violenza". Il 13 gennaio 2001, riferendosi
ai fatti di Betlemme, ricordò come "nessuno deve accettare ... il verificarsi di una
specie di guerriglia". L'anno successivo, il 10 gennaio, davanti al Corpo Diplomatico
parlò delle vittime innocenti che da una parte e dall’altra cadono ogni giorno sotto
i colpi e gli spari, e della necessità di vincere insieme la battaglia della pace.
Egli si riferiva al conflitto in atto in Palestina. Nel messaggio Urbi et Orbi
del 31 marzo 2002 la parola del Pontefice si levò per condannare "la tragica sequenza
di atrocità e di assassinii che insanguinano la Terra Santa" e, in occasione dell'attentato
suicida del 22 febbraio 2004 a Gerusalemme, Egli espresse la sua ferma deplorazione
per il brutale atto, denunciando la dinamica assurda della violenza. Ancora un
mese e mezzo prima di morire, Giovanni Paolo II, all'Angelus del 13 febbraio, confidò:
"Continuo a pregare per la pace in Medio Oriente".
3. Inoltre, il Papa
Giovanni Paolo II, davanti a milioni di persone, nei messaggi Urbi et Orbi, in diversi
discorsi alla Curia Romana, nelle catechesi, negli incontri con delegazioni ebraiche
ha deplorato nei modi più fermi il terrorismo contro gli abitanti della Terra Santa. Anche
nel ricordare gli inalienabili diritti del Popolo palestinese, il Sommo Pontefice
ha ripetutamente stigmatizzato con parole inequivocabili l’inammissibilità dei metodi
violenti che, mediante atti terroristici perpetrati nei confronti della popolazione
civile israeliana, hanno impedito le iniziative di pace poste in atto, lungo i trascorsi
cinque lustri, da sagge forze politiche sia israeliane sia palestinesi.
4. Desta
penosa sorpresa che possa essere passato inosservato il fatto che, nei trascorsi 26
anni, la voce del Papa Giovanni Paolo II si sia levata tante volte con forza e passione
nella drammatica situazione della Terra Santa, a condanna di ogni atto terroristico
e ad invito a sentimenti di umanità e di pace. Le affermazioni contrarie alla
verità storica possono giovare solo a chi intende fomentare animosità e contrasti,
e certo non servono a migliorare la situazione. /Fine