Appello per la liberazione di 40 cristiani pakistani
(18 maggio 2005 - RV) Il governo pakistano aiuti i cristiani detenuti in Arabia Saudita.
E’ l’appello rivolto dall’arcivescovo di Lahore mons. Lawrence Saldanha, che
chiede l’intervento delle autorità per la scarcerazione di 40 cristiani. Il servizio
di Eugenio Bonanata L’arcivescovo di Lahore in Pakistan, mons. Lawrence Saldanha,
ha chiesto alle autorità locali di intervenire presso il governo saudita per la scarcerazione
di 40 cittadini pakistani cristiani, detenuti a Ryad. L’arresto risale al 23 aprile
scorso, quando a Ryad i 40 cristiani pakistani furono sorpresi mentre celebravano
la Messa in un appartamento. Durante l’irruzione, la polizia ha trovato libri e materiale
audiovisivo di carattere religioso. Mons. Saldanha, rivolgendosi al governo, definisce
l’arresto un “grave episodio di discriminazione religiosa e violazione dei diritti
umani”. Ma a distanza di settimane, le autorità saudite, in un Paese dove è illegale
qualsiasi pratica religiosa diversa dall’islam, non hanno ancora rilasciato commenti.
Stesso atteggiamento da parte del Pakistan che, nonostante ripetuti appelli anche
da parte di numerose organizzazioni umanitarie, non ha espresso un sola parola di
condanna per l’azione di forza. Intanto, in Iran, un’altra vicenda del genere mette
a repentaglio la vita di un uomo. Hamid Pourmand, pastore della Chiesa protestante
convertito dall’islam, al momento del suo arresto era colonnello dell’esercito iraniano.
Il 16 febbraio scorso, è stato accusato di aver tenuto nascosta la sua conversione
ai superiori. La legge islamica vigente nel Paese non permette che un non musulmano
faccia parte dell’esercito con il grado di ufficiale. In piedi rimangono ancora le
accuse di apostasia e proselitismo. In particolare, secondo i giudici, il pastore
è colpevole di aver “fatto parte per diversi anni di una Chiesa sotterranea attraverso
la quale molti hanno tradito l’islam per il cristianesimo”. L’imputato è in attesa
di essere giudicato dal tribunale islamico della sua città natale nel sud dell’Iran:
il rischio per lui è la pena di morte per impiccagione.