L'intervento del card. Ratzinger a Subiaco, lo scorso 1° aprile, sulle radici cristiane
dell'Europa e i rischi del relativismo
21 aprile 2005 - Il primo aprile di quest’anno, ventiquattr’ore prima della morte
di Giovanni Paolo II, il suo futuro successore si trovava a Subiaco per ricevere una
onorificenza, in quella “culla” benedettina che ha in parte ispirato il nome del nuovo
Papa. In quella circostanza, l’allora cardinale Ratzinger, ricevendo il “Premio San
Benedetto per la promozione della Famiglia in Europa”, ha tenuto una “lectio magistralis”
sui motivi che hanno portato all’esclusione, nella Costituzione europea, del riconoscimento
delle radici cristiane, in rapporto al prepotente affermarsi del pensiero relativistico.
Alessandro De Carolis offre nel suo servizio una sintesi di quell’intervento.
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“Nel dibattito intorno alla definizione dell’Europa, intorno alla sua nuova forma
politica, non si gioca una qualche nostalgica battaglia ‘di retroguardia’ della storia,
ma piuttosto una grande responsabilità per l’umanità di oggi”. L’affermazione di Benedetto
XVI - nella sua lunga disamina di Subiaco, svolta ancora nelle vesti di cardinale
– fa da cerniera tra l’introduzione dell’intervento e l’analisi successiva. All’inizio,
il futuro Pontefice mette in chiaro come i grandi mali del mondo contemporaneo – dalla
fame al terrorismo, dallo scontro fra le culture alle sperequazioni nella distribuzione
dei beni della terra – siano il frutto di un “dominio” sempre crescente dell’uomo
sulla materia, cresciuto nell’ultimo secolo alla pari del “suo potere di distruzione”.
Un uomo brillante, acuto, giunto ormai “a decifrare – constata – le componenti dell’essere
umano”, al punto che la creatura-uomo non viene più al mondo “come dono del Creatore”
ma come “prodotto” selezionato dall’uomo stesso, grazie alle sue acquisite “capacità
di automanipolazione”. Ma a fronte di questa crescita tecno-scientifica, osserva,
“la forza morale non è cresciuta assieme allo sviluppo della scienza”, ed è in questo
squilibrio “tra possibilità tecniche ed energia morale” che c’è “il vero, più grave
pericolo” del mondo di oggi.
Nel segno di questo stesso squilibrio, si sono incrociate le due culture prevalenti
europee: cristianesimo ed illuminismo. Oggi, in Europa e in Occidente, si è affermato
un generico “moralismo” - basato su parole-chiave come giustizia, pace, conservazione
del creato – che attiene più alla sfera politico-sociale che non a quella religiosa
e spirituale in senso pieno. Da questo travisamento, dove a Dio si sostituiscono le
“grandi parole” che si “prestano a qualsiasi abuso”, risalgono le conseguenze che
hanno portato al misconoscimento del contributo del Vangelo alla crescita dell’Europa.
Il razionalismo sviluppatosi tra i suoi confini all’epoca dei Lumi ha prodotto, per
paradosso, che il continente dove il cristianesimo “ha trovato la sua forma più efficace”,
abbia generato anche le più forti contraddizioni al suo messaggio. La cultura illuminista,
afferma l’intervento dell’allora cardinale Ratzinger, è in sostanza definita dai diritti
di libertà. Ma tale libertà, obietta, viene dilatata a tal punto da essere l’unico
valore di riferimento, incontestabile: in altre parole, un dogma, analogo a quelli
che il relativismo vorrebbe eliminare.
Non è sufficiente, asserisce, che l’art. 52 della Costituzione europea garantisca
pari diritti a tutte le Chiese: ciò attiene al compromesso politico, non è un riconoscimento
storico di quanto esse abbiano fatto per l’Europa. E nemmeno convince l’affermazione
che la menzione delle radici cristiane possa offendere qualcuno “Chi verrebbe offeso?”,
si chiede il futuro Papa. Non certo i musulmani, che si sentono piuttosto minacciati
dal “secolarismo” occidentale che nega le proprie radici, né tanto meno gli ebrei,
giacché le loro radici e quelle cristiane “risalgono al Monte Sion”. Considerare “morte”
le radici del passato, che pure hanno storicamente forgiato l’Europa, fa sì che nella
nuova identità del continente, “determinata esclusivamente dalla cultura illuminista”,
Dio “non c’entri niente con la vita pubblica e con le basi dello Stato”. Questa “confusa
ideologia della libertà – è la considerazione del relatore – conduce ad un dogmatismo
che si sta rivelando sempre più ostile verso la libertà”.
“Il relativismo che costituisce il punto di partenza di tutto questo – è una delle
considerazioni centrali di tutta la riflessione – diventa così un dogmatismo che si
crede in possesso della definitiva conoscenza della ragione, ed in diritto di considerare
tutto il resto soltanto come uno stadio dell’umanità in fondo superato e che può essere
adeguatamente relativizzato. In realtà, ciò significa che abbiamo bisogno di radici
per sopravvivere e che non dobbiamo perdere Dio di vista, se vogliamo che la dignità
umana non sparisca”. Anche se ciò non vuol dire, conclude Benedetto XVI, rifiutare
l’illuminismo e la modernità, giacché viene dal Concilio Vaticano II il riconoscimento
della “profonda corrispondenza” tra le due culture e l’invito “ad arrivare ad una
vera conciliazione tra Chiesa e modernità, che è il più grande patrimonio da tutelare
da entrambe le parti”.
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