Il Testamento spirituale di Giovanni Paolo II:
il suo grazie ecclesiale ed ecumenico, l'incrollabile "Totus tuus"
“Vegliate perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà”: inizia così,
con un passo del Vangelo di Matteo, il testamento spirituale di Giovanni Paolo II.
La prima parte del documento di otto cartelle - vergato a più riprese negli anni del
Pontificato, durante o dopo la sosta degli esercizi spirituali della Quaresima - porta
la data del 6 marzo del 1979 ed è stata consegnata oggi ai media. Il servizio di Alessandro
De Carolis.
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Non so quando verrà il momento della morte, scrive il Santo Padre, “ma come tutto,
anche questo momento depongo nelle mani della Madre del mio Maestro: Totus Tuus. Nelle
stesse mani materne – prosegue l’invocazione del Pontefice - lascio tutto e Tutti
coloro con i quali mi ha collegato la mia vita e la mia vocazione. In queste Mani
lascio soprattutto la Chiesa, e anche la mia Nazione e tutta l’umanità. Ringrazio
tutti. A tutti chiedo perdono”. Il Papa, che spiega di aver iniziato a scrivere il
presente testamento, dopo aver letto quello di Papa Paolo VI, chiede la preghiera
dei fedeli, “affinché la Misericordia di Dio si mostri più grande della mia debolezza
e indegnità”.
Giovanni Paolo II sottolinea che non lascia “alcuna proprietà di cui sia necessario
disporre”. Stabilisce poi che gli “appunti personali siano bruciati” e subito dopo
ringrazia il suo segretario, mons. Stanislaw Dziwisz per la “collaborazione e l’aiuto
così prolungato negli anni e così comprensivo”. E aggiunge: “Tutti gli altri ringraziamenti”,
li “lascio nel cuore davanti a Dio stesso, perché è difficile esprimerli”. Il Papa
conclude questa parte del suo testamento ripetendo per il funerale le stesse disposizioni
date da Paolo VI: la tumulazione nella nuda terra. A queste righe scritte nel ’79,
aggiunge una chiosa nel 1990: “Dopo la morte chiedo Sante Messe e preghiere”.
La seconda delle sette cartelle si apre con una dichiarazione senza data. In essa
il Papa esprime fiducia che, malgrado tutta la sua debolezza, il Signore gli “concederà
ogni grazia necessaria per affrontare secondo la Sua volontà qualsiasi compito, prova
e sofferenza che vorrà richiedere dal Suo servo, nel corso della vita. Ho anche fiducia
– aggiunge - che non permetterà mai che, mediante qualche mio atteggiamento: parole,
opere o omissioni, possa tradire i miei obblighi in questa santa Sede Petrina”.
Tra la fine del febbraio e il primo marzo 1980, il Papa si sofferma a riflettere
sulla morte in relazione alla “verità del sacerdozio di Cristo”. Rilegge quanto scritto
in precedenza, paragonandolo con quanto scritto da Paolo VI – “con quella sublime
testimonianza sulla morte di un cristiano e di un papa”, scrive - e aggiunge una riflessione
sull’importanza di essere “pronto a presentarsi davanti al Signore e al Giudice –
e contemporaneamente Redentore e Padre”. Giovanni Paolo II lo fa anch’egli “continuamente”,
afferma, “affidando quel momento decisivo alla Madre di Cristo e della Chiesa – alla
Madre della mia speranza”. “I tempi, nei quali viviamo, sono indicibilmente difficili
e inquieti”, osserva. “Difficile e tesa è diventata anche la via della Chiesa, prova
caratteristica di questi tempi – tanto per i Fedeli, quanto per i Pastori”. In alcuni
Paesi, riflette il Papa, “la Chiesa si trova in un periodo di persecuzione tale, da
non essere inferiore a quelle dei primi secoli, anzi li supera per il grado della
spietatezza e dell’odio”, mentre “tante persone scompaiono innocentemente, anche in
questo Paese in cui viviamo…”
Dopo queste righe, Giovanni Paolo II afferma: “Desidero ancora una volta totalmente
affidarmi alla grazia del Signore. Egli stesso deciderà quando e come devo finire
la mia vita terrena e il ministero pastorale”. Ribadisce, “nella vita e nella morte”
il “Totus Tuus mediante l’Immacolata”. Esprime due speranze: che “accettando già ora
questa morte”, Cristo gli conceda la “grazia per l’ultimo passaggio”, la sua “Pasqua”.
E inoltre, che “renda utile” l’ultimo transito anche per quella “più importante causa”
alla il Pontefice cerco di servire: “La salvezza degli uomini, la salvaguardia della
famiglia umana, e in essa di tutte le nazioni e dei popoli”. Una morte “utile per
le persone che in modo particolare mi ha affidato, per la questione della Chiesa,
per la gloria dello stesso Dio”.
Nel marzo del 1982, Giovanni Paolo II riprende la scrittura del suo Testamento spirituale.
Rilegge quanto scritto nel ‘79. Annota di considerarlo provvisorio, ma sceglie per
il momento di non cambiare né di aggiungere nulla. “L’attentato alla mia vita il 13.V.1981
– scrive - in qualche modo ha confermato l’esattezza delle parole scritte nel periodo
degli esercizi spirituali del 1980. Tanto più profondamente sento che mi trovo totalmente
nelle Mani di Dio – e resto continuamente a disposizione del mio Signore, affidandomi
a Lui nella Sua Immacolata Madre (Totus Tuus)”.
Un’annotazione, sempre del marzo dell’82, si riferisce esplicitamente alla questione
dei suoi funerali, chiarendo quanto scritto nel marzo del ’79. Chiede al Collegio
Cardinalizio di “soddisfare in quanto possibile le eventuali domande” in merito del
“Metropolita di Cracovia” o del “Consiglio Generale dell’Episcopato della Polonia”.
In un’ulteriore annotazione, risalente al primo marzo 1985, aggiunge: “Il Collegio
Cardinalizio non ha nessun obbligo di interpellare su questo argomento ‘i Connazionali’;
può tuttavia farlo, se per qualche motivo lo riterrà giusto”.
Dopo questa parentesi di riflessioni degli anni Ottanta, Giovanni Paolo II completa
il testamento con gli esercizi spirituali del marzo del Duemila, durante il Giubileo.
“Quando nel giorno 16 ottobre 1978, il conclave dei cardinali mi scelse – scrive -
il Primate del
la Polonia, il cardinale Wyszyński, mi disse: “Il compito del nuovo Papa sar
à di introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio”. A questo ricordo, fa seguire una considerazione:
“Secondo i disegni della Provvidenza, afferma, “mi è stato dato di vivere in un difficile
secolo: in modo particolare sia lode alla Provvidenza Divina per questo, che il periodo
della così detta ‘guerra fredda’ è finito senza il violento conflitto nucleare, di
cui pesava sul mondo il pericolo nel periodo precedente”.
A questo punto, Giovanni Paolo II torna con la memoria al 13 maggio 1981, il giorno
dell’attentato in Piazza San Pietro. “La Divina Provvidenza – scrive - mi ha salvato
in modo miracoloso dalla morte. Colui che è unico Signore della vita e della morte,
Lui stesso mi ha prolungato questa vita, in un certo modo me l’ha donata di nuovo.
Da questo momento essa ancora di più appartiene a Lui. Spero che Egli mi aiuterà a
riconoscere fino a quando devo continuare questo servizio, al quale mi ha chiamato.
Gli chiedo di volermi richiamare quando Egli stesso vorrà. Nella vita e nella morte
apparteniamo al Signore… siamo del Signore”. Spero anche – aggiunge Giovanni Paolo
II - che fino a quando mi sarà donato di compiere il servizio Petrino nella Chiesa,
la Misericordia di Dio voglia prestarmi le forze necessarie per questo servizio”.
Il Papa esprime poi “gratitudine” allo Spirito Santo per il grande dono del Concilio
Vaticano II, al quale - dice - “insieme con l’intera Chiesa mi sento debitore”. Sono
convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze
che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito. Come vescovo che ha partecipato
all’evento conciliare dal primo all’ultimo giorno, desidero affidare questo grande
patrimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo. Giovanni
Paolo II ringrazia tutti quelli che lo hanno aiutato durante il suo Pontificato, non
solo i cattolici. “Anche tanti Fratelli cristiani, il rabbino di Roma e così numerosi
rappresentanti delle religioni non cristiane”, scrive. “E quanti rappresentanti del
mondo della cultura, della scienza, della politica, dei mezzi di comunicazione sociale”.
A misura che si avvicina il limite della mia vita terrena, conclude Giovanni Paolo
II, “ritorno con la memoria all’inizio, ai miei Genitori, al Fratello e alla Sorella
(che non ho conosciuto, perché morì prima della mia nascita), alla parrocchia di Wadowice,
dove sono stato battezzato, a quella città del mio amore, ai coetanei, compagne e
compagni della scuola elementare, del ginnasio, dell’università, fino ai tempi dell’occupazione,
quando lavorai come operaio. A tutti voglio dire uno sola cosa: “Dio vi ricompensi”.
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