2005-04-03 17:03:38

Ventisei anni di Pontificato, incastonati nella storia del "secolo breve"


Con la scomparsa di Giovanni Paolo II la Chiesa perde uno dei pastori più longevi della sua bimillenaria storia. Quello del Papa da poco deceduto è stato il terzo pontificato di sempre, dopo quello di San Pietro e di Pio IX: è durato 26 anni, 5 mesi 17 giorni. E’ iniziato il 16 ottobre del 1978, destinato a segnare profondamente il corso degli eventi storici ed ecclesiali. Ricordiamo allora la figura e l’opera di Karol Wojtyla, in questo servizio di A
lessandro De Carolis. RealAudioMP3
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“Rinnovo, davanti a Cristo, l'offerta della mia disponibilità a servire la Chiesa quanto a lungo Egli vorrà, abbandonandomi completamente alla Sua santa volontà. Lascio a Lui la decisione su come e quando vorrà sollevarmi da questo servizio".

Karol Josef Wojtyla, l'uomo destinato a divenire, con il nome di Giovanni Paolo II, il 263.mo successore di Pietro ed il primo Papa non italiano dalla morte - nel 1523 - dell'olandese Adriano VI di Utrecht, nasce nella città polacca di Wadovice il 18 maggio nel 1920, terzogenito di un sottufficiale dell'esercito e di una casalinga. Dopo una brillante carriera liceale, affronta gli studi filosofici all’Università di Jagellonica, l'antico ateneo di Cracovia, coltivando nel frattempo interessi letterari, teatrali e sportivi. La morte del padre da tempo malato, nel 1941, si aggiunge alla serie di lutti che negli anni precedenti gli avevano tolto la madre ed i fratelli e lascia il ventunenne Karol solo al mondo, proprio mentre la seconda Guerra mondiale trasforma la Polonia in una delle terre dove l’efferatezza della violenza nazista si manifesta con più violenza. Il giovane Karol è costretto dalle circostanze ad alternare l'impegno universitario a pesanti lavori in miniera e in fabbrica. Ed è in questo periodo difficile che matura gradualmente la sua vocazione sacerdotale:

“Essa fu una vocazione adulta, benché in un certo senso già iniziata nel periodo dell'adolescenza. Maturò tra le sofferenze della mia nazione, maturò nel lavoro fisico tra gli operai. Maturò anche grazie alla direzione spirituale di vari sacerdoti, specialmente del mio confessore".

Nel 1946, viene ordinato sacerdote a Cracovia e in quella città, dopo un ulteriore periodo di approfondimento a Roma, conseguirà la laurea in Teologia. In una Polonia stretta ora nella morsa dell'ateismo marxista, iniziano per il giovane sacerdote polacco gli anni del suo servizio pastorale, prima come parroco di paese, e poi come insegnante alla facoltà di teologia dell'Università di Lublino. Nel 1958, nominato vescovo da Pio XII, diventa, a soli 38 anni, il più giovane presule polacco. Partecipa, nel 1962, lavori del Concilio Vaticano II, inserito nel gruppo di consulenza che partorirà la futura Costituzione pastorale “Gaudium et Spes”. Cinque anni più tardi, è l’ora della porpora cardinalizia, che gli impone Papa Montini. Si arriva così al 1978, l’“anno dei tre Papi".

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La morte di Paolo VI, in agosto, e quella successiva e inattesa di Papa Luciani, dopo poco più di un mese, costringono il collegio cardinalizio ad affrontare nuovamente la questione della successione pontificia. Quella bianca è la quarta fumata del secondo conclave del ’78.

“Annuntio vobis, gaudium magnum: habemus Papam!”

(applausi)

Alle 19.22 del 16 ottobre Karol Wojtyla, assunto il nome di Giovanni Paolo II, si affaccia dalla loggia della Basilica per salutare l’Italia e il mondo cristiano:

“Non so se posso bene spiegarmi nella vostra... nella nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi correggerete. E così mi presento a voi tutti…. per incominciare di nuovo su questa strada della storia e della Chiesa, con l'aiuto di Dio e con l'aiuto degli uomini".

Pochi giorni dopo, il nuovo Pontefice pronuncia davanti a religiosi e fedeli di tutto il mondo un discorso destinato a restare il manifesto programmatico del suo pontificato, il più lungo del Novecento e tra i più di sempre. Un discorso incentrato su due parole-chiave: "Cristo" e "uomo":
“Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà. Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l'uomo e la umanità intera. Non abbiate paura. Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo".
Eppure la paura serpeggia in Piazza San Pietro mercoledì 13 maggio 1981, ricorrenza di Nostra Signora del Rosario di Fatima e giorno di udienza generale. Durante il giro di Giovanni Paolo II tra la folla festante, a bordo di un’auto scoperta, una pistola spunta sopra le teste della gente. Rimbombano due colpi di pistola, i piccioni si levano in volo: sono le 17.17. Il Papa si accascia dolorante, l’abito macchiato di sangue e viene trasportato d’urgenza al Policlinico Gemelli, dove viene sottoposto a intervento chirurgico. L’attentatore, Mehmet Alì Agca, un turco di 22 anni, viene immediatamente bloccato e arrestato. Il Papa resterà in ospedale per un mese. Ma già quattro giorni dopo l’attentato, domenica 17, nell’Angelus recitato dal suo letto d’ospedale, Giovanni Paolo II trova parole di perdono per chi lo ha costretto in fin di vita:

“Prego per il fratello che mi ha colpito e al quale ho sinceramente perdonato”.
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Papa del Grande Giubileo, dell'Est, dei diritti umani, del “crollo dei muri”: con queste e molte altre espressioni si è cercato di assegnare al pontificato di Giovanni Paolo II un tratto distintivo che ne sintetizzasse l'opera. Alcuni tratti salienti di questa straordinaria figura di Pontefice si sono però indiscutibilmente imposti all'attenzione del mondo: uno di questi è l'impegno di pastore universale, vissuto attraverso i 104 viaggi apostolici compiuti in ogni parte del globo, mai affrontati da nessun Papa prima d'ora. Tra i suoi tanti itinerari – iniziati nel ’79 con la Repubblica Dominicana e terminati lo scorso anno con Berna e Lourdes - citiamo a titolo d’esempio quello giubilare in Terra Santa, luogo d’origine della salvezza cristiana e le ripetute soste nei Paesi a maggioranza ortodossa dell’Europa dell’Est, segnate da ripetuti appelli all’unità del Vecchio continente, da costruire sulle sue millenarie radici evangeliche. Un tema quest’ultimo, ripreso a ritmo incessante durante gli Angelus e le udienze dell’estate del 2002, quando la nascente Costituzione europea sembrava voler misconoscere il contributo del cristianesimo alla formazione dell’Europa.

Ma ricordiamo anche lo storico viaggio a Fatima, per rinnovare l’affidamento alla Vergine e liberare il mondo dai timori millenaristici del celebre “terzo segreto” della profezia mariana. Ha visitato 129 Paesi oltre all’Italia, pronunciato in totale circa 3.300 discorsi, e percorso in totale oltre un milione di chilometri, pari a circa 25 volte la circonferenza terrestre, e tre volte la distanza dalla Terra alla Luna:

"Il Papa, quanto può, deve vivere la Chiesa e non solamente conoscerla attraverso i dati e attraverso le informazioni, ma in quanto possibile, attraverso l'esperienza. E questo vuol dire vivere la Chiesa ed i diversi punti. C'è anche una certa richiesta: la Chiesa vuole vivere il Papa, nei diversi ambienti. Vuole che venga, che sia con loro. E' un momento della storia, un segno dei tempi".

Ma non erano certo i record ad interessare Giovanni Paolo II, quanto l'incontro con le culture, anche quelle lontane di un Sud del mondo da sempre emarginato, o quelle circoscritte in territori spezzati dai muri dell’odio etnico, quelle segregate per anni dietro la "cortina di ferro", nell'Oriente europeo. Un impegno associato alla lotta incessante contro le piaghe, vecchie e nuove, che mietono vittime quotidiane sul pianeta: la miseria, la fame, il sottosviluppo, il flagello dell’Aids.

Di qui anche l'esigenza di portare all'uomo moderno, confuso da mille sollecitazioni fuorvianti, esempi eminenti di coerenza agli insegnamenti del Vangelo. E' in questa prospettiva che si coglie la chiave di lettura dell'imponente numero di 483 Santi e 1345 Beati, proclamati durante gli anni del suo pontificato. Vogliamo contenere idealmente questa immensa schiera tra i nomi delle prime e le ultime canonizzazioni e beatificazioni del pontificato. Tra il giugno e l’ottobre del 1982, con San Crispino da Viterbo e padre Massimiliano Kolbe – primo segno, quest’ultimo, dell’attenzione che il nuovo Papa dedicherà costantemente a quella lunga e spesso sconosciuta falange di martiri dei totalitarismi – e il nome di un maestro della solidarietà, don Luigi Orione. Ma in questa schiera va ricordato anche il nome di due suoi predecessori: Giovanni XXIII e Pio IX.

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Ed ancora, grandi imperativi del pensiero e dell’azione di Giovanni Paolo II sono stati, nell’intero arco del Pontificato, la promozione della pace e della giustizia, la carità verso gli emarginati e i diseredati, nonché il ripudio della violenza e dell’odio interetnico. Con la stessa intensità, il cuore di Giovanni Paolo II batteva vicino alle vittime di un altro insensato massacro, quello consumatosi nell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 a New York:

“Ieri è stato un giorno buio nella storia dell’umanità, un terribile affronto alla dignità dell’uomo.(…) Ma la fede ci viene incontro, in questi momenti in cui ogni commento appare inadeguato. (…) Se anche la forza delle tenebre sembra prevalere, il credente sa che il male e la morte non hanno l’ultima parola”.
Nel condannare gli orrori della guerra, il Pontefice ha sempre puntato il dito contro le “ideologie ottuse e violente” e i loro “perversi meccanismi” di propaganda, i razzismi, il commercio di armi e la tentazione “forte anche tra i credenti” dell’“odio, del disprezzo dell'altro, della prevaricazione”:
“Basta con l'odio! Basta con il sangue! Basta con la guerra! Chi è responsabile di tali atti, e chi li pianifica, dovrà risponderne davanti a Dio ed agli uomini!”.

“Abbiate l'audacia del perdono”: queste sue parole sono la sintesi di un invito alla fratellanza e alla riconciliazione che fu costante e continuo nel pontificato di Giovanni Paolo II. Il Papa lo proclamò al mondo con il corale mea culpa a nome della Chiesa, durante i giorni del Grande Giubileo del Duemila. Ma a muovere il Pontefice era anche la volontà di un dialogo fraterno con le altre religioni del mondo: per la prima volta un Papa ha parlato a migliaia di giovani musulmani; ha varcato, sulle orme dell'apostolo Pietro, le soglie di una sinagoga, e tra le pietre del Muro del Pianto, a Gerusalemme, ha lasciato la richiesta di perdono, a nome della Chiesa, per i torti inflitti a gli ebrei; ha promosso, ad Assisi, il primo, storico storico tra i leader religiosi del mondo, ripetuto nel gennaio 2002; ha chiesto esplicitamente perdono per i "torti inflitti ai non cattolici" nella storia della Chiesa. Ancor più incessante è stata nel Pontefice la spinta ecumenica, che lo portò con l'enciclica Ut unum sint a superare secolari divisioni e incomprensioni, per tornare a incontrarsi e realizzare l'unità voluta da Cristo:

“Il compito di guidare la Chiesa nel servizio dell'evangelizzazione, della santificazione e della carità impegna il mio spirito al di sopra di ogni altro pensiero nella costante sollecitudine di farmi costruttore di comunione tra le diverse Chiese particolari”.

L'urgenza di una riconciliazione tra le varie famiglie cristiane trova ulteriore conferma in un'altra costante del magistero di Giovanni Paolo II, il riferimento alla scadenza secolare del Duemila. Questo tema ricorrente si saldò ben presto con l'idea di un grande Giubileo per l'esordio del terzo millennio cristiano, che riconfermava alla Chiesa il compito di guidare un mondo bisognoso “di purificazione e di conversione”:
“L'avvicinarsi alla fine del secondo millennio sollecita tutti ad un esame di coscienza, ad opportune iniziative ecumeniche, così che al Grande Giubileo ci si possa presentare, se non del tutto uniti, almeno molto più prossimi a superare le divisioni del secondo millennio”.

Dai popoli agli uomini, un legame di coerenza e di fervore apostolico nel messaggio del Papa, paladino dei diritti umani. Senza sosta, con toni ora accorati ora decisi, specialmente in alcune delle sue 14 Encicliche, come la Sollicitudo rei socialis ed Evangelium Vitae, ma anche in innumerevoli altre occasioni, ha gridato che va tutelata la giustizia, promosso un retaggio sociale imperniato sulla solidarietà, difesa la dignità dell'uomo e, soprattutto, il suo diritto alla vita. Un valore primario che impone alla Chiesa di opporsi decisamente all'aborto, all'eutanasia, alla pena di morte, alla clonazione, alla manipolazione genetica dell’embrione: insomma, a tutte le espressioni pratiche di quello che una volta definì un “concetto egoistico di libertà”:
“La vita umana è sacra, solo Dio ne è il Signore. Ogni breccia aperta sul fronte del pieno rispetto alla vita costituisce una mina posta alle fondamenta dell'umana convivenza, della sana democrazia e della vera pace”.

Con fervore il Papa si dedicò, ad esempio con l’Enciclica Fides et Ratio, a tutelare la società da un relativismo che uccide la speranza d’eterno. Ma s’impegnò anche a proteggere quelle presenze specifiche e insostituibili che costituiscono la linfa vitale del nucleo familiare: innanzitutto la gioventù, a partire dai più piccoli, i bambini, ai quali, nel 1994, per la prima volta nella storia della Chiesa un Pontefice si rivolge con un documento ufficiale, una Lettera, scritta con stile semplice e immediato. Ma anche ai più grandi, ai ragazzi e alle ragazze di tutto il mondo, Giovanni Paolo II si è rivolto senza sosta, in particolare durante le Giornate mondiali della gioventù, iniziate nel 1985. Storica, tra le tante, resta quella giubilare dell’agosto 2000, a Roma, durante la quale invitò i giovani a “volare ad alta quota”:

(canto “Emmanuel”)

“E’ Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare”.
In 26 anni di pontificato, Giovanni Paolo II non ha mai mancato di concludere ogni suo discorso con un’invocazione alla Vergine Maria. Vogliamo suggellare questo suo ricordo ricordando la sua profondissima devozione per la Madre di Cristo, culminata con una riforma del Rosario, ampliato dall’inserimento di 5 misteri “luminosi”, e con l’istituzione di un Anno speciale ad esso dedicato. Resta, tra le immagini “mariane” del Pontificato, quella del Papa pellegrino, che nel 2004 torna a Lourdes dopo 21 anni, si inginocchia con estrema fatica davanti alla Grotta, prega con i nuovi misteri luminosi e in quella scia di luce si congeda dalla Vergine assicurandole, nella fiacchezza della malattia, il suo sempre giovane “Totus tuus”.

(canto “Ave Maria di Lourdes”)
L’ultimo tratto di questa straordinaria parabola vuole documentare la poliedricità di un Pontefice che non ha mai trascurato di praticare le vie più diverse, e congeniali al tratto artistico della sua indole, per dare testimonianza della speranza che era in lui. Di tanto in tanto, i suoi pensieri – al di fuori degli schemi protocollari - sono arrivati al grande pubblico nella forma di un fenomeno editoriale, come il libro scaturito dalla lunga intervista concessa a Vittorio Messori “Varcare le soglie della speranza”, tradotto in 32 lingue e venduto in oltre 20 milioni di copie. Ma ricordiamo anche “Dono e Mistero”, una meditazione sui 50 anni di sacerdozio del ’96, la raccolta di poesie “Trittico Romano” del 2003, “Alzatevi, andiamo”, sulla sua esperienza come vescovo, pubblicato nel 2004. E l’ultima opera, “Memoria e identità”, uscita il 23 febbraio di quest’anno: un excursus sulla sua esperienza nel 20.mo secolo, tra la lotta contro il nazismo e il comunismo e quella a favore della vita umana, e un ritorno al dramma dell’attentato dell’81.

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Ma proprio il mese di febbraio, la corsa terrena di Giovanni Paolo II imbocca l’ultimo, sofferto tratto. Il primo febbraio, il Pontefice inizia il suo calvario fisico che lo costringe a due ricoveri ravvicinati. Nel secondo, soprattutto, il Papa perde progressivamente l’uso della parola. La sua ultima frase, pubblica, la pronuncia il 13 marzo all’Angelus. E’ un semplice saluto, destinato a restare scolpito nella memoria:

“Cari fratelli e sorelle, grazie per la vostra visita. A tutti auguro una buona domenica”.

Dopo restano solo le brevi apparizioni alla finestra. Alle 11,15 di mercoledì 23 marzo, Giovanni Paolo II benedice per l’ultima volta la folla in Piazza San Pietro. Nel colonnato sono presenti molti ragazzi, che lo invocano a gran voce. Il Pontefice cerca di sconfiggere la sua afonia, non vi riesce, ma la gratitudine e la commozione di chi assiste compensa l’ultimo sforzo di un Papa che ha ormai speso tutto della sua energia di pastore universale, portando il suo ministero, attraverso il passo incerto della vecchia e la consumazione fisica, a risplendere sempre più dell’essenzialità delle cose dello spirito.

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E ancora molto si potrebbe parlare di Papa Wojtyla, e nei campi più diversi. Ma molte, inevitabilmente, sono le lacune in quello che vuole essere nient’altro che un commosso omaggio all'eredità di un Papa destinato a rimanere un punto fermo nell'oceano instabile della memoria contemporanea. Il ricordo di Karol Wojtyla, servo dei servi di Dio, invita l'uomo a trovare il coraggio di interrogarsi, a superare se stesso con la preghiera e la fede. "Non abbiate paura": questa è l'essenza del messaggio che il Pontefice scomparso lascia a tutta l'umanità. Ovunque la conducano i percorsi di un imperscrutabile futuro, l'invito di Giovanni Paolo II è a proseguire la ricerca di Gesù Cristo, Redentore dell'uomo, "unico orientamento dello spirito" e "unico indirizzo dell'intelletto, della volontà, del cuore".
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