Nuovo appuntamento della nostra rubrica settimanale, L'estate oasi dello spirito,
dedicata agli insegnamenti del Papa in questo periodo estivo che impone ritmi meno
pressanti e che lo stesso Giovanni Paolo II ha invitato a dedicare alla riflessione. Rivolgendo
uno sguardo all’attuale panorama internazionale dominato dall’aggravarsi della tensione
in Iraq, dalle continue minacce terroristiche all’Occidente, dalla crisi mediorientale,
dai molteplici conflitti civili che insanguinano numerose aree del Pianeta, pensiamo
al richiamo, con forza, alla giustizia ed al perdono quali pilastri della vera pace. Ma
come pensare ad un’attuazione nel concreto delle parole di Giovanni Paolo II? Dorotea
Gambardella ha scelto due interlocutori. Il primo è Lucio Caracciolo, direttore
della rivista italiana di geopolitica, Limes: R. – Nella realtà, purtroppo, la
pace molto spesso risulta contraddittoria con la giustizia, o quantomeno con la giustizia
così come viene percepita da almeno una delle parti in causa. Il problema della giustizia
è che non si sa bene chi debba stabilirla, perché se si chiede alle parti in conflitto
quale sia secondo loro la giustizia, evidentemente si otterrebbero risposte contraddittorie.
Credo molto di più, invece, nella possibilità concreta del perdono, anche se applicare
una categoria spirituale come questa alla realtà è ovviamente un’operazione non semplice.
Come perdono, intendo la capacità di trasmettere le proprie visioni agli altri cercando
di capire le ragioni altrui e quindi trovare un compromesso che possa portare dalla
guerra alla pace.
D. – Ecco, proprio soffermandoci sul perdono: perché potrebbe
essere utile ai fini sociali, perdonare?
R. – Perdonare è la base della convivenza.
Senza capacità di perdono, a meno di non concepire la possibilità di essere assolutamente
perfetti, il che non è di questo mondo, senza concepire il perdono non è possibile
vivere insieme. Dovremmo vivere in una sorta di giungla in cui ciascuno odia l’altro,
sia a livello individuale, sia a livello sociale. Quindi penso che questa categoria,
intesa in senso ampio, sia una delle ragioni di fondamento della vita sociale. Il
secondo, per approfondire il significato profondo del perdono, è mons. Ignazio Sanna,
teologo e pro-rettore della Pontificia Università Lateranense:
R. – Il
Papa già dalla prima enciclica “Redemptor Hominis” ha insistito tantissimo sul rispetto
della persona, perché in ogni persona c’è l’immagine di Dio e come tale si è proposto
come una specie di sentinella di umanità. A suo tempo, Kant aveva scritto che tutto
ciò che ha un prezzo può avere un equivalente; ciò che non ha un prezzo, ma ha una
dignità, non ha un equivalente. Ecco, il Papa ha ricordato sempre che l’uomo è l’unica
creatura che Dio ha voluto per se stesso, quindi ha una dignità unica. A partire da
questa verità, allora, è bene che tutti difendano, rispettino questa unicità e questa
dignità della persona umana. Ecco, se si tiene conto di questo, allora si arriva a
capire il senso del perdono come una forma di rispetto nei confronti della dignità
della persona e direi anche che il perdono va visto come una forma di gratuità. Penso
che quello che manca nella società odierna è proprio il senso della gratuità, perché
si pensa con la logica dei costi e dei ricavi. Anche quando uno riceve un regalo,
la prima cosa che fa, pensa a come restituire questo regalo perché non vuole essere
‘donato’. Ora, nella prospettiva della fede, tutto è grazia, tutto è dono e il perdono
è la forma più alta della gratuità!