COLOMBO - No alle conversioni forzate o ottenute in
modo fraudolento, ma anche ad una legge ad hoc che servirebbe solo a dividere ulteriormente
il paese. In una dichiarazione diffusa la settimana scorsa, i vescovi dello Sri Lanka
ribadiscono la loro netta contrarietà ad un progetto di legge anti-conversioni voluta
da alcuni ambienti nazionalisti e buddisti locali che accusano i cristiani di compiere
“conversioni non etiche”. Secondo i presuli, un provvedimento legislativo che vieti
formalmente questa sia pur discutibile pratica seguita da alcuni predicatori protestanti
servirebbe solo ad esacerbare le tensioni religiose in Sri Lanka. Essa sarebbe infatti
di difficile applicazione e potrebbe diventare “uno strumento di abuso, vessazione
e intimidazione contro le religioni minoritarie”. Quello che serve, invece, è trovare
un sistema equo che possa “smorzare le tensioni e promuovere un clima di armonia religiosa”.
In questo senso i vescovi suggeriscono piuttosto l’istituzione di una commissione
super partes che accerti la scorrettezza di determinati comportamenti secondo parametri
obiettivi. I vescovi negano quindi fermamente che missionari cattolici in Sri Lanka
abbiano mai convertito con la forza buddisti: “Non forziamo nessuno ad entrare nella
Chiesa, ma difendiamo il diritto di ogni individuo a rimanere fedele alla propria
religione o di aderire ad un’altra”. Concetto ribadito dall’arcivescovo di Colombo,
Mons. Oswald Gomis, dopo l’attacco incendiario compiuto il 15 gennaio contro una chiesa
cattolica in una cittadina a 25 chilometri dalla capitale, l’ultimo di una serie perpetrati
in questi mesi contro chiese cristiane in Sri Lanka. Altri gruppi forse “praticano
questo tipo di conversioni, ma certo non la comunità cattolica”, ha dichiarato il
presule sul luogo dell’attacco. (Ucan: 16 gen. –ZENGARINI)