MADRID. - La crisi degli ordini religiosi nasce dalla mancanza di una autentica vita
interiore, dal venir meno della convinzione, dall’ “imborghesimento” e dalla bassa
natalità . E' l'indicazione emergente da un buon numero delle risposte ad una inchiesta
promossa dal periodico spagnolo “Fe y Razon” tra Superiori e Superiore generali e
provinciali. Secondo suor Amelia Ocon, Superiora generale della Compagnia del Salvatore,
la causa della crisi “potremo cercarla nello stile di vita che vari Ordini e Congregazioni
hanno adottato negli anni del post-Concilio”. Invece Matilde Gil, Superiora delle
Hermanitas de la Anunciacion, pensa che “la Chiesa e la vita religiosa non si sono
rinnovate come chiesto dal Concilio Vaticano II, dopo quasi 40 anni dalla sua chiusura”
e occorre “recuperare il tempo perduto” ed essere sempre di più “allegri, semplici,
aperti, profeti di speranza in un mondo triste e disperato”. Molte comunque e di
segno vario, le risposte alla domanda: perché c’è stata la crisi e come risolverla?
Per Antoni Pou, OSB, vicemaestro dei novizi al monastero di Montserrat, il problema
non è la quantità ma la “qualità” e dunque non bisogna preoccuparsi dei numeri ma
piuttosto di mantenere la vita religiosa “vicina” alla volontà di Dio. La teresiana
Ninfa Watt, direttrice della rivista mensile “Vida Nueva”, sottolinea che il compito
dei cristiani è la fedeltà a Cristo e dunque “se impegneremo le nostre energie a lavorare
in modo costruttivo per il Regno, la crisi porterà frutti positivi”. Padre Alberto
Maria, Superiore generale della Fraternità Monastica della Pace, è del parere che
i religiosi siano diventati “light” e il loro impegno a volte “poco o niente” si differenzia
dai laici, Dunque “se la vita religiosa riassume la sua identità, senza cedimenti
al tempo presente, tutto andrà nella direzione del progetto di vita che Dio ha offerto
agli uomini con Cristo”. (Vid 19 gen.)