Le grandi città africane rischiano il collasso ed i loro abitanti sono sempre più
poveri. L’allarme, già lanciato dall’Onu, viene ripreso da un vertice in corso a Yaoundé,
in Camerun.
All’incontro, iniziato ieri, partecipano 1.300 esperti, chiamati
a discutere dei mali provocati nel Continente dall’incontrollata espansione urbanistica.
Andrea
Sarubbi ne ha parlato con padre Giuseppe Caramazza, direttore del centro comboniano
“New People” a Nairobi: ********** R. – Il problema della grande città in Africa
è grave in due sensi. Da una parte, perché queste città stanno diventando delle megalopoli,
senza strutture di servizio per gli abitanti: strade, luce, acqua, fognature ecc..
Ed è grave soprattutto perché chi viene in città lascia le campagne. Si tratta soprattutto
di persone preparate, che hanno avuto una formazione di scuola superiore o anche universitaria
e che non vogliono più lavorare nelle campagne. E, dunque, viene tolta manodopera
importante anche per il rinnovamento tecnologico dell’agricoltura e si abbassa la
quantità di cibo prodotto nei Paesi africani. D. – Secondo il rapporto di Habitat,
agenzia dell’Onu, questa urbanizzazione in Africa sta allargando la fascia di povertà…
R.
– Sì, si allarga la fascia di povertà, perché mancano prima di tutto i posti di lavoro
nelle città. Le industrie non progrediscono, anzi, in molti casi regrediscono. Inoltre,
queste persone non vengono aiutate e lasciano i loro Paesi di origine senza avere
di fronte un cespite di guadagni che permetta loro di vivere.
D. – La grande
emergenza – prosegue questo rapporto dell’Onu – sono le baraccopoli. Il numero di
persone che vi vive rischia di raddoppiare nei prossimi 30 anni…
R. – Questo
è molto vero. Qui, a Nairobi, dove vivo, vicino a me c’è la più grande baraccopoli
d’Africa. Si parla di quasi un milione di persone, di cui solo una minima parte ha
un lavoro fisso. La grande maggioranza vive in baracche che sono fatte, nei casi migliori,
con delle lamiere di metallo o addirittura di cartone o plastica. Vivono senza servizi
normali, come l’acqua, l’elettricità; senza la sicurezza. Nelle baraccopoli keniane
c’è una grande violenza, soprattutto di notte: violenza sessuale, omicidi, rapine.
Una persona, dunque, vive un’esistenza veramente al margine, non soltanto economico,
ma anche a livello di diritti umani e di aspettative della vita.
D. – Lei crede
che per l’Africa il ritorno alle campagne possa rappresentare una via di sviluppo?
R.
– Io credo che il ritorno alle campagne sia la via obbligata se si vuole uno sviluppo
normale dei Paesi africani. Il ritorno alle campagne però è possibile solo se il governo
del tale Paese dà delle prospettive di lavoro e soprattutto di commercializzazione
dei prodotti. Molte volte qui in Africa si vedono persone produrre bene, lavorare
molto duramente e poi non saper raccogliere i frutti del loro lavoro. Occorre, quindi,
cambiare questo tipo di struttura, perché sappia fare un buon uso dell’agricoltura
e farne un motore di sviluppo. L’Africa avrebbe un grande futuro e potrebbe competere
tranquillamente con i Paesi occidentali.