Cristo nel cinema è stato il tema affrontato da un Convegno di Studi che si è svolto
ieri, a Roma, nell’ambito della settima edizione del Festival del cinema spirituale
Tertio Millennio.
Un segnale inequivocabile di coscienza del fatto che il cinema
è diventato un veicolo primario e irrinunciabile per fare cultura ed evangelizzare. Il
servizio di Luca Pellegrini.
Dai fratelli Lumière a Mel Gibson: sono più
di cento anni di storia del cinema, ed in questa storia primeggia la figura di Cristo.
Da Hollywood a Pasolini, da Zeffirelli al musical di LLoyd Webber e Tim Rice, ai tentativi
di Scorsese e D’Alatri: culture e produzioni diverse hanno affrontato la figura di
Cristo con quella tensione, e spesso libertà, tipiche dell’arte cinematografica. La
figura di Gesù, quella che il cinema ha spesso chiamato “la più grande storia mai
raccontata”, attraversa dunque l’intera storia del cinema. Ed è stato questo il tema
del Convegno che si è svolto ieri all’Università Urbaniana nell’ambito della settima
edizione del Festival del cinema spirituale Tertio Millennio. Tutti i film su Gesù
fanno teologia. Chiediamo allora al cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio
Consiglio della Cultura, che insieme a quello delle Comunicazioni Sociali patrocina
il Festival, se è davvero possibile oggi, nell’era della comunicazione globale, parlare
di cristologia cinematografica.
“In questo senso, ovvio che parlare di Cristologia
vuol dire avere una certa visione di Cristo. Nessun uomo può fuggire dall’avere una
certa visione di Dio, che sia l’uomo della strada, un grande filosofo, un cosiddetto
teologo nel senso specifico della parola o una persona che faccia cinema. Se fa cinema,
trasmette attraverso il film che presenta una sua immagine, una sua idea che ha di
Cristo, una convinzione di fede, o come talvolta è successo nella storia del cinema
se non la ha”.
Insomma, la Chiesa ha bisogno del cinema, ma il cinema ha bisogno
della Chiesa...
“Io direi veramente di sì, perché la tecnica del cinema, con
le sue immense possibilità può essere di aiuto formidabile, straordinario, per trasmettere
una buona notizia. Ma il cinema ha bisogno della Chiesa, perché se fa a meno della
Chiesa perde l’essenziale e non trasmette più niente. Una storia che non ha niente
a che vedere con la vera storia può giustamente offendere quelli che sono fedeli a
questa storia. E cosa ne risulta? Nulla. Quindi, c’è una complementarietà tra la Chiesa
che dà il messaggio dellabuona novella e l’arte cinematografica, capace, se lo vuole,
di trasmetterla in modo stupendo”.
Riferimento all’attualità e alle dinamiche
che reggono l’industria cinematografica, come spiega Andrea Piersanti, Presidente
dell’Ente dello Spettacolo e Direttore della Rivista del Cinematografo, che individua
la meta del Festival. “Il grande tema, il tema eterno, il tema che ha caratterizzato
tutti i nostri incontri è quello del dialogo. Esiste una contrapposizione culturale
fra il mondo del cinema e il mondo della Chiesa. Gran parte del mondo del cinema,
soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Italia e in Europa, vive immerso in una
cultura di tipo laico. Non parlerei di ateismo, ma sicuramente c’è un atteggiamento
poco sensibile ai temi della spiritualità. Da parte della Chiesa c’è un dovere etico
che è quello di trovare e cercare con determinazione, con convinzione, tutti i possibili
spazi di dialogo. Non tanto, perché sia la Chiesa ad averne bisogno, come ogni tanto
si dice, secondo me sbagliando, ma perché è il cinema ad averne bisogno. Ne ha bisogno
non soltanto in senso religioso stretto, ma ne ha bisogno anche in termini più squisitamente
professionali e culturali. Quando i film parlano della vera storia dell’uomo, quando
descrivono l’uomo in tutte le sue sfaccettature, compreso l’aspetto religioso e spirituale,
allora quei film normalmente hanno successi planetari. Quando non fanno questo, normalmente
i film non hanno un successo planetario. Per cui dovrebbe essere interesse del cinema
cercare questi spazi di dialogo”.