Intervista con padre Isaia Birollo, superiore generale dei missionari scalabriniani
Partecipa al Congresso mondiale sui Migranti e i Rifugiati, in corso in Vaticano,
padre Isaia Birollo, superiore generale dei missionari scalabriniani, congregazione
in prima linea nell’assistenza ai migranti. Giovanni Peduto lo ha intervistato.
R.
– La Chiesa dev’essere sempre vicina a tutto quello che succede nella storia; è lì
proprio per dare quella testimonianza del vivere il Vangelo con queste persone, quindi
accogliere l’emigrante, il rifugiato, la persona che si trova in questa situazione
particolare, accoglierlo non solo per aiutarlo, per assisterlo, per dargli una mano,
proprio per tirarlo fuori dalla sua situazione di emergenza, ma soprattutto perché
questo emigrante, questo rifugiato rappresenta parte della grande famiglia della Chiesa
universale, dove tutti, tutti hanno il diritto di partecipare come cittadini. Non
ci sono stranieri, perché la Chiesa è formata da tutti i popoli, non c’è una cultura
superiore all’altra, ma tutti i popoli sono chiamati a sentirsi dentro alla Chiesa,
sono invitati, sono accolti.
D. – Voi Scalabriniani siete in prima linea in
quest’opera di assistenza ai migranti: qualche episodio che ha caratterizzato la sua
vita di missionario ...
R. – Mi trovavo nel Sud degli Stati Uniti e lavoravo
con una comunità di immigrati dal Guatemala. Mi è arrivata una telefonata dalla California,
quindi eravamo lontani 2-3 mila chilometri dalla California; arriva una telefonata
da un orfanotrofio, da una casa dove ricevevano i ragazzi, e dicevano che lì era arrivato
un ragazzo del Guatemala che aveva passato il confine dal Guatemala, aveva attraversato
tutto il Messico, poi era entrato negli Stati Uniti alla ricerca di suo padre. E di
suo padre aveva solo il nome della città in cui mi trovavo io, lì, in Florida. Abbiamo
ritrovato quell’uomo. Una bella storia, di come con la presenza della Chiesa tra gli
immigranti nella California, al servizio dei ragazzi, e in Florida, a molti chilometri
di distanza, abbiano permesso a questa famiglia di indios del Guatemala di ricongiungersi.