L'immagine del Papa sofferente, il commento del nostro Direttore dei Programmi
Un Papa anziano e sofferente, che però non risparmia alle debolezze che lo fiaccano
gli impegni della propria missione di Pastore universale. E’ questa immagine, forse
più che in altre occasioni, ad aver sollecitato nei giorni scorsi l’attenzione dei
media, i loro commenti, la loro preoccupazione.
Ascoltiamo in proposito, il
pensiero del nostro direttore dei Programmi, padre Federico Lombardi, nell’intervista
rilasciata a Giovanni Peduto: D. - Milioni di telespettatori hanno visto il Papa
affaticato, in questi quattro giorni, sobbarcarsi di quest’ennesimo viaggio. La gente
della strada si chiedeva il perché di questo viaggio in un piccolo Paese dell’Europa
centro-orientale. Si fosse trattato di un viaggio storico tipo Mosca, la Russia, Pechino,
la Cina… Ma questo viaggio in un Paese dove, in fondo, lui è già stato due volte,
per fare una beatificazione che poteva essere fatta anche in Piazza San Pietro… Padre
Lombardi, lei ha seguito questo viaggio in questi quattro giorni, quale motivazione
di fondo il Papa ha voluto dare a questo viaggio? R. – Per comprenderla, bisogna
soffermarsi proprio sull’impostazione pastorale di questo Pontificato: sul desiderio
del Papa di rispondere agli inviti che gli vengono dalla Chiesa e dall’umanità in
tutte le parti del mondo, senza avere preferenze per chi può apparire più importante
o meno importante. C’è una completezza anche nelle risposte del Papa. Il Papa era
stato in Slovacchia un’altra volta, però aveva ricevuto un nuovo un invito per fermarsi
in altre diocesi che non aveva visitato. E bisogna pensare che la Slovacchia è un
Paese, sì piccolo, ma particolarmente vicino al cuore del Papa. E’ un Paese che gli
è vicino culturalmente e linguisticamente. Credo non ci sia una lingua più simile
al polacco dello slovacco. Ed è un Paese che ha sofferto molto: la Chiesa è stata
perseguitata per decenni, in Slovacchia. La diocesi di Cracovia confina con questo
Paese ed il Papa è stato, da vescovo, vicinissimo alla sofferenza di questa Chiesa,
l’ha sostenuta moralmente ed anche concretamente. Quindi, c’è una grande solidarietà.
Io avevo avuto già l’impressione nello scorso viaggio in Slovacchia, già molto bello,
che il Papa si sentisse a casa in questo Paese forse più che in ogni altra nazione,
tranne la Polonia. C’erano dei motivi importanti per ritornare in Slovacchia: il fatto
di sostenere una Chiesa che si trova ora nel passaggio tra il tempo della persecuzione
e le possibilità di ricostruzione, e le nuove sfide, date dalla condizione attuale
di libertà, che però non è affatto priva di nuovi problemi. Incoraggiare la Chiesa
in questo passaggio, non solo per la Slovacchia, ma anche per tutti gli altri Paesi
che si trovano in situazioni analoghe nel centro-est dell’Europa, è un compito che
il Papa ha molto presente. E poi il ricordo, la memoria viva dei martiri, come messaggio
importante, non solo in Slovacchia ma in tutta la Chiesa, è un tema fondamentale di
questo Pontificato. Lo abbiamo visto in occasione del Giubileo. La beatificazione
di questi due martiri si inserisce in questo filone. E ciò senza perdere la memoria
di quello che il secolo scorso ha rappresentato come persecuzione della Chiesa, ma
anche come bellezza di testimonianza da parte di essa: proprio perché questa testimonianza
rimanga un seme vivo e fecondo di fronte alle sfide del futuro. D. – Vogliamo offrire
ai nostri ascoltatori una sintesi del messaggio, della parola che il Papa ha rivolto
non solo al popolo slovacco, ai popoli dell’Europa orientale, ma all’Europa intera?
R.
– Io credo che questo viaggio si sia caratterizzato per un messaggio che è stato non
tanto di parole quanto di esempio. Lo abbiamo visto, lo abbiamo sentito, i discorsi
sono stati più brevi ed il Papa ne ha pronunciato delle parti, non li ha pronunciati
completamente. Quindi, non è tanto il contenuto articolato dei discorsi, credo, a
rappresentare il messaggio di questo viaggio, quanto la presenza stessa del Papa,
la sua testimonianza di impegno fino alla fine, con tutte le sue forze, per il servizio
della Chiesa. Questo, gli slovacchi lo hanno compreso benissimo e l’importante era
che lo capissero loro, perché il Papa andava per loro. Gli slovacchi sono anche un
popolo abituato a soffrire per i problemi dei decenni passati, ma anche un poco per
la loro storia. Mi dicevano delle persone, che conoscono bene la sensibilità dell’animo
slovacco, che i valori del sacrificio, dell’impegno, della fatica nel compiere il
proprio dovere, del lavoro, del saper soffrire per i propri ideali, sono qualcosa
che il loro popolo comprende bene e profondamente. Certamente, gli slovacchi hanno
visto nella persona del Papa una grande testimonianza di tutto ciò. E’ il senso della
fedeltà, quindi: il tema del viaggio era “fedeltà a Dio, fedeltà alla Chiesa”. Ecco:
fedeltà a Dio, fedeltà alla Chiesa con tutte le proprie forze, fino in fondo, è stato
il messaggio dato dal Papa con la sua presenza, con il suo comportamento, ancor più
che con le sue parole.
D. – Più il Papa è debilitato fisicamente, ed anche
nella voce – lo abbiamo visto – e più le folle si stringono attorno a lui. Ma cosa
cerca la gente in questo Papa, di cosa ha bisogno?
R. – Ha bisogno di conforto
nella fede. Il compito del ministero di Pietro è proprio quello di confermare i suoi
fratelli nella fede. La gente cerca questo. Se vede il successore di Pietro che viene
in mezzo a loro, se lo invita, se lo chiama, è per sentire la roccia su cui appoggiare
la propria testimonianza cristiana. Forse, paradossalmente, proprio man mano che le
forze fisiche umane diminuiscono risalta ancora di più la solidità della fede come
centro, come motivo, come essenza del servizio del Santo Padre. Questo la gente, soprattutto
la gente semplice, lo capisce benissimo.