2003-09-14 16:59:22

In Algeria un'eloquente esperienza di fraternità islamo-cristiana


Dialogo islamo-cristiano, un dialogo possibile?
Sono in molti a porsi questo interrogativo di fronte all’immagine a senso unico data dai media: un islam fondamentalista e violento. Ma non è questo il suo vero volto.

Proprio dall’Algeria, Paese musulmano, percorso per anni da un’ondata di violenza che ha colpito a morte, anche i cristiani, come i 7 monaci trappisti, il vescovo di Orano, Claverie, giunge la testimonianza di un dialogo spirituale profondo proprio tra cristiani e musulmani.

Viene alla luce della cronaca, in occasione della dipartita, a causa di una lunga malattia, di un focolarino italiano, sacerdote, Ulisse Caglioni, che ha vissuto per oltre 30 anni proprio nei pressi di Orano, a Tlemcen.

Sono ora molte le manifestazioni in programma in Algeria che vedranno riuniti cristiani e musulmani attorno ai vescovi di Algeri e Orano per ricordare la sua figura. Il servizio di Carla Cotignoli:

“E’ stata la fedeltà di Ulisse all’amore evangelico del prossimo - ha scritto di lui l’arcivescovo di Algeri, Henri Teissier - che ha permesso di scoprire e di vivere profonde amicizie islamo-cristiane, ponendo su questo cammino un segno di Dio”. Ed ora la voce di un musulmano:

“IL EST VENU, LUI, VERS NOUS ...
Sei venuto verso di noi sciogliendo un mare di ghiaccio e distruggendo i muri che ci separavano per costruire un ponte indistruttibile”.
Queste sono parole di Sidi Ahmed Benchouk, musulmano, già prefetto di Bedjaya, nel nord dell’Algeria, che aveva voluto dare la sua testimonianza al momento dell’ultimo saluto a Castel Gandolfo. Ulisse Caglioni era giunto a Tlemcen, nella regione occidentale dell’Algeria, nei pressi di Orano, nel 1966, a soli 23 anni. Insieme ad altri due compagni aveva dato vita alla prima comunità focolarina in un Paese arabo. Avevano trasformato un antico monastero benedettino messo a disposizione del Movimento dei Focolari “in un luogo di incontro, di dialogo, di spiritualità, in un’oasi di pace”, come lo definisce ancora Sidi Ahmed Benchouk.

“Abbiamo imparato ad ascoltare, senza pregiudizi, senza giudizio alcuno. Ulisse ci ha insegnato a fare tutto per amore, ci ha insegnato ad essere l’amore”. Così scrivono gli amici musulmani del Movimento dei Focolari dell’Algeria a Chiara Lubich. E aggiungono: “Ulisse ha sempre testimoniato la sua fede. Era per noi il modello del credente. L’unità che costruiva andava oltre le differenze a tal punto che tanti dicevano: ‘Ulisse, ecco il vero musulmano’, non perché non conoscessero la sua fede e la sua vocazione, ma perché la sua vita di credente aveva fatto di lui un uomo di Dio”.
Come ha detto mons. Teissier, il segreto di Ulisse è stata la sua disponibilità, giorno dopo giorno, verso chiunque incontrava: il panettiere, i vicini di casa …

Ma lasciamo la parola a Giorgio Antoniazzi, ora responsabile del Movimento in Algeria:

R. – Il suo è sempre stato un amore molto concreto, non era un uomo di molte parole, era meccanico, quindi diverse persone venivano da lui oppure chiedevano il suo aiuto, il suo consiglio per riparare le macchine; ha fatto diverse volte lavori di muratura, sapeva lavorare la terra ... Le persone in questo modo si sono sentite amate e quindi si sono interessate alla ragione profonda per la quale Ulisse viveva in questo modo. E lui ha raccontato qual era la sua fede, qual era il suo ideale: contribuire a costruire un mondo unito ... Ha parlato loro della spiritualità che cercava di vivere. E queste cose hanno interessato alcuni algerini musulmani che hanno detto: “Ma anche noi possiamo per una certa parte condividerle!”. Da lì il dialogo della vita è passato ad un dialogo spirituale nel quale insieme – quindi cristiani e musulmani – fanno un’esperienza di Dio, nel rispetto reciproco delle proprie differenze. E’ un dialogo, poi, che non rimane solo a livello spirituale, perché poi si fa servizio concreto: come per esempio un’associazione per non vedenti, e tante altre realizzazioni…

D. – Che cos’è in modo particolare che questi amici musulmani condividono? Che cosa hanno ricevuto proprio da questa spiritualità che, di per sé, è una spiritualità chiaramente cristiana, quindi radicata nel Vangelo?

R. – C’è un imam, qui vicino, che dice che questo ideale di unità è quello che loro chiamano ‘tarika’, cioè una strada per andare a Dio che illumina anche la loro fede. Sono proprio le sue parole. E possiamo dire, dall’esperienza ormai di diversi anni dei nostri amici musulmani, che loro hanno scoperto l’amore di Dio e lo condividono pienamente con noi. Questa scoperta li spinge a rispondere a questo amore amando il prossimo. Poi fanno anche loro, come noi, l’esperienza dell’amore reciproco, quindi della presenza di Dio, dove le persone si vogliono bene. Logicamente, condividono anche pienamente il nostro desiderio di fare la volontà di Dio. Tutti questi valori si ritrovano anche nel Corano. Si sente che questa esperienza ci unisce: si va avanti insieme.
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La condivisione della spiritualità dell'unità, in vario modo, da parte di fedeli di altre religioni,  è  un "fenomeno" che si verifica, non solo tra cristiani e musulmani, ma anche ebrei, buddisti, indù, animisti ed altre religioni, nei Paesi delle diverse culture dove si è diffuso il Movimento dei Focolari, suscitando fra fedeli delle diverse religioni il comune impegno a costruire rapporti di fraternità e di pace.







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