In Algeria un'eloquente esperienza di fraternità islamo-cristiana
Dialogo islamo-cristiano, un dialogo possibile? Sono in molti a porsi questo interrogativo
di fronte all’immagine a senso unico data dai media: un islam fondamentalista e violento.
Ma non è questo il suo vero volto.
Proprio dall’Algeria, Paese musulmano, percorso
per anni da un’ondata di violenza che ha colpito a morte, anche i cristiani, come
i 7 monaci trappisti, il vescovo di Orano, Claverie, giunge la testimonianza di un
dialogo spirituale profondo proprio tra cristiani e musulmani.
Viene alla luce
della cronaca, in occasione della dipartita, a causa di una lunga malattia, di un
focolarino italiano, sacerdote, Ulisse Caglioni, che ha vissuto per oltre 30 anni
proprio nei pressi di Orano, a Tlemcen.
Sono ora molte le manifestazioni in
programma in Algeria che vedranno riuniti cristiani e musulmani attorno ai vescovi
di Algeri e Orano per ricordare la sua figura. Il servizio di Carla Cotignoli:
“E’
stata la fedeltà di Ulisse all’amore evangelico del prossimo - ha scritto di lui l’arcivescovo
di Algeri, Henri Teissier - che ha permesso di scoprire e di vivere profonde amicizie
islamo-cristiane, ponendo su questo cammino un segno di Dio”. Ed ora la voce di un
musulmano:
“IL EST VENU, LUI, VERS NOUS ... Sei venuto verso di noi sciogliendo
un mare di ghiaccio e distruggendo i muri che ci separavano per costruire un ponte
indistruttibile”. Queste sono parole di Sidi Ahmed Benchouk, musulmano, già prefetto
di Bedjaya, nel nord dell’Algeria, che aveva voluto dare la sua testimonianza al momento
dell’ultimo saluto a Castel Gandolfo. Ulisse Caglioni era giunto a Tlemcen, nella
regione occidentale dell’Algeria, nei pressi di Orano, nel 1966, a soli 23 anni.
Insieme ad altri due compagni aveva dato vita alla prima comunità focolarina in un
Paese arabo. Avevano trasformato un antico monastero benedettino messo a disposizione
del Movimento dei Focolari “in un luogo di incontro, di dialogo, di spiritualità,
in un’oasi di pace”, come lo definisce ancora Sidi Ahmed Benchouk.
“Abbiamo
imparato ad ascoltare, senza pregiudizi, senza giudizio alcuno. Ulisse ci ha insegnato
a fare tutto per amore, ci ha insegnato ad essere l’amore”. Così scrivono gli amici
musulmani del Movimento dei Focolari dell’Algeria a Chiara Lubich. E aggiungono: “Ulisse
ha sempre testimoniato la sua fede. Era per noi il modello del credente. L’unità che
costruiva andava oltre le differenze a tal punto che tanti dicevano: ‘Ulisse, ecco
il vero musulmano’, non perché non conoscessero la sua fede e la sua vocazione, ma
perché la sua vita di credente aveva fatto di lui un uomo di Dio”. Come ha detto
mons. Teissier, il segreto di Ulisse è stata la sua disponibilità, giorno dopo giorno,
verso chiunque incontrava: il panettiere, i vicini di casa …
Ma lasciamo la
parola a Giorgio Antoniazzi, ora responsabile del Movimento in Algeria:
R.
– Il suo è sempre stato un amore molto concreto, non era un uomo di molte parole,
era meccanico, quindi diverse persone venivano da lui oppure chiedevano il suo aiuto,
il suo consiglio per riparare le macchine; ha fatto diverse volte lavori di muratura,
sapeva lavorare la terra ... Le persone in questo modo si sono sentite amate e quindi
si sono interessate alla ragione profonda per la quale Ulisse viveva in questo modo.
E lui ha raccontato qual era la sua fede, qual era il suo ideale: contribuire a costruire
un mondo unito ... Ha parlato loro della spiritualità che cercava di vivere. E queste
cose hanno interessato alcuni algerini musulmani che hanno detto: “Ma anche noi possiamo
per una certa parte condividerle!”. Da lì il dialogo della vita è passato ad un dialogo
spirituale nel quale insieme – quindi cristiani e musulmani – fanno un’esperienza
di Dio, nel rispetto reciproco delle proprie differenze. E’ un dialogo, poi, che non
rimane solo a livello spirituale, perché poi si fa servizio concreto: come per esempio
un’associazione per non vedenti, e tante altre realizzazioni…
D. – Che cos’è
in modo particolare che questi amici musulmani condividono? Che cosa hanno ricevuto
proprio da questa spiritualità che, di per sé, è una spiritualità chiaramente cristiana,
quindi radicata nel Vangelo?
R. – C’è un imam, qui vicino, che dice che questo
ideale di unità è quello che loro chiamano ‘tarika’, cioè una strada per andare a
Dio che illumina anche la loro fede. Sono proprio le sue parole. E possiamo dire,
dall’esperienza ormai di diversi anni dei nostri amici musulmani, che loro hanno scoperto
l’amore di Dio e lo condividono pienamente con noi. Questa scoperta li spinge a rispondere
a questo amore amando il prossimo. Poi fanno anche loro, come noi, l’esperienza dell’amore
reciproco, quindi della presenza di Dio, dove le persone si vogliono bene. Logicamente,
condividono anche pienamente il nostro desiderio di fare la volontà di Dio. Tutti
questi valori si ritrovano anche nel Corano. Si sente che questa esperienza ci unisce:
si va avanti insieme. **********
La condivisione della spiritualità dell'unità,
in vario modo, da parte di fedeli di altre religioni, è un "fenomeno" che si verifica,
non solo tra cristiani e musulmani, ma anche ebrei, buddisti, indù, animisti ed altre
religioni, nei Paesi delle diverse culture dove si è diffuso il Movimento dei Focolari,
suscitando fra fedeli delle diverse religioni il comune impegno a costruire rapporti
di fraternità e di pace.