Il Papa sull’Europa: non è solo un luogo geografico
L’Europa non è solo un “luogo geografico”, ma un “concetto prevalentemente culturale
e storico”. Le parole del Papa, all’Angelus di ieri a Castel Gandolfo, hanno suscitato
una vasta eco nel dibattito quanto mai attuale sull’allargamento ad Est e l’approvazione
di una Carta costituzionale dell’Unione europea. Il Pontefice ha sottolineato la “forza
unificante del cristianesimo” nella vita millenaria dell’Europa esortando gli europei
a recuperare la vera identità del Vecchio Continente. L’appello di ieri del Santo
Padre fa seguito ad una lunga serie di interventi che il Pontefice ha dedicato, nelle
ultime domeniche, proprio al tema delle radici cristiane dell’Europa.
Per una riflessione sulle parole del Papa, Alessandro Gisotti ha intervistato lo storico
Giorgio Rumi, professore all'università Statale di Milano:
R. – Direi che il contributo maggiore che il Papa dà con questo suo insistito riferimento
alla storia dell’Europa e alla natura dell’Europa è un contributo di verità. C’è poco
da fare: è come dice il Papa. La storia dell’Europa è non solo segnata, ma addirittura
costruita dalla presenza cristiana. Non c’è Europa fuori da questo segno. La verità
non può essere misconosciuta!
D. – Accanto ai richiami forti, insistiti del Papa, quale altro strumento la Chiesa
può offrire per un’azione promotrice dei propri valori nella costruzione dell’Europa
finalmente riunificata?
R. – La Chiesa non è un partito; la Chiesa parla alle coscienze, parla ai cittadini
dell’Europa e ricorda questo specifico elemento costitutivo. L’identità non può essere
sottaciuta per sempre: alla fine riemerge, perché è nella realtà delle cose.
D. – La fede cristiana – ha detto più volte il Papa in queste ultime domeniche – ha
dato forma, ha plasmato i valori fondamentali dell’Europa. Valori che hanno ispirato
l’ideale democratico e i diritti umani. In che modo questo patrimonio culturale può
aiutare l’Europa a confrontarsi con un mondo sempre più globalizzato?
R. – In un mondo globalizzato è essenziale che ciascuno porti la propria identità:
il contributo maggiore dell’Europa è questo. L’Europa non è una per lingua, non è
una neanche dal punto di vista economico, non lo è dal punto di vista istituzionale.
Può esserlo dal punto di vista spirituale. Questo è un forte cemento unitario ed ‘unitivo’,
direi, che bilancia le fatali tendenze centrifughe che possono sempre esserci sul
piano degli interessi. Noi siamo europei ed abbiamo questa comune identità cristiana.
Non vedo quale altra possa essere, perché l’unità geografica o geopolitica è troppo
precaria, come si può riscontrare, di fronte alle svolte ed ai tornanti della storia.
D. – “L’Europa attraversa una crisi di valori – ha avvertito il Papa – ed è dunque
importante che recuperi la sua vera identità”. Come rispondere a questa sfida, mentre
avanza il processo di allargamento dell’Unione Europea?
R. – Il problema è proprio questo: non può essere solo l’Europa dei diplomatici, quella
della tecnocrazia e così via; c’è un’Europa anche delle coscienze, tanto più che in
nessun modo è coercitivo e obbligante. E’ come la fissazione di una specie di ‘mappa’,
o di una stella polare a cui si possa fare riferimento comune ...
D. – In autunno, si riunisce la Conferenza intergovernativa chiamata a dar vita alla
Costituzione europea. C’è ancora spazio per l’inserimento delle ‘radici cristiane’
tra i riferimenti della nuova Europa a venticinque?
R. – Penso proprio di sì; anzi, più cresce, più si allarga l’Europa più questo riferimento
comune è opportuno che ci sia e che sia anche forte. Oserei dire: è di diritto naturale.
Fa parte dell’esperienza storica che è visualizzabile; chiunque giri per l’Europa
vede questo elemento comune. Anche il turista più superficiale vede che il cuore dell’Europa
sono le cattedrali e gli infiniti segni religiosi che ci sono. Non si possono chiudere
gli occhi!
D. – Nel processo di redazione della Costituzione europea è emerso, secondo lei, almeno
nei vertici della politica, un pregiudizio culturale anti-cristiano, anti-cattolico?
R. – Più che un pregiudizio, direi il timore di urtare contro degli idoli di tipo
razionalistico che magari in alcuni luoghi d’Europa sono un dogma formale, penso al
caso francese. Alcuni valori che, invece, il Papa ha fatto propri: più volte il Papa
ha fatto riferimento alla libertà, all’eguaglianza e alla fraternità come fatti propri
dell’Europa cristiana. Non si capisce perché non accada in un certo senso il contrario,
cioè che l’Europa riconosca la veridicità di alcune radici culturali. Mi sembra che
vinca nei politici un certo opportunismo: non andare a cercare questioni per un certo
verso troppo impegnative. Si cerca una soluzione tecnica, asettica che però, secondo
me, non basta.