**********
R. – Il Mussa Dagh in realtà è uno dei pochi episodi, forse l’unico episodio ad esito
felice in quella storia tremenda che ha segnato l’inizio di un secolo di orrori, e
ha dato probabilmente anche l’idea all’autore dello sterminio degli ebrei che certi
crimini potevano essere compiuti impunemente. Che cos’è il Mussa Dagh? Il Mussa Dagh
è una montagna sulla costa, allora siriana, adesso turca, che era abitata da sette
villaggi di armeni, cristiani naturalmente. Quando giunse l’ordine da parte delle
autorità turche di raccogliere le proprie cose per essere deportati altrove, come
stava succedendo in quel momento alla maggior parte degli armeni dell’Anatolia e dell’Impero
comunque Ottomano – c’erano già i giovani turchi però, per essere massacrati sostanzialmente
– gli abitanti di questi sette villaggi decisero che non avrebbero voluto andarsene.
Salirono su questa montagna e per 53 giorni resistettero agli attacchi via via sempre
più pressanti e più pesanti dei turchi, con vecchie armi, con pochissimi fucili moderni,
e l’attacco dell’esercito turco, che si accorgeva che questi signori erano difficilmente
riconducibili “alla ragione” diventava sempre più duro. Cosa fecero? Presero delle
lenzuola, cucirono una grande croce rossa sopra queste lenzuola e la issarono sulla
cima della montagna nella speranza che qualche nave alleata passando la vedesse. Finalmente
dopo 53 giorni una nave francese la vide e avvertì la flotta. L’ammiraglio non aspettò
le istruzioni da Parigi, che ovviamente sarebbero arrivate chissà quando, e decise
di salvare oltre 4 mila armeni – uomini, donne e bambini – che furono imbarcati e
portati a Port Said. E così questa resistenza bellissima, in cui sconfissero varie
volte l’esercito turco e gli ausiliari, si risolse in maniera positiva.
D. – La storia sulla quale è costruito il libro dà però moltissimi spunti di riflessione sul genocidio e dà anche degli spunti di riflessione su quella che è la situazione attuale della regione …
R. – L’interesse era focalizzare intanto questo baratro di memoria, cioè questo genocidio non dimenticato, ma negato, che è una cosa diversa.
D. – Per cercare di localizzare forse meglio geograficamente quello di cui stiamo parlando, com’è la disposizione delle minoranze armene e curde nella regione? Quanti Stati sono coinvolti? Perché esiste uno Stato Armenia, ma è di recente costituzione ...
R. – Lo Stato armeno è nato subito dopo la Prima Guerra mondiale, “grazie” all’intervento dei bolscevichi. Per una questione geopolitica la Russia non voleva che la Turchia potesse espandersi troppo a ridosso dei suoi confini e l’esercito bolscevico arrivò e bloccò quello che era un secondo massacro nel massacro, compiuto questa volta dai soldati di Ataturk, e non più del triumvirato. In realtà, gli armeni adesso in Turchia ci sono e sono soprattutto ad Istanbul. Anche durante il genocidio furono “risparmiati”, nel senso che Istanbul era troppo visibile anche agli occhi delle potenze occidentali e delle potenze, come la Germania, che erano alleate della Turchia stessa. Il grande problema adesso per la Turchia non sono più gli armeni, sono i curdi, nell’est del Paese, e gravitano in quella zona che è a cavallo fra Iran, Iraq, parte della Siria e della Turchia, lì dove in realtà sarebbe già dovuta nascere, alla fine della Prima Guerra Mondiale - quando fu decisa quella che un autore di un libro molto bello ha definito “una pace per mettere fine a tutte le paci” - la nuova spartizione con Sykes Picot, delle zone di influenza in quell’area geografica. Loro avrebbero dovuto già avere uno Stato allora, uno Stato che gli fu negato, e che mi sembra venga negato loro anche adesso.
All the contents on this site are copyrighted ©. |