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Sommario del 28/01/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: vita consacrata sia profetica, vinca mondanità e relativismo

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Vincere la “logica della mondanità” e la “cultura del provvisorio”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’udienza ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Il Pontefice ha sottolineato che i consacrati devono mantenere la “freschezza e la novità della centralità di Gesù”. Il servizio di Alessandro Gisotti

“La fedeltà è messa alla prova”. Papa Francesco è entrato subito nel vivo sottolineando che le statistiche mostrano una “emorragia” che “indebolisce la vita consacrata e la vita stessa della Chiesa”.

Cultura del provvisorio e relativismo minacciando fedeltà al Vangelo
Questi abbandoni nella vita consacrata, riconosce, “ci preoccupano molto” e si chiede che cosa sia accaduto. Innanzitutto, risponde, ci sono fattori che “condizionano la fedeltà” in quello che è proprio un “cambio d’epoca”:

“Viviamo immersi nella cosiddetta cultura del frammento, del provvisorio, che può condurre a vivere 'à la carte' e ad essere schiavi delle mode. Questa cultura induce il bisogno di avere sempre delle 'porte laterali' aperte su altre possibilità, alimenta il consumismo e dimentica la bellezza della vita semplice e austera, provocando molte volte un grande vuoto esistenziale. Si è diffuso anche un forte relativismo pratico, secondo il quale tutto viene giudicato in funzione di una autorealizzazione molte volte estranea ai valori del Vangelo”.

Contagiare i giovani con la gioia del Vangelo, no alla seduzione del successo
“Viviamo – ha detto ancora – in società dove le regole economiche sostituiscono quelle morali, dettano leggi e impongono i propri sistemi di riferimento a scapito dei valori della vita”. Una società, ha ammonito, “dove la dittatura del denaro e del profitto propugna una visione dell’esistenza per cui chi non rende viene scartato”. In questa situazione, ha rimarcato, “è chiaro che uno deve prima lasciarsi evangelizzare per poi impegnarsi nell’evangelizzazione". Francesco ha quindi rivolto il pensiero al “mondo giovanile, un mondo complesso, allo stesso tempo ricco e sfidante”:

“Ci sono giovani meravigliosi e non sono pochi. Però anche tra i giovani ci sono molte vittime della logica della mondanità, che si può sintetizzare così: ricerca del successo a qualunque prezzo, del denaro facile e del piacere facile. Questa logica seduce anche molti giovani. Il nostro impegno non può essere altro che stare accanto a loro per contagiarli con la gioia del Vangelo e dell’appartenenza a Cristo. Questa cultura va evangelizzata se vogliamo che i giovani non soccombano”.

La vita consacrata mantenga la sua missione profetica
Il Papa ha così indicato un terzo fattore che proviene però “dall’interno della stessa vita consacrata, dove accanto a tanta santità” non mancano però “situazioni di contro-testimonianza che rendono difficile la fedeltà”. Tra queste, Francesco ha messo in guardia dalla “routine, la stanchezza, il peso della gestione delle strutture, le divisioni interne, la ricerca di potere”, “gli arrampicatori”, “una maniera mondana di governare gli istituti, un servizio dell’autorità che a volte diventa autoritarismo e altre volte un lasciar fare”:

“Se la vita consacrata vuole mantenere la sua missione profetica e il suo fascino, continuando ad essere scuola di fedeltà per i vicini e per i lontani (cfr Ef 2,17), deve mantenere la freschezza e la novità della centralità di Gesù, l’attrattiva della spiritualità e la forza della missione, mostrare la bellezza della sequela di Cristo e irradiare speranza e gioia”.

Tenere fisso lo sguardo sul Signore, non cedere a cultura dell’effimero
“Quando viene meno la speranza – ha soggiunto a braccio – non c’è gioia, la cosa è brutta”. Francesco ha quindi evidenziato che bisogna “curare in modo particolare” la “vita fraterna in comunità”. Questa, ha osservato, “va alimentata dalla preghiera comunitaria”, dalla “partecipazione attiva ai sacramenti”, “dalla misericordia verso il fratello o la sorella che pecca, dalla condivisione delle responsabilità”. Tutto questo, ha sottolineato, deve essere “accompagnato da una eloquente e gioiosa testimonianza di vita semplice accanto ai poveri e da una missione che privilegi le periferie esistenziali”. Ancora, ha detto che bisogna difendersi “dalle mode e dalla cultura dell’effimero” continuando a “camminare saldi nella fede”:

“Ciò comporta che a nostra volta teniamo fisso lo sguardo sul Signore, facendo sempre attenzione a camminare secondo la logica del Vangelo e non cedere ai criteri della mondanità. Tante volte le grandi infedeltà prendono avvio da piccole deviazioni o distrazioni. Anche in questo caso è importante fare nostra l’esortazione di san Paolo: ‘E’ ormai tempo di svegliarvi dal sonno’ (Rm 13,11)”.

Importanza di un accompagnamento che non crei dipendenze
Nella parte finale del suo discorso, il Papa ha messo l’accento sull’importanza dell’accompagnamento. È necessario, ha avvertito, che “la vita consacrata investa nel preparare accompagnatori qualificati per questo ministero”. Un accompagnamento, ha ripreso, che “non crei dipendenze” ma che aiuti il “discernimento”. Quest’ultimo, ha concluso, non si risolve solamente nello “scegliere tra il bene e il male, ma tra il bene e il meglio, tra ciò che è buono e ciò che porta all’identificazione con Cristo”.

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Papa saluta marcia per la vita negli Usa: accanto a bambini indifesi

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Papa Francesco ha dato il suo “caloroso” sostegno alla Marcia per la vita svoltasi ieri a Washington e alla quale hanno partecipato migliaia di persone. Il servizio di Sergio Centofanti

L’appuntamento è organizzato nell’anniversario della sentenza della Corte Suprema che nel 1973 ha legalizzato l’aborto.  In un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e inviato al nunzio negli Stati Uniti, mons. Christoph Pierre, il Papa afferma: “È così grande il valore di una vita umana ed è così inalienabile il diritto alla vita del bambino innocente che cresce nel seno di sua madre, che in nessun modo è possibile presentare come un diritto sul proprio corpo la possibilità di prendere decisioni nei confronti di tale vita, che è un fine in sé stessa e che non può mai essere oggetto di dominio da parte di un altro essere umano”.

Il Papa si dice "fiducioso che questo evento, in cui molti cittadini americani manifestano a favore dei più indifesi dei nostri fratelli e sorelle, possa contribuire a una mobilitazione delle coscienze in difesa del diritto alla vita e a misure efficaci per garantire la sua adeguata protezione giuridica".

Ha partecipato alla marcia anche il vicepresidente americano Mike Pence che ha detto: "La vita vince di nuovo in America". Il presidente Trump - che appena insediatosi ha bloccato i fondi federali alle Ong internazionali che promuovono  l’aborto - in un tweet ha dato il suo pieno appoggio ai manifestanti.

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Altre udienze e nomine

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Per le udienze e le nomine odierne consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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L'ultimo saluto del Papa a don Giuseppe: i funerali a Guidonia

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Il cardinale vicario Agostino Vallini ha portato il saluto del Papa ai fedeli della Parrocchia di Santa Maria a Setteville di Guidonia, dove stamattina, in una chiesa strapiena, si sono svolti i funerali del viceparroco don Giuseppe Berardino, malato di Sla e morto mercoledì scorso all’età di 50 anni. Era da due anni immobilizzato a letto.

Francesco lo aveva incontrato il 15 gennaio scorso durante la sua visita in questa parrocchia. In quell’occasione gli aveva sussurrato: “Giuseppe, sono il tuo vescovo. Sono venuto per dirti che il Signore ti è molto, molto vicino”. Il cardinale Vallini ha informato il Pontefice del decesso del sacerdote e il Papa si è detto contento di averlo potuto salutare di persona. Quindi ha pregato il porporato di portare la sua benedizione a tutta la comunità parrocchiale.

Il cardinale vicario nella sua omelia ha ricordato con commozione don Giuseppe, testimone esemplare del Vangelo, che - ha detto - ha voluto vivere nella fede, fino in fondo, la sua terribile malattia.

Il viceparroco don Francesco Zanoni ricorda: “Abbiamo visto attorno al letto di don Giuseppe riconciliazioni, persone che si sono perdonate, genitori che hanno accettato la croce di un figlio malato, che hanno trovato conforto, veri miracoli attorno a quel letto”.

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Turkson: lotta contro la lebbra, una sfida non ancora vinta

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Si celebra questa domenica la 64.ma Giornata Mondiale di lotta alla lebbra. Il Morbo di Hansen colpisce ancora oggi popolazioni in varie zone dell’Asia, dell’Africa e del Sud America. Nell’occasione il prefetto del Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, il card. Peter Turkson, ha scritto un messaggio sul tema “Eradicazione delle lebbra e reinserimento: una sfida non ancora vinta”. Il servizio di Giancarlo La Vella

La lebbra, oltre ai gravi problemi di salute e alle mutilazioni, porta con sé un’altra grave condanna: la discriminazione sociale nei confronti di chi ne è colpito, anche dopo la guarigione. La lotta al Morbo di Hansen – afferma il card. Turkson – vede impegnati a livello planetario molti organismi e realtà nazionali e internazionali, con la Chiesa Cattolica in prima linea. Questo – sottolinea il porporato – ha consentito di fare notevoli passi avanti nella cura della malattia, anche se si registrano ancor oggi 200 mila nuovi casi all’anno e, dunque, c’è ancora moltissimo da fare.

Il porporato esorta i leader di tutte le religioni a contribuire nell’eliminazione delle discriminazioni nei confronti delle persone colpite dalla lebbra. Occorre a questo punto operare su due piani: quello sanitario, con nuovi farmaci e migliori strumenti diagnostici, e quello del reinserimento, con politiche sociali che i governi dovrebbero mettere a punto per coinvolgere le persone malate. Bisogna, dunque, restituire a pieno titolo – esorta il card. Turkson – la persona guarita al tessuto sociale originario: la famiglia, la comunità, la scuola e il lavoro.

A questo punto il porporato riprende il passo evangelico della guarigione di un lebbroso operata da Gesù. Il Signore non solo sana la persona, ma la sollecita a presentarsi al sacerdote per il pieno reinserimento nel consorzio umano. E’ forse questo – conclude il messaggio del card. Turkson – il maggior ostacolo per chi è stato segnato dal Morbo di Hansen, ovvero vincere la paura nei confronti di chi porta i segni della malattia simili a marchi di fuoco. Per loro dobbiamo impegnarci a fondo, affinché possano trovare accoglienza, solidarietà e giustizia.

La Chiesa vanta una lunga tradizione di assistenza verso i malati di lebbra, soprattutto nei territori di missione, che si esprime oltre che con le cure mediche e l’assistenza spirituale, anche offrendo loro la possibilità di un reinserimento nella società. Secondo i dati dell’ultimo “Annuario Statistico della Chiesa”, la Chiesa cattolica gestisce nel mondo 612 centri per malati di lebbra. Questa la ripartizione per continente: in Africa 174, in America 43 totale, in Asia 313, in Europa 81 e in Oceania 1. Le nazioni che ospitano il maggior numero di centri per malati di lebbra sono: in Africa: Repubblica Democratica del Congo (27), Madagascar (26), Kenya (21); in America del Nord: Stati Uniti (2); in America centrale: Messico (5), Honduras (2); in America centrale-Antille: Haiti (2) e Rep. Dominicana (2); in America del Sud: Brasile (14), Ecuador (4), Perù (4); in Asia: India (234), Corea (22), Vietnam (15); in Oceania: Papua Nuova Guinea (1); in Europa: Portogallo (63), Germania (16), Belgio (1), Italia (1). 

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Parolin in Madagascar per i 50 anni delle relazioni diplomatiche

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Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin si è recato in Africa, dove visiterà il Madagascar, in occasione dei 50 anni delle Relazioni Diplomatiche con la Santa Sede, e la Repubblica del Congo, per la firma dell’Accordo Quadro sulle relazioni tra la Chiesa cattolica e lo Stato. Il viaggio durerà 11 giorni ed è prevista una breve tappa a Nairobi, Kenya.

La notte tra il 26 ed il 27 gennaio il porporato è giunto all’aeroporto di Antananarivo. Ad attenderlo vi era, oltre al nunzio apostolico, mons. Paolo Gualtieri, il premier Oliver Solonandrasana Mahafali, accompagnato da molti ministri, tutti i vescovi della Conferenza Episcopale malgascia, e moltissimi fedeli, che all’esterno dell’aeroporto intonavano canti tradizionali di accoglienza.

Nella mattinata del 27 gennaio, il cardinale Parolin è stato ricevuto in udienza dal  Presidente della Repubblica,  Hery Martial Rajaonarimanampianina, il quale ha espresso la sua viva riconoscenza per la visita, ricordando i buoni rapporti tra la Santa Sede ed il Madagascar, che nel corso di questi 50 anni si sono rafforzati sempre più. Ha rammentato la visita resa a Papa Francesco nel giugno del 2014 ed ha espresso la sua più sincera gratitudine per tutto ciò che la Chiesa cattolica fa nel Paese, soprattutto con i suoi centri educativi, sanitari e caritativi. Ha riconosciuto il ruolo importante che la Chiesa svolge con le sue istituzioni, contribuendo allo sviluppo sociale di tutti i cittadini, i quali non solo devono essere preparati per il futuro, ma educati secondo i valori tradizionali come credenti, per dare una stabilità morale, spirituale ed economica a tutto il Madagascar. Nel contempo, ha assicurato la sua personale attenzione affinché le forze dell’ordine vigilino con più circospezione per l’incolumità delle istituzioni cristiane, che negli ultimi tempi stanno subendo molti furti per mano di ignoti. Ha altresì manifestato il suo fermo rigetto della violenza terroristica perpetrata dagli estremismi religiosi ed ha auspicato un continuo dialogo con i presuli per collaborare negli ambiti comuni. Da ultimo, si è augurato che la celebrazione del cinquantenario delle relazioni diplomatiche serva a rendere sempre più saldi i legami con la Santa Sede e di lavorare affinché si giunga a stabilire, attraverso un Accordo Quadro, una più profonda collaborazione.

Il cardinale Parolin, a sua volta, ha voluto portare il saluto affettuoso di Papa Francesco, che è molto amato in Madagascar, soprattutto tra i giovani, ed esprimere la sua profonda gratitudine per l’accoglienza, straordinariamente calorosa, che gli è stata riservata. Prendendo spunto dal motivo della sua visita, ha manifestato la disponibilità della Santa Sede a voler continuare questa proficua collaborazione per tutelare, attraverso le istituzioni della Chiesa cattolica, i diritti dei più deboli e l’assistenza necessaria a tutte le persone, in particolare, ai più poveri ed emarginati. Ha auspicato che attraverso la Chiesa locale malgascia, si possa contribuire al benessere spirituale e sociale dei cittadini. Si è augurato che la sua visita sia un avanzamento vantaggioso per le buone relazioni esistenti tra il Madagascar e la Santa Sede, per giungere ad un accordo che assicuri alle istituzioni della Chiesa il loro pieno riconoscimento giuridico.

Dopo l’incontro bilaterale è seguito il ricevimento ufficiale offerto dal Presidente della Repubblica in onore del porporato, al quale sono stati invitati tutti i presuli malgasci, le autorità del Governo, gli alti rappresentanti delle Istituzioni del Paese, ed i capi religiosi delle altre confessioni cristiane. La giornata si è conclusa presso la sede del Primo Ministro dove, in un’apposita cerimonia, il cardinale Parolin è stato insignito dell’alta onorificenza di Grande Officiale dell’Ordine Nazionale del Madagascar.

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Oggi in Primo Piano



Trump: stop migranti da 7 Paesi musulmani. Turkson: muro preoccupa

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Il presidente statunitense Trump ha firmato il decreto che blocca gli ingressi nel Paese da 7 Stati musulmani. La decisione vuole arginare il rischio terrorismo. Il capo della Casa Bianca ha invece fatto un passo indietro sulla questione tortura e dato pieno appoggio alla premier britannica May per la Brexit. Massimiliano Menichetti: 

Sospeso per 3 mesi l'ingresso negli Stati Uniti per chi viene da Iran, Libia, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen e Siria. Lo ha deciso il presidente Donald Trump con lo scopo di limitare il rischio terrorismo. L’ordine esecutivo che ha firmato prevede anche la sospensione per 120 giorni del programma d'ammissione di tutti i rifugiati e, fino a ulteriore comunicazione, l'arrivo di quelli siriani, perché - scrive -  il “loro ingresso è dannoso” per il Paese. Dimezzato poi il programma di accoglienza nel suo complesso, saranno cinquantamila e non centomila il numero degli altri rifugiati che gli Usa prevedono di accettare quest'anno, la priorità sarà data a chi è perseguitato per motivi religiosi.

L'incontro Trump-May
Una giornata quella di ieri che ha visto anche la conferenza stampa congiunta del capo della Casa Bianca e della premier britannica Theresa May che ha detto: “Dobbiamo ridare prosperità ai nostri popoli”. Rinsaldando l’antico legame tra i due Paesi, Trump ha appoggiato la Brexit sottolineando che sarà “una cosa fantastica per la Gran Bretagna”. In quel contesto il presidente americano ha fatto un passo indietro sulla questione tortura, evidenziando che sarà il capo del Pentagono a decidere, spiegando che l'ex generale James Mattis ha detto di “non credere” in questa pratica. 

Telefonata Trump-Peña Nieto
Ieri anche la telefonata di circa un’ora tra Trump e il presidente del Messico Peña Nieto. Ribadito l’impegno comune nella lotta al narcotraffico e traffico illegale di armi. Sulla questione del muro rimangono le divergenze - informa la Casa Bianca - ma anche la ricerca di soluzioni comuni. 

Turkson: prolungamento muro è segnale preoccupante
Intanto anche il cardinale Peter Turkson, presidente del Dicastero per la promozione dello sviluppo umano integrale, si unisce alle preoccupazioni espresse dai vescovi statunitensi e messicani per l’allungamento della barriera tra i due Paesi, augurandosi che altri Stati, non seguano questo esempio.

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Preoccupazione dell'Onu per le scelte di Trump sui rifugiati

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“I bisogni dei rifugiati e dei migranti in tutto il mondo non sono mai stati così grandi e il programma di reinsediamento negli Stati Uniti è uno dei più importanti al mondo”. E’ così che le Nazioni Unite, per voce dell’Alto commissariato per i rifugiati (Acnur) e dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), agenzia collegata, esprimono i loro timori legati alle decisioni del presidente Trump di voler sospendere, per tre mesi, il programma di accoglienza dei rifugiati nel Paese. L'augurio è che non venga interrotta la tradizione americana di “proteggere coloro che fuggono da conflitti e persecuzioni”. Francesca Sabatinelli ha intervistato Federico Fossi, dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati:  

R. – Gli Stati Uniti hanno una tradizione ormai lunghissima di vecchia data di accoglienza dei rifugiati e di contributo al loro reinsediamento, un programma molto importante dell’Acnur, che consiste in quelle che noi chiamiamo soluzioni durevoli per i rifugiati, si tratta cioè della terza soluzione, laddove non sia possibile il ritorno nel Paese di origine o l’asilo sicuro in un Paese terzo. Il reinsediamento vuol dire la possibilità, dopo aver passato controlli molto accurati, di essere trasferiti in un Paese terzo e usufruire di programmi di integrazione, proprio per ricominciare una vita in questi Paesi. Gli Stati mettono a disposizione delle quote e gli Stati Uniti da sempre sono il Paese più generoso per la messa a disposizione di queste quote, insieme a Canada, Australia, Nuova Zelanda e i Paesi del Nord Europa. E’ ovvio, quindi, che questa chiusura sia molto preoccupante, perché impedirà a molti rifugiati di trovare sicurezza e protezione negli Stati Uniti.

D. – Trump ha di fatto già dimezzato il numero degli ingressi …

R. – Sì, questo è l’annuncio, adesso bisogna vedere che cosa succede. Come Acnur noi restiamo, chiaramente, impegnati a collaborare con l’amministrazione degli Stati Uniti per fare in modo che i programmi di reinsediamento e di immigrazione negli Stati Uniti siano sicuri e protetti e continuino a essere garantiti per i rifugiati.

D. – Nel caso la politica statunitense dovesse confermare dichiarazioni della campagna elettorale, che si pensava sarebbero rimaste parole e che invece stanno prendendo forma, questo che cosa comporterà e in che modo voi interverrete?

R. – Sicuramente continuando a impegnarci in maniera attiva e costruttiva con il governo degli Stati Uniti, così come l’Acnur ha fatto per decenni, per proteggere chi fugge da guerre e persecuzioni, questo è il nostro obiettivo: dare sostegno al Paese in materia di asilo e immigrazione. Che cosa succederà? Ovviamente, se dovesse esserci la conferma, centinaia di migliaia di persone rimarrebbero senza protezione, sarebbero a rischio. Voglio sottolineare che si tratta di dare un futuro alle persone tra le più vulnerabili nel mondo, il programma di reinsediamento, inoltre, ha creato, in passato e fino ad oggi, una situazione di doppio beneficio: per i rifugiati che usufruiscono di questo programma, ma dando anche un contributo alle società che li ospitano, che spesso è molto positivo, un contributo in termini di competenze portate al Paese ospitante, un arricchimento del tessuto sociale ed economico. Ci sono storie, soprattutto negli Stati Uniti, nei decenni passati, di contributi fondamentali di persone che erano in fuga dal proprio Paese. Quindi, è importante che questo programma non sia minato da decisioni che sono chiaramente decisioni di chiusura. Un’altra cosa importante che voglio sottolineare è che i rifugiati, e questo è proprio un caposaldo del lavoro dell’Acnur e della Convenzione di Ginevra, devono poter ricevere parità di trattamento in termini di protezione, di assistenza e – come dicevo – di opportunità per il reinsediamento in Paesi terzi, a prescindere dalla loro religione, nazionalità o razza.

D. – E’ chiaro che quello che si va delineando sempre più è l’equazione: rifugiati più accoglienza, uguale rischio terrorismo …

R. – Sì, in realtà il programma di reinsediamento nei Paesi terzi che – cito un dato del 2015 – ha visto reinsediati oltre 115 mila rifugiati nel mondo, è un programma che presuppone tutta una serie di misure di sicurezza molto rigide. Le quote che vengono messe a disposizione degli Stati poi subiscono una serie di accertamenti e controlli, rispetto alle persone che vengono selezionate dall’Acnur come bisogno di reinsediamento. Passano periodi lunghissimi prima che effettivamente la persona venga reinsediata in uno Stato terzo, si arriva anche a un paio d’anni! Questo vuol dire che i controlli sono accuratissimi, che si tratta di vie legali per trasferire – appunto – rifugiati in altri Paesi e questo è di per sé una garanzia di sicurezza.

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Guardia costiera italiana salva mille migranti nel Mediterraneo

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200 migranti sono stati salvati oggi da una nave spagnola a sud di Lampedusa. Ieri erano stati circa mille i migranti stati tratti in salvo nel Mediterraneo Centrale in varie operazioni di soccorso coordinate dalla Guardia Costiera italiana. Intanto, la Turchia minaccia di annullare l'accordo con l'Unione Europea sugli immigrati se la Grecia si rifiuterà di estradare otto soldati turchi accusati di aver partecipato al golpe del 15 luglio. Il servizio di Sergio Centofanti

Erano in balia delle onde e del freddo, un migliaio di migranti: si trovavano a bordo di 6 gommoni e 3 vecchie e malandate barche di legno. Sono stati salvati grazie all’intervento di tre navi. In uno dei gommoni è stato recuperato un corpo senza vita. Secondo gli ultimi dati, sono 3.829 i migranti giunti in Europa via mare dall'inizio del 2017, due terzi sbarcati in Italia, un terzo in Grecia: 246 quelli che non ce l’hanno fatta. Ma sono solo le vittime accertate. Dopo l’accordo Unione Europea-Turchia, la rotta preferita è tornata quella tra Nord Africa e Italia. Sempre dall’inizio dell’anno sono stati 274 i migranti irregolari espulsi dall’Italia e rimpatriati. Intanto, grazie alla questura di Lecce, madre e figlio del Camerun si sono potuti riabbracciare dopo 8 anni: non speravano più di ritrovarsi. 

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Economia debole e famiglie in difficoltà, l'Italia è al palo

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Per il governatore di Bankitalia Ignazio Visco l'Italia dovrebbe registrare una crescita del Pil dell'1% nel 2017-2019. Le famiglie però fanno ancora fatica a riprendersi dalla crisi. L’ultima rilevazione Eurostat dice che, nel terzo trimestre 2016, il reddito reale delle famiglie è solo salito dello 0,2%, Dati che dimostrano come troppi nuclei abbiano poche risorse a disposizione per progettare un futuro. Alessandro Guarasci: 

La ripresa economica in Italia è ancora debole e rimangono molte sacche di disagio e difficoltà. Basta dire che, secondo l’Eurispes, il 48,3% delle famiglie non riesce ad arrivare alla fine del mese, con un incremento di circa un punto percentuale rispetto all'anno scorso. Quasi una famiglia su tre va in banca per chiedere un prestito, ma poi l’8% non l’ottiene perché il sistema è troppo rigido. Insomma, pochi servizi per chi ha deciso di avere figli, poco sostegno dallo Stato e scarso aiuto dalla finanza. Qualche giorno fa il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino ha detto che si sono trovati 20 miliardi per le banche, ma non si sono fatti i decreti attuativi del pacchetto famiglia previsto nella legge di bilancio. Mons. Pietro Maria Fragnelli, presidente della Commissione episcopale per la famiglia:

“Il clima culturale che noi stiamo vedendo è, da un lato, cercare di erodere forse la figura o la visione tradizionale della famiglia, ma, dall’altro lato, cercare di imporre un modello che attinge alla famiglia. La confusione culturale sull’argomento fa sì che poi alla fine prevalgano interessi che perdono di vista, concretamente, le esigenze delle famiglie reali”.

Da anni in Italia si pensa si introdurre un sistema che rapporti le tasse da pagare al numero di componenti della famiglia. L’economista Leonardo Becchetti:

“Io penso che si debba comunque anche intervenire sulle aliquote, perché  è una questione di equità e bisogna valorizzare quello che è, tra l’altro, il contenuto di ricchezza e di senso, il valore relazionale di una famiglia: la famiglia è un investimento. Anche perché la demografia comincia a incidere molto negativamente sull’economia: abbiamo una forza lavoro sempre più anziana e abbiamo quindi un problema molto serio di produttività che dipende anche dal fattore demografico”.

Il tema di un fisco più amico della famiglia è comunque all’ordine del giorno delle forze politiche, e vedremo se corso del 2017 ci saranno novità. Ancora mons. Fragnelli:

“Certamente, il passo grande in avanti è che è tornato al centro dell’attenzione il fattore famiglia. Sicuramente abbiamo bisogno ancora di molto dialogo tra le diverse anime della società italiana, perché questo fattore non venga manipolato e alla fine sostanzialmente emarginato; per cui, nei momenti di difficoltà, prevalgono altri interessi, insomma”.

Oggi a Roma, l’assemblea nazionale del Popolo della Famiglia. Il fondatore Mario Adinolfi:

“Credo che manchi completamente una politica per la famiglia. E’ innanzitutto un fattore culturale. Le classi dirigenti italiane non hanno capito quel monito che già San Giovanni Paolo II davanti ai consiglieri regionali del Lazio poneva come elemento: ‘Attraverso la famiglia - diceva Papa Wojtyla - si leggono come in un prisma tutti i bisogni della società’. Senza una politica complessiva a favore della famiglia e una riflessione culturale che faccia capire come il nostro Paese sia reticolato di famiglie che vanno sostenute, non si riesce a far ripartire l’Italia".

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Giornata mondiale per la privacy: difendersi dai Big Data

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Giornata mondiale della privacy e per la protezione dei dati personali, sempre più a rischio nell’era digitale. Governi, parlamenti, e organi di garanzia rilanciano la questione con campagne mirate per il pubblico, progetti didattici, workshop e creazione di agenzie. D’altra parte c’è anche chi come la Francia di fronte al dominio dei “Big Data” allunga il passo, verso modifiche alla Costituzione per proteggere la riservatezza via web. Il servizio di Cecilia Seppia: 

Se li chiamano “Big Data” un motivo ci sarà. Sono infatti 2,5 miliardi di miliardi i dati prodotti ogni giorno al livello digitale, ed entro il 2020 questa enorme produzione quotidiana sarà 5 mila volte maggiore. Dati, che possono essere raccolti e registrati a milioni di risultati per secondo, e "predire" il comportamento degli utenti in microsecondi. Dove sta andando quella persona? Quale sito visiterà? Quali sono i suoi interessi? Grande volume, grande velocità, grande varietà di prodotti che vanno dai siti web alle mail, dalle applicazioni ai blog, ai social network, ma anche grandi rischi per la salute dei nostri dati personali. Ruben Razzante, docente di Diritto dell’informazione alla Cattolica di Milano:

“C’è davvero il rovescio della medaglia, perché se da un lato abbiamo una mole di dati utilissimi, dall’altro incappiamo in problemi di privacy. Oggi molti soggetti oscuri, impenetrabili, sanno molte cose di noi e possono utilizzarle in qualunque momento per finalità non dichiarate. Inoltre è vero che i dati sono ormai il ‘petrolio’ dell’economia: ci sono dei colossi della Rete che vivono grazie ai nostri dati e che li utilizzano per finalità di business, commerciali e pubblicitarie. È chiaro che, sia l’Unione Europea che le organizzazioni internazionali si stanno ponendo il problema di arginare questo flusso imponente di dati e di governarlo. Si tratta di capire in che modo i colossi della Rete vorranno collaborare per conciliare le loro esigenze di business con l’ancora più sacrosanto tema della democrazia e quindi della salvaguardia dei nostri diritti”.

Ecco allora che si parla di "società sorvegliata" dove gli utenti sono visti, ma non vedono, spiati 24 ore su 24 come in un enorme "Grande Fratello", sono oggetto di informazione ma mai soggetto di comunicazione, per quanto dall’alto dei propri profili Facebook o account Twitter si vantino di avere potere decisionale. Perciò è bene imparare a difendersi dai pericoli del Web. Ancora Razzante.

“La parola chiave è ‘autotutela’: prima di pubblicare informazioni che ci riguardano pensiamoci molte volte, perché dalla Rete nulla più si cancella, l’oblio è una chimera, diventa difficile poi controllare la diffusione di dati che magari, sulla base dell’istinto o della spontaneità, noi inseriamo in Rete. Quindi questo è sicuramente il primo elemento da evidenziare. Il secondo elemento è quello di auspicare che, già nelle scuole dell’obbligo, venga introdotta un’educazione digitale, cosa della quale il Garante della Privacy ha più volte parlato; quindi l’esigenza che le nuove generazioni, i ‘nativi digitali’, vengano messi a conoscenza dei rischi che corrono navigando in modo disinvolto in Rete e possano affrontare da soli, con la maturità e la formazione, gli anticorpi per difendersi da questa emergenza”.

Di certo in questo particolare periodo storico, dove persino  il terrorismo corre sul web, è necessario anche, da parte degli organi deputati vigilare, investigare anche se il controllo ridisegna inevitabilmente i confini della libertà:

“Dobbiamo essere disposti a uno scambio, sicurezza – privacy: un trade-off; dobbiamo essere disponibili a rinunciare a una parte, sia pur minima, della nostra privacy, per consentire alle autorità nazionali e sovranazionali di effettuare quei controlli che possono potenziare i sistemi di sicurezza. Siamo in un’emergenza planetaria – quella del terrorismo e del terrorismo islamico è sicuramente una minaccia incombente su tutti quanti noi –; è chiaro che non possiamo trincercarci dietro questa difesa a oltranza della privacy quando ci sono da effettuare dei controlli che sono necessari per garantire la nostra incolumità”.

Ecco l’importanza di questa Giornata mondiale di tutela dei dati personali, istituita nel 2006 dal Consiglio d’Europa che ha pure adottato in quell'occasione la Convenzione 108 per la protezione dei dati, ma di fatto la conoscenza e la privacy come libertà dal controllo restano condizioni imprescindibili di democrazia e pluralismo.

"Lo dice già l’articolo 15 della nostra Costituzione italiana, cioè la riservatezza delle comunicazioni. La privacy è un elemento essenziale della democrazia e deve bilanciarsi con il diritto all’informazione, quindi con il diritto delle notizie di circolare liberamente rispettando però la riservatezza dei soggetti coinvolti. Un conto è l’interesse pubblico alla notizia, altra cosa è quando non c’è di mezzo l’attività giornalistica ma c’è semplicemente un voyeurismo, uno spettacolarismo, uno spionaggio da parte di taluni sulla vita privata di altri. E questo è inammissibile e mette a rischio una garanzia democratica come quella della privacy".

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Commento di don Sanfilippo al Vangelo della IV Domenica T.O.

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Nella quarta Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo delle Beatitudini. Gesù dice ai discepoli:  

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati». 

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

Beati i poveri in spirito o beati i ricchi di presunzione? Beati coloro che piangono affamati di giustizia o chi ride approfittando dei propri soprusi? Beati i miti che non impongono le proprie opinioni o beati i furbi che giustificano i mezzi per il loro tornaconto? Beati i misericordiosi che operano la pace o chi denuncia perché non perdona? E infine: beato chi è insultato e perseguitato perché difende la dignità umana, ad esempio, agli albori della sua esistenza o al tramonto, o beato chi per non essere criticato tace e ottiene il plauso, fama e denaro senza scrupoli? Davanti ad un vangelo così concreto ed attuale s’impone una scelta: da che parte stai veramente? Riflettiamo bene: sono due vie che conducono a mete ben diverse! Una vocina ci ripete slogan del tipo: “Il mondo è dei furbi!”, “Beati gli ultimi se i primi sono ben educati”, “Chi mena per primo mena due volte!”, “Basta che ci sia la salute!”, “Meglio un uovo oggi che una gallina domani”. La voce di Cristo, invece, va ben oltre, schiude orizzonti immensi nel conformismo mediocre e rivela la rotta sicura per raggiungere la felicità. Egli non ci ha scelto per il nostro blasone, la nostra intelligenza o cultura, ma annuncia che può guarirci da ogni viltà donandoci, già qui, nobiltà d’animo per servire il prossimo e le primizie della  beatitudine eterna.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 28

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