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Sommario del 26/01/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: la vera unità è essere capaci di imparare gli uni dagli altri

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La riconciliazione è un dono di Dio che non avviene senza sacrificio: tra cristiani potrà essere autentica solo superando l’autoreferenzialità e imparando gli uni dagli altri. Questa la riflessione su cui il Papa ha incentrato l’omelia della celebrazione ecumenica dei Vespri nella Basilica di San Paolo fuori le Mura nella festa della Conversione dell’Apostolo delle Genti. Presenti alla cerimonia, che chiude la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, rappresentati ortodossi, anglicani e di altre confessioni. Il servizio di Gabriella Ceraso

La rivoluzione che ha vissuto nella sua vita Paolo di Tarso incontrando Gesù è la rivoluzione dei cristiani di sempre: perdono, amore, e poi testimonianza e sacrificio. Il Papa parla di fronte ai fratelli di altre Chiese e confessioni cristiane e trova nell’episodio della conversione dell’Apostolo delle Genti, la chiave per illuminare ancora una volta il cammino verso l’unità piena.

Dio, in Cristo, offre amore e riconciliazione all’umanità  
E’ l’amore “gratuito e immeritato” di Dio che Paolo sperimenta sulla strada verso Damasco, dice il Papa, e da allora capisce di dovervi “aderire con tutto sé stesso”, senza più fare “affidamento alle proprie forze”:

“Così egli conosce l’irrompere di una nuova vita, la vita secondo lo Spirito, nella quale, per la potenza del Signore Risorto, sperimenta perdono, confidenza e conforto. E Paolo non può tenere per sé questa novità: è spinto dalla grazia a proclamare la lieta notizia dell’amore e della riconciliazione che Dio offre pienamente in Cristo all’umanità”.

E’ dunque così: “prima di essere uno sforzo umano di credenti che cercano di superare le loro divisioni, la riconciliazione”, sottolinea Francesco, è un “dono gratuito di Dio” che fa di ciascuno, perdonato e amato, un testimone in parole e opere di una “esistenza riconciliata”.

La riconciliazione richiede sacrificio: no all’autoreferenzialità
Ma come “proclamare oggi questo Vangelo di riconciliazione”, si chiede il Papa, “dopo secoli di divisioni?”. La via la indica ancora S. Paolo: ”Non senza sacrificio”. E’ la “rivoluzione cristiana di sempre”, cioè ”vivere non più per noi e i nostri interessi, ma ad immagine di Cristo, per Lui e secondo Lui”. Per la Chiesa di ogni confessione, spiega Francesco, questo è un invito:

“È un invito anche ad uscire da ogni isolamento, a superare la tentazione dell’autoreferenzialità, che impedisce di cogliere ciò che lo Spirito Santo opera al di fuori dei propri spazi. Un’autentica riconciliazione tra i cristiani potrà realizzarsi quando sapremo riconoscere i doni gli uni degli altri e saremo capaci, con umiltà e docilità, di imparare gli uni dagli altri - imparare gli uni dagli altri - senza attendere che siano gli altri a imparare prima da noi”.

Il passato non ci paralizzi: seguiamo Gesù nell’oggi      
Questo “morire a noi stessi per Gesù” - afferma ancora il Papa - ci permette anche di “relegare” al passato il “nostro vecchio stile di vita” per poter entrare in una “nuova forma di esistenza e di comunione”, come è stato per Paolo di Tarso. Guardare indietro infatti, mette in guardia Francesco, “è necessario per purificare la memoria”, ma fissarsi sul passato e sui “torti subiti e fatti” può paralizzare:

“La Parola di Dio ci incoraggia a trarre forza dalla memoria, a ricordare il bene ricevuto dal Signore; ma ci chiede anche di lasciarci alle spalle il passato per seguire Gesù nell’oggi e vivere una vita nuova in Lui. Permettiamo a Colui che fa nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5) di orientarci a un avvenire nuovo, aperto alla speranza che non delude, un avvenire in cui le divisioni si potranno superare e i credenti, rinnovati nell’amore, saranno pienamente e visibilmente uniti”.

Ricordare insieme i 500 anni della Riforma protestante
Ad incoraggiare sul cammino verso l’unità piena, quest’anno, ricorda Francesco durante la sua omelia, c’è il quinto centenario della Riforma Protestante:

“Il fatto che oggi cattolici e luterani possano ricordare insieme un evento che ha diviso i cristiani, e lo facciano con speranza, ponendo l’accento su Gesù e sulla sua opera di riconciliazione, è un traguardo notevole, raggiunto grazie a Dio e alla preghiera, attraverso cinquant’anni di conoscenza reciproca e di dialogo ecumenico”.

Dopo aver salutato e ringraziato tutte le rappresentanze cristiane presenti, in particolare il metropolita Gennadios, rappresentante del Patriarcato ecumenico, e David Moxon, rappresentante personale a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, nonché i membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra cattolici e ortodossi orientali, il Papa ha ribadito il suo invito a non stancarsi di domandare a Dio il dono dell'unità, a trarre coraggio dall'esperienza di tanti martiri uniti, ieri e oggi, nella sofferenza per Cristo e ha concluso sollecitando ogni iniziativa "perché tutti siano una sola cosa": 

“Approfittiamo di ogni occasione che la Provvidenza ci offre per pregare insieme, per annunciare insieme, per amare e servire insieme, soprattutto chi è più povero e trascurato”.

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La solidarietà del Papa per i devastanti incendi in Cile

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Papa Francesco ha espresso la sua "vicinanza spirituale ai feriti e a quanti soffrono le conseguenze” dei devastanti incendi che stanno colpendo in questi giorni le regioni centrali del Cile. Finora sono morte sei persone: 2 poliziotti e quattro vigili del fuoco. Il servizio di Sergio Centofanti

In un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin inviato al presidente della Conferenza Episcopale del Cile, mons. Santiago Silva, il Papa assicura le sue preghiere per i defunti, invocando da Dio “forza e consolazione” per coloro che sono colpiti da questa calamità. Prega, quindi, il Signore che “ispiri in tutti sentimenti di solidarietà, perché in questi momenti così difficili collaborino efficacemente, con generosità e carità, ad alleviare il dolore e a superare le avversità”.  

Si tratta di uno dei più violenti incendi degli ultimi decenni in Cile, che sta vivendo un’estate particolarmente calda e ventosa. Sono interessati 2.380 chilometri quadrati, nelle regioni scarsamente popolate di O’Higgins e El Maule, a sud della capitale Santiago. Le autorità cilene hanno dichiarato lo stato di emergenza: oltre quattromila persone sono state evacuate dalle loro case. Bruciati migliaia di ettari di boschi, morti numerosi capi di bestiame.

Il Cile ha lanciato un appello agli altri Paesi americani affinché forniscano aerei ed elicotteri per spegnere le fiamme. Dagli Stati Uniti è arrivato un Boeing 747 con la capacità di trasportare circa 22 volte il carico di acqua di un normale aereo antincendio. Il governo ha avviato un’indagine perché sembra che alcuni incendi siano stati appiccati volontariamente.

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I vescovi cambogiani dal Papa

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Per le udienze e le nomine odierne consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Card. Zenari: ad Aleppo immane tragedia. Astana passo positivo

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“Ogni iniziativa per la pace va sostenuta”. Così il card. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, sui colloqui per la Siria, che si sono tenuti ad inizio settimana ad Astana, in Kazakistan. Il porporato ha partecipato ad una missione, voluta dal Papa, che ha visto anche l’apertura di un centro caritas ad Aleppo per ogni bisognoso, senza alcuna distinzione di “etnia o religione”. Intanto sul terreno continuano le violazioni della tregua. Sui colloqui di Astana. Massimiliano Menichetti ha intervistato lo stesso card. Zenari: 

R. – Direi che ogni tentativo è benvenuto: è un passo positivo, un passo significativo; naturalmente, poi, bisogna vedere la messa in pratica di questo incontro. Speriamo che sia seguito da altri: soprattutto adesso (guardiamo n.d.r.) all’incontro che ci sarà nei primi giorni di febbraio a Ginevra. Si vive di speranza e bisogna tentare ogni iniziativa che possa portare in questo senso.

D. – Lei ha fatto parte della delegazione del Papa che è andata ad Aleppo dal 18 al 23 gennaio: qual è la situazione?

R. – I bisogni sono enormi! Siamo potuti andare nella parte Est, in questa zona che è tutta musulmana; insieme a Caritas abbiamo aperto un Centro di distribuzione di aiuto per tutti, senza distinzioni etniche o religiose. Lì la povertà è enorme, basta guardare le distruzioni. Non ci sono parole per esprimere quello che ho provato di fronte a queste distruzioni, i segni di queste battaglie atroci … Mi è venuto da pensare a quel passo delle lamentazioni di Geremia, al capitolo I, versetto 12, dove si dice: “O voi tutti che passate per via, guardate e considerate se c’è un dolore simile al mio dolore”.

D. – Sempre nella zona Est avete visitato una parte adibita a Campo profughi …

R. – Siamo andati a visitare gli sfollati che sono nel Campo profughi di Sebring, dalle parti dell’aeroporto. Ci ha colpito vedere soprattutto bambini e donne: anche qui sono circa 5 mila, manca di tutto …

D. – Chi aiuta queste persone?

R. – Oltre alle nostre organizzazioni umanitarie cristiane, abbiamo visto la comunità internazionale, alcune famiglie delle Nazioni Unite come l’Unicef; per quanto riguarda i bambini c’erano persone dell’Unicef, per esempio, che li facevano cantare, organizzavano dei giochi e quindi abbiamo visto bambini sorridenti, anche se naturalmente vivono questa immane tragedia: sicuramente saranno loro i primi a portare un messaggio di riconciliazione e di pace, assistiti naturalmente dall’educazione a questi valori.

D. – Tra le tappe fondamentali di questo viaggio, anche l’incontro con le realtà musulmane del luogo …

R. – Abbiamo incontrato i vari capi religiosi, il muftì di Aleppo… mi hanno portato anche a vedere quella famosa moschea che è stata distrutta, e lì un’autorità musulmana ci ha spiegato che tutti hanno sofferto in questa terribile guerra di Aleppo; diceva: “Qui, in questa moschea ha perso la vita un giovane militare cristiano”; mezz’ora prima avevamo visitato quello che era stata la chiesa protestante, distrutta completamente. Il pastore ci ha detto che sotto le macerie sono ancora sepolti quattro militari musulmani che difendevano la chiesa. Quindi ci sono anche degli esempi molto toccanti di cristiani che hanno perduto la vita facendo il loro servizio come militari in una moschea, e viceversa.

D. – Uno dei momenti forti, l’incontro con i vescovi di Aleppo; poi, la preghiera ecumenica …

R. – La chiesa era gremita: anche quello è stato un bel segno di unità, che certamente sarà di grande aiuto per cercare di portare avanti la riconciliazione e la pace.

D. – Come, da parte cristiana e musulmana, è stata vista la vostra presenza?

R. – Ci hanno accolti con molta riconoscenza, una grande riconoscenza per Papa Francesco: tutti sanno quanto Papa Francesco abbia fatto e stia facendo per la pace e la riconciliazione in Siria.

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Al restauro dei Musei Vaticani le opere colpite a Norcia dal sisma

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I Musei Vaticani scendono in campo per restaurare gratuitamente alcune opere d’arte dell’archidiocesi di Spoleto-Norcia colpite dal terremoto dello scorso 24 agosto. L’annuncio è stato dato dopo la visita della nuova direttrice dei Musei Vaticani, Barbara Jatta,  presso il deposito del Ministero per i Beni e le Attività Culturali di Spoleto dove sono custodite le opere lesionate dal sisma e dal quale sono stati prelevati otto pezzi, tra cui il pinnacolo con la croce della Basilica di San Benedetto. Federico Piana ne ha parlato con mons. Renato Boccardo,  arcivescovo di Spoleto-Norcia: 

R. – Bisogna dire che, prima ancora di questa iniziativa, i Musei Vaticani con alcune squadre di specialisti e restauratori si sono resi disponibili nei mesi scorsi al recupero di queste opere d’arte che erano  ormai sommerse dalle macerie. Insieme ai Vigili del fuoco hanno realizzato un’opera meravigliosa che ha permesso di ritrovare delle opere preziose che altrimenti sarebbero andate perdute. Adesso tutte le opere recuperate sono custodite in un deposito di sicurezza del ministero dei beni culturali qui a Spoleto. È proprio di ieri la  visita del dottoressa Jatta, direttore dei Musei Vaticani, che insieme con la soprintendente per la Regione Umbria hanno visitato il deposito ed hanno scelto alcune opere particolarmente significative, provenienti da ognuno dei Comuni toccati dal terremoto. Potremmo dire che i Musei Vaticani hanno preso in carico, hanno adottato, queste opere, le restaurano per poterle restituire alle popolazioni che trovano in questi lavori non solo un’espressione dell’arte, ma soprattutto, un’espressione della fede dei padri.

D. – Quante opere sono state danneggiate durante le scosse di terremoto?

R. – Il calcolo diventa molto difficile. Posso dire che nel deposito di cui parlavo prima, sono raccolti oltre duemila pezzi. Questo non significa che si tratta di duemila opere complete; ci sono anche i frammenti dei rosoni delle chiese crollate, alcuni pezzi di capitello, … Però le tele, le statue, i reliquiari sono numerosi; tutti, in qualche modo, sono stati danneggiati.

D. - È un segno di vicinanza di Papa Francesco?

R. - Certamente. Mi piace vedere sia nell’invio dei Vigili del fuoco prima di Natale, sia nella collaborazione dei Musei Vaticani, un ulteriore segno della sollecitudine e dalla preoccupazione del Papa per queste popolazioni. Mentre da un parte diventa indispensabile ed urgente provvedere alle case per la ripresa di una vita per quanto possibile normale – penso dunque alle abitazioni, ai luoghi di lavoro, ai luoghi della vita sociale, quelli della vita ecclesiale, non c’è una sola chiesa in tutta la zona che sia disponibile in questo momento  - dall’altra un’attenzione anche a queste opere che raccontano la storia di queste popolazioni che è certamente – lo dicevo prima – una storia di fede. Mi sembra un’attenzione anche a questo aspetto: ci dice come il Papa vuole il bene integrale delle persone e lo manifesta anche attraverso questi segni.

D. – Com’è la situazione nelle zone colpite dal terremoto in questo momento?

R. – C’è una situazione di precarietà, di incertezza perché questa gente da oltre cinque mesi ormai convive quasi quotidianamente con le scosse più o meno intense del terremoto. dunque questo influisce sullo stato d’animo. C’è una stanchezza interiore, ma nello stesso tempo una grande forza.

D. - Per le chiese distrutte, cosa si potrà fare?

R. - Bisognerà fare una seria riflessione con tutti gli enti coinvolti per vedere come, dove, se ricostruire, con quali criteri, tenendo conto non solo della dimensione artistica e storica, ma anche di quella vitale, cioè quali sono le comunità vive. Non possiamo fare delle cattedrali nel deserto, ricostruire per il gusto di ricostruire. Dobbiamo fissare delle priorità e tentare  di portare avanti un discorso che sia efficace, immediato e che produca dei frutti visibili.

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E' morto don Giuseppe, malato di Sla: il Papa lo aveva salutato a Guidonia

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E' moro ieri pomeriggio don Giuseppe Berardino, 50 anni, viceparroco di Santa Maria a Setteville di Guidonia, la parrocchia romana visitata lo scorso 15 gennaio da Papa Francesco che nell’occasione aveva voluto per prima cosa incontrare personalmente il sacerdote, colpito da una grave forma di Sla. Don Giuseppe - ricorda il parroco  don Gino Tedoldi - ha vissuto con grande fede e serenità una malattia terribile, senza mai lamentarsi, un esempio per tutta la parrocchia. I funerali del sacerdote si svolgeranno sabato 28 gennaio alle ore 11. Ascoltiamo la testimonianza del viceparroco don Francesco Zanoni, al microfono di Sergio Centofanti

R. – Si è spento serenamente. La malattia è stata lunga: sono stati due anni molto duri in cui questa malattia, in maniera così violenta, lo ha chiuso in maniera completa in se stesso. Sapete, la Sla … non so se esista una malattia peggiore di essa, però lui aveva detto che voleva andare fino in fondo e ha accettato questa croce sempre, senza lamentarsi, chiaramente fino a quando aveva possibilità di esprimersi; però l'ultima cosa che ci ha detto, quando poteva ancora parlare, è stata questa: “Voglio andare fino in fondo”.

D. – Che ricordo avete dell’incontro con il Papa?

R. – L’incontro con il Santo Padre è stato un vero sigillo di questi due anni di sofferenza, un regalo del Signore, una grazia, una festa per tutti, per don Giuseppe per primo. Il Santo Padre, infatti, per prima cosa è venuto nella camera di don Giuseppe e lì si è chinato sul suo orecchio e gli ha sussurrato delle frasi che hanno commosso noi tutti che eravamo con lui. Gli ha detto: “Giuseppe, sono il tuo vescovo. Sono venuto per dirti che il Signore ti è molto, molto vicino”. Poi lo ha accarezzato e gli ha dato l’unzione degli infermi con il rito più breve, ma in maniera molto sentita. A noi che eravamo presenti è sembrato di vivere un evento, un onore particolare, grandissimo. La cosa più importante della visita del Santo Padre è stata questa sua immensa paternità che ha dimostrato nei confronti di don Giuseppe. L’essenza del ministero episcopale, cioè ricordarci che Cristo ci è vicino: anche sulla croce più dura, Cristo è vicino. Quindi è stata una consolazione, un sigillo, una conferma, un conforto per tutti.

D. – Don Giuseppe era immobilizzato da circa due anni: tutta la parrocchia lo aiutava...

R. – Sì, ci sono state molte persone che lo hanno aiutato. Don Gino, il parroco, non si è mai mosso da qui, in questi anni: non ha mai preso un giorno di vacanza. Ma poi tanti fratelli e amici si sono avvicendati attorno a lui. Noi abbiamo cercato di celebrare tutte le domeniche insieme a lui, di pregare con lui le Lodi; abbiamo visto attorno al suo letto riconciliazioni, persone che si sono perdonate, genitori che hanno accettato la croce di un figlio malato, che hanno trovato conforto … veri miracoli, attorno a quel letto …

D. – Una vera testimonianza …

R. – Sì: due anni fecondi di tante cose belle … tante persone che quando c’era qualcuno che magari era un po’ in crisi, gli dicevamo: “Vieni; vieni a celebrare la Messa davanti a don Giuseppe; stai con noi”. E questo aiutava, ha aiutato tantissimo …

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Oggi in Primo Piano



Vescovi Usa: muro a confine Messico porterà più sfruttamento e sofferenza

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Bisogna costruire ponti, non muri. Così la Conferenza episcopale degli Stati Uniti risponde alla decisione del presidente Donald J. Trump di dare via libera al completamento del muro innalzato durante la presidenza Clinton nel 1994 lungo il confine tra Usa e Messico. In una dichiarazione, il presidente della Commissione per i migranti, mons. Joe Vasquez, critica duramente la decisione e assicura che la Chiesa statunitense farà di tutto per essere vicina agli immigrati e alle loro famiglie. Il servizio di Alessandro Gisotti

La costruzione del muro al confine Usa-Messico deciso dal presidente Trump “metterà la vita degli immigranti in pericolo”, dobbiamo “costruire ponti tra le persone”, non alzare barriere. E’ quanto afferma, in una nota, mons. Joe Vasquez, vescovo di Austin, e presidente della Commissione per i migranti dell’episcopato americano. Il presule sottolinea che questo muro, inoltre, farà sì che gli immigrati, “soprattutto i più vulnerabili, donne e bambini” saranno ancora di più sfruttati da “trafficanti e contrabbandieri”. Inoltre, prosegue mons. Vasquez, la costruzione di questa barriera “destabilizzerà molte comunità che vivono pacificamente lungo il confine”.

Non si difende la sicurezza con un’escalation di detenzioni
Il responsabile dei vescovi Usa per i migranti denuncia anche la nuova politica di detenzione e deportazione degli immigrati annunciata da Donald Trump. Tali politiche, avverte, “divideranno le famiglie e alimenteranno il panico e la paura nelle comunità”. E aggiunge che non si garantisce la “sicurezza degli americani” con una escalation di detenzione degli immigrati. Queste misure, prosegue mons. Vasquez, “renderanno ancora più difficile alle persone più vulnerabili di avere accesso alla protezione nel nostro Paese”.

Politiche annunciate da Trump sconvolgono famiglie migranti
Il vescovo di Austin assicura il sostegno e la solidarietà della Chiesa statunitense a fianco dei migranti. Ogni giorno, ammonisce, “sperimentiamo il dolore di famiglie che lottano per vivere una vita che abbia una somiglianza di una normale vita familiare. Vediamo bambini traumatizzati”. Le politiche annunciate dal presidente Trump, conclude mons. Vasquez, “sconvolgono ancora di più le famiglie dei migranti”.

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Usa: vescovi plaudono a blocco del finanziamento dell'aborto

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Plauso della Conferenza episcopale degli Stati Uniti per l’approvazione, da parte della Camera, del disegno di legge che blocca il finanziamento dell’aborto. In una nota diffusa dai vescovi statunitensi sul loro sito web si legge: “Approvando tale proposta normativa, la Camera ha fatto un passo decisivo per il rispetto della vita umana nascente, riflettendo così la volontà del popolo americano”.

Disegno di legge approvato in modo bipartisan
“Il disegno di legge pro-vita, passato in modo bipartisan con 283 voti a favore e 183 contrari – si legge ancora - è stato approvato il 24 gennaio, proprio tre giorni prima della marcia per la vita che si svolge ogni anno a Washington”. Tale proposta normativa “codifica una politica permanente del governo contro i finanziamenti per l’aborto”. Essa, inoltre, richiede ai programmi sanitari offerti ai sensi della così detta “Obamacare” - ovvero la riforma sanitaria varata dall’ex presidente Barack Obama – di “rivelare l’entità della loro copertura finanziaria per l’aborto e l’ammontare di qualsiasi supplemento per tale copertura agli utenti”.

Non costringere i contribuenti a sovvenzionare l’Igv
Dal suo canto, il card. Timothy Dolan, presidente del Comitato pro-vita dei vescovi statunitensi, ha scritto al Congresso prima del voto, sollecitando il sostegno al disegno di legge in questione, poiché esso si iscrive in un contesto politico “su cui vi è stato un forte consenso del popolo e del Congresso stesso per oltre 40 anni”. “Il governo federale – afferma il porporato – non dovrebbe usare il suo potere per finanziare e promuovere l’interruzione volontaria di gravidanza e non dovrebbe costringere i contribuenti a sovvenzionare questa violenza”.

2 milioni di vite salvate grazie a restrizioni sui finanziamenti all’aborto
​D’altronde, aggiunge il card. Dolan, “l’opinione pubblica rivela costantemente che molte donne e molti americani con basso reddito si oppongono agli aborti finanziati dai contribuenti, inclusi anche molti di coloro che si definiscono pro-scelta”, ovvero in favore della libertà di decisione sull’Igv. Inoltre, conclude il porporato, “recenti analisi hanno rivelato che fino a due milioni di vite sono state salvate grazie a restrizioni sui finanziamenti federali all’aborto”. Di qui, l’auspicio di tutti i presuli affinché “il Senato degli Stati Uniti approvi questa vitale legislazione al più presto”. (A cura di Isabella Piro)

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Somalia: ancora violenze al Shabaab. Attesa per nuovo Presidente

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Non si ferma la violenza degli estremisti islamici al Shabaab in Somalia: almeno 28 le ultime vittime, mentre il Paese attende l’elezione del nuovo capo di Stato, fissata - dopo numerosi rinvii - per il prossimo 8 febbraio. Il servizio di Giada Aquilino

Una dinamica ormai tristemente consueta: un attacco con bombe e blitz armati in un hotel frequentato da politici e uomini d’affari internazionali. È successo ancora una volta a Mogadiscio: un commando di miliziani al Shabaab ha fatto esplodere un’autobomba davanti al cancello dell’albergo Dayah della capitale somala, com’era successo mesi fa pure all’hotel Nasa-Hablod o all’Ambassador. Dopo una seconda deflagrazione, gli estremisti islamici hanno fatto irruzione nell’edificio, uccidendo decine di persone, tra cui due capi tribù. A mettere fine all'attacco è stato l'intervento delle forze speciali somale. Liliana Mosca, docente di Storia dell’Africa all’università Federico II di Napoli:

“Gli attacchi agli hotel sono un po’ in linea con tutta la politica di al Shabaab che, al di là della connessione con al Qaeda, è una organizzazione terroristica molto somala, nella sua ideologia e nei suoi scopi. Oramai da tempo è lontana dai centri urbani, è ritirata nelle campagne, nelle aree rurali. Un modo per presentarsi sulla scena internazionale è dunque quello di attaccare luoghi di riunione di stranieri, di giornalisti, di turisti se ve ne sono, di organizzazioni internazionali. Un risalto alla propria attività può essere dato solo in questo modo”.

Il Paese vive una difficile transizione politica. Il prossimo 8 febbraio il Parlamento eleggerà un nuovo Presidente, dopo vari tentativi slittati dall’agosto scorso per instabilità, insicurezza, lotte intestine:

“Sono slittati per le ragioni per le quali erano falliti anche precedenti governi: per corruzione, per mancanza di soldi, erosione e poca credibilità del potere. E’ vero che queste elezioni sono state, in realtà, pagate da organizzazioni internazionali, soprattutto sponsorizzate da Stati Uniti e Regno Unito, ma purtroppo è anche vero che c’è grande violenza. E poi ci sono stati grossi ritardi”.

Ad eleggere il nuovo presidente sarà un Parlamento scelto soltanto da 14 mila elettori delegati su 12 milioni di abitanti, anche se in prospettiva, per il voto del 2020, si parla di suffragio universale:

“Bisognerebbe, innanzi tutto, fare le liste elettorali, che però sono una spesa enorme! Come si può arrivare nelle campagne, soprattutto nelle regioni dove ancora è presente al Shabaab? Questo ‘soi-disant’ governo è in fondo un governo dei centri urbani e null’altro. Quindi è difficile anche convincere la popolazione ad andare a votare. Ma poi, com’è successo nel 2011, il Paese sta nuovamente andando incontro a grande siccità, a mancanza di cibo, di acqua, di medicinali. Tutti continuano a parlarne come di un ‘failed State’, di uno Stato fallito. Il tentativo che è stato fatto di tenere queste elezioni vuole levare di dosso a Paese questa etichetta, ma sarà veramente molto difficile”.

A mancare, in questo quadro generale, è la voce delle realtà locali. Ne è convinto mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, intervistato da Sarah Bakaloglou:

“La situazione in Somalia rimane molto instabile. Penso non sia stato fatto molto a favore della popolazione somala. I vari governi di transizione – federali ed altri – di questi ultimi dieci anni hanno avuto un certo sostegno da parte della comunità internazionale, ma non tanto a livello della comunità nazionale. L’impressione è stata che i vari attori politici si siano preoccupati della loro sopravvivenza politica o economica, piuttosto che del bene della popolazione. Allora probabilmente il lavoro da fare è quello di rafforzare le realtà locali; abbiamo degli esempi come il Somaliland, il Puntland, in parte il Jubaland. Queste realtà sono più vicine alla realtà della loro popolazione e quindi bisognerebbe sviluppare questo senso dell’autorità locale che dovrebbe avere il ruolo di coordinare gli sforzi, per far rinascere un’istituzione statale, partendo quindi non tanto dall’alto, ma dalla base”.

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Mons. Galantino: elezioni non siano diversivo, aiutare le famiglie

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Non è normale che in un Paese la magistratura debba supplire alla politica; si guardino i problemi del Paese, a cominciare dalla situazione della famiglie. E’ quanto in sostanza ha detto il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, nella conferenza stampa di chiusura del Consiglio permanente conclusosi ieri. I vescovi hanno anche ribadito la loro vicinanza alle popolazioni terremotate. Alessandro Guarasci

Oltre 7 milioni sono stati stanziati per le 26 diocesi colpite dal sisma. Un esempio concreto della vicinanza della Cei alla gente colpita dal sisma, una vicinanza che si fa ancor più concreta con la presenza in quei territori di tanti religiosi.

Ma è anche l’attualità istituzionale a tenere banco. Per il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, il fatto che tra Camera e Senato ci siano due leggi elettorali diverse, significa che è dovuta intervenire la magistratura perché “la politica non ha fatto il suo mestiere”, e questo “non è normale”. L’alternativa sono le elezioni?

“Le elezioni, in qualsiasi momento avvengono, devono però essere il modo concreto attraverso il quale i nostri rappresentanti dicono: 'Se questi sono i problemi, noi vogliamo provare a risolverli', quindi non a rimandarli ancora, perché molto spesso rimandare le elezioni significa anche rimandare i problemi per non sentirsi pressati dai problemi. I problemi sono tali in questo momento che non possiamo permetterci il lusso di continuare a fare finta che non esistono”.

Le famiglie d’altronde attendono risposte, manca una politica di contrasto alle povertà, mentre si trovano 20 miliardi per le banche. Ancora mons. Galantino:

“Ma ci rendiamo conto che continuare a ritardare una serenità, una vita serena delle famiglie significa ritardare le condizioni perché questo nostro Paese cominci ad essere un po’ più pacificato e non stia in balia del primo populista che si alza? Il populismo non si combatte facendo altro populismo”.

Inoltre, il segretario generale della Cei esprime preoccupazione per una possibile legge sul fine vita:

“Una legge che riguarda l’eutanasia, che riguardi questo ambito particolare, la dichiarazione di fine vita, una legge che attribuisce tutto il potere all’autodeterminazione della persona, evidentemente non può essere accettata. Una legge che smonta quella sorta di alleanza tra paziente, medico e famigliari finisce per essere soltanto il trionfo, ancora una volta, dell’individualismo su questa realtà.

Infine i vescovi si esprimono su quegli episodi di infedeltà al proprio ministero di alcuni presbiteri, definendoli uno “scandalo”, “motivo di dolore” che comunque “non fanno venir meno la stima e l’ammirazione per il presbiterio nel suo complesso”.

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Legge su adozioni gay. Gandolfini: non violare diritti bambini

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Si è svolta oggi a Roma la cerimonia di apertura dell'anno giudiziario. Il primo presidente della Cassazione Giovanni Canzio, tra le altre cose, ha sottolineato che la Suprema Corte, in tema di adozioni gay, "non può e non intende sottrarsi al dovere di apprestare tutela ai diritti fondamentali della persona", seguendo il "criterio guida dell'interesse preminente del minore", ma "demandare in via esclusiva alla giurisdizione" la soluzione di questioni su scelte etico-sociali "non è la via preferibile". Serve, invece - ha detto - "una chiara ed esplicita volontà legislativa". Su questa affermazione ascoltiamo il presidente del Comitato "Difendiamo i nostri figli", Massimo Gandolfini, al microfono di Giulia Angelucci: 

R. – L’affermazione di Giovanni Canzio deve essere letta dentro un contesto di chiarezza e di oggettività. Innanzitutto in Italia c’è già una legge chiarissima, la quale dispone che le adozioni spettano soltanto alle coppie eterosessuali, regolarmente sposate e che eccezioni particolari riguardano bambini che hanno perso sia il padre che la madre. Secondo punto: di fatto il parlamento ha anche implicitamente confermato questa norma, perché nel passaggio sulla legge riguardo le unioni civili, stralciando la Stepchild Adoption, ha praticamente negato la possibilità dell’adozione del figlio del genitore biologico. Infine, proprio alcuni giorni fa, la Corte europea, rigettando il ricorso Paradisi contro il governo italiano, ha ribadito il concetto che il diritto del bambino è quello di avere un padre ed una madre. Quindi bisogna esser molto chiari. Il parlamento, eventualmente, dovrebbe prendere in mano questo argomento e casomai stravolgerlo, ma fino a quel momento – che speriamo non accada mai – la legge sulle adozioni, la regolamentazione delle adozioni, è ben chiara.

D. - Finora cosa ha voluto dire un’assenza di legge in questa materia?

R. - Bisogna appunto veder cosa si vuole dire con “assenza di legge”. Se per “assenza di legge” si dice che in Italia non c’è una legge che prevede le adozioni da parte di coppie omogenitoriali è un altro discorso, ma è chiaro che se si affronta questo tema si va a stravolgere completamente l’istituto giuridico dell’adozione come è normato dalle legge 184 del 1983. Non è vero che non esiste una legge che regolamenta le adozioni; questa legge c’è, è buona, è dettagliata, è precisa, eventualmente può essere modificata in piccoli dettagli. Contemporaneamente è vero – ed auspichiamo che non avvenga mai - che il parlamento possa legiferare in favore di adozioni da parte di coppie gay dove viene gravemente violato il diritto del bambino ad aver un padre ed una madre. Un bambino deve avere il suo papà, la sua mamma. L’idea che abbia due padri o due madri è una grave violazione di questo suo diritto.

D. – Il Comitato “Difendiamo i nostri figli” oggi, per ragioni istituzionali, ha rinviato una manifestazione davanti alla Cassazione a sabato prossimo. Cosa si richiede su questo tema?

R. – In questo flash mob che volevamo fare ma che per questioni di delicatezza soprattutto nei confronti del presidente della Repubblica abbiamo trovato più opportuno rimandare, volevamo sostanzialmente ribadire che siamo fermamente contro l’apertura del regime di adozione per coppie omogenitoriali. Questi temi riguardanti l’adozione di coppie omogentoriali, che sono temi di una delicatezza antropologica marcatissima, dovrebbero essere affidati non a una sezione della Corte di Cassazione, ma alle cosiddette “sezioni riunite”, perché è possibile un dibattito maggiore, un dialogo maggiore e naturalmente poi, all’esterno, c’è anche un’autorevolezza maggiore. Cioè, la sentenza che esce non è legata a una delle sezioni ma alla consultazione di tutte le “sezioni riunite”.

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Migranti: preoccupazione per l'accordo Unione Europea-Libia

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L'Unione Europea continuerà a chiedere una equa divisone dei rifugiati. E' questa la risposta della Commissione europea all'annuncio del presidente Trump che gli Stati Uniti bloccheranno l'accoglienza dei rifugiati, siriani compresi. Intanto però l'Ue deve fare i conti anche al proprio interno con il mancato ricollocamento dei migranti arrivati in Grecia e Italia. Francesca Sabatinelli

Spero che si facciano passi avanti in solidarietà: il Commissario europeo Avramopoulos, oggi a Malta per la riunione informale dei ministri degli interni Ue, ha così chiesto ai Paesi dell’Unione che si sblocchi la questione del ricollocamento dei migranti. Dal 2015, da quando cioè vi fu l’accordo per la divisione delle 160mila persone arrivate in Grecia e in Italia, soltanto 11mila sono state reinsediate in 21 Stati e il piano scadrà il prossimo settembre. Mancano, intanto, pochi giorni alla riunione dei capi di Stato e di governo a Malta il prossimo 3 febbraio, in cui si dovranno discutere le modalità per gestire la rotta del Mediterraneo centrale. In agenda:  la necessità di ridurre il numero delle traversate per salvare vite umane, così come l’urgenza di intensificare la lotta contro scafisti e trafficanti. In realtà non sono poche le preoccupazioni di organizzazioni come il Centro Astalli,  per le quali l’unica proposta politica dell’Unione è quella di trovare un accordo con la Libia per bloccare i flussi e chiudere le frontiere. Lo scandalo denunciato è che ”pur di non salvare vite umane, pur di non attivare canali umanitari per chi fugge da guerre e persecuzioni, pur di non investire in politiche di accoglienza e integrazione si fanno accordi scandalosi con governi non democratici”. L’avvocato Angela Maria Bitonti, del Foro di Matera, esperta di immigrazione e di protezione internazionale:

R. – L’Unione Europea sta facendo molti passi indietro e molto repentinamente, negli ultimi mesi e soprattutto negli ultimi giorni. Sappiamo bene che il 3 febbraio si riunirà il Consiglio europeo dedicato ai flussi dei migranti nel Mediterraneo. Il Consiglio europeo, così come ha fatto presente la Mogherini, per fronteggiare il massiccio afflusso dai Paesi africani dei cosiddetti migranti economici – sottolineiamolo, perché li tiene distinti da quelli che provengono dalla Siria passando per la Turchia, per fronteggiare, quindi, questo afflusso dai Paesi africani per lo più subsahariani, via Libia, L’Ue ritiene che bisognerebbe rafforzare il controllo delle coste libiche per combattere gli scafisti e favorire i rimpatri volontari. Ebbene, io sono scettica riguardo a queste proposte dell’Unione Europea. La Libia non è un Paese stabile con cui poter prendere accordi che possano favorire la pace nel Mediterraneo.

D. – Quella dei canali umanitari è una soluzione che è stata invocata, perché l’Unione europea non vuole attivarli?

R. – Per una sorta di diffidenza e lo si capisce subito: i muri si alzano quando c’è diffidenza, c’è paura. Ma questa non è assolutamente la soluzione! Tutta questa gente che arriva e fa richiesta di asilo politico, è tutta gente – noi lo vediamo ogni giorno – che fugge non solo dalle guerre, come può essere quella in Siria, ma anche dalle persecuzioni. Mi riferisco alle violenze, alle violazioni di diritti umani che non sono così eclatanti come le bombe che scoppiano, ma che producono morte, producono violenze per queste persone. Quindi noi dovremmo incominciare, più che ad alzare muri, a parlare di diritti. L’Europa, il mondo occidentale, in questo momento di massicci afflussi non può esimersi dal porsi il problema del perché questa gente parta e limitarsi a trovare una soluzione veloce con la chiusura delle frontiere. Soprattutto con la Libia. La maggior parte delle violenze che questa gente subisce, le subisce in Libia! Gli uomini vengono incarcerati, le donne raccontano, tutte, di essere state violentate  in Libia. E come si fa – io mi chiedo – a fare un accordo con la Libia? Quindi, occorre aprire canali umanitari immediatamente e poi gli accordi – a mio modo di vedere – dovrebbero farsi con i Paesi interessati da cui partono queste persone, cercando di intervenire per eliminare i conflitti, migliorando le condizioni di vita di queste persone nei loro Paesi, intervenendo sulla tutela dei diritti nei loro Paesi.

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Giovane volontaria cattolica polacca uccisa in Bolivia

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Una giovane volontaria cattolica polacca è stata uccisa nella missione della città di Cochabamba, nella Bolivia centrale. La notizia è stata confermata da fonti della polizia. La ragazza, Helena Kmiec di 25 anni, è stata ritrovata senza vita nei locali della Congregazione dei Servi della Madre di Dio, nella quale prestava il suo servizio, con numerose ferite di arma da taglio. Le autorità hanno arrestato due persone, sospettate di aver aggredito la giovane con l’obiettivo di rapinarla o violentarla e di averla poi uccisa.

Al servizio della missione della Chiesa
Helena aveva da poco terminato gli studi in ingegneria. Molto attiva nella Chiesa, aveva partecipato a iniziative di evangelizzazione nelle stazioni ferroviarie, aveva avuto un ruolo nella preparazione della Giornata Mondiale della Gioventù nella sua città, per poi dedicarsi ai gruppi di volontariato in Africa. Solo pochi giorni fa, l’8 gennaio, era partita per Cochabamba come volontaria nella Missione dei Padri Salvatoriani. Il suo compito era quello di aiutare le Suore Ancelle dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria nella gestione del nuovo orfanotrofio.

Su questa drammatica vicenda sentiamo mons. Krzysztof Białasik Wawrowska, vescovo di Oruro, in Bolivia: 

Questa è una triste notizia, e non comprendiamo perché è accaduto. Preghiamo perché l’anima della volontaria trovi pace, e perché mai più si ripeta una cosa simile. Le ragazze erano arrivate da soli dieci giorni; nessuno ancora le conosceva: stavano appena incominciando a prendere contatto con la realtà del Paese. Io vivo qui da ormai 32 anni; la Bolivia è sempre stato considerato come il Paese più tranquillo della regione, anche se negli ultimi dieci anni questa  situazione ha iniziato a cambiare. Spesso abbiamo parlato di questo, ricercandone le cause: cosa è successo in Bolivia, per cui adesso ci sono più aggressioni armate, furti, e per un cellulare si arriva a uccidere? E’ qualcosa di inaudito, di cui finora non si sentiva parlare.

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Messico. Vescovi contro aumento del carburante: colpisce i poveri

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Milioni di messicani vivono in condizioni precarie a causa della scarsa sicurezza nel Paese e delle tensioni sociali nate dalle difficoltà economiche. È quanto denuncia la Conferenza episcopale messicana (Cem), in un documento pubblicato nei giorni scorsi sull’attuale situazione economica in Messico. All’attenzione dei vescovi in particolare il piano del Governo di Enrique Peña Nieto che dal 1° gennaio, ha introdotto aumenti al prezzo del carburante del 20% circa per rendere il settore più concorrenziale.  Una decisione impopolare che ha scatenato proteste in tutto il Paese

Un provvedimento evitabile che penalizza soprattutto i meno abbienti
“Abbiamo iniziato un anno pieno di sfide e avversità — si legge nel testo diffuso dall'agenzia Sir — tra le quali senza dubbio il cosiddetto ‘gazolinazo’”, un provvedimento che “acutizza la situazione precaria nella quale vivono milioni di messicani”. La richiesta, rivolta soprattutto alle istituzioni, è dunque “di guardare alle comunità, alle città e ai quartieri e di lasciarsi interpellare da ogni famiglia e persona che soffre, non solo per l’aumento del carburante, ma per la povertà che cresce da decenni, per la corruzione che permane e per la continua dipendenza dalle decisioni dei mercati internazionali”. Secondo i presuli, l’aumento del prezzo del carburante non era inevitabile in quanto “si potevano ridurre le imposte sul carburante per bilanciare l’aumento del prezzo del greggio”. Inoltre - sostengono i presuli - i sussidi per la benzina non hanno raggiunto i meno abbienti: “C’è da chiedersi: viviamo veramente in uno Stato povero e carente di risorse oppure in uno Stato dove si ripetono casi di corruzione dei quali sono protagonisti personaggi che continuano a lasciare vuote le casse degli enti a livello comunale, regionale e federale?”.

Occorrono misure per uno sviluppo economico più equo
Nel documento si fanno poi precise proposte per uno sviluppo economico più equo: dalla valorizzazione dell’economia locale alla formazione per il lavoro, all’incentivo alle cooperative, a una maggiore solidarietà. Inoltre, i presuli invitano tutti, “specialmente i cristiani, a impegnarsi e partecipare come cittadini, a sentire il bisogno di entrare in dialogo con i diversi attori sociali”. In ogni caso, precisano i vescovi, va condannato “ogni atto che viene esercitato con la violenza, anche perché danneggia la libertà di espressione di coloro che invece cercano cambiamenti effettivi”. (L.Z.)

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Cina: per il capodanno lunare opere di carità delle comunità cattoliche

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L’augurio di Papa Francesco ai popoli che si preparano a celebrare il capodanno lunare, perché le famiglie “diventino sempre di più una scuola in cui si impara a rispettare l’altro, a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo disinteressato”, espresso dopo l’Angelus di domenica scorsa, rispecchia il particolare impegno pastorale delle comunità cattoliche cinesi continentali in questo periodo. Come tutti gli anni in vista del capodanno, in ogni parrocchia e comunità il cammino della carità, della condivisione, della misericordia e dell’attenzione verso le fasce più deboli è particolarmente intenso.

L'aiuto a famiglie povere cattoliche e non
Secondo le informazioni raccolte dall’agenzia Fides, il 19 e il 20 gennaio alcuni sacerdoti di Pechino, insieme ai volontari di Jinde Charities, hanno visitato decine di famiglie povere delle zone di montagna della città di Cheng De, nella provincia di He Bei, dove hanno amministrato i sacramenti e consegnato doni tradizionali di questa festa. Nella parrocchia di Bo Xing della diocesi di Zhou Cun, nella provincia di Shan Dong, il Gruppo dell’Agape ha portato farina, olio, coperte e soprattutto il sostegno della loro preghiera a una ventina di famiglie povere, cattoliche e non. In ogni famiglia cattolica la visita è cominciata con la preghiera e si è conclusa con la recita del rosario. Le famiglie non cattoliche rimangono stupite e impressionate da questa attenzione particolare verso di loro, segno di altruismo e di quella gioia cristiana che scaturisce dall’amore per i fratelli.

Rapporto della Caritas cinese
​Jinde Charities, l’ente caritativo cattolico cinese con la storia più lunga nel Paese, ha pubblicato in questi giorni il rapporto sulle sue attività del 2016, da cui si apprende che “in tutto l’anno sono stati spesi 14,5 milioni di Yuan (equivalenti a più di 2 milioni di euro) su un totale di 16 milioni di Yuan (equivalenti a 2,3 milioni di euro) raccolti. I principali progetti sostenuti hanno riguardato gli aiuti per i disastri naturali, borse di studio, anziani, zone e famiglie povere”. (N.Z.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 26

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.