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Sommario del 23/01/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: mafia e terrorismo, cultura di morte opposta al Vangelo

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Il fenomeno mafioso, “da osteggiare e da combattere”, è “espressione di una cultura di morte”, che “si oppone radicalmente alla fede e al Vangelo”. Così il Papa rivolto ai 40 membri della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, ricevuti stamane in Vaticano. Non vi scoraggiate, continuate a lottare contro la corruzione e la violenza, li ha sollecitati, sottolineando che il denaro insanguinato dei delitti mafiosi produce “un potere iniquo”. Il servizio di Roberta Gisotti

Lottare contro mafia, camorra e ‘ndrangheta, che “sfruttando carenze economiche, sociali e politiche, trovano un terreno fertile per realizzare i loro deplorevoli progetti”, e lottare contro il terrorismo “sempre più cosmopolita e devastante”. Un’attività certo “difficile e rischiosa” - ha sottolineato Francesco - “quanto mai indispensabile per il riscatto e la liberazione dal potere delle associazioni criminali, che si rendono responsabili di violenze e sopraffazioni macchiate da sangue umano”.

“La società ha bisogno di essere risanata dalla corruzione, dalle estorsioni, dal traffico illecito di stupefacenti e di armi, dalla tratta di esseri umani, tra cui tanti bambini, ridotti in schiavitù. Sono autentiche piaghe sociali e, al tempo stesso, sfide globali che la collettività internazionale è chiamata ad affrontare con determinazione”.

Da qui l’importanza di collaborare fra gli Stati:

“Tale lavoro, realizzato in sinergia e con mezzi efficaci, costituisce un argine efficace e un presidio di sicurezza per la collettività”.

Poi una  raccomandazione particolare :

“Vi esorto a dedicare ogni sforzo specialmente nel contrasto della tratta di persone e del contrabbando dei migranti: questi sono reati gravissimi che colpiscono i più deboli fra i deboli!”

Per questo, ha aggiunto Francesco, occorre tutelare meglio le vittime, “in cerca di pace e di futuro”, offrendo loro “assistenza legale e sociale”

“Quanti fuggono dai propri Paesi a causa della guerra, delle violenze e delle persecuzioni hanno diritto di trovare adeguata accoglienza e idonea protezione nei Paesi che si definiscono civili”.

Ma accanto alla “preziosa opera di repressione” del crimine – ha osservato il Papa – “occorrono interventi educativi di ampio respiro”, da parte di “famiglie, scuole, comunità cristiane, realtà sportive e culturali”, “chiamate a favorire una coscienza di moralità e di legalità orientata a modelli di vita onesti, pacifici e solidali che a poco a poco vincano il male e spianino la strada al bene.

“Si tratta di partire dalle coscienze, per risanare i propositi, le scelte, gli atteggiamenti dei singoli, così che il tessuto sociale si apra alla speranza di un mondo migliore”.

Quindi “osteggiare e combattere” il fenomeno mafioso, “espressione di una cultura di morte.”

“Esso si oppone radicalmente alla fede e al Vangelo, che sono sempre per la vita. Quanti seguono Cristo hanno pensieri di pace, di fraternità, di giustizia, di accoglienza e di perdono”.

Il pensiero del Papa è corso all’”encomiabile lavoro sul territorio” di tante parrocchie e associazioni cattoliche, per estirpare “dalla radice la mala pianta della criminalità organizzata e della corruzione” e alla vicinanza della Chiesa a quanti “hanno bisogno di aiuto per “uscire dalla spirale della violenza e rigenerarsi nella speranza”.

Francesco ha quindi rassicurato gli uomini e le donne della Direziona nazionale antimafia e anterrorismo:

“Vi sono tanto vicino, nel vostro lavoro, e prego per voi".

Ha chiesto poi a Dio di dare loro “la forza di andar avanti, di non scoraggiarsi” nel loro lavoro, a rischio della vita e di altri pericoli anche per loro famiglie.

“Per questo esso richiede un supplemento di passione, di senso del dovere e di forza d’animo”.

Infine l’invocazione perché uomini e donne delle diverse mafie “si fermino, smettano di fare il male, si convertano e cambino vita”.

“Il denaro degli affari sporchi e dei delitti mafiosi è denaro insanguinato e produce un potere iniquo. E tutti sappiamo che il diavolo entra dalle tasche: è lì, la prima corruzione”.

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Papa: meraviglia del sacerdozio di Cristo, lasciamoci perdonare da Dio

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Le grandi meraviglie del sacerdozio di Cristo che ha offerto se stesso, una volta per sempre, per il perdono dei peccati, adesso intercede per noi davanti al Padre e tornerà per portarci con Lui. Sono le tre tappe del sacerdozio di Cristo messe in risalto dal Papa nell'odierna omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. Francesco avverte però che c’è “l’imperdonabile bestemmia”: quella contro lo Spirito Santo. Il servizio di Debora Donnini

Il sacerdozio di Cristo è al centro dell’omelia di Papa Francesco. Una riflessione che scaturisce dalla Prima Lettura di oggi, tratta dalla Lettera agli Ebrei, che parla di Cristo Mediatore dell’Alleanza che Dio fa con gli uomini. Gesù è il Sommo Sacerdote. E il sacerdozio di Cristo è la grande meraviglia, la più grande meraviglia che ci fa cantare un canto nuovo al Signore, come dice il Salmo responsoriale.

Le tre tappe del sacerdozio di Cristo: offre se stesso, intercede per noi, tornerà per portarci con il Padre
Il sacerdozio di Cristo si svolge in tre momenti, sottolinea Papa Francesco. Il primo è la Redenzione: mentre i sacerdoti dell’Antica Alleanza dovevano ogni anno offrire sacrifici, “Cristo offrì se stesso, una volta per sempre, per il perdono dei peccati”. Con questa meraviglia, “ci ha portato al Padre”, “ha ricreato l’armonia della creazione”, rileva il Papa. La seconda meraviglia è quella che il Signore fa adesso, cioè pregare per noi. “Mentre noi preghiamo qui, Lui prega per noi”, “per ognuno di noi”, sottolinea Francesco: “adesso, vivo, davanti al Padre, intercede”, perché la fede non venga meno. Quante volte infatti si chiede ai sacerdoti di pregare perché “sappiamo - nota il Papa - che la preghiera del sacerdote ha una certa forza, proprio nel sacrificio della Messa”. La terza meraviglia sarà quando Cristo tornerà, ma questa terza volta non sarà in rapporto col peccato, sarà per “fare il Regno definitivo”, quando ci porterà tutti con il Padre:

“C’è questa grande meraviglia, questo sacerdozio di Gesù in tre tappe - quella in cui perdona i peccati, una volta, per sempre; quella in cui intercede adesso per noi; e quella che succederà quando Lui tornerà - ma anche c’è il contrario, ‘l’imperdonabile bestemmia’. E’ duro sentire Gesù dire queste cose, ma Lui lo dice e se Lui lo dice è vero. ‘In verità Io vi dico tutto sarà perdonato ai figli degli uomini - e noi sappiamo che il Signore perdona tutto se noi apriamo un po’ il cuore. Tutto! – i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno – anche le bestemmie saranno perdonate! – ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno’”.

"L'imperdonabile bestemmia": quella contro lo Spirito Santo, non lasciarsi perdonare
Per spiegare questo, il Papa fa riferimento alla grande unzione sacerdotale di Gesù: l’ha fatta lo Spirito Santo nel grembo di Maria, afferma, e i sacerdoti , nella cerimonia di ordinazione, sono unti con l’olio:

“Anche Gesù come Sommo Sacerdote ha ricevuto questa unzione. E qual è stata la prima unzione? La carne di Maria con l’opera dello Spirito Santo. E quello che bestemmia su questo, bestemmia sul fondamento dell’amore di Dio, che è la redenzione, la ri-creazione; bestemmia sul sacerdozio di Cristo. ‘Ma che cattivo il Signore non perdona?’ – ‘No! Il Signore perdona tutto! Ma chi dice queste cose è chiuso al perdono. Non vuole essere perdonato! Non si lascia perdonare!’. Questo è il brutto della bestemmia contro lo Spirito Santo: non lasciarsi perdonare, perché rinnega l’unzione sacerdotale di Gesù, che ha fatto lo Spirito Santo”.

Non chiudere il cuore davanti alla meraviglia del sacerdozio di Cristo
In conclusione, il Papa torna sulle grandi meraviglie del sacerdozio di Cristo e anche “sull’imperdonabile bestemmia”, tale “non perché il Signore non voglia perdonare tutto ma perché questo è tanto chiuso che non si lascia perdonare: la bestemmia contro questa meraviglia di Gesù”:

“Oggi ci farà bene, durante la Messa, pensare che qui sull’altare si fa la memoria viva, perché Lui sarà presente lì, del primo sacerdozio di Gesù, quando offre la sua vita per noi; c’è anche la memoria viva del secondo sacerdozio, perché Lui pregherà qui; ma anche, in questa Messa - lo diremo, dopo il Padre Nostro - c’è quel terzo sacerdozio di Gesù, quando Lui tornerà e la speranza nostra della gloria. In questa Messa pensiamo a queste cose belle. E chiediamo la grazia al Signore che il nostro cuore non si chiuda mai – non si chiuda mai! – a questa meraviglia, a questa grande gratuità”.

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Tweet Papa: comunichiamo speranza e fiducia nel nostro tempo

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“Non temere, perché io sono con te – Comunichiamo speranza e fiducia nel nostro tempo! #gmcs2017”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account @Pontifex che riprende il tema del 51.mo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che si celebrerà il 28 maggio prossimo. Il Messaggio verrà pubblicato domani alle ore 12. In tale occasione, presso la Sala Stampa vaticana, mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione, dialogherà con i giornalisti Delia Gallagher (Cnn) e Pablo Ordaz (El País).

Il tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali - sottolineava una nota delle Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, lo scorso settembre – “è un invito a raccontare la storia del mondo e le storie degli uomini e delle donne, secondo la logica della ‘buona notizia’ che ricorda che Dio mai rinuncia ad essere Padre, in nessuna situazione e rispetto ad ogni uomo. Impariamo a comunicare fiducia e speranza per la storia”. (A.G.)

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Udienze

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Per le udienze del Santo Padre consultare il Bollettino della Sala Stampa .

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Rinunce nomine

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Per le rinunce e nomine consultare il Bollettino della Sala Stampa .

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Mons. Bregantini: Sinodo sui giovani darà slancio a tutta la Chiesa

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Un avvenimento che può dare un rinnovato slancio a tutta la Chiesa. A dieci giorni dalla pubblicazione del Documento preparatorio per il Sinodo dei Vescovi sui giovani, in programma il prossimo anno, mons. Giancarlo Bregantini si sofferma – ai microfoni della Radio Vaticana – sulle sfide che la gioventù pone alla Chiesa. L’arcivescovo di Campobasso-Bojano, intervistato da Alessandro Gisotti, indica tre auspici, tre punti forti per questo avvenimento fortemente voluto da Papa Francesco, in continuità con il Sinodo sulla famiglia: 

R. – Innanzitutto, spero che vengano accolte tre grandi problematiche che i giovani vivono. Un grande bisogno di paternità: bisogna recuperare la figura di San Giuseppe. Come lui si è posto con Gesù, un Gesù adolescente. Secondo: bisogna che questo Sinodo raccolga il grande problema della precarietà giovanile e quindi che non sia solo “ad interno”, i problemi riguardanti la fede, perché la fede spesso per i giovani va in crisi non avendo lavoro; che non è la disoccupazione, perché si può essere precari anche con un lavoro inadeguato. Terza cosa: che aiuti i giovani ad avere più coraggio sulle scelte vocazionali, che rilanci la bellezza di essere preti, cioè che dia alla Chiesa quello slancio, quell’entusiasmo, per poter ottenere anche una risposta adeguata sul piano vocazionale, dopo un lungo discernimento! Il primo punto chiede a noi adulti di accompagnarli; il secondo deve essere quello di Gesù, che a 30 anni lavora, anche lui nella precarietà di una bottega; il terzo elemento è l’entusiasmo: la Chiesa italiana e mondiale deve avere più slancio, più zelo, più passione, deve essere più capace di vivere la Evangelii Gaudium.

D. – Nella Lettera che il Papa ha indirizzato ai giovani di tutto il mondo, proprio in occasione della pubblicazione di questo documento, ha sottolineato che la Chiesa vuole “ascoltare i giovani”…

R. – Sì, il problema è accompagnarli, è più difficile ancora! Stare loro accanto, non farli perdere. E poi soprattutto, come nei dibattiti che già abbiamo avuto anche in diocesi, occorre che gli “anni della precarietà” non siano anni buttati via, ma siano anni in cui noi li aiutiamo a rileggere il Vangelo con gli occhi della precarietà. Le Beatitudini ad esempio, alla luce della precarietà, appaiono ancora più evangeliche. Allora la precarietà non è un’età persa, ma è un’età di conversione della Chiesa tutta; perché non posso accompagnare i giovani se io prete sono sistemato: io prete giovane ho già il mio stipendio e tu giovane, che lavori in una realtà precaria, non hai nulla la sera, perché non ti pagano... Ecco perché, per stare accanto ai giovani, per accompagnarli, occorre che noi adulti - noi Chiesa - ci convertiamo: loro sono per noi una santa provocazione positiva. Quindi non deve essere un Sinodo dove i giovani sono oggetto, ma dove sono “soggetto”, coinvolgendo anche noi a cambiare. I preti, ascoltando la precarietà giovanile, diventano più veri; le suore diventano più autentiche, più povere; le realtà monastiche diventano più aperte: questo è ciò che sognerei dal Sinodo!

D. – La Chiesa quanto riesce a farsi capire dai giovani, per ascoltarli e per accompagnarli? C’è anche un tema del rinnovamento del linguaggio?

R. – Certamente. Bisogna imparare da Papa Francesco. Di solito la sua forza non sta tanto in un linguaggio forbito, ma in un linguaggio vero, dove vedi che quello che lui ti dice lo ha vissuto, lo ha interiorizzato, lo ha sofferto…

D. – Lei è sempre stato molto presente nella vita dei giovani: che cosa i giovani le hanno dato? Cosa pensa che i giovani possano dare alla Chiesa?

R. – Io ho imparato molto da loro nelle scuole e questo è uno dei punti caldi che dovremmo recuperare. Preti cioè che stiano vicino alle scuole. Bisogna inventare una nuova presenza. Non potrebbe essere il cappellano scolastico? Cioè un prete che ha a cuore una grande scuola con 500 ragazzi: che li segue, dedica loro un giorno o due a settimana - la mattinata - riscopra la saggezza di don Milani: non tanto che cosa fare a scuola, ma come fare scuola. Ecco, quello secondo me è un altro degli spazi su cui lavorare. La scuola è uno spazio ancora aperto: con modalità differenti, non più come insegnanti di religione, ma come accompagnamento formativo di un prete della zona che segue una scuola.

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Il nuovo look del sito web dei Musei Vaticani

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Potenziare la conoscenza, la condivisione e la promozione delle collezioni pontificie. Questo uno degli obiettivi del nuovo sito web dei Musei Vaticani, presentato stamani in Sala Stampa della Santa Sede. Sono intervenuti Barbara Jatta, direttrice Musei Vaticani, mons. Fernando Vérgez Alzaga, segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione. Il servizio di Giada Aquilino

Un progetto condiviso, “a più voci”: questo il rinnovato sito web dei Musei Vaticani, nelle parole della direttrice Barbara Jatta. Circa 13 mila pagine, in cinque lingue, italiano, inglese, francese, spagnolo, tedesco, più di 3 mila immagini e 57 video e tour virtuali, oltre a numerosi contenuti multimediali e l’apertura del canale ufficiale YouTube: tutto disponibile all’indirizzo www.museivaticani.va. Uno sforzo di quasi tre anni, portato avanti dagli stessi “Musei del Papa”, assieme al Governatorato dello Stato della Città del Vaticano ed alla Segreteria per la Comunicazione, con l’impegno specifico dell’ufficio multimedia e sito web, assieme alla collaborazione della ‘Inarea Strategic Design’. Un portale rivoluzionato rispetto al precedente dal punto di vista editoriale e di design, semplice e assieme elegante, soprattutto facilmente accessibile da qualsiasi dispositivo e piattaforma: dal computer, al tablet, allo smartphone. Si vuole potenziare, ha annunciato Barbara Jatta, la conoscenza, la condivisione e la promozione delle collezioni pontificie, ma anche l’offerta dei servizi e dei contenuti. Tra le novità, il catalogo on line, come spiega la direttrice, da poco succeduta ad Antonio Paolucci:

“Sono stati sei mesi di intenso valore, che vanno a sommarsi a quelli precedenti, dedicati al resto della ristrutturazione del sito. Però il risultato è stato raggiunto! E’ visibile oggi, a tutti, a tutto il mondo, nella sezione specifica del catalogo online: è una vetrina importante, alla quale credo fermamente. Le opere delle principali collezioni esposte sono da oggi disponibili in rete, con schede controllate e immagini fotografiche, che permettono una fruizione in maniera completa”.

Un patrimonio immenso quello dei Musei Vaticani che si apre al futuro, grazie anche al nuovo sito. Ancora Barbara Jatta:

“Sono oltre 200 mila, se non di più, le opere dei Musei Vaticani, tra depositi ed esposizione; circa 20 mila sono le opere in esposizione. Attualmente sono quasi 4 mila quelle che siamo riusciti a inserire, ma è un ‘work in progress’. Spero nel giro di un anno di arrivare almeno a tutte le opere – alle 20 mila opere – che sono in esposizione. E poi affronteremo i depositi”.

Sulle specificità del sito, che prevede una partecipazione “attiva” del visitatore, si è soffermato mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione:

“La home page è un soglia con forte impatto negoziale per il fruitore: lì devo iniziare a negoziare il mio tempo, la mia curiosità ed eventualmente il mio investimento rispetto ad una esperienza che non ho ancora fatto. E quindi quell’esperienza mi deve venire incontro come fascinosa, pertinente e possibile”.

Una dimensione, quella del web, che permette di aprire nuovi spazi, non soltanto digitali, ha proseguito mons. Viganò:

“Nell’intervista che il Santo Padre ha rilasciato a El País, il giornalista pone la questione della diplomazia vaticana e del rapporto con la Cina: il Papa parla, appunto, di come esista un dialogo con la Cina e spiega come – per esempio – alcune opere dei Musei Vaticani andranno in esposizione a Pechino. E perché cito questo? Perché in fondo avere la Sezione “Musei nel mondo” significa anche seguire la possibilità di un sostegno all’alta diplomazia, come diplomazia del bello: l’arte come luogo del dialogo e dell’incontro”.

Lo sforzo per il nuovo sito web dei Musei Vaticani, ha aggiunto mons. Fernando Vérgez Alzaga, segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, va nella direzione di preservare, valorizzare, promuovere e condividere il patrimonio storico-artistico della Chiesa:

“Vorrei ricordare le parole di Papa Francesco: ‘I Musei siano aperti a tutti! Se il Papa ha dei musei è proprio per questo! Perché l’arte può essere un veicolo straordinario per raccontare agli uomini e alle donne di tutto il mondo, con semplicità, la buona notizia di Dio che si fa uomo per noi, perché ci vuole bene’. Attraverso questo nuovo portale, i Musei Vaticani, sono aperti ancora di più e ad un pubblico sempre più vasto e quindi la loro missione viene sicuramente amplificata”.

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Oggi in Primo Piano



Dal Kazakhstan speranze di pace per la Siria

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Le speranze di pace per la Siria si spostano da oggi in Kazakhstan. Nella capitale Astana sono iniziati i colloqui tra le opposizioni e il governo di Damasco. Le trattative sono mediate da Russia e Iran, che sostengono i lealisti, e dalla Turchia, che sostiene i ribelli. Sulle possibilità che quest’iniziativa diplomatica giunga a buon fine, Antonella Palermo ha intervistato Lorenzo Trombetta, corrispondente dell’Ansa a Beirut: 

R. – L’incontro di Astana è un incontro prettamente tra delegazioni militari. A sedere intorno al tavolo esponenti anche politici; ma dietro di loro, o accanto a loro, leader militari delle varie fazioni che si combattono in Siria,  e che sono sostenute da vari attori regionali e internazionali. L’obiettivo principale, e forse l’unico, è quello di mettersi d’accordo sulle linee del cessate-il-fuoco; e questo è comunque un aspetto importante, con delle ripercussioni politiche, ma che ha delle prospettive a breve-medio termine. L’impianto dei vari colloqui che sono stati tentati a Ginevra era invece basato sull’idea che si dovessero affrontare prima i principali nodi politici – ovvero chi governerà Damasco – e quindi da qui, a cascata, si sarebbe risolto anche l’aspetto militare. L’approccio russo è invece un approccio di tipo militare: affrontiamo la questione militare, prendiamo tempo, e comunque Assad, che è il principale personaggio sostenuto dai russi, rimane saldamente al potere.

D. – Come inciderà l’assenza americana?

R. – Incide come ha già inciso l’assenza americana, di fatto da parecchi mesi, nello scenario diplomatico. Da quando è arrivato alla Segreteria di Stato John Kerry, Obama e la Casa Bianca hanno comunque smesso di avere un proprio ruolo. In qualche modo hanno lasciato sempre più esplicitamente la mano alla Russia, definendola rivale, ma di fatto un vero e proprio partner. E la conferenza di Astana, che segue la presa di Aleppo Est proprio da parte dei russi, degli iraniani e delle forze governative, è l’apice della forza diplomatica militare russa e dei suoi vari alleati, ma anche in qualche modo dell’assenza politica e militare degli Stati Uniti in Medio Oriente.

D. – Quanto sei fiducioso e cosa ci sarà però da aggiungere a questi stessi colloqui?

R. – Sono più ottimista di tutta una serie di approcci che in qualche modo venivano calati dall’alto. Ci saranno ovviamente dei segnali di fallimento; ma mettere intorno al tavolo dei leader militari delle varie fazioni che si combattono sul terreno non è un’impresa facile, e comunque i russi, i turchi e gli iraniani ce l’hanno fatta: già questo è un segnale di ottimismo. Per la normalizzazione in Siria, ovviamente, ci vorrà molto molto tempo – molti anni – però, se sul terreno si comincia per esempio a sparare di meno, e le comunità siriane cominciano a tornare a una normalità locale, non a livello globale e nazionale, questi sono comunque dei passi avanti propedeutici a una normalizzazione a livello nazionale. Ma comunque per questo ci vorranno davvero anni.

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Regno Unito e Israele, primi interlocutori di Trump in politica estera

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Dall’immigrazione all’energia passando per importanti rapporti diplomatici: il Presidente degli Stati Uniti Trump ha iniziato la  prima settimana di lavoro con la volontà espressa di moltiplicare decreti e iniziative per dare seguito agli slogan elettorali. Tra i primi passi di politica estera, l’incontro a breve con il premier britannico May e la telefonata con il leader israeliano Netanyahu. Perché e cosa  si sta concretizzando? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Giampiero Gramaglia consigliere dell’Istituto Affari internazionali: 

R. – Nei confronti della Gran Bretagna, mi sembra il tentativo di procurarsi un cavallo di troia per il dialogo con l’Europa, perché Trump vuole rapporti bilaterali e quindi la Gran Bretagna diventa un po’ un test di quelle che potranno essere le condizioni offerte ai singoli Paesi europei se si lasceranno tentare da questo approccio. Per quanto riguarda Israele, qui è una partita vinta in partenza: Netanyahu e Obama avevano rapporti ai minimi termini e contestualmente peggioreranno probabilmente i rapporti tra gli Usa e i palestinesi e una buona fetta del mondo arabo. Ma questo mi sembra preoccupare di meno Trump.

D. – Sulla Gran Bretagna c’è qualcuno che parla di un nuovo “asse” come ai tempi di Reagan e della Thatcher: si profila questo?

R. – Si può profilare nelle intenzioni. Che però quest’asse abbia la stessa consistenza di quello che ebbe l’asse tra Reagan e la Thacher è da vedere; e poi a me sembra ovvio che una Gran Bretagna fuori dall’Unione abbia sull’Unione una capacità di incidenza molto minore di quella che aveva la Gran Bretagna della Thatcher, che infastidiva terribilmente i partner dell’Ue, ma stava dentro l’Ue. E anche la Nato necessita ovviamente di una forte integrazione di sicurezza e di difesa tra gli Stati Uniti e l’Europa nel suo complesso.

D. – E invece riguardo Israele, in questa fantomatica telefonata tra i due leader, pare non essere stata toccata la questione ambasciata da spostare a Gerusalemme e poi l’altra questione importante: gli insediamenti su cui Netanyahu prende tempo. Segni di cautela, di realismo, dopo la fiammata delle dichiarazioni della campagna elettorale?

R. – Per quanto riguarda gli insediamenti, credo che sia un segno di cautela e anche di rispetto per non presentarsi a Trump avendo già creato i presupposti per una fiammata di tensione nell’area. L’ambasciata è un altro discorso che numerosi Presidenti degli Stati Uniti hanno fatto in campagna elettorale, e poi le cose sono rimaste come sono. Quindi, Trump potrà anche farlo ma forse qualcuno lo ha indotto a riflettere: non farebbe altro che aumentare le tensioni tra palestinesi e israeliani, ma anche le tensioni e le pulsioni del mondo arabo contro gli Stati Uniti.

D. – Gramaglia, nelle primissime decisioni di Trump c’è anche la rinegoziazione del Trattato di libero scambio sia con il Canada che con il Messico, anche qui in senso di protezione un po’ dei lavoratori americani. Ma nello stesso tempo proprio ieri, sul sito della Casa Bianca, molte fonti di stampa dicono sia stata rimossa la versione in spagnolo: che ne pensa? È realistico un atteggiamento del genere? A che cosa porterà?

R. – Gli Stati Uniti possono, se vogliono, denunciare l’accordo: possono cioè uscire dall’accordo e non riconoscerlo. E allora libertà per tutti, ciascuno fa come vuole. Però, se di accordo si tratta, l’accordo va rinegoziato a tre con l’assenso di tutti e tre: non è una decisione unilaterale degli Stati Uniti. Per quanto riguarda invece la questione dell’immigrazione, lì Donald Trump, sul suo territorio, può costruire tutti i muri che vuole. Non ho assolutamente idea di come possa pensare di farlo pagare al Messico, e i messicani non hanno sinceramente idea di perché lo debbano pagare loro.

D. – Non ci sarà dunque uno scontro a fine mese in questo vertice, in questo colloquio con Peña Nieto, secondo lei?

R. – Non abbiamo ancora le misure di quello che è l’atteggiamento negoziale del Presidente Trump. Potrebbe anche trovare un premier Trudeau e un Presidente Peña Nieto che non sono d’accordo con lui e glielo dicano.

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In Abruzzo emergenza maltempo; al Rigopiano si scava ancora

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Proseguono senza sosta le operazioni di soccorso nei pressi dell’Hotel Rigopiano, in Abruzzo, dopo la valanga di mercoledì scorso. Il bilancio per ora è fermo a 6 morti, 11 superstiti recuperati e 23 persone ancora disperse. Intanto su tutta la regione perseverano il maltempo e l’emergenza neve; c’è paura per il bacino di Campotosto, dove si teme l’effetto Vajont. Il servizio di Roberta Barbi: 

Le condizioni sono proibitive eppure i soccorritori non mollano, alla ricerca di altre vite umane. Piove, in Abruzzo, e ai 1200 metri di quota dell’Hotel Rigopiano la pioggia diventa neve, eppure si lavora per realizzare trincee e intervenire, così, ai lati della valanga e si scava, per precauzione, a mano, con le pale, utilizzando sonde, perché non è consigliabile utilizzare altri mezzi, come ci spiega Salvatore Costantini, coordinatore delle guide in Abruzzo per l’Aigae, Associazione guide ambientali ed escursionistiche:

“Stanno scavando con le pale, perché non è possibile scavare con mezzi meccanici, altrimenti si potrebbero provocare ulteriori crolli alla struttura. Il problema è che se gli enti locali avessero più risorse, potrebbero mantenere più e meglio pulite le strade e tante cose probabilmente non si verificherebbero”.

A questo si aggiunge un nuovo rischio slavina, che pur essendosi abbassato da 4 a 3, resta alto. Ma l’emergenza non riguarda solo il Rigopiano, come racconta ancora Costantini:

“Le temperature si sono alzate, la neve è diventata sempre più pesante e quindi adesso i rischi sono grandi. Ci sono anche altre località: come ad esempio Lama dei Peligni, in provincia di Chieti, dove alcuni abitati della frazione sono stati ormai evacuati; così come nella località del Gran Sasso, sul versante aquilano, vicino a Castel del Monte, c’è un paese che si chiama Villa Santa Lucia e anche lì c’è il rischio valanga. La neve ora comincia a scivolare dai tetti e i centri storici hanno tutti vicoletti stretti e quindi c’è il rischio che cadano giù masse enormi di neve e quando cade la neve porta con sé le tegole”.

In tutto l’Abruzzo la situazione è pesante: migliaia di persone sono senza energia elettrica, ci sono frazioni isolate, treni bloccati e viabilità sconvolta. Accanto alla popolazione anche la Chiesa, come racconta don Marco Pagniello, direttore di Caritas Pescara:

“Abbiamo creato una rete di contatti non solo con i parroci – loro sono i primi ad essere sul territorio che ci fanno un po’ da sentinelle, che ci segnalano le situazioni e le emergenze. L’emergenza ci vede impegnati soprattutto per i più poveri, per cercare di essere vicini a loro non semplicemente offrendo un letto, ma anche amicizia, ma anche solidarietà, ma anche fraternità”. 

Sorvegliato speciale, in queste ore, il bacino di Campotosto, il secondo più grande d’Europa con tre dighe, una delle quali sorgerebbe sopra una faglia parzialmente attivata dalle scosse di mercoledì. Gli esperti temono che con un distacco dalla montagna si possa creare un effetto simile a quello che avvenne nel Vajont nel 1963. Un piccolo sorriso,oggi, lo strappa la notizia che i bambini sopravvissuti al Rigopiano stanno bene tanto da essere dimessi. Nei loro racconti, come in quelli degli altri sopravvissuti, c’è un vento freddo, poi una bomba e suppellettili che volano dappertutto. Ci vorrà molto tempo per riprendersi da un’esperienza di questo tipo come conclude don Marco:

“C’è tanto lavoro da fare per sanare, per dare senso a ciò che è accaduto. E questo noi spiritualmente sappiamo che solo il Signore può aiutarci a dare senso ad alcune situazioni, come quelle vissute”.

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Opus Dei al voto per eleggere il nuovo Prelato

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Con una Messa celebrata questa mattina a Roma, è entrata nel vivo l’elezione del nuovo Prelato dell’Opus Dei. Al voto, che inizia oggi pomeriggio, partecipano 194 fedeli della Prelatura: sacerdoti e laici  nominati tra i fedeli delle diverse nazioni in cui l’Opera svolge il  proprio lavoro pastorale. Una volta eletto, il nuovo Prelato dovrà ricevere la nomina dal Papa e diventerà il terzo successore di san Josemaría Escrivá  e sostituirà nella carica mons. Javier Echevarría, deceduto a Roma lo scorso 12 dicembre. Federico Piana ne ha parlato con don Carlo De Marchi, vicario della Prelatura dell'Opus Dei per Roma e l'Italia centro-sud: 

R. – Sì, l’Opus Dei – in due parole – è una parte della Chiesa che aiuta persone normali, fedeli comuni a cercare Dio nella vita quotidiana, nel lavoro, nella famiglia… E aiuta all’interno della Chiesa, in ogni realtà locale, offrendo formazione, offrendo aiuto, sostegno. E’ quello di cui tanti fedeli - soprattutto laici - hanno un grande bisogno. Ecco, l’Opus Dei è nella Chiesa un cammino che aiuta a cercare e a trovare Dio nella vita quotidiana. Questo in due parole…

D. – Veniamo al congresso per eleggere il Prelato dell’Opus Dei. Con quale spirito si è aperto?

R. – Direi che lo spirito è quello di questo momento della Chiesa. Intanto, come sempre in questo tipo di momenti, appunto, della vita della Chiesa, c’è una grande apertura a quello che lo Spirito Santo vuole dire attraverso questo momento ecclesiale. Lo spirito credo sia quello di questo momento: si è appena chiuso un Sinodo sulla famiglia e si sta iniziando la preparazione di un Sinodo sui giovani e la fede, io vengo sicuramente con questa sensibilità anche ai lavori del congresso e quindi con una grande apertura a come aiutare i fedeli della Chiesa - soprattutto i laici, ma anche i sacerdoti – a vivere questa attenzione prioritaria alla famiglia e ai giovani. Penso che questi siano grandi temi… Però ripeto che lo spirito è quello di ascolto. Si tratta anche di una riunione internazionale: ci sono persone veramente di tanti Paesi del mondo, di tante culture. E’ importante ascoltare anche quello che succede – come Papa Francesco dice sempre – nelle periferie, perché “a volte il mondo si capisce molto meglio se è visto dalle periferie”, dice sempre il Papa. Credo che sarà anche un’esperienza anche di questo, di ascolto delle periferie, cercando di portare al centro la sensibilità anche a chi viene da lontano.

D. – In che modo viene scelto il Prelato?

R. – Sostanzialmente attraverso una elezione, che viene fatta tra alcuni candidati, che sono sacerdoti. Viene fatta prima una proposta da un gruppo di donne del Consiglio dell’Assessorato Centrale – e cioè il governo internazionale della Prelatura – che propongono alcuni nomi, che vengono poi – tra questi o anche altri – votati e viene quindi eletto un candidato, che poi viene presentato al Papa, che lo può nominare appunto Prelato dell’Opus Dei: perché viene nominato dal Papa il Prelato.

D. – Andiamo a capire un po’ cosa sia il Prelato nell’Opera e che ruolo svolge?

R. – E’ un ruolo di governo, ma soprattutto di paternità. Come sempre nella Chiesa: è come un vescovo in ogni chiesa locale. La paternità di Dio si manifesta nella Chiesa attraverso le persone. Il Prelato, prima ancora che capo del governo di questa parte della Chiesa, è una figura di pastore, di pastore che ascolta; di pastore che deve essere capace di ascoltare, di venire incontro e di parlare anche un poco le diverse lingue – al di là del discorso proprio linguistico – e le diverse sensibilità che ci sono nel mondo, perché poi la Chiesa si incarna in ogni cultura: quindi come pastore della Chiesa deve poter fare questo e, tra l’altro, rivolgendosi a persone e aiutando persone che sono i fedeli della Prelatura dell’Opus Dei, uomini e donne, molto radicati nel mondo - quindi sono genitori, professionisti, maestri di scuola, operai, contadini, professori universitari, solo per dire un elenco di possibili professioni – e che sono tutti molto radicati in ogni cultura. Ecco, il pastore della Prelatura dell’Opus Dei, il Prelato, che poi le persone chiamano “padre”, deve essere proprio questo: un padre, una guida, un sostegno, anzitutto con l’affetto e con la preghiera.

D. – Che rapporto esiste tra i fedeli dell’Opera e il Prelato?

R. – Un rapporto di affetto. Io credo che questa sia una realtà che, anche dopo il Concilio, è sempre più chiara nella Chiesa: un tecnico, un teologo la chiamerebbe “ecclesiologia di comunione” . La Chiesa è una famiglia, la Chiesa non è una istituzioni burocratica: è una famiglia e lo è a tutti i livelli, in tutte le realtà in cui si manifesta ed esiste la Chiesa. Il rapporto con il Prelato è un rapporto familiare, così come io credo che lo sia in ogni realtà ecclesiale: il vescovo nella sua diocesi, il parroco nella sua parrocchia… Ma a tutti i livelli è sempre così e deve essere così, credo. Lo stiamo vedendo con Papa Francesco: Papa Francesco sicuramente sta dando l’orientamento anche alla Chiesa, un orientamento totalmente lanciato verso l’evangelizzazione,; ma lo fa perché manifesta affetto, perché tutti vedono la sua paternità. Io credo che nella Prelatura dell’Opus Dei, come in ogni realtà della Chiesa, con la grazia di Dio, si deve verificare questo: una presenza cioè dell’affetto paterno di Dio, che si vede nei pastori.

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Iraq. Sako: dall'islam segnali positivi contro estremismo religioso

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L'attesa sconfitta dei miliziani jihadisti e delle loro campagne di terrore fornisce l'occasione per un effettivo cambio di passo nella politica irachena, che miri a costruire uno Stato democratico fondato sul principio di cittadinanza. Per raggiungere tale obiettivo sarà necessario avviare un processo di “riconciliazione nazionale” sul modello di quello realizzato in Sudafrica, quando è venuto meno il sistema dell’Apartheid. Ma nella comunità musulmana si registrano “segnali positivi” della volontà di emanciparsi dai condizionamenti dell'estremismo. Così il Patriarca caldeo Louis Raphael I Sako ha delineato la cruciale fase storica attraversata dall'Iraq, nell'intervento da lui svolto al convegno sulla difesa della libertà religiosa, organizzato sabato 21 gennaio a Baghdad dalla Massarat Foundation.

Segnali positivi da autorità e istituzioni islamiche
Tra i più recenti “segnali positivi” provenienti da autorità civili musulmane e istituzioni islamiche - riferisce l'agenzia Fides - il Primate della Chiesa caldea ha elencato una dichiarazione dell’autorità locale di Najaf, in cui si invitavano i musulmani a partecipare alla letizia dei cristiani per la festa del Natale; il monitoraggio intensificato dal Ministero per gli affari e le dotazioni religiose allo scopo di individuare e contrastare i predicatori che incitano all'odio settario; e anche le misure adottate dal ministero per gli affari religiosi della Regione autonoma del Kurdistan iracheno per vietare qualsiasi discorso o espressione offensivi nei confronti delle altre comunità di fede. (G.V.)

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India: cattolici e non, in preghiera per la liberazione di p. Tom

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Nel fine settimana la Chiesa indiana ha celebrato la giornata di preghiera per la liberazione di padre Tom Uzhunnalil, il 55enne missionario salesiano originario del Kerala, rapito nel marzo scorso in Yemen. All’iniziativa hanno aderito anche personalità cristiane del Paese, come il rev. Thomas Jacob, della Chiesa di Santo Stefano (Church of North India, Cni) a Bandra, nello Stato del Maharashtra. Secondo il motto “che siano tutti uno” [Giovanni 17;21], la comunità protestante locale si è unita ai cattolici accogliendo l’invito alla preghiera dei vescovi.  “Abbiamo pregato perché padre Tom Uzhunnalil possa essere presto libero e al sicuro” ha sottolineato all'agenzia AsiaNews il rev. Thomas Jacob. “Possa Dio garantirgli la salute. Noi preghiamo - aggiunge il leader protestante - perché possa tornare a casa presto e in tutta sicurezza. Preghiamo anche per i suoi rapitori, per un cambio dei loro cuori e la loro trasformazione”. 

Nel video padre Tom chiede di aver bisogno di cure mediche
Dopo mesi di silenzio, a fine dicembre è emerso un video di padre Tom Uzhunnalil, rilanciato in rete, nel quale il sacerdote declina le proprie generalità e afferma di “aver bisogno urgente di cure mediche in ospedale”. Leggendo un testo preparato in precedenza, egli avverte che i suoi rapitori hanno cercato a più riprese di contattare il governo indiano, il Presidente e il Primo Ministro “invano” e “nulla è stato fatto” per la liberazione.  Dal 4 marzo scorso padre Tom Uzhunnalil è nelle mani del gruppo jihadista, con tutta probabilità legato allo Stato islamico, che ha assaltato una casa di riposo per malati e anziani delle missionarie della Carità ad Aden, nel sud dello Yemen. Nell’attacco sono state massacrate quattro suore di Madre Teresa e altre 12 persone, presenti all’interno della struttura.

La Giornata di preghiera indetta dalla Chiesa indiana
Indetta dalla Conferenza episcopale indiana, su richiesta del presidente dei vescovi card. Baselios Cleemis, la Giornata si è tenuta il 21 e il 22 gennaio a seconda delle attività delle singole diocesi. La diocesi di Kohima, capitale dello Stato federato di Nagaland, ha celebrato ieri la giornata di preghiera. In una nota p. Thomas Toretkiu, segretario del vescovo, sottolinea che la Chiesa indiana è “preoccupata e afflitta per la sorte di padre Tom”. Da qui l’appello al Primo Ministro, al ministro degli Esteri e alle massime autorità del governo indiano, perché facciano tutto il possibile per assicurare il rilascio di un “prete generoso e altruista”. 

L’angoscia e la preghiera” con cui si aspetta la notizia del “rilascio” del missionario
Centinaia di persone hanno aderito alla speciale preghiera, seguita da una fiaccolata, organizzata dalla cattedrale di Santa Maria a Trivandrum (Kerala) il 21 gennaio. Una iniziativa promossa in risposta all’appello lanciato dal presidente Cbci, il card Baselios Cleemis, che ha ricordato “l’angoscia e la preghiera” con cui si aspetta la notizia del “rilascio” del missionario, da oltre 10 mesi nelle mani dei suoi sequestratori. (N.C.)

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Pietro Mancinelli, per 40 anni a servizio della "voce" dei Papi

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Sono stati celebrati questa mattina, presso la Chiesa parrocchiale di San Gregorio VII a Roma, i funerali di Pietro Mancinelli, aveva 94 anni e per 40 ha prestato servizio presso la Radio Vaticana. A presiedere la Celebrazione, il card. Prosper Grech. Prima come tecnico e poi a capo del Servizio Cerimonie Pontificie, Pietro Mancinelli si è occupato della trasmissione audio delle celebrazioni e delle udienze papali, in particolare partecipando fin dall’inizio ai viaggi apostolici di Giovanni Paolo II, dentro e fuori Italia. Per un ricordo, al microfono di Debora Donnini, padre Federico Lombardi, presidente della Fondazione vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI che ha conosciuto Mancinelli come direttore della Radio Vaticana: 

“Ha incominciato nel 1949  - c’era Pio XII - e all’inizio del 1991 - quando c’era Giovanni Paolo II - è andato in pensione, ma è rimasto poi anche sempre nostro amico, disponibile a collaborare, a dare buoni pareri in base alla sua ricchissima esperienza. E’ stata una persona di grande competenza e di grande affabilità, benvoluta da tutti. Tutta la sua vita è stata dedicata a questo servizio alla Chiesa. E ci ha fatto molto piacere poter dire anche la nostra vicinanza, in questa occasione, alla moglie, Henriette Mifsud, che come segretaria della Direzione tecnica è anche lei una persona a cui vogliamo bene e che è stata vicina a Pietro, in questi ultimi anni, in particolare nell’anzianità, con un amore, con una dedizione meravigliosi”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 23

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.