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Sommario del 22/01/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa vicino a vittime sisma e maltempo: grazie a soccorritori

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Il pensiero di Papa Francesco, all’Angelus, è andato alle popolazioni dell’Italia centrale messe ancora a dura prova dal terremoto e dalle forti nevicate che stanno rallentando i soccorsi nelle zone colpite, in particolare in Abruzzo. Il servizio di Benedetta Capelli: 

Papa Francesco è vicino ai tanti “fratelli e sorelle” che “specialmente in Abruzzo, Marche e Lazio” sono stati toccati nuovamente dal sisma e dai disagi dovuti alle forti nevicate:

“Sono vicino con la preghiera e con l’affetto alle famiglie che hanno avuto vittime tra i loro cari. Incoraggio quanti sono impegnati con grande generosità nelle opere di soccorso e di assistenza; come pure le Chiese locali, che si prodigano per alleviare le sofferenze e le difficoltà. Grazie tante per questa vicinanza, per il vostro lavoro e l’aiuto concreto che portate. Grazie! E vi invito a pregare insieme la Madonna per le vittime e anche per quelli che con grande generosità si impegnano nelle opere di soccorso”.

L’Ave Maria recitata in Piazza San Pietro e le parole di vicinanza arrivano nel momento in cui ancora si continua a scavare intorno all’hotel Rigopiano, ai piedi del Gran Sasso, spazzato via da una slavina 4 giorni fa e che, secondo fonti ufficiali, avrebbe avuto il peso di 4mila tir a pieno carico. Finora sono 11 i sopravvissuti, 9 le persone messe in salvo dai soccorritori, 5 le vittime ma mancano all’appello altri 23 ospiti della struttura. Il lavoro delle forze in campo è reso più difficile dalla pioggia mista a neve ed è salito a 4 – su una scala di 5 – il rischio di valanghe. La Protezione Civile ha parlato dell’impossibilità di usare elicotteri nella zona dell’hotel, ribadendo che si sta intervenendo solo via terra. In questa corsa contro il tempo, non c’è traccia di rassegnazione tra i soccorritori. “Abbiamo visto – ha affermato Giuseppe Romano, direttore Emergenze dei Vigili del Fuoco - tanti casi di persone che sono sopravvissute anche per periodi ben più lunghi”. Intanto nel cuore di molti ci sono i 4 bambini salvati ma soprattutto Edoardo e Samuel, uniti dallo straordinario attaccamento alla vita e dal destino di essere al momento rimasti soli. Ieri il ritrovamento dei corpi dei genitori di Edoardo, originari della provincia di Pescara, ma tutti sperano che per quelli di Samuel, ora dispersi, il destino sia diverso. Al microfono di Cecilia Seppia, don Venanzio Marrone, parroco di San Massimiliano Kolbe a Penne la cui comunità è in lutto per la morte di Gabriele D’Angelo che al Rigopiano faceva il cameriere: 

R. – La mia comunità è ferita, angosciata e partecipe interiormente, perché legata a questa famiglia che è stata visitata da questo lutto. E poi, tra l’altro, erano tutti ragazzi conosciuti: si conoscevano perché svolgevano un servizio in questo albergo… Quindi un dolore che si ripercuote su tutti, per un sentimento anche di grande compassione.

D. – State vivendo il lutto come comunità per la morte di Gabriele, che a Penne era cresciuto, che aveva studiato arte e che poi si era trasferito a Farindola, in questo grande hotel del Rigopiano per fare il cameriere… Però il maltempo sta colpendo anche voi: mi diceva che la gente sostanzialmente non esce più di casa…

R. – Non è che siamo abituati a eventi tragici di questa portata. Sì, magari, alle volte, un incidente stradale…  Ma è come l’episodio si è svolto. Tenga conto che è ancor di più ingigantito da questa frana che è venuta giù da questo costone di montagna. Sarà stato per le scosse telluriche della mattinata, per le quali abbiamo veramente sofferto un grande panico… C’è una concomitanza di questi eventi che incute un certo timore… Magari in altre circostanze, se non ci fosse stato il terremoto, avremmo superato anche più agilmente la paura.

D. – Don Venanzio, i soccorritori stanno continuando a lavorare incessantemente, in condizioni davvero difficilissime e non soltanto per il maltempo. Lei li ha visti all’opera: davvero sono quegli angeli che prestano le mani a Dio, come li ha definitivi Papa Francesco…

R. – Io sono rimasto veramente ammirato dalla generosità, soprattutto dei Vigili del Fuoco, da queste forze che intervengono: gli speleologi, le Forze dell’Ordine, Carabinieri, Polizia… E’ stata veramente una grande gara! Io ho avuto modo di parlare anche con esponenti dell’Esercito: anche loro sono rimasti edificati dall’eroicità di queste persone che stanno intervenendo lì. Quando l’umanità vuole intervenire – al di là delle polemiche, al di là di tutte le cose – interviene con grande, grande generosità. Meno male che questi ragazzi sono intervenuti. Spero che ci sia un’emulazione, spero che questo educhi anche le persone a saper intervenire in altre situazioni, senza rimanere ad aspettare sempre l’intervento esterno e in modo da intervenire, con grande senso di responsabilità, in queste cose.

D. – So che lei cerca di dare conforto, di incoraggiare i suoi parrocchiani, la sua comunità, perché sono tutti spaventati. Ma immagino che un grande conforto arrivi anche dalle parole del Papa e dal fatto che Francesco segue costantemente ed è in contatto telefonico, quasi quotidiano, con i vescovi della zona…

R. – Questo è veramente un segno di Francesco, che si sente vicino anche in questi eventi. E certamente sarà di grande conforto se il Signore ci consola anche con queste esperienze e ci fa andare avanti.

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Il Papa all'Angelus: convertirsi non è cambiare abito ma abitudini

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Papa Francesco ha dedicato la catechesi dell’Angelus domenicale all’odierna pagina evangelica che racconta l’inizio della predicazione di Gesù in Galilea. Il servizio di Sergio Centofanti

La luce di Cristo si diffonde dalla periferia
La predicazione di Gesù – sottolinea Papa Francesco – inizia a Cafarnao, in Galilea, una terra abitata “in massima parte da pagani”, “geograficamente periferica” rispetto a Gerusalemme “e religiosamente impura" per "la mescolanza con quanti non appartenevano a Israele”. Dalla Galilea “non si attendevano certo grandi cose per la storia della salvezza. Invece proprio da lì", dalla periferia, si diffonde "la luce di Cristo":

“Il messaggio di Gesù ricalca quello del Battista, annunciando il «regno dei cieli». Questo regno non comporta l’instaurazione di un nuovo potere politico, ma il compimento dell’alleanza tra Dio e il suo popolo che inaugurerà una stagione di pace e di giustizia. Per stringere questo patto di alleanza con Dio, ognuno è chiamato a convertirsi, trasformando il proprio modo di pensare e di vivere. E’ importante questo: convertirsi non è soltanto cambiare il modo di vivere, ma anche il modo di pensare. E’ una trasformazione del pensiero. Non si tratta di cambiare gli abiti, ma le abitudini!”.

Gesù non aspetta la gente ma si muove per incontrarla
Ciò che differenzia Gesù da Giovanni il Battista – osserva il Papa - è lo stile e il metodo:

“Gesù sceglie di essere un profeta itinerante. Non sta ad aspettare la gente, ma si muove incontro ad essa. Gesù è sempre per la strada! Le sue prime uscite missionarie avvengono lungo il lago di Galilea, a contatto con la folla, in particolare con i pescatori. Lì Gesù non solo proclama la venuta del regno di Dio, ma cerca i compagni da associare alla sua missione di salvezza”.

Dio si rivela nella quotidianità della nostra vita
Qui incontra due coppie di fratelli: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni. Sono pescatori, stanno lavorando. Gesù li invita a seguirlo:

“La chiamata li raggiunge nel pieno della loro attività di ogni giorno: il Signore si rivela a noi non in modo straordinario o eclatante, ma nella quotidianità della nostra vita. Li dobbiamo trovare il Signore; e lì Lui si rivela, fa sentire il suo amore al nostro cuore; e lì – con questo dialogo con Lui nella quotidianità della vita – si cambia il nostro cuore. La risposta dei quattro pescatori è immediata e pronta: «Subito lasciarono le reti e lo seguirono»”.

Portare il Vangelo in tutte le periferie
Noi, cristiani di oggi – prosegue il Papa - abbiamo la gioia di proclamare e testimoniare la nostra fede perché c’è stato quel primo annuncio, “perché ci sono stati quegli uomini umili e coraggiosi che hanno risposto generosamente alla chiamata di Gesù. Sulle rive del lago, in una terra impensabile, è nata la prima comunità dei discepoli di Cristo”:

“La consapevolezza di questi inizi susciti in noi il desiderio di portare la parola, l’amore e la tenerezza di Gesù in ogni contesto, anche il più impervio e resistente. portare la Parola a tutte le periferie! Tutti gli spazi del vivere umano sono terreno in cui gettare la semente del Vangelo, affinché porti frutti di salvezza”.

Auguri alle popolazioni dell'Estremo Oriente per il capodanno lunare
Dopo la preghiera mariana, il Papa ha ricordato che nell’Estremo Oriente e in varie parti del mondo, milioni di uomini e donne si preparano a celebrare il capodanno lunare il 28 gennaio:

“Il mio cordiale saluto giunga a tutte le loro famiglie, con l’augurio che esse diventino sempre di più una scuola in cui si impara a rispettare l’altro, a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo disinteressato. Possa la gioia dell’amore propagarsi all’interno delle famiglie e da esse irradiarsi in tutta la società”.

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L'appello di Francesco: pregare sempre per l'unità dei cristiani

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All'Angelus Papa Francesco ha invitato a non smettere di pregare in questa Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani "affinché si compia il desiderio di Gesù": «Che tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Il tema di quest'anno è tratto dalle parole di San Paolo: “L’amore di Cristo ci spinge alla riconciliazione” (cfr 2 Cor 5,14). Mercoledì prossimo il Papa concluderà la Settimana con la celebrazione dei Vespri nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, a cui parteciperanno i fratelli e le sorelle delle altre Chiese e Comunità cristiane presenti a Roma. Su questo desiderio di unità, sentiamo il pastore Eric Noffke, docente di Nuovo Testamento presso la Facoltà valdese di teologia di Roma. L'intervista è di Fabio Colagrande: 

R. – Quello che rimane fermo nel cristianesimo e che ha tenuto viva la speranza per questi duemila anni è proprio l’invito di Gesù all’amore, perché l’amore va oltre le barriere che noi esseri umani creiamo e costruiamo tra noi. Per cui l’amore è veramente quell’atteggiamento col quale siamo chiamati da Dio a guardare al di là del nostro piccolo mondo, delle idee cui siamo affezionati, delle nostre storie e tradizioni e andare a cercare il nostro prossimo, e in questa Settimana in modo particolare, come fratello e sorella in Cristo nelle altre Chiese che abbiamo di fronte a noi.

D. – "L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione". Ecco, questo motto – secondo lei – si lega in quale modo alla ricorrenza di quest’anno, il quinto centenario della Riforma protestante?

R. – Assolutamente sì! Come ricordava il Papa, la Riforma non è nata per dividere ma per stimolare la cristianità a recuperare sempre, a ritornare sempre alle proprie origini. E quindi questo ritorno alle proprie origini, alle nostre origini, è il punto di partenza della riconciliazione: la nostra origine è in Cristo; Cristo ha pregato per l’unità della Chiesa e ci ha indicato il fatto che la via per il cristianesimo - per i cristiani, forse, ancora meglio - è la via dell’unità e non quella della divisione. Per cui ritornare alle origini significa ricercare con forza la riconciliazione. E speriamo non solo in questa Settimana, ma anche in ogni giorno della nostra vita di credenti.

D. – Come pastore valdese, come ha considerato il viaggio di Papa Francesco in Svezia, in occasione dei 500 anni della Riforma?

R. – Un segno di volontà di riconciliazione. E’ chiaro che questi eventi fortemente simbolici, poi, vengono anche molto attaccati da tante direzioni: c’è chi cerca sempre di vederci un secondo fine o cose del genere… lasciamoli perdere questi discorsi! Per la prima volta un Papa, dopo 500 anni dalla Riforma, è andato a parlare di riconciliazione: questo è un evento! Poi vedremo anche quali conseguenze pratica avrà, ma è indubbiamente una tappa storica. Veramente simbolicamente è molto importante.

D. – Nel mondo cattolico, alcuni si chiedono che senso abbia commemorare un evento negativo come la Riforma. Da valdese come risponde a queste critiche?

R. – Io le leggo in questo modo: nel 1500 la Chiesa si trovava a dover dare delle risposte, a dover prendere delle decisioni, perché le tensioni interne erano fortissime; e la Riforma è stata un tentativo di dare delle risposte. Adesso le risposte che ha dato la Riforma – al di là del fatto che poi il processo storico sia andato verso una divisione – sono e rimarranno sempre, secondo me, uno stimolo, per tutta la Chiesa e per tutte le Chiese, a riflettere su se stesse a non inaridirsi, a non bloccarsi, a non fossilizzarsi, a ritornare costantemente alle origini. Io credo che qualsiasi Chiesa cristiana, in qualsiasi luogo del mondo, abbia bisogno di rispondere a queste domande. La Controriforma – come viene chiamata – è stata, a sua volta, una risposta a queste domande. Ed è lì che nasce il Cattolicesimo come lo conosciamo noi oggi. Queste rimangono domande costruttive per tutte le Chiese, al di là poi delle divisioni che hanno creato, che di fatto comunque erano latenti e sarebbero, bene o male, scoppiate al di là della Riforma protestante, penso…

D. – Dopo 50 anni di dialogo ecumenico, com’è cambiato il rapporto tra mondo cattolico e mondo evangelico?

R. – E’ cambiato nel senso che ci conosciamo di più e – secondo me – la conoscenza è il punto di partenza di un dialogo costruttivo. Io ho 48 anni e se penso a quando ero ragazzino, nei confronti dei protestanti c’erano dei pregiudizi spaventosi e nei confronti dei cattolici – da parte nostra – altrettanto. Era l’eredità di secoli di conflitti, di scontri e anche di oppressioni in Italia. Adesso oggi mi sembra che questo ci sia molto di meno. In alcune zone di Italia può ancora esserci, ma mi sembra che ci sia molto meno e che ci sia una maggiore conoscenza reciproca e quindi rispetto e quindi anche ricerca di costruire ponti, di costruire amicizie.

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Papa ai Domenicani: siate artigiani di opere buone in una società liquida

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E’ il rito conclusivo del Giubileo dedicato agli 800 anni dalla nascita dei frati domenicani, la Messa che ieri sera il Papa ha celebrato nella Basilica di S. Giovanni in Laterano. Un’occasione speciale per “rendere gloria al Padre” ha detto nell'omelia Francesco “per un’ Opera che ha aiutato, uomini e donne, a non disperdersi nella superficialità mondana, ma a sentire il gusto del Vangelo diventando artigiani di opere buone”. Il servizio di Gabriella Ceraso

Una celebrazione storica, simbolica, piena di emozione quella che in qualche modo ha rievocato il 21 gennaio del 1217, quando con una Bolla pontificia proprio in Laterano dove risiedeva, Onorio III confermava definitivamente in seno alla Chiesa cattolica la nascita dell’ordine dello spagnolo San Domenico di Guzmán. Un piccolo drappello di frati, oggi una immensa famiglia che si ritrova attorno al suo Pastore e per bocca del Maestro fra Bruno Cadoré gli rinnova la propria comunione e chiede conferma nel cammino della predicazione.

Il Carnevale della mondanità è in ogni epoca
In ogni epoca, oggi, come ai tempi di S. Domenico, come duemila anni fa quando l’Apostolo Paolo scriveva al discepolo Timoteo, osserva il Papa commentando la Parola di Dio, la vita si muove “tra due scenari umani opposti”: "il carnevale della curiosità mondana” e “la glorificazione del Padre mediante le opere buone”:

“Paolo avverte Timoteo che dovrà annunciare il Vangelo in mezzo a un contesto dove la gente cerca sempre nuovi ‘maestri’, ‘favole’, dottrine diverse, ideologie. E’ il ‘carnevale’ della curiosità mondana, della seduzione. Per questo l’Apostolo istruisce il suo discepolo usando anche dei verbi forti, ‘insisti’, ‘ammonisci’, ‘rimprovera’, ‘esorta’, e poi ‘vigila’, ‘sopporta le sofferenze’”.

Oggi prevalgono relativismo e ricerca dell’effimero
Oggi, questo scenario, dice Francesco, si è molto sviluppato e globalizzato a causa della “seduzione del relativismo soggettivista”:

“La tendenza alla ricerca di novità propria dell’essere umano trova l’ambiente ideale nella società dell’apparire, nel consumo, in cui spesso si riciclano cose vecchie, ma l’importante è farle apparire come nuove, attraenti, accattivanti. Anche la verità è truccata. Ci muoviamo nella cosiddetta ‘società liquida’, senza punti fissi, scardinata, sbullonata, priva di riferimenti solidi e stabili; nella cultura dell’effimero, dell’usa-e-getta”.

Le opere buone, risposta della Chiesa alla società liquida
Ma c’è uno scenario opposto a questo “carnevale mondano”, che il Papa indica citando il Vangelo di Matteo: è la glorificazione del Padre che è nei cieli. Dalla “superficialità pseudo-festosa" si passa "alla glorificazione, che è vera festa”, aggiunge Francesco, grazie alle “opere buone di coloro che, diventando discepoli di Gesù, sono diventati ‘sale’ e ‘luce’”:

“In mezzo al ‘carnevale’ di ieri e di oggi, questa è la risposta di Gesù e della Chiesa, questo è l’appoggio solido in mezzo all’ambiente ‘liquido’: le opere buone che possiamo compiere grazie a Cristo e al suo Santo Spirito, e che fanno nascere nel cuore il ringraziamento a Dio Padre, la lode, o almeno la meraviglia e la domanda: ‘perché?’, ‘perché quella persona si comporta così?’: cioè l’inquietudine del mondo di fronte alla testimonianza del Vangelo”.

S.Domenico ha trasformato uomini e donne in artigiani di opere buone
Guai dunque, ammonisce il Papa, alla Chiesa o ad un consacrato o ad una congregazione che perda il sapore: non servirebbe più a niente. Così è stato per San Domenico che, pieno della luce e del sale di Cristo, ha “servito il Vangelo con la parola e la vita”. Rendiamo gloria al Padre per la sua opera:

“Un’opera che, con la grazia dello Spirito Santo, ha fatto sì che tanti uomini e donne siano stati aiutati a non disperdersi in mezzo al ‘carnevale’ della curiosità mondana, ma invece abbiano sentito il gusto della sana dottrina, il gusto del Vangelo, e siano diventati, a loro volta, luce e sale, artigiani di opere buone e veri fratelli e sorelle che glorificano Dio e insegnano a glorificare Dio con le buone opere della vita”.

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Papa a El País: c'è tanta santità nella Chiesa, è la rivoluzione del Vangelo

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Il quotidiano spagnolo El País ha pubblicato oggi una lunga intervista a Papa Francesco, rilasciata al giornalista Pablo Ordaz il 20 gennaio scorso. Tanti gli argomenti affrontati: da questioni personali alla situazione nel mondo e nella Chiesa. Ce ne parla Sergio Centofanti: 

La Chiesa sia vicina alla gente
Una intervista a tutto campo. Nella sua prima risposta, Francesco afferma di non essere cambiato da quando è diventato Papa: “Cambiare a 76 anni è come truccarsi”. Certo, non può fare tutto quello che vuole, però gli è rimasta quella che lui chiama l'anima “callejera”, cioè del prete di strada che vuole stare tra la gente. Ciò che lui teme per la Chiesa è proprio la lontananza dalla gente, il clericalismo che è “il male peggiore che può avere oggi la Chiesa”: un pastore anestetizzato si difende dalla realtà concreta del mondo e diventa un funzionario. “Una Chiesa che non è vicina non è Chiesa. E’ una buona Ong o una buona e pia organizzazione di gente che fa beneficenza, si riunisce per prendere il tè e fare beneficenza … però ciò che identifica la Chiesa è la vicinanza: essere fratelli vicini”. “Vicinanza è toccare, toccare nel prossimo la carne di Cristo”. Come dice il capitolo 25 del Vangelo di Matteo: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare…”.

La rivoluzione la fanno i santi
Critica il fatto che si parli “con facilità della corruzione della Curia Romana”. “C’è gente corrotta” – sottolinea – ma ci sono anche molti santi, persone “che hanno trascorso tutta la vita servendo la gente in modo anonimo”. “I veri protagonisti della storia della Chiesa sono i santi”, sono quelli che “hanno bruciato la vita perché il Vangelo fosse concreto. E questi sono quelli che ci hanno salvato: i santi”. Questa è la vera rivoluzione, quella dei santi. E i santi sono anche i padri, le madri e i nonni che lavorano ogni giorno con dignità e con la loro vita portano avanti la Chiesa. La  definisce “la classe media della santità” e  “la santità di questa gente è enorme”.

Sì alle critiche aperte e fraterne
Ad una domanda sulle reazioni dei settori tradizionalisti che vedono qualsiasi cambiamento come un tradimento della dottrina, il Papa risponde: “Non sto facendo nessuna rivoluzione. Sto solo cercando di fare andare avanti il Vangelo”. “Ma la novità del Vangelo crea stupore perché è essenzialmente scandalosa”. Afferma però di non sentirsi “incompreso”, ma “accompagnato da tutti i tipi di persone, giovani, anziani…”. “Se qualcuno non è d’accordo” – è il suo invito – “però sempre che dialoghino, che non tirino la pietra e nascondano la mano”. Questo “non è umano, è delinquenza. Tutti hanno il diritto di discutere”: la “discussione affratella molto”, non la calunnia.

Teologia della liberazione
Sulla teologia della liberazione sottolinea che “è stata una cosa positiva in America Latina. E’ stata condannata dal Vaticano la parte che ha optato per l’analisi marxista della realtà”. Il card. Ratzinger, quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, scrisse due istruzioni, una “molto chiara sull’analisi marxista” e l’altra guardando gli aspetti positivi. “La teologia della liberazione ha avuto aspetti positivi e deviazioni”.

Un’economia che uccide
Ribadisce che “stiamo vivendo nella Terza guerra mondiale a pezzi”. E ultimamente si sta parlando di una possibile guerra nucleare come se fosse un gioco di carte”. Ciò che lo preoccupa sono le diseguaglianze economiche: “che un piccolo gruppo dell’umanità detenga l’80% della ricchezza”. Significa che “al centro del sistema economico c’è il dio denaro e non l’uomo e la donna”.  Siamo in una “economia che uccide” e che crea “questa cultura dello scarto”.

Non giudicare in anticipo Trump
Sulla presidenza Trump afferma:  "Vedremo che cosa succede.  Non mi piace anticipare i fatti né giudicare le persone in anticipo (…) Vedremo ciò che farà e valuteremo. Sempre il concreto. Il cristianesimo o è concreto o non è cristianesimo”.

Nelle crisi cerchiamo un salvatore: ecco il populismo
Parla con preoccupazione del populismo riferendosi a quello europeo più che a quello latinoamericano.  Cita l'esempio del nazismo in Germania: un Paese distrutto che “cerca la sua identità” e cerca un leader che gliela restituisca.  Lo trova in Hitler che “è stato votato dal suo popolo e poi lo ha distrutto. Questo è il pericolo. In tempi di crisi non funziona il discernimento …  Cerchiamo un salvatore che ci restituisca l'identità e ci difendiamo con muri, fili spinati, con qualunque cosa, dagli altri popoli che possano privarci della identità. E ciò è molto grave. Per questo ripeto sempre: dialogate fra voi”.

Salvare, accogliere e integrare i migranti
Il Papa torna sul dramma dei profughi: "Che il Mediterraneo sia un cimitero, deve farci pensare". E rende omaggio all'Italia, che nonostante tutti i problemi del terremoto continua ad accogliere i migranti. Sono uomini, donne e bambini che fuggono dalla fame e dalla guerra. Prima di tutto – afferma – bisogna salvarli, poi “accoglierli e integrarli". Ogni Paese – sottolinea - ha il diritto di controllare i suoi confini, però “nessun Paese ha il diritto di privare i propri cittadini del dialogo con i vicini”. Ricorda l’impegno della Chiesa, spesso silenzioso, nell’accoglienza degli immigrati.

Costruire ponti non muri
La diplomazia vaticana – spiega – costruisce ponti, non muri, è mediatrice non intermediaria, nel senso che i suoi interventi per promuovere la pace e la giustizia non sono per i suoi interessi ma a vantaggio dei popoli.

Il ruolo della donna: no al maschilismo in gonnella
Ricorda il dramma della schiavitù delle donne, sfruttate sessualmente. E poi parla del ruolo della donna che va valorizzato nella Chiesa. “La Chiesa – ribadisce - è femminile”: non si tratta di una “rivendicazione funzionale” perché si rischierebbe di creare “un maschilismo in gonnella”. Si tratta invece di fare molto di più perché la donna “possa dare alla Chiesa la originalità del suo essere e del suo pensiero”.

Benedetto XVI: ha una grande memoria
Rispondendo a una domanda sulla salute di Benedetto XVI dice che “il problema sono le gambe”. Cammina con un sostegno. Ma ha “una memoria da elefante, perfino nei dettagli".

Non vedo la Tv dal 1990
Confessa di non guardare la Tv da oltre 25 anni: "Semplicemente – dice - perché in un certo momento ho sentito che me lo chiedeva Dio. Ho fatto questa promessa il 16 luglio del 1990 e non mi manca".

Dio non mi ha tolto il buon umore
Il giornalista conclude dicendo di vederlo contento di essere Papa. E Francesco risponde: “Il Signore è buono e non mi ha tolto il buon umore”.

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Oggi in Primo Piano



Appello vescovi Usa: mantenere copertura assistenza sanitaria

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Prima dell’abolizione della legge è necessario fornire un’alternativa al piano sanitario in vigore perché milioni di statunitensi possano continuare ad avere accesso all’assistenza sanitaria. Questo in sostanza l’appello dei vescovi statunitensi al Congresso, dove in questi giorni è in discussione l’abrogazione e sostituzione del “Affordable Care Act”, il piano sanitario introdotto dal governo dell’ex-presidente Barack Obama, conosciuto come l’Obamacare. Il neopresidente Trump, come suo primo atto ha firmato un decreto per tagliare i costi della riforma sanitaria di Obama.

Conservare gli importanti passi in avanti compiuti in tema sanitario
In una lettera indirizzata ai membri della Camera dei deputati e del Senato, il presidente della Commissione  episcopale di giustizia e sviluppo umano, mons. Frank J. Dewane, vescovo di Venice, rivolge un appello a tutti i parlamentari affinché “lavorino insieme per proteggere gli americani più vulnerabili e conservare gli importanti passi in avanti compiuti in tema di copertura e accesso alle cure sanitarie”. Il presule ricorda che la Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti è stata fortemente critica nei confronti dell’Obamacare, perché ha ampliato il ruolo del governo nel finanziamento e la facilitazione dell'aborto e perché non ha dato accesso all'assistenza sanitaria per gli immigrati, e nonostante ciò ha sempre condiviso l’obbiettivo generale della legge Affordable Care Act. “Riconosciamo che la legge –afferma il presule - ha apportato importanti miglioramenti di copertura e vanno salvaguardati”.

Approvare piano sanitario sostitutivo prima di abolire legge in vigore
Mons. Dewane annuncia che nei prossimi giorni i vescovi esamineranno le proposte sulla sanità con grande attenzione e da tutti i punti di vista. “Ma vogliamo sottolineare già da adesso – afferma il presule - che un’abolizione dei punti fondamentali dell’Affordable Care Act non dovrà avvenire senza la contemporanea approvazione di un piano sostitutivo che assicuri l’accesso a cure sanitarie adeguate per quei milioni di cittadini che ora fanno affidamento su questo strumento per la tutela della loro salute”. Altrimenti, afferma mons. Dewane, tante persone saranno costrette ad utilizzare le loro risorse limitate per soddisfare esigenze essenziali come il cibo o l’alloggio piuttosto che garantirsi un’assistenza sanitaria. E questo – osserva -  potrebbe portare ad una “grande incertezza che in questo momento risulterebbe particolarmente devastante”. 

L’assistenza sanitaria deve essere universale  e non un lusso
La lettera del presidente della  Commissione di giustizia e sviluppo umano ricorda che tutte le persone dovrebbero avere accesso ad una assistenza sanitaria di qualità. “Non dobbiamo vedere assistenza sanitaria come un lusso – afferma mons. Dewane- ma come la piattaforma necessaria per aiutare gli individui e le famiglie a prosperare e contribuire al bene comune della società e della nazione”. La Conferenza episcopale crede che la riforma sanitaria dovrebbe essere veramente universale e sostenibile, ed è convinta della “possibilità di perseguirla - conclude il testo - in una modalità che includa la protezione della vita, della libertà di coscienza e degli immigrati”. (A cura di Alina Tufani)

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Siria: ad Astana i colloqui di pace tra governativi e ribelli

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Si apre nel segno dell’incertezza, domani ad Astana, in Kazakhstan, la conferenza internazionale sulla Siria promossa da Russia e Iran, alleati di Damasco, e la Turchia, schierata invece con la maggior parte degli insorti. Per l’Onu, che guarda già ai negoziati dell’8 febbraio a Ginevra, si tratta di un “passo importante” ma le posizioni e le richieste delle due parti restano distanti.

E' dunque un faccia a faccia atteso da anni ma pieno di insidie dove nessuno dei partecipanti nasconde le difficoltà dei colloqui di Astana, in calendario nella tregua sottoscritta tra le parti grazie alla mediazione di Russia e Turchia. Nutrita la delegazione del presidente siriano Assad guidata da un negoziatore esperto come Bashar al Jaafari; ampia anche la rappresentanza dei ribelli ma non saranno presenti i vertici dell’Alto comitato per i negoziati, un ombrello delle opposizioni che in passato aveva partecipato ai colloqui Onu a Ginevra. Ovviamente assenti i jihadisti dell'Is e gli ex qaedisti di quello che era Fronte al-Nusra.

I lavori dovrebbero protrarsi per due giorni. Distanze si registrano sui temi in discussione: Assad vorrebbe solo consolidare il cessate il fuoco mentre le opposizioni guarderebbero ad una soluzione della crisi con la sua uscita di scena, posizione che anche l’alleato turco definisce “irrealistica”. Ad Astana ci sarà l'inviato speciale dell'Onu per la Siria Staffan de Mistura, per gli Stati Uniti che hanno declinato l'invito a partecipare sarà presente solo l'ambasciatore Usa in Kazakistan. Non ci saranno Arabia Saudita e Qatar, fino ad ora principali sostenitori di diversi gruppi di insorti. (B.C.)

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Israele: via libera a nuove costruzioni a Gerusalemme Est

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Via libera alla costruzione di 566 unità abitative in tre quartieri di Gerusalemme Est. La decisione della municipalità arriva a due giorni dall’insediamento negli Stati Uniti del presidente Donald Trump. I permessi erano stati sospesi su richiesta del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, dopo la risoluzione di condanna del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e fino al termine dell’amministrazione Obama, fortemente contraria alle nuove costruzioni.

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, dopo la vittoria di Trump c'è stata un'accelerazione nei piani e nei progetti che sono stati presentati alla municipalità per ogni tipo di costruzioni al di fuori delle frontiere del 1967. In questo modo, mentre nel 2014 sono stati approvati 775 abitazioni nelle colonie della parte occupata della città, nel 2015 le autorizzazioni sono scese a 395. Nel 2016, sono tornate a salire di nuovo fino a 1.506, ma più di mille -secondo il quotidiano - hanno superato il processo di approvazione proprio dopo novembre.

La destra nazionalista considera l'elezione di Trump come il 'disco verde' per rilanciare la colonizzazione del territorio palestinese e, ad appena due giorni
dall'insediamento, cresce il pressing per approvare ogni tipo di progetti e annessioni.

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Onu: avviare in Libia negoziati senza ingerenze esterne

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In Libia non c’è alcuna rivendicazione per l’autobomba esplosa ieri sera a Tripoli, nelle vicinanze dell’ambasciata italiana, appena riaperta dopo la chiusura di tre anni fa a causa dei disordini nel Paese. Nell’azione due persone sono rimaste uccise. Dall’Egitto ieri è giunto l’appello a fermare la violenza da parte dell'inviato dell'Onu per la crisi libica, Martin Kobler. Ma mentre nel Paese continuano scontri e attentati, oggi a Tunisi è prevista una nuova riunione del Dialogo politico libico. Massimiliano Menichetti ha intervistato Pietro Batacchi direttore di Rivista Italiana Difesa: 

R. – I problemi di stabilità della Libia rimangono la frammentazione, la diffusa instabilità e soprattutto la distribuzione del potere tra i diversi attori. Molto spesso si sente parlare di una Libia divisa in tre governi; in realtà sono in qualche misura ostaggio dei veri attori forti nel Paese, ovvero i poteri criminali e le tribù, da cui nascono una serie di milizie che sono – appunto – i veri padroni del Paese.

D. - Dagli incontri a livello internazionale, ma anche locali, per la Libia si ribadisce la necessità di combattere il terrorismo, l’immigrazione illegale e il traffico d’armi. È possibile in questo contesto?

R. - È molto difficile perché sul terreno mancano referenti forti e credibili. C’è un Consiglio presidenziale riconosciuto dall’Onu e dalla Comunità internazionale, quello di Serraj, che però ha un problema di fondo: non riesce a controllare la capitale del Paese, Tripoli. Dall’altra parte, in Cirenaica c’è un altro governo, quello di al-Tinni, dove c’è l’uomo forte, rappresentato dal generale Haftar, che serve e segue interessi specifici. Per cui, in un contesto del genere, diventa difficile programmare politiche di lungo periodo, politiche che siano efficaci, politiche che siano in grado di contrastare questi fenomeni.

D. - L’Egitto torna a giocare un ruolo di primo piano anche sulla crisi libica. Il generale Haftar al Cairo ha incontrato il capo di Stato maggiore. Nel frattempo al Serraj continua a rilanciare l’idea di un Paese unito. Quanti interlocutori ci sono in Libia?

R. - In questo momento uno, nessuno e centomila. Ho la sensazione che ad un certo punto bisognerà accettare la situazione nel Paese.

D. - Mi sta dicendo che bisogna accettare che la Libia, come stato unitario, non esiste più e ragionare in termini di frammentazione?

R. – Temo di sì, purtroppo. Del resto è quanto accaduto in Somalia, dove alla fine, anche in quel caso lì, la Comunità internazionale ha accettato che ci siano più Stati,  più realtà politiche e territoriali. Oggi, in un Medio Oriente allargato, ci sono tanti, troppi Stati falliti; dalla Libia, all’Iraq, alla Siria, alla Somalia, allo Yemen, dove lo Stato come lo conosciamo noi – lo Stato nazionale – non esiste più. Esistono, invece, una serie di pezzi di Stato e situazioni di fatto sul terreno, quindi tribù, comunità religiose, poteri criminali – come nel caso della Libia, dove ci sono una serie di milizie che rispondono a poteri di natura assolutamente mafiosa e criminale - e bisogna trovare un equilibrio tra queste realtà. Un equilibrio che può essere sia di natura militare sia, in altri casi più benigni, attraverso il dialogo e la cooperazione.

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Narcotraffico: "El Chapo" in tribunale Usa

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Il narcotrafficante messicano Joaquim Guzman Loera, detto “El Chapo”, recentemente estradato negli Stati Uniti, si è dichiarato non colpevole di traffico di droga e delle altre accuse che gli sono mosse nel tribunale di Brooklyn. Dopo essere riuscito a scappare per ben due volte dalle carceri messicane, Guzman - soprannominato “El Chapo” (il basso) per la sua statura - capo del Cartello messicano di Sinaloa, deve rispondere di narcotraffico, omicidi e riciclaggio di denaro sporco in diversi Stati, tra cui California e Texas. Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti lo considera il  leader di un "impero criminale" del traffico di cocaina, marijuana,  eroina e metanfetamine, introdotte, a tonnellate, nel Paese.  La rivista 'Forbes' nel 2009 lo aveva  incluso nella sua lista degli  uomini più ricchi del mondo, con una fortuna stimata di circa 1.000 milioni di dollari.  L’estradizione verso gli Stati Uniti di “El Chapo” rappresenta un risultato importante nella lotta mondiale al narcotraffico, un mercato illegale globale il cui giro d’affari è stato calcolato in 320 milioni di dollari. Elvira Ragosta ne ha parlato con Veronica Ronchi, ricercatrice di Storia Economica ed esperta di narcotraffico: 

R. – Il Chapo Guzmán è sicuramente il narcotrafficante più conosciuto - tanto da aver avuto nel corso della sua storia diverse taglie sopra la testa - e proveniente da un sistema – quello di Sinaloa – storicamente dedito al narcotraffico, in cui è sempre stato protetto. Pertanto l’estradizione rappresenta sicuramente un dato positivo sia per il Messico, sia per gli Stati Uniti.

D. – Quanto è grande il peso dei narcotrafficanti messicani nel traffico internazionale di droga?

R. – E’ assolutamente determinante per quanto riguarda la cocaina e le metanfetamine. Si tratta di un mercato in fortissima espansione a partire dall’89, quando si spaccano i vari cartelli della droga e si crea una struttura multiforme che consente, però, al Messico di diventare sempre più ibrido dopo la chiusura del corridoio caraibico, che ha impedito ad altri sistemi sudamericani di essere dominanti del mercato, permettendo al Messico di far transitare fondamentalmente tutta la droga. I narcotrafficanti si sono fondamentalmente arricchiti perché all’interno del sistema messicano si facevano pagare in merce e non più in dollari e di conseguenza hanno cominciato a dettare poi il prezzo sui mercati internazionali.

D. – Quali sono gli altri Stati nella geografia del narcotraffico?

R. – L’America Latina la fa da padrona! Abbiamo un sistema che è prevalentemente quello colombiano, prevalentemente andino, che produce la foglia di coca e poi la pasta di coca, che viene poi lavorata in altri sistemi; fino a giungere in Messico, dove il mercato della lavorazione è il più ampio in assoluto. Mentre, invece, per gli oppiaci è fondamentalmente l’Afghanistan, la Turchia e altri sistemi…

D. – Il problema del narcotraffico è strettamente collegato alle attività criminali. A che punto è la lotta mondiale a questo fenomeno?

R. – E’ una lotta direi purtroppo ferma: nel senso che si sono tentati – a partire dal ’71, quindi dall’amministrazione Nixon – negli Stati Uniti una serie di procedimenti che si sono imposti e la lotta alla droga come principale scopo. In realtà finché il consumatore finale non verrà punito – e questo non capita nemmeno negli Stati Uniti né chiaramente nei nostri sistemi – sicuramente questo mercato rimarrà stabile, come si evince dai dati degli ultimi anni. Pertanto la lotta al narcotraffico – dal mio punto di vista – deve essere una lotta soprattutto culturale all’interno di quei Paesi in cui il narcotraffico è una voce importante del Pil, come appunto il Messico; ma si deve anche penetrare nei sistemi consumatori, come quelli occidentali, come quello statunitense, in cui evidentemente - nonostante gli sforzi fatti anche dall’ultima amministrazione Obama e parliamo di un miliardo di dollari spesi in questo sistema – ci rendiamo conto che, anche dalle dichiarazioni dello stesso Obama, il sistema è fondamentalmente fallimentare.

D. – Altre gravissime conseguenze sono poi quelle sociali, legate alla produzione e al commercio illegale della droga: lo sfruttamento di essere umani, anche l’utilizzo di bambini in questi processi di produzione…

R. – Certo, assolutamente! Il Messico recupera la gran parte della propria manodopera dedita al narcotraffico fra i minori: stiamo parlando di minori generalmente provenienti da famiglie estremamente povere, monogenitoriali o in cui genitori sono generalmente emigrati. Per cui si tratta di sistemi dove il welfare non esiste e in cui i bambini trovano come unica soluzione finale quella inserirsi nel sistema del narcotraffico, ovviamente con altissime probabilità di morire ammazzati…

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Gioco d'azzardo: nel 2016 crescono dell'8 per cento i proventi

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Nel 2016 la raccolta dei proventi del gioco d’azzardo è cresciuta dell’8% rispetto a un anno prima, raggiungendo la quota record di 95 miliardi. E il fenomeno coinvolge sempre di più i giovani. Di questo parlerà anche una ricerca Nomisma, che verrà presentata lunedi a Bologna. Alessandro Guarasci: 

Le entrate erariali del gioco d’azzardo ammontano a 10  miliardi di euro, ma si calcola che i costi per curare la ludopatia superino i 40 miliardi. E ora se ne occuperà anche il Servizio Sanitario Nazionale, visto che tale malattia è entrata a far parte anche dei livelli essenziali di assistenza. L’Italia continua ad essere tra i paesi in Europa dove si scommette di più. Don Armando Zappolini della campagna Mettiamoci in Gioco:

“L’unica cosa che si deve fare subito per dare un segnale, è il divieto assoluto di pubblicità, come è stato fatto anni fa per il fumo. C’è già una proposta di legge depositata da Cinque stelle e Pd insieme alla Camera sia alla Camera che al Senato. È ferma da un anno e mezzo. Potrebbe essere uno strumento efficace per impedire alle persone più deboli e meno capaci di gestirsi, di cadere in questa trappola della vincita facile, dei pochi soldi che ti sistemano la vita e della non pericolosità dell’azzardo”.

La presenza di macchinette per il gioco d’azzardo è massiccia soprattutto nelle grandi città. E Roma non fa eccezione, dice il direttore della Caritas romana, mons. Enrico Feroci:

“Sta crescendo continuamente. Si è abbassata la guardia sulla problematica e quindi non si ha la coscienza del dramma e del dolore che sta provocando alla nostra città. Ci sono i cosiddetti “distretti d’azzardo” nelle zone più affollate, dove ci sono più passaggi di persone, che continuano a crescere; questi luoghi dell’azzardo si sono insediati proprio vicino alle uscite dalle mura”.

Nella scorsa Legge di stabilità sono state introdotte misure per limitare l’invadenza dell’azzardo. In sostanza non si potranno mettere nuove slot, ma si tratta di un palliativo per don Zappolini:

“Toglieranno le slot machine dove si gioca con le monete, però aumenteranno le “Vlt” quelle dove si gioca anche con le banconote. Quindi l’effetto devastante sulle persone sarà più o meno identico. Però, sarebbe già una cosa buona, togliere dal giro, da tutti i posti, queste macchinette infernali - quindi metterle in luoghi autorizzati - e limitare l’offerta di gioco”.

La presenza di sale per l’azzardo andrebbe limitata soprattutto nei quartieri più popolosi, che oggi appunto ospitano il maggior numero di postazioni. A Roma, la maggioranza M5s in Comune ha presentato una proposta per limitare di molto l’offerta di giochi vicino a scuole, ospedali, e in tutto il I municipio. Ora si attende il via libera dell’Aula. Ma bisogna fare presto, dice mons. Feroci, perché esempi virtuosi altrove ce ne sono:

"Il sindaco di Bergamo ha chiuso i luoghi in certe fasce orarie sia la mattina sia il pomeriggio; la mattina, per evitare tutti coloro che vanno a prendere il caffè, che passano davanti al bar o che vanno a scuola e alla sera, quando terminano il lavoro e si ritrovano di nuovo lì. in quelle fasce orarie il gioco d’azzardo è diminuito".

L’importante dunque è non farsi condizionare da quell’industria che sull’azzardo continua a fare profitti

 

 

 

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Convegno ad Assisi a chiusura dei 100 anni degli scout italiani

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Si sono conclusi oggi ad Assisi con il convegno dal titolo ‘Con l’aiuto di Dio prometto sul mio onore’ i numerosi eventi celebrativi del centenario dello scoutismo cattolico. Presenti oltre trecento tra dirigenti e semplici iscritti dell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani per trarre bilanci e discutere del prossimo futuro. All'incontro è intervenuto anche il cardinale presidente della Cei Angelo Bagnasco: la fede - ha detto - è la luce vera che cambia la vita, non è un'idea o una semplice scuola di fraternità, per questo non bisogna mai togliere la dimensione soprannaturale del Vangelo. Federico Piana ne ha parlato con Marilina La Forgia e Matteo Spanò, presidenti del comitato nazionale dell’associazione: 

D. - Marilina La Forgia, ci parli delle parole scelte come titolo del vostro convegno...

R. – Sono le parole della Promessa, che tutti noi abbiamo pronunciato e che chiunque entri nel gioco dello scoutisimo pronuncia: “Prometto, con l’aiuto di Dio, sul mio onore”. In qualche modo è un voler promettere, tutti insieme questa volta: promettere sul nostro onore, un pegno ancora, per 100 anni ancora almeno…

D. – Come si è svolto questo convegno? 

R. – In un clima molto bello, molto carico, carico di spirito positivo. Abbiamo esplorato l’identità pedagogica dello scoutismo cattolico, un po’ alle radici della nostra storica. Abbiamo ripercorso le tappe più significative di questi 100 anni di esperienza di scoutismo cattolico in Italia.

D. – 300 persone hanno partecipato all'evento ...

R. – Sì, sono 300 persone: sono quadri dell’Agesci, sono i responsabili di zona di tutte le regioni di Italia, che vivono quotidianamente la realtà dell’impegno educativo nei territori.

D. – A Matteo Spanò vorrei chiedere, invece, un bilancio di questi 100 anni…

R. – Un bilancio positivo: positivo perché è fatto da uomini e donne che si sono impegnati al servizio della Chiesa, alla servizio delle nuove generazione. E’ un bilancio positivo, perché – come diciamo noi – nel far strada ci sono dei momenti anche di fatica, ma la strada ci ha portato a vette importanti, che sono quelle di contribuire – e Papa Francesco ce lo diceva nell’udienza che abbiamo avuto la grazia di avere, lo scorso anno – anche noi a rendere più bella la Chiesa, portando il nostro pezzo di contributo. E’ importante perché le realtà in Italia sono tante e in questo momento siamo tornati sopra un numero per noi importante di 180 mila associati. E questo vuol dire che c’è un bisogno effettivo di educazione; c’è necessità di ritrovarsi insieme per far dei pezzi di strada insieme. Tutti questi – secondo noi – sono elementi positivi per parlare di 100 anni ben vissuti, con tutte le fatiche e con tutte le questioni che ci possono essere in cento anni!

D. – Quale sarà il futuro?

R. – Il futuro? Il futuro non possiamo ora progettarlo in maniera puntuale e ce lo ha ricordato anche padre Federico Lombardi: a volte non dobbiamo progettare, ma saper cogliere i frutti che sono presenti nel futuro. Quello che vedo già oggi è che c’è un entusiasmo, una presenza di capi giovani, capi presenti sui territori, che vogliono contribuire a continuare questa esperienza e contribuire a partecipare e a servire la Chiesa. Questo è il primo punto. Come sarà non lo sappiamo: le sfide sono tante, il mondo cambia ed è un momento non di crisi ma di cambiamento epocale, come qualcuno ci ricorda. E noi siamo convinti, con speranza, di poter portare il nostro contributo.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 22

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.