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Sommario del 15/01/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: adottare ogni misura per proteggere i minori migranti

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“Nostri piccoli fratelli”, “esposti a tanti pericoli”. Così il Papa nel dopo Angelus ha definito i migranti minori non accompagnati. Oggi infatti si celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, dedicata al tema “Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce”. Poi Francesco ha ribadito la necessità di continuare ad annunciare Cristo, sottolineando: "Guai quando la Chiesa annuncia se stessa..., perde la bussola". Il servizio di Alessandro Guarasci: 

Cresce il numero di migranti minori non accompagnati che tentano di raggiungere l’Europa o altre terre, in cerca di un futuro migliore. Il Papa ne parla subito dopo l’Angelus ricordando le tante sofferenze che spesso questi devono patire:

“Questi nostri piccoli fratelli, specialmente se non accompagnati, sono esposti a tanti pericoli. E vi dico che ne sono tanti. È necessario adottare ogni possibile misura per garantire ai minori migranti la protezione e la difesa, come anche la loro integrazione”.

I migranti vivano serenamente nelle comunità
A piazza San Pietro, tra la folla, erano presenti anche molti esponenti di tante comunità etniche, in particolare cattoliche residenti a Roma. L’integrazione, il rispetto reciproco, il confronto tra culture sono aspetti fondamentali di tutte le società, fa capire il Papa:

“Cari amici, vi auguro di vivere serenamente nelle località che vi accolgono, rispettandone le leggi e le tradizioni e, al tempo stesso, custodendo i valori delle vostre culture di origine. L’incontro di varie culture è sempre un arricchimento per tutti!”

L'esempio di santa Francesca Saverio Cabrini
Il Papa ha quindi ringraziato l’Ufficio Migrantes della Diocesi di Roma e quanti lavorano con i migranti per accoglierli e accompagnarli nelle loro difficoltà, e incoraggiato “a proseguire in questa opera, ricordando l’esempio di santa Francesca Saverio Cabrini, patrona dei migranti, di cui quest’anno ricorre il centenario della morte. Questa Suora coraggiosa – ha detto il Pontefice - dedicò la sua vita a portare l’amore di Cristo a quanti erano lontani dalla patria e dalla famiglia. La sua testimonianza ci aiuti a prenderci cura del fratello forestiero, nel quale è presente Gesù, spesso sofferente, rifiutato e umiliato”.

La Chiesa è chiamata ad annunciare Cristo
All’Angelus, Francesco ha ricordato le parole di Giovanni il Battista che annunciava Gesù, dicendo: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”. Una scena decisiva, che "non è un aneddoto", mette in luce il Papa:

“E’ decisiva per la nostra fede; ed è decisiva anche per la missione della Chiesa. La Chiesa, in ogni tempo, è chiamata a fare quello che fece Giovanni il Battista, indicare Gesù alla gente dicendo: «Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!». Lui è l’unico Salvatore! Lui è il Signore, umile, in mezzo ai peccatori, ma è Lui, Lui: non è un altro, potente, che viene; no, no, è Lui!"

Guai quando la Chiesa annuncia se stessa
Per il Papa “queste sono le parole che noi sacerdoti ripetiamo ogni giorno, durante la Messa, quando presentiamo al popolo il pane e il vino diventati il Corpo e il Sangue di Cristo. Questo gesto liturgico rappresenta tutta la missione della Chiesa, la quale non annuncia sé stessa"

"Guai, guai quando la Chiesa annuncia se stessa; perde la bussola, non sa dove va! La Chiesa annuncia Cristo; non porta sé stessa, porta Cristo".

Infatti, Francesco sottolinea che "è Lui e solo Lui che salva il suo popolo dal peccato, lo libera e lo guida alla terra della vita e della vera libertà".

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La storia di Dhurata: in gommone in Italia a soli sette anni

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Tante sono le storie, spesso drammatiche, di questa Giornata mondiale del migrante dedicata ai minori. Noi vi proponiamo una vicenda positiva, quella che ha come protagonista Dhurata, una giovane albanese arrivata in Italia con la sua famiglia quando aveva solo sette anni, dopo un pericoloso viaggio in gommone e che oggi aiuta i rifugiati al fianco dei Gesuiti del Centro Astalli. Ascoltiamo la sua testimonianza al microfono di Marina Tomarro:  

R. – Sono arrivata in Italia all’età di 7 anni, nel ’98, insieme alla mia famiglia. I miei genitori hanno detto: “O si parte tutti insieme oppure non va nessuno…”. Perché di solito vengono prima gli uomini e poi fanno arrivare la famiglia. Abbiamo quindi deciso di partire con il gommone e siamo arrivati via mare… Il viaggio è stato molto duro! Gli scafisti avevano promesso ai miei genitori che ci avrebbero portato fino a riva… Nel gommone non eravamo soltanto noi, la nostra famiglia, ma c’erano tante persone: era pieno! E gli scafisti ci hanno preso e ci hanno buttato in mezzo al mare, minacciandoci con le armi… Ci hanno abbandonato lì e sono scappati. Noi bambini non sapevano nuotare: mio fratello aveva 5 anni… Noi siamo sopravvissuti grazie all’aiuto delle altre persone che stavano nel gommone: ci hanno preso sulle loro spalle e ci hanno portato a nuoto fino a riva…. Non è stato facile! Siamo arrivati a riva, ma non abbiamo certo trovato una casa e per giorni abbiamo dormito fuori … Poi da Lecce siamo arrivati a Roma e anche a Roma abbiamo dormito nelle baraccopoli per tanti anni, finché mia madre ha cominciato, piano piano, a lavorare prima nelle serre, poi a fare le pulizie ed è riuscita a fare un ricongiungimento familiare.

D. – Dhurata, quando vedi le immagini delle altre persone che hanno vissuto la tua esperienza, cosa pensi? Secondo te cosa si dovrebbe fare di più?

R.– Bisognerebbe aiutarli il più possibile ad integrarsi e non avere paura di loro, non giudicarli, perché siamo tutti uguali. Soprattutto siamo persone che soffrono. E non vengono a toglierci niente! Io quando sono venuta non ho tolto, anzi! E la stessa cosa vale per loro. Io mi sono presa un anno di aspettativa dal mio lavoro per lavorare adesso per il servizio civile con i rifugiati, perché fa parte della mia vita e non me ne vergogno.

D. – E cosa ti dicono loro? Cosa ti raccontano?

R. – Mi raccontano come sono venuti qua e che fanno fatica ad imparare l’italiano. Sono abbattuti perché non riescono a trovare lavoro. Allora io li rassicuro sempre e gli dico: non vi preoccupate, perché anch’io, quando sono venuta qua, ero con mia madre e anche lei aveva difficoltà a parlare l’italiano; anche lei è stata rifiutata… Bisogna solo avere pazienza e soprattutto non mollare mai!

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I minori non accompagnati a Papa: speriamo le cose cambino

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"Abbiamo la speranza che le cose possono ancora cambiare": con queste parole si chiude la lettera indirizzata al Papa  in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, da alcuni minori stranieri non accompagnati tra quelli che si trovano nelle strutture di prima accoglienza a Lampedusa e a Siracusa, o frequentano i Centri diurni di Save the Children a Roma, Milano e Torino. Lo scorso anno in Italia sono sbarcati più di 25.800 minori non accompagnati. Alessandro Guarasci ha sentito Fosca Nomis, responsabile Relazioni Istituzionali di Save the Children Italia: 

R. – Il sistema -  essendo raddoppiato sostanzialmente il numero dei minori stranieri non accompagnati arrivati in Italia rispetto all’anno scorso - sicuramente è stato messo sottopressione: è riuscito in parte a reagire, ma ci sono state grandi difficoltà nel riuscire a garantire effettivamente quell’accoglienza che sarebbe dovuta a minori stranieri non accompagnati. Si tratta di persone di minore età che arrivano da sole in Italia senza un adulto di riferimento, e che dovrebbero essere accolti da una rete di protezione che garantisca loro - da un lato – l’integrazione per coloro che decidono di rimanere in Italia e quindi proseguire il loro percorso di integrazione in Italia o  - dall’altro – di continuare  il loro viaggio verso altri Paesi, soprattutto per quei ragazzi che sono delle nazionalità prevista dalla rilocation, consentendo loro  il trasferimento sicuro dall’Italia ad altri Paesi europei. E questo riguarda principalmente gli eritrei, i siriani e i palestinesi.

D. – Quanti di questi ragazzi, poi, spariscono in Italia?

R. – I dati dell’Europol del 2015 dicono che sono scomparsi 5.000 minori stranieri nel corso dell’anno. Questo dato include sia ragazzi e ragazze scomparsi che si rendono irreperibili alle istituzioni per poter continuare quel viaggio che non vogliono che si fermi in Italia, ma che consenta loro di arrivare anche in altre città; ma anche minori che, in alcuni casi, possono finire anche nelle maglie di organizzazioni criminali vere e proprie che li sfruttano e parliamo di sfruttamento lavorativo e sfruttamento sessuale.

D. L’Italia come terra di frontiera, come confine sud dell’Europa, proiettata poi tra l’altro verso l’Africa, che cosa può fare concretamente per tutelare maggiormente questi ragazzi?

R. – La prima cosa che noi chiediamo che l’Italia faccia - e in particolare il Parlamento italiano - è di approvare un Disegno di Legge attualmente fermo al Senato, che mette insieme sostanzialmente la normative relativa all’immigrazione e quella sui diritti dell’infanzia, quindi sulla protezione, e che preveda un sistema organico e strutturato di accoglienza - dallo sbarco alla prima accoglienza, alla seconda accoglienza - e che permetta una modalità di integrazione che sia più equa ed ordinata all’interno del nostro Paese.

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Padre Sosa: un cuore umano non vede i migranti come estranei

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Accogliamo chi è costretto a fuggire senza avere paura, con il cuore aperto come i bambini: è l'invito lanciato da padre Arturo Sosa, superiore generale dei Gesuiti, in un incontro con i rifugiati e i volontari del Centro Astalli, svoltosi nella Chiesa del Gesù a Roma. L’iniziativa è stata organizzata in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Il servizio di Marina Tomarro

Sono quasi 154 mila i migranti che sono sbarcati in Italia nel 2016, la maggior parte di loro arriva da Siria, Nigeria, Somalia, costretti spesso a fuggire a causa della guerra con la speranza di trovare un futuro migliore. Ma molte volte non si vedono accolti dai Paesi dove cercano riparo. Ascoltiamo il commento di padre Arturo Sosa, superiore generale dei Gesuiti:

R. – Bisogna promuovere un movimento dei cittadini, perché queste decisioni adesso le prendono coloro che governano. Se invece si crea un vero movimento di cittadini, i quali, anch’essi, nella propria famiglia, hanno sperimentato l’esperienza della migrazione e conoscono profondamente la cultura che ha lottato per i diritti umani, allora questi cittadini possono obbligare gli Stati e i governanti ad adottare leggi e a promuovere una politica di accoglienza, basata su canali umanitari molto più efficienti rispetto a quelli che ci sono adesso. Io penso che tutti noi abbiamo un cuore umano e che se veramente riusciamo a vedere gli altri come “persone” e non come minacce o estranei, allora questa diventa una lezione molto più facile. Poi, da un punto di vista più analitico, dobbiamo dire che l’Europa ha bisogno della migrazione, che non è che l’Europa sia autosufficiente! Allora: riceviamo i migranti come un dono e non come una minaccia!

D. -  Per aiutare i migranti a scappare dalle guerre i corridoi umanitari possono essere l’unica soluzione di salvezza...

R. – Sì, i corridoi umanitari sono necessari per salvare le vite, perché quante vite umane si sono perse in queste traversate del mare, della montagna, ecc… E allora questa è una emergenza primaria. Ma ci sono anche altre cose da fare: c’è tutto il processo di integrazione che è molto più complesso, ed è a lungo termine. E bisogna anche riflettere su questo; pensare e adottare delle misure e delle politiche, investire nelle risorse umane per poterlo fare.

D. -  Grande è l’impegno dell’Italia di fronte questo dramma...

R. – Mi sembra che l’Italia, poiché ha davanti a sé i migranti ogni giorno, ha avuto forse più opportunità di trovare il volto umano di questa migrazione. Non è la stessa cosa parlare di migranti quando si ha di fronte un bambino che viene portato fuori dal mare o da una situazione difficile. E allora, in questo senso, mi sembra che l’Italia abbia avuto l’opportunità di avere un contatto umano molto più profondo. Ed è per questo che è anche più accogliente.

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Sinodo sui giovani. Baldisseri: Chiesa propone Gesù non ideologie

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Accompagnare i giovani a riconoscere e ad accogliere la chiamata all’amore e alla vita in pienezza. E’ questo uno degli obiettivi del prossimo Sinodo dei Vescovi sul tema ‘I giovani, la fede e il discernimento vocazionale’ in programma nell'ottobre del 2018. Nel documento preparatorio si analizzano le dinamiche sociali e culturali in cui i giovani crescono e prendono le proprie decisioni, i processi fondamentali del processo di discernimento, gli snodi fondamentali della pastorale giovanile vocazionale. Una sorta di “mappa - come si legge nell’introduzione del documento - che intende favorire una ricerca i cui frutti saranno disponibili solo al termine del cammino sinodale”. Federico Piana ne ha parlato con il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi: 

R. – La metodologia è questa: prima di tutto presentare la situazione, diamo uno sguardo alla realtà, ascoltiamo i giovani non solo perché parlano loro, ma perché sono situazioni concrete nella società che li riguardano. In secondo luogo noi offriamo qualcosa di concreto: la figura che noi vogliamo presentare ai giovani, come Chiesa, e che poi è il centro di tutto, è Gesù stesso. La Chiesa, quindi, non presenta un’ideologia ma presenta una persona che è Cristo Gesù e tutto quello che noi conosciamo circa la fede e la proposta. Naturalmente questa centralità viene offerta affinché il giovane faccia la sua scelta; il giovane vive nella sua storia il momento più importante: decidere quello che deve essere il progetto della propria vita. E allora ecco perché la Chiesa si interessa e parla di discernimento vocazionale. Allora i punti sono tre: a tutti i giovani del mondo - non solo quelli credenti, ma anche quelli non credenti, quelli che professano un’altra confessione religiosa o altra religione ... tutti i giovani del mondo - offriamo qualcosa, la Chiesa ha da dire loro qualcosa. Offre la fede, la persona di Gesù. Siccome parliamo ai giovani di una fascia che va dai 16 ai 29 anni, diciamo loro: “Guardate che per poter avere una vita veramente vissuta voi dovete fare delle scelte. Ecco, vi accompagniamo in questa grande scelta che voi fate”. Ecco perché parliamo di vocazione intesa nel senso più ampio della parola; non è solo la vocazione del prete o della suora, no… anche quella, ma è la vocazione, prima di tutto, alla famiglia; poi ci sono tutte le altre: volontariato, mettersi a disposizione del servizio umanitario, missionario, nel campo della scienza … Credo che questo sia molto importante perché il giovane possa avere un punto di riferimento e noi come Chiesa vogliamo essere questo.

D. - Nel documento si fa l'analisi del mondo giovanile: le difficoltà che ci sono, la multiculturalità, le varie esperienze anche di sottomissione dei giovani in molte parti del mondo, soprattutto quelle più povere, e poi si arriva ad un punto: l’appartenenza e la partecipazione. Questo punto mi ha colpito molto perché dice: i giovani non si percepiscono come una categoria svantaggiata. È un gruppo sociale da proteggere e di conseguenza come destinatari passivi di programmi pastorali o di scelte politiche. Insomma, i giovani vogliono essere protagonisti anche del cambiamento …

R. - Coinvolgere i giovani veramente, perché spesso se ne parla come di persone fragili, magari con problemi. Dobbiamo tenere presente che i giovani sono il progetto del futuro e quindi anche del presente. Dobbiamo quindi riconoscerne l’importanza e renderli protagonisti non tanto come recettori, ma anche come attori della propria vita. E allora noi, adulti, non siamo lì per imporre alcune nostre idee: noi vogliamo accompagnarli e dire loro: “Guardate che la vita è un impegno, ma è anche una bellezza, è una gioia. Vogliamo che voi capiate questa gioia che noi indirizzeremo secondo la nostra esperienza, così, con tutta tranquillità, affinché  possiate accettarla ed essere disponibili per costruire la vostra vita e il vostro futuro”. Allora avremo successo.

D. - In questa chiave di lettura il Sinodo sicuramente ascolterà i giovani proprio per dare loro la possibilità di esprimersi e di condividere un po’ quello che sarà il loro futuro. C’è un passo, in questo documento che recita:  “I vecchi approcci non funzionano più, l’esperienza trasmessa dalle generazioni precedenti diventa rapidamente obsoleta”. Quindi, bisogna trovare anche forme diverse di coinvolgimento dei giovani, cosa che sicuramente il Sinodo farà…

R: - Certamente. Infatti noi parliamo di linguaggio prima di tutto, cioè di strumenti con i quali noi possiamo accompagnare i giovani. La prima cosa da considerare è il linguaggio, cioè la maniera attraverso la quale ci esprimiamo per essere capiti. I giovani sono così rapidi nell’evolversi che spesso le persone adulte non riescono a captare; magari sono solo lì per giudicare; ecco questi vecchi approcci  noi li vogliamo in qualche modo modificare. Noi vogliamo mettere in moto un movimento nuovo che possa essere capito e possa essere anche seguito dai giovani di oggi.

D. - Eminenza, un’ultima domanda. Questo Sinodo va ad inserirsi tra l’Evangelii Gaudium e l’Esortazione apostolica post-sinodale, Amoris laetitia, dedicata alla famiglia … uno sviluppo di quanto fatto finora ...

R. - È esatto. È proprio così. L’Amoris laetitia parla di giovani per 36 volte. Già lì possiamo trovare elementi e input per poter parlare e trattare di questo tema. È chiaro, la famiglia è alla base, ne abbiamo parlato per quasi tre anni. Ora i padri sinodali tratteranno il tema dei giovani. Le dico che tra coloro che sono stati consultati per la scelta del tema, una super maggioranza ha proposto quello sui giovani. Si sentiva proprio da parte di tutti la necessità di trattare questo tema che è una continuazione del tema della famiglia. Ecco perché lo troviamo nell’Amoris laetita e poi alla base di  tutto il programma del Pontificato: l’Evangelii gaudium; lì troviamo tutte le tematiche. Questi due documenti sono fondamentali per poter comprendere anche quello che stiamo facendo: ora il documento preparatorio dà inizio a questo nuovo Sinodo; vedremo quello che succederà dopo, con il tempo, quando arriverà la data della celebrazione dell’Assemblea generale.

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Toni Servillo legge Laudato Si’. Spadaro: testo da ascoltare e meditare

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L’Enciclica di Francesco Laudato si’ diventa un audio libro grazie alla lettura integrale di un grande attore: Toni Servillo. L’idea originale è venuta ed è stata realizzata dall’editore Luca Sossella. Il cd è accompagnato da una guida alla lettura e all’ascolto del testo, scritta da padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica. Il servizio di Alessandro Gisotti

Laudato si’, mi’ Signore, cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia. Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba”. La voce inconfondibile di Toni Servillo accompagna l’ascoltatore nella conoscenza e nell’approfondimento della Laudato si’. Un modo originale di accostarsi all’Enciclica di Papa Francesco “sulla cura della casa comune” proposto dall’audio libro edito da Luca Sossella.

Un audiolibro per meditare e approfondire Laudato si’
Il cofanetto con il Cd, della durata complessiva di circa 5 ore, contiene anche una guida all’ascolto di padre Antonio Spadaro. Il direttore di Civiltà Cattolica spiega cosa si proponga con questo suo testo:

“In questa introduzione alla lettura e all’ascolto di Laudato si’ ho cercato di inserire delle note, delle chiavi di lettura, quasi una pista, una guida, come se fosse la guida a un viaggio: quindi indicando i punti fondamentali, senza sostituire la lettura e l’ascolto, e connettendo il pensiero di Papa Francesco a quello dei suoi predecessori”.

Cosa dunque può dare di nuovo alla conoscenza e comprensione della Laudato Si’ un’iniziativa come un audiolibro. Ancora padre Spadaro:

“È un’Enciclica molto ampia, che riguarda tutti gli uomini - quindi non solamente i credenti - perché pone una domanda fondamentale: che tipo di mondo dobbiamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi? Allora sono parole che, se lette ad alta voce – poi da una voce come quella di Toni Servillo – possono avere un impatto molto forte. E si comprende da questa lettura come Laudato si’ sia un testo da ascoltare, come se fosse appunto letto dalla viva voce di una persona. E poi oggi  i testi vengono ascoltati anche andando in macchina, quindi fruendone in un altro modo. Se vogliamo è un modo, un’interpretazione stessa dell’Enciclica, che può essere di grande successo per persone che vogliono anche rilassarsi, quindi approfondire o meditare ascoltando una parola”.

Con questo audiolibro, Toni Servillo porta l’Enciclica ad un pubblico nuovo
Una parola che, attraverso la lettura di Toni Servillo, raggiunge anche un pubblico nuovo per dare ancora più forza all’appello di Papa Francesco per la cura del Creato e la difesa dei più deboli:

“Dio, che ci chiama alla dedizione generosa e a dare tutto, ci offre le forze e la luce di cui abbiamo bisogno per andare avanti. Nel cuore di questo mondo rimane sempre presente il Signore della vita che ci ama tanto. Egli non ci abbandona, non ci lascia soli, perché si è unito definitivamente con la nostra terra, e il suo amore ci conduce sempre a trovare nuove strade. A Lui sia lode!”.

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Oggi in Primo Piano



Brasile. Nuova strage in 2 carceri vicine, almeno 10 morti

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Nuovo episodio di violenza in un carcere brasiliano: sono almeno 10 le vittime dell’ennesima rivolta notturna di detenuti che stavolta è avvenuta nel penitenziario di Alacacuz, nello Stato di Rio Grande del Nord, una struttura che a fronte di una capacità di 620 persone ne ospita 1083. Secondo quanto appreso, sarebbe stata coinvolta anche un’altra struttura limitrofa, la Rogerio Coutinho. I dettagli nel servizio di Roberta Barbi:   

È ancora una volta una sommossa tra bande rivali a seminare la morte nelle carceri brasiliane: nella notte, nel penitenziario di Alcacuz, Stato del Rio Grande del Nord, almeno 10 detenuti sono rimasti uccisi, tre dei quali decapitati. L’ultimo caso di violenza in questa struttura risale al novembre 2015, quando fu scoperto un tunnel scavato dai detenuti, ma dall’inizio dell’anno sono già oltre 100 le vittime di violenze nei penitenziari: l’episodio peggiore quello del 2 gennaio scorso a Manaus, capitale amazzonica, dove una rissa tra i membri delle famiglie rivali dei do Norte e dei Primeiro Comando da Capital causò una carneficina con 60 morti. Solo quattro giorni dopo, altre 33 vittime si sono verificate nel penitenziario agricolo di Monte Cristo, nello Stato di Roraima, sempre per uno scontro tra gang.

Di questo ultimo episodio non è ancora chiara la dinamica: secondo alcuni media locali, la polizia sarebbe riuscita a far tornare l’ordine all’interno della struttura; secondo altre fonti, invece, le forze dell’ordine avrebbero solo circondato il carcere e bloccato le uscite, perché i detenuti all’interno sarebbero armati. Il Brasile è il quarto Paese al mondo per popolazione carceraria con oltre 622mila detenuti a fronte di una capacità che, secondi i dati ufficiali, sarebbe di massimo 371mila.

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Libia: urgente risolvere le profonde divisioni nel Paese

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Sempre più caotica la situazione in Libia, dove al rischio di una guerra civile, si aggiunge quello dell’aumento del flusso dei migranti: ieri un barcone è naufragato a 30 miglia a nord dalle costa e solo 4 persone si sono salvate. Dal punto di vista politico, il Paese è spaccato in due fra i governi di Tripoli e Tobruk, con il quale, vorrebbero allearsi i golpisti guidati dall’ex premier Ghwell per formare un esecutivo congiunto. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Marco Di Liddo, analista del Centro Studi Internazionali:  

R. – Finché la comunità internazionale non riesce ad adottare una linea strategica univoca, le possibilità e i tentativi di pacificazione vengono affidate soprattutto all’azione dei singoli attori. In questo l’Italia prova a fare il suo ruolo dal 2011 attraverso accordi con il governo di al Sarraj, l'esecutivo internazionalmente riconosciuto; accordi che mirano non soltanto a cercare di trovare una quadratura del cerchio in Libia, ma anche a diminuire quelle criticità di sicurezza, che possono poi colpire il territorio italiano, in primis la questione dei traffici degli esseri umani e dell’immigrazione clandestina.

D. - Dove sono falliti i tentativi che hanno cercato di ricomporre questa divisone tra il governo riconosciuto internazionalmente e quello di Tripoli?

R. - Innanzitutto, se proprio si vuole cercare una responsabilità delle Nazioni Unite e della comunità internazionale, è quella di aver cercato di investire su personalità che hanno un controllo limitato del territorio libico e che, soprattutto per esercitare la propria azione politica, devono appoggiarsi necessariamente alle milizie locali che le tengono sotto una sorta di ricatto politico. Dall’altra parte le difficoltà di comunicazione e di dialogo tra Tripoli e Tobruk affondano le loro radici nella competizione secolare che c’è tra la Tripolitania e la Cirenaica e la volontà di quest’ultima di veder garantiti i propri diritti di autonomia e soprattutto di controllo delle risorse petrolifere che sono nel proprio territorio. Quindi l’accordo non va avanti, perché sostanzialmente i rappresentati di Tobruk non si sentono abbastanza tutelati e temono di ritornare in una situazione simile a quella dell’epoca di Gheddafi, in cui il centro aveva il pieno controllo di tutte le periferie. Questo scenario è osteggiato nella maniera più totale.

D. - Un Paese instabile, come la Libia oggi, rischia ancora di finire nelle mani del fondamentalismo?

R. - Per quanto Sirte sia stata riconquistata e il grosso delle forze del cosiddetto Stato Islamico siano state cacciate, lo spettro di forme jihadiste di mobilitazione politica non è stato del tutto esorcizzato, anche perché quella libica è una società molto fluida in cui gli accordi si basano soprattutto sui compromessi tra le milizie e tra le mille anime politiche del Paese. Lo Stato Islamico in Libia era sorto grazie ad un’alleanza molto pragmatica tra una parte degli ex gheddafiani di Sirte e alcuni nuclei di combattenti stranieri, che erano arrivati prima a Derna e poi si erano installati nella città di origine di Gheddafi. Questo elemento ci deve far riflettere. Siccome persistono ancora gravi fratture sociali e politiche all’interno del Paese, esiste la possibilità che una forma di jihadismo, di organizzazione parastatale che si ispiri ai precetti del jihadismo, dell’interpretazione più oscurantista dell’Islam, possa riformarsi in altre parti del Paese. Non dobbiamo poi mai dimenticare che spesso, quando si parla della guerra libica, noi consideriamo dinamiche che avvengono sulla costa, ma il vero ventre molle del Paese, totalmente fuori controllo, invece è l’entroterra, il Sud, il Fezzan, dove le realtà jihadiste hanno piantato la propria bandiera da anni e in maniera ben più stabile e proficua che nei pochi mesi di Sirte. Quindi l’attenzione deve rimanere ancora molto alta.

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Belletti (Cisf): famiglia ancora sottovalutata in Italia

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"Con l'approvazione (ieri, ndr) dei decreti attuativi delle unioni civili questo governo compie un ulteriore passo verso la completa equiparazione con il matrimonio”. E’ il commento di Massimo Gandolfini, presidente del Comitato Difendiamo i Nostri Figli. Per i settori centristi della maggioranza, comunque, con questa legge sono stati evitati utero in affitto e adozioni da parte delle coppie omosessuali. Alessandro Guarasci ha sentito l’opinione di Francesco Belletti, presidente del Centro Studi Famiglia (Cisf): 

R. – In un Paese normale, fatta la legge fatto il decreto attuativo…  Quindi sorprende un po’ il tono di grande festosità di tanti esponenti a difesa di questo progetto di unioni civili. Dall’altra parte la preoccupazione che questo non sia che il primo passo è reale, perché corrisponde anche a tante dichiarazioni proprio di chi ha promosso in tutti i modi questa campagna. Oggettivamente questa legge pone dei paletti, ma sono paletti che anche l’attività dei giudici spesso ha saltato, anche prima dell’approvazione della legge. Quindi la preoccupazione sulla destrutturazione normativa del matrimonio e dell’identità della famiglia è reale e bisogna che in parlamento e nel Paese ci sia vigilanza.

D. – Il governo ha approvato un primo pacchetto a sostegno della maternità e delle giovani coppie. Un primo passo, secondo lei, verso un fisco che tenga in maggior considerazione il nucleo familiare?

R. – Piuttosto che niente è meglio piuttosto: nel senso che vedere la mappa dei provvedimenti - e vedere bonus qui, bonus la e provvedimenti discontinui - evidenzia che manca ancora una logica strategica di promozione della famiglia. E questo non va imputato solo all’ultimo governo: va imputato agli ultimi 20 anni di storia del nostro Paese! Purtroppo sia le maggioranze di centrodestra, sia le maggioranze di centrosinistra hanno, in vario modo, parlato molto di famiglia, ma sostanzialmente è mancata questa decisione strategica. Forse i 20 miliardi per le banche è più facile trovarli, 20 miliardi per il fattore famiglia è impossibile trovarli! C’è qualcosa che non funziona in questo Paese…

D. – Allora è una questione anche culturale: dov’è che si sbaglia?

R. – In un’ultima analisi rimane ancora questa percezione che la famiglia sia un patrimonio di solidarietà che basta a se stessa. Il nostro Paese si affida soprattutto sulle funzioni di un welfare, che è sempre in arretramento come servizi pubblici – nel senso che comunque le risorse sono sempre faticosamente attribuite – ma le funzioni di cura sono prevalentemente in carico alla famiglia, così come le titolarità educative. Le famiglie sono affaticate e se non si reinveste in questa risorsa del Paese rischiano di sfilacciare proprio la coesione sociale. Qualche segnale grave di fragilità c’è: i devastanti segnali di cronaca nera, le famiglie in cui avvengono omicidi non sono la patologia della famiglia, ma sono il segnale che le famiglie abbandonate a se stesse non ce la fanno. Il Paese dovrebbe essere consapevole che la famiglia è un patrimonio talmente prezioso che non può essere abbandonato e quindi chiede di essere messa in cima alle priorità del Paese.

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Ad Abu Dhabi domani il Summit internazionale dell’acqua

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Da domani al 19 gennaio, gli Emirati Arabi faranno da cornice all’annuale Summit internazionale dell’acqua. Il vertice, nel suo quinto appuntamento si concentrerà sull’attività di promozione di sostenibilità della risorsa acqua nelle regioni più aride del pianeta, riunendo leader politici, accademici, esperti del settore e di innovazione tecnologica-commerciale. Dei temi principali che verranno trattati, Roberta Barbi ha parlato con Corrado Sommariva, esperto di dissalazione della Ilf Consulting Engineers, raggiunto telefonicamente ad Abu Dhabi: 

R. - Il Summit è dedicato alla sostenibilità. Il problema della sostenibilità negli Emirati Arabi è intrinsecamente legato al discorso dell’acqua: non è una risorsa naturale e dipendono quasi interamente dalla tecnologia di dissalazione; ma sono - allo stesso tempo – anche fra i Paesi che hanno il consumo di acqua pro-capite più alto del mondo.

D. – A che punto è globalmente l’accesso all’acqua potabile di cui ha parlato spesso anche il Papa, equiparandolo al diritto alla vita?

R. – Qui negli Emirati il discorso acqua è fuori da ogni tipo di criticità. Il problema acqua è un problema che sta diventando generale e globale: io mi occupo particolarmente di dissalazione e vedo che mentre gli impianti di dissalazione erano una criticità caratteristica dei Paesi del Golfo, adesso ci sono impianti di desalazione a Singapore, in Cina, in India… È un problema che sa diventando globale. Il discorso dell’acqua - come risorsa per l’umanità - diventa sempre più critico tanto più ci si sposta verso megacity, in cui l’approvvigionamento e la fornitura d’acqua è veramente una grossa criticità.

D. – Quante persone si calcola che nel mondo oggi non abbiamo accesso all’acqua?

R. – È difficile darle questa risposta, però io penso che l’indice di povertà - che adesso affligge circa il 50 per cento della popolazione mondiale - sia strettamente connesso alla mancanza di risorse come l’acqua. Non è tanto l’aver accesso a quantità d’acqua, ma l’avere accesso ad acqua che abbia caratteristiche sanitarie che siano accettabili per la salute umana. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dei limiti per le caratteristiche dell’acqua per il consumo umano, ed effettivamente ci sono società in Estremo Oriente e in Africa che usano acqua lontana da queste caratteristiche.

D. – Quali le possibile soluzioni alla scarsità delle risorse idriche? Una strada potrebbe essere la desalinizzazione del mare?

R. – La dissalazione è sicuramente una delle possibile soluzioni, però il problema è che la dissalazione è una tecnologia costosa, che ha un consumo energetico specifico molto alto. È per questo che il Summit è dedicato al discorso sostenibilità.

D. – Cosa, invece, può fare ognuno di noi nel proprio piccolo, per evitare gli sprechi?

R. – Tantissime cose! In generale il consumo d’acqua può essere molto razionalizzato. Un’iniziativa che può essere fatta è il recupero e il riuso di tutta l’acqua che viene usata come fonte primaria e quindi trattata, poi potrebbe essere utilizzata per scopi quali l’irrigazione, il giardinaggio: scopi non domestici. Dal punto di vista personale razionalizzare il consumo d’acqua senza mettere in pericolo lo status sociale, però anche il consumo intelligente dell’acqua deve essere considerato: ci sono parecchi equipaggiamenti che adesso vengono regalati per ridurre – per esempio - l’acqua erogata dal lavello; sistemi che sono smartsystem per il consumo dell’acqua a livello di toilette pubbliche o anche private… Diciamo che la tecnologia si sta adeguando a nuove esigenze per ridurre e ottimizzare il consumo di acqua pro-capite.

D. - L’emergenza acqua, così come tutte le tematiche legate alla sostenibilità, è anche un problema di cultura ambientale che è mancata negli anni passati?

R. – Certamente sì! Nella parte del mondo dove vivo io, l’acqua veniva considerata un regalo del Signore per cui nessuno la pagava: questo ha innescato una cultura di spreco. Adesso, infatti, uno dei grossi problemi è quello di cercare di far capire anche a livello sociale che l’acqua è una risorsa importante, che deve essere non soltanto ottimizzata e in questo, ovviamente, l’educazione è un fattore importantissimo.

D. – Quali sono gli obiettivi di questa quattro-giorni?

R. – Fare una panoramica delle tecnologie disponibili per la produzione dell’acqua, ma anche e soprattutto per la produzione di energia per sostenere il discorso sostenibilità. Ovviamente tutto questo ha anche un risvolto commerciale, perché ci sono parecchie società che stanno investendo sull’uso di tecnologie rinnovabili per la produzione di energia elettrica e anche per la produzione di acqua. 

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Siria: i medici di "Emergenza Sorrisi" operano tra le bombe

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In Siria, a Damasco, i medici di Emergenza Sorrisi hanno da poco concluso una nuova missione svolta in piena guerra: 40 i giovani operati e oltre 100 le visite effettuate nell'ospedale della capitale. Al microfono di Maria Cristina Montagnaro, il presidente dell’associazione Fabio Massione Abenavoli, che ha guidato il team di medici, racconta la situazione che hanno trovato: 

R. - E' la situazione drammatica di un Paese in guerra e sotto embargo: mancano i farmaci e i materiali e la popolazione ne soffre in maniera incredibile. La situazione sanitaria è quasi al collasso.

D. - Siete riusciti a operare in sicurezza?

R.- Intorno a noi, purtroppo, si sentivano arrivare le bombe… Ma noi abbiamo operato, ecco...

D. – Quante persone avete operato?

R. – Abbiamo visitato più di 100 pazienti e siamo riusciti ad operarne circa 40, alcuni dei quali erano casi veramente drammatici: in un caso, addirittura, un paziente è stato operato 30 volte prima che si riuscisse a mettere in ordine tutta la ferita, il lembo e la parte ortopedica che era veramente disastrata.

D. – Quindi, un Paese veramente martoriato…

R. – Direi che è un Paese che ha un orgoglio incredibile. Non ho mai visto una persona lamentarsi, pur essendo in condizioni davvero drammatiche. Hanno tutti il desiderio di riportare questo Paese alle condizioni che esistevano prima della situazione bellica e di vivere la pace, perché, come dice Papa Francesco, “la pace è tutto”, e la guerra non porta assolutamente a niente, è solo distruttiva e colpisce le persone più deboli e inermi che sono quelle che soffrono di più la guerra.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 15

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.