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Sommario del 09/01/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: pace per il mondo, no a guerre e follia omicida del terrorismo

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L’impegno delle religioni per la pace, la promozione del disarmo, l’emergenza migratoria, la tregua in Siria, la difesa del Creato. Sono alcuni dei temi forti affrontati da Papa Francesco nel suo lungo e appassionato discorso al Corpo Diplomatico accreditato in Vaticano, in occasione degli auguri per il nuovo anno. Una nota informativa della Sala Stampa vaticana riferisce che sono 182 gli Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede. L’indirizzo d’omaggio al Papa è stato rivolto dall’ambasciatore di Angola, Armindo Fernandes do Espírito Santo Vieira. Il servizio di Alessandro Gisotti

La pace è “un dono, una sfida, un impegno”. Nel tradizionale discorso di inizio anno al Corpo Diplomatico, Papa Francesco concentra la sua attenzione sul “tema della sicurezza e della pace”, osservando con rammarico che cento anni dopo che Benedetto XV aveva definito la Prima Guerra Mondiale “inutile strage” ancora tanti popoli vedono la pace solo come “un lontano miraggio”. Spesso, osserva, siamo “sopraffatti da immagini di morte, dal dolore di innocenti”, persone che fuggono dalla guerra, “migranti che periscono tragicamente”. In tale prospettiva, Papa Francesco esprime “il vivo convincimento che ogni espressione religiosa sia chiamata a promuovere la pace”. Il Pontefice non disconosce che anche recentemente “non siano mancate violenze religiosamente motivate”. E, riferendosi alle divisioni tra cristiani in Europa, rammenta in particolare il suo incontro con il Patriarca Kirill e la visita a Lund. Gesti che richiamano “l’urgente bisogno di sanare le ferite del passato e camminare insieme verso mete comuni”.

No alla follia omicida del terrorismo che abusa del nome di Dio
Francesco denuncia poi in modo vibrante il fenomeno del “terrorismo di matrice fondamentalista” che ha mietuto vittime in tutto il mondo:

"Si tratta di una follia omicida che abusa del nome di Dio per disseminare morte, nel tentativo di affermare una volontà di dominio e di potere. Faccio perciò appello a tutte le autorità religiose perché siano unite nel ribadire con forza che non si può mai uccidere nel nome di Dio. Il terrorismo fondamentalista è frutto di una grave miseria spirituale, alla quale è sovente connessa anche una notevole povertà sociale. Esso potrà essere pienamente sconfitto solo con il comune contributo dei leader religiosi e di quelli politici".

Al tempo stesso chiede che sia sempre rispettato “il diritto alla libertà religiosa”. E, riecheggiando San Giovanni Paolo II, torna a chiedere un impegno per contrastare quelle condizioni di povertà e disagio sociale, quelle ingiustizie che “divengono terreno fertile per il dilagare dei fondamentalismi” e delle guerre. Né manca di mettere l’accento sul ruolo positivo dell’educazione contro ogni forma di estremismo. Il Papa ringrazia inoltre quei capi di Stato e di governo che hanno accolto il suo invito di compiere un gesto di clemenza verso i carcerati.

No all’indifferenza verso il problema migratorio, serve impegno comune
Francesco rivolge dunque l’attenzione alla questione urgente dell’accoglienza dei migranti. Un approccio "prudente", avverte, non può significare “l’attuazione di politiche di chiusura” verso gli immigrati. E ribadisce che “non si può ridurre la drammatica crisi attuale ad un semplice conteggio numerico”:

“Il problema migratorio è una questione che non può lasciare alcuni Paesi indifferenti, mentre altri sostengono l’onere umanitario, non di rado con notevoli sforzi e pesanti disagi, di far fronte ad un’emergenza che non sembra aver fine. Tutti dovrebbero sentirsi costruttori e concorrenti al bene comune internazionale, anche attraverso gesti concreti di umanità, che costituiscono fattori essenziali di quella pace e di quello sviluppo che intere nazioni e milioni di persone attendono ancora”.

Il Papa esprime gratitudine “ai tanti Paesi che con generosità accolgono quanti sono nel bisogno, a partire dai diversi Stati europei, specialmente l’Italia, la Germania, la Grecia e la Svezia”. Ricorda così il commovente viaggio nell’isola di Lesbo per testimoniare vicinanza ai profughi e parla anche della situazione dei migliaia di migranti dell’America Centrale che patiscono “terribili ingiustizie” alla ricerca di un futuro migliore e sono spesso vittime della “tratta delle persone”.

Tempo di pace per la Siria, la tregua sia segno di speranza
Un pensiero speciale va ai bambini, vittime dell’egoismo e della violenza degli adulti. Il Papa ricorda in particolare i giovani della Siria, “privati delle gioie dell’infanzia e della giovinezza”. E qui Francesco rinnova l’accorato appello perché si metta per sempre la parola fine al conflitto, “che sta provocando una vera e propria sciagura umanitaria”:

“Ciascuna delle parti in causa deve ritenere come prioritario il rispetto del diritto umanitario internazionale, garantendo la protezione dei civili e la necessaria assistenza umanitaria alla popolazione. Il comune auspicio è che la tregua recentemente firmata possa essere un segno di speranza per tutto il popolo siriano, che ne ha profonda necessità”.

Il Pontefice incoraggia la comunità internazionale a “debellare il deprecabile commercio delle armi e la continua rincorsa a produrre e diffondere armamenti sempre più sofisticati” ed esprime “sconcerto” per gli esperimenti condotti nella penisola coreana che “destabilizzano l’intera regione”. E con le parole di San Giovanni XXIII chiede che “si mettano al bando le armi nucleari”. Tuttavia, il Papa mette anche l’accento sull’accesso alle armi di piccolo calibro che generano un sentimento di insicurezza e paura.

Israeliani e palestinesi abbiano il coraggio di costruire la pace
Ancora una volta, denuncia le derive ideologiche che fomentano il disprezzo e l’odio e ribadisce che la pace si conquista con la solidarietà. Elogia dunque l’impegno per la riconciliazione tra Cuba e Stati Uniti e in Colombia. E chiede gesti coraggiosi per la pacificazione in Venezuela e per il Medio Oriente:

"La Santa Sede rinnova inoltre il suo pressante appello affinché riprenda il dialogo fra Israeliani e Palestinesi, perché si giunga ad una soluzione stabile e duratura che garantisca la pacifica coesistenza di due Stati all’interno di confini internazionalmente riconosciuti. Nessun conflitto può diventare un’abitudine dalla quale sembra quasi che non ci si riesca a separare. Israeliani e Palestinesi hanno bisogno di pace. Tutto il Medio Oriente ha urgente bisogno di pace!".

Impegno per la pace il Papa lo chiede per tutte le aree segnate da conflitti e violenza: dalla Libia all’Iraq, dal Centrafrica al Congo, ancora all’Ucraina e al Sudan.

L’Europa riscopra i suoi valori per vincere le spinte disgregatrici
Il Papa si sofferma poi sul momento storico che sta attraversando l’Europa ed esorta a riscoprire “le proprie radici per poter plasmare il proprio futuro”:

“Di fronte alle spinte disgregatrici, è quanto mai urgente aggiornare 'l’idea di Europa' per dare alla luce un nuovo umanesimo basato sulle capacità di integrare, di dialogare e di generare, che hanno reso grande il cosiddetto Vecchio Continente. Il processo di unificazione europea, iniziato dopo il secondo conflitto mondiale, è stato e continua ad essere un’occasione unica di stabilità, di pace e di solidarietà tra i popoli”.

Il popolo italiano sia unito da uno spirito di solidarietà
Nella parte conclusiva del suo discorso, il Papa parla dunque del tema a lui caro della cura del Creato. E riferendosi all’Accordo di Parigi sul clima, auspica che lo sforzo intrapreso per “fronteggiare i cambiamenti climatici trovi una sempre più vasta cooperazione di tutti, poiché la Terra è la nostra casa comune”. Ancora, ricorda i popoli colpiti dai terremoti nell’ultimo anno: Ecuador, Indonesia e Italia:

“Auspico che la solidarietà che ha unito il caro popolo italiano nelle ore successive al terremoto, continui ad animare l’intera Nazione, soprattutto in questo tempo delicato della sua storia. La Santa Sede e l’Italia sono particolarmente legate da ovvie motivazioni storiche, culturali e geografiche. Tale legame è apparso in modo evidente nell’anno giubilare e ringrazio tutte le Autorità italiane per l’aiuto offerto nell’organizzazione di tale evento, anche per garantire la sicurezza dei pellegrini, giunti da ogni parte del mondo”.

Con le parole del Beato Paolo VI, il Papa chiede infine di prodigarsi per lo sviluppo integrale, “nuovo nome della pace” e assicura l’impegno della Santa Sede  “per porre fine ai conflitti in corso e a dare sostegno e speranza alle popolazioni che soffrono”.

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Il Papa: conosciamo, adoriamo e seguiamo Gesù, è l'unico Salvatore

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La vita cristiana è semplice, non sono necessarie cose strane o difficili, basta mettere Gesù al centro delle nostre scelte quotidiane: è quanto ha detto Papa Francesco che oggi, inizio del Tempo ordinario, ha ripreso le Messe a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Dopo il Natale, inizia un nuovo tempo liturgico, il tempo ordinario: ma al centro della vita cristiana – osserva il Papa – c’è sempre Gesù, la prima e l’ultima Parola del Padre, “il Signore dell’universo”, il “Salvatore del mondo. Non ce n’è un altro, è l’unico”:

E’ questo il centro della nostra vita: Gesù Cristo. Gesù Cristo che si manifesta, si fa vedere e noi siamo invitati a conoscerlo, a riconoscerlo, nella vita, nelle tante circostanze della vita, riconoscere Gesù, conoscere Gesù: ‘Ma io, padre, conosco la vita di quel santo, di quella santa o anche le apparizioni di quello di là e di là…’. Questo è bene, i santi sono i santi, sono grandi! Le apparizioni non tutte sono vere, eh! I santi sono importanti ma il centro è Gesù Cristo: senza Gesù Cristo non ci sono i santi! E qui la domanda: il centro della mia vita è Gesù Cristo? qual è il mio rapporto con Gesù Cristo?”.

Ci sono tre compiti – afferma il Papa – “per assicurarci che Gesù è al centro della nostra vita”: il primo compito è conoscere Gesù per riconoscerlo. Al suo tempo, tanti non lo hanno riconosciuto: “i dottori della legge, i sommi sacerdoti, gli scribi, i sadducei, alcuni farisei”. Anzi, “l’hanno perseguitato, l’hanno ucciso”. Occorre domandarsi: “A me interessa conoscere Gesù? O forse interessa più la telenovela o le chiacchiere o le ambizioni o conoscere la vita degli altri?”. “Per conoscere Gesù – spiega Papa Francesco - c’è la preghiera, lo Spirito Santo”, ma c’è anche il Vangelo, che è da portare sempre con sé per leggerne un passo tutti i giorni: “E’ l’unico modo di conoscere Gesù”. Poi “è lo Spirito Santo a fare il lavoro dopo. Questo è il seme. Chi fa germogliare e crescere il seme è lo Spirito Santo”. Il secondo compito è adorare Gesù. Non solo chiedergli cose e ringraziarlo. Il Papa pensa a due modi di adorare Gesù: “la preghiera di adorazione in silenzio” e “poi togliere dal nostro cuore le altre cose che adoriamo, che ci interessano di più. No, solo Dio”. “Le altre cose servono servono se io sono capace di adorare solo Dio”:

“C’è una piccola preghiera che noi preghiamo, il Gloria: ‘Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo’, ma tante volte la diciamo come pappagalli. Ma questa preghiera è adorazione! ‘Gloria’: io adoro il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Adorare, con piccole preghiere col silenzio davanti alla grandezza di Dio, adorare Gesù e dire: ‘Tu sei l’unico, tu sei il principio e la fine e con te voglio rimanere tutta la vita, tutta l’eternità. Tu sei l’unico’. E cacciare via le cose che mi impediscono di adorare Gesù”.

Il terzo compito è seguire Gesù – sottolinea il Papa – come dice il Vangelo odierno in cui il Signore chiama i primi discepoli. Significa mettere Gesù al centro della nostra vita:

“E’ semplice la vita cristiana, è molto semplice ma abbiamo bisogno della grazia dello Spirito Santo perché svegli in noi questa voglia di conoscere Gesù, di adorare Gesù e di seguire Gesù. E per questo abbiamo chiesto all’inizio nell’orazione Colletta al Signore di conoscere cosa dobbiamo fare, di avere la forza di farlo. Che nella semplicità di ogni giorno - perché per ogni giorno per essere cristiani non sono necessarie cose strane, cose difficili, cose superflue, no, è semplice - il Signore ci dia la grazia di conoscere Gesù, di adorare Gesù e di seguire Gesù”.

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Il Papa invita i cristiani a rispondere insieme alle sfide dell'umanità

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“Per tutti i cristiani, perché, fedeli all'insegnamento del Signore, si adoperino con la preghiera e la carità fraterna per ristabilire la piena comunione ecclesiale, collaborando per rispondere alle sfide attuali dell'umanità”: è l’esortazione di Papa Francesco, contenuta nel videomessaggio per l'Intenzione di preghiera del mese di gennaio.

Nel mondo attuale – afferma il Papa nel videomessaggio proposto dall’Apostolato della preghiera - molti cristiani di diverse Chiese lavorano insieme al servizio dell'umanità bisognosa, per la difesa della vita umana e della sua dignità, del creato e contro le ingiustizie. Questo desiderio di camminare insieme, di collaborare nel servizio e nella solidarietà nei confronti dei più deboli e di coloro che soffrono è motivo di gioia per tutti. Unisci la tua voce alla mia per pregare perché tutti contribuiscano con la preghiera e la carità fraterna a ristabilire la piena comunione ecclesiale al servizio delle sfide dell'umanità”.

L'Apostolato della Preghiera è la Rete Mondiale di Preghiera del Papa al servizio della missione della Chiesa. Il suo obiettivo è pregare e vivere le sfide dell'umanità che preoccupano il Santo Padre, espresse nelle sue intenzioni mensili. Lo scopo di questa rete è essere apostoli nella vita quotidiana, attraverso un cammino spirituale chiamato “cammino del cuore”, che trasforma il nostro modo di essere al servizio della missione di Cristo. È stato fondato nel 1844, è presente in oltre 100 Paesi ed è composto da più di 35 milioni di persone, comprendendo il ramo per i giovani, il Movimento Eucaristico Giovanile. Ulteriori informazioni su http://www.oraciondelpapa.net

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Oggi in Primo Piano



Maltempo in Europa: in Italia, critica la situazione in Puglia

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Europa ancora sotto la morsa del gelo. Polonia, Serbia, Ungheria e Grecia tra i Paesi più colpiti, dopo l’Italia che resta avvolta in particolare al centro sud da neve e temperature sotto zero. Nella penisola, otto senza fissa dimora sono morti per il freddo degli ultimi giorni: per loro la preghiera del Papa, ieri all’Angelus, e l’invito alla solidarietà verso chi soffre in queste ore. Resta critica la situazione nelle zone terremotate di Lazio, Marche e Umbria, a cui si aggiunge l’emergenza in Puglia: comuni, masserie e ospedali sono ancora isolati e quasi tutte le scuole della regione sono chiuse, anche se al momento si registra una pausa nelle precipitazioni. Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente suor Mariarosaria Imperatore, francescana alcantarina, vicedirettrice della Caritas di Bari - Bitonto: 

R. – In questo momento, la situazione a livello meteorologico è leggermente più tranquilla, nel senso che fa molto freddo ma le strade sono ormai sgombre dal ghiaccio e non sta nevicando. Ma il meteo ci annuncia di nuovo un peggioramento della situazione e possibili nevicate tra domani sera e mercoledì mattina. Intanto, nella città di Bari, un’ordinanza ha chiesto che le scuole rimangano chiuse oggi e domani, mentre nei paesi limitrofi - come Bitonto e alcuni altri nell’entroterra - le scuole saranno chiuse anche mercoledì.

D. – Quali sono stati i momenti più critici in queste ore?

R. – Il momento più critico è stato quello iniziale: la sera dell’Epifania - venerdì sera - e sabato mattina. Con la neve caduta, immediatamente è stato dato l’allarme e abbiamo cominciato ad attivarci per poter soccorrere e rispondere al bisogno soprattutto dei senza fissa dimora, in modo che nessuno fosse per strada in questi giorni di tanto freddo. Devo dire che c’è stato un buon coordinamento tra le istituzioni, noi come Caritas diocesana e le varie associazioni: ci siamo attivati tutti. Nel nostro dormitorio diocesano è attiva l’apertura h24, servendo anche i pasti, avvalendoci del contributo preziosissimo delle parrocchie e dei tantissimi volontari che stanno dando la loro disponibilità a stare nel dormitorio con gli ospiti anche duramente il giorno. Accanto, ci sono diverse associazioni che stanno provvedendo sulla strada a distribuire coperte e pasti caldi: c’è il Pronto intervento sociale, con un numero verde sempre attivo, 800 093 470, che si può chiamare in qualunque momento nel caso eventualmente si incontrassero delle situazioni sulla strada di particolare disagio, con persone che non hanno ancora trovato riparo.

D. – Lei ha citato il Centro diocesano “don Vito Diana”, gestito dalla Caritas: chi state ospitando e chi assistite in queste ore?

R. – Noi qui ospitiamo sempre, durante tutto l’anno, 44 uomini senza fissa dimora, italiani o stranieri: anche in questo periodo tutti i posti sono occupati e c’è una risposta anche per coloro che non riescono ad entrare nel nostro dormitorio, perché ci sono dei posti ulteriori messi a disposizione dal Comune in questi giorni di grande freddo.

D. – C’è una storia particolare che ha potuto raccogliere tra i vostri ospiti?

R. – Un volontario che fa il barbiere ha approntato un taglio di capelli e una sistemazione a molti dei nostri ospiti. Ha raccolto la testimonianza di un ospite – mi diceva – che era sorpreso, contentissimo: gli ha parlato della benevolenza che ha trovato. Poi c’è stata una signora venuta giorni fa, assieme alle due figlie che desideravano regalare la loro calza della befana agli ospiti del dormitorio. Oppure mi raccontava di un altro volontario con il quale si è trovato a parlare e che gli ha detto come, pur essendo ateo, aveva comunque desiderio di rendersi utile e di fare del bene. Ecco: la testimonianza che noi possiamo raccogliere in questo momento è proprio di un clima bello all’interno del dormitorio, un clima fraterno. Per cui gli stessi ospiti ieri hanno spalato la neve nel cortiletto dove si trova l’accesso al dormitorio, sistemando loro stessi gli ambienti dopo aver mangiato. Si respira davvero un bel clima, nonostante l’emergenza freddo.

D. – In questi giorni ci sono state particolari donazioni? Come vi siete mossi?

R. – Sì, in questi giorni abbiamo goduto di tanta solidarietà, benevolenza e beneficenza fatta da parte di tante persone. Abbiamo raccolto circa 80 kg di panettoni; intorno ai 60-70 litri di latte; 70 coperte; cappelli, sciarpe, giacconi, maglioni. E abbiamo anche distribuito 240 pasti: stiamo parlando delle giornate del 6-7-8 gennaio, con 80 pasti al giorno più o meno: quindi 30 a pranzo e una cinquantina la sera.

D. – Il Papa all’Angelus ha pregato affinché il Signore "ci scaldi il cuore" per poter aiutare chi in queste ore soffre particolarmente. Quindi c’è una risposta in tal senso nella vostra diocesi?

R. – Sì, noi la sentiamo: noi sentiamo che le comunità sono presenti, che le persone si attivano, che le comunità parrocchiali sono sensibili all’appello. Noi abbiamo mandato vari messaggi, ma abbiamo anche telefonato alle stesse parrocchie e abbiamo avuto una risposta assolutamente positiva. Quindi non abbiamo avuto bisogno di usufruire di alcun aiuto, nemmeno comunale, pur messo a disposizione, per i pasti, perché le parrocchie si sono attivate e hanno preparato il pranzo, abbondantissimo come sempre fanno, per i nostri ospiti.

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Israele: 9 arresti per attacco con il camion. Netanyahu accusa l'Is

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All’indomani del brutale attentato compiuto con un camion a Gerusalemme e costato la vita a quattro soldati israeliani, nove persone sono state arrestate dalla polizia nella parte araba della città. Il governo dello Stato ebraico è convinto che l’autore della strage - un giovane palestinese morto nell'attacco - fosse un simpatizzante dell’Is. Il premier Netanyahu ha parlato di un filo comune con gli attacchi in Francia e a Berlino ed emerge che, due settimane fa, in Cisgiordania, un altro giovane sostenitore dello Stato Islamico era stato arrestato mentre preparava un attentato in Israele. Sulla situazione a Gerusalemme, Marco Guerra ha intervistato padre Ibrahim Faltas, francescano della Custodia di Terra Santa: 

R. – Noi condanniamo questo atto; noi siamo sempre contro questi atti. Eravamo contenti in questi giorni… Non era successo niente e la situazione era calma. Sono tornati i pellegrini: abbiamo avuto tantissimi pellegrini da settembre ad oggi, e specialmente italiani. E spero che questo fatto – questo attentato – non danneggi un’altra volta i pellegrini. Dobbiamo dire a tutti loro che – veramente – la situazione, nonostante questo fatto, è tranquilla: in Palestina, in Terra Santa, non c’è da aver paura; devono tornare. Non vogliamo che questo fatto danneggi molto il turismo, perché, come sapete, la maggior parte dei cristiani locali di Terra Santa lavora nel settore del turismo.

D. – Alcuni ebrei hanno accusato l’Onu – le Nazioni Unite – e parlano di questo attentato di ieri come di una conseguenza del voto che ha dichiarato il Tempio di Gerusalemme “territorio occupato”…

R. – Non penso che questo fatto sia collegato con il voto delle Nazioni Unite, non lo penso assolutamente. Penso che questa sia una cosa molto diversa da quel voto. Le Nazioni Unite hanno votato contro l’insediamento, ma speriamo veramente che finisca quest’odio tra le due parti e che tornino ai negoziati. Come diceva sempre San Giovanni Paolo II, se non ci sarà una pace a Gerusalemme, non ci sarà mai una pace nel mondo. Io sono sicuro che, una volta finito il problema tra Palestina e Israele, finirà anche tutta la guerra e tutto l’odio di chi sta intorno, soprattutto nel Medio Oriente, che sta vivendo un momento molto brutto, dappertutto, sia in Siria che in Iraq, in Egitto e in Turchia: tutti hanno un problema grosso.

D. – Avete avvertito – appunto – un incremento della tensione dovuto anche all’instabilità del Medio Oriente?

R. – Sì, il Medio Oriente si sarà stabilizzato quando finirà questo problema tra Israele e Palestina. Questo è il cuore del conflitto, è il cuore di tutti i problemi del Medio Oriente, è il problema della Terra Santa.

D. – Oggi il Papa ha detto che il terrorismo potrà essere sconfitto solo con il comune contributo sia dei leader religiosi sia dei leader politici…

R. – Certo, il Papa insiste sempre su questo. Noi come religiosi stiamo facendo la nostra parte; anche i politici devono fare la loro parte. Io penso, anche di fronte a questo problema, chiedo che la comunità internazionale faccia la sua parte. La comunità internazionale deve intervenire e deve fare pressione sulle due parti, che almeno tornino ai negoziati. Adesso tutti aspettano la Conferenza di Parigi e speriamo che esca qualcosa anche da questo convegno. Io dico che le due parti – palestinesi e israeliani  – devono tornare al tavolo dei negoziati. Una volta che saranno tornati a dialogare, diminuirà molto la tensione che si sente in questi giorni, anche in seguito a questo attentato. Secondo me, la risposta a questo attentato è che devono tornare ai negoziati: devono tornare a dialogare insieme. Così, penso che questa sia la risposta più giusta a quest’attentato.

D. – Il Papa ha chiesto gesti coraggiosi per la pace in Medio Oriente e ha auspicato che si giunga a una soluzione duratura basata su quei confini internazionalmente riconosciuti: è possibile questo?

R. – È possibile, ma io so che il Papa sta lavorando molto e ha fatto il possibile per fare incontrare il leader palestinese e il leader israeliano due anni fa, e continua a lavorare, a fare appelli a lavorare anche per far incontrare le due parti. E speriamo che il prima possibile queste due parti tornino al tavolo dei negoziati. Questi atti di coraggio di cui parlava il Papa; è veramente quella la risposta all’attentato: che le due parti – palestinesi e israeliani - tornino a dialogare, a negoziare. E noi diciamo a tutti loro, e anche ai leader palestinesi e israeliani, che devono tornare al dialogo: con il dialogo devono risolvere tutti i loro problemi.

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Cie per migranti. Edoardo Patriarca: un'esperienza da evitare

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Fa ancora discutere l’ipotesi avanzata dal ministro dell’Interno Marco Minniti di riaprire i Cei, Centri di Identificazione ed Espulsione. Tante associazioni si sono espresse in modo negativo,  ricordando che in passato i Cie sono stati anche luoghi di detenzione. Alessandro Guarasci ha sentito Edoardo Patriarca, vicepresidente della Commissione d’inchiesta sul sistema di accoglienza: 

R. – È un’esperienza assolutamente da non ripetere e da contrastare, semmai si andasse ancora in quella direzione. Visitando alcuni Cie – penso a quello di Modena che è stato chiuso – mi sono ritrovato in una situazione a dir poco indecente, per usare un eufemismo: quindi no a quell’esperienza. Ho la sensazione che il programma lanciato dal ministro Minniti rispetto ai Cie abbia bisogno di ulteriori approfondimenti. Il tema che abbiamo davvero davanti a noi è il tema dei rimpatri; tuttavia il tema dei rimpatri non lo si risolve incrementando i Cie,  piuttosto provando a costruire accordi, soprattutto con la Libia e con i Paesi che sono i maggiori portatori di persone migranti. Su questo credo che Minniti stia svolgendo alcuni passaggi importanti; l’auspicio è che anche l’Europa ci aiuti in questo percorso cosicché l’accesso al nostro Paese diventi un accesso pulito e regolare.

D. – Però lei appunto ha parlato di Europa: l’Europa però non vede di cattivo occhio i Cie, anzi in qualche modo li incoraggia. Lei teme che in Europa si faccia strada sempre di più una politica securitaria?

R. – Mi sarei atteso invece, più che  o auspicare i Cie, un sostegno più chiaro, più forte e definito verso l’Italia: l’Italia di fatto sta sopportando da sola l’impatto tremendo e pesante di questa immigrazione che poi viene dalla Libia e dalle coste del sud del Mediterraneo. Quindi mi aspettavo che perlomeno l’Europa decidesse di riprendere in mano il tema delle ricollocazione, di sostenere l’Italia anche da un punto di vista economico-finanziario, e soprattutto che avviasse una politica estera verso l’Africa, appunto per mitigare le migrazioni. Quindi riproporre ancora i Cie credendo che questa sia la soluzione alla bacchetta magica per risolvere questo problema ormai epocale, ancora una volta mi sembra uno sguardo securitario, come diceva lei, e così… ancora piccolo, che lascia l’Italia ancora una volta da sola.

D. – Vede la possibilità di un accordo concreto con i Comuni per un’accoglienza più diffusa?

R. – Io non sono tra coloro che vogliono procedere per obblighi, però una forma che intervenga affinché non siano solo duemila i Comuni che accolgono i migranti ma siano ben di più, mi pare la scelta più importante. Se noi riusciamo ad aprire questa esperienza a livello territoriale, credo che per il nostro Paese il tema dei migranti, più che essere un problema, possa diventare finalmente un’opportunità,  per poi ricostruire un welfare davvero vicino ai poveri.

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Iraq: liberato un quartiere cristiano di Mosul

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Nella giornata di ieri l'esercito regolare iracheno ha ripreso il controllo di al Sukkar, quartiere orientale di Mosul un tempo abitato in maggioranza da famiglie cristiane. Lo riferiscono fonti locali alla testata online ankawa.com. Il quartiere comprende almeno 700 case appartenenti a proprietari cristiani, alcune delle quali erano state occupate da miliziani stranieri dello Stato Islamico (Daesh) confluiti a Mosul dopo che la città era divenuta il principale caposaldo in terra irachena dell'auto-proclamato Califfato.

Distrutti o danneggiati ospedale pediatrico ed edifici dei cristiani
Molte delle case del quartiere erano state segnate con la lettera araba “Nun”, iniziale della parola Nasara, che significa cristiano, per indicare che quelle case potevano essere espropriate ed erano a disposizione dei sostenitori del Daesh. Le abitazioni erano state abbandonate dai cristiani da quando, il 9 giugno 2014, Mosul era caduta nelle mani dei jihadisti del sedicente Stato Islamico. Secondo le notizie riportate dalle fonti locali, buona parte degli edifici e anche l'ospedale pediatrico situato nel quartiere risultano distrutti o danneggiati.

Ancora prematuro pensare a un rientro dei cristiani fuggiti dalle loro case
“Le notizie che giungono da Mosul richiamano certo la nostra attenzione” dichiara all'agenzia Fides padre Thabit Mekko, sacerdote caldeo della città nord-irachena, attualmente sfollato a Erbil insieme ai suoi fedeli “ma la situazione è ancora pericolosa, ci sono cecchini nelle strade ed è ancora prematuro pensare a un rientro dei cristiani fuggiti dalle loro case. Una tale ipotesi sarà presa in considerazione solo quando la sicurezza sarà assicurata. Tante famiglie non hanno ancora deciso cosa faranno. E comunque non tutti quelli che hanno lasciato Mosul davanti all'avanzata del Daesh vi faranno ritorno”.(G.V.)

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Aumentano i giovani senza lavoro, quasi il 40%: dramma al Sud

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A novembre gli occupati in Italia sono aumentati di 19.000 unità rispetto a ottobre. Preoccupa però la situazione dei giovani, quasi il 40% dei ragazzi non ha un lavoro. La situazione è drammatica al Sud. Per l’Istat, dunque, il tasso di disoccupazione si è attestato all'11,9%, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente. Alessandro Guarasci

E’ una medaglia a due facce quella del mercato del lavoro, fatta dall’Istat. A novembre, rispetto a un anno prima, si registrano 210 mila posti in più, ma l'aumento riguarda soprattutto le persone con più di 50 anni. Aumentano, in questo mese, gli indipendenti e i dipendenti permanenti, calano invece i lavoratori a termine. Buone notizie anche sul fronte degli inattivi, ovvero coloro che sono talmente scoraggiati da evitare addirittura di cercare un’occupazione. In un anno sono calati di quasi 470 mila unità.

Fa invece molto preoccupare il tasso di disoccupazione di coloro che hanno tra i 15 e i 24 anni. Questi sono il 39,4% della forza lavoro, in aumento di 1,8  punti percentuali rispetto al mese precedente, dunque si ritorna ai dati di settembre 2015. Un dato quest’ultimo che fa pensare, dice il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che però mette in luce come il calo degli inattivi faccia ben sperare per il futuro. Dunque, il tasso di disoccupazione si attesta all’11,9%, contro l'8,2% della media Ue.

Ma sul calo dell'occupazione tra i giovani, abbiamo sentito il sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba:

"I due provvedimenti che sono contenuti nella Legge di bilancio di quest’anno 2017, cosiddetto 'Ape', l’anticipo pensionistico da un lato, e dall’altro lato gli incentivi per le assunzioni che vengono concentrati proprio sui giovani, qualora abbiano fatto percorso di alternanza, apprendistato o tirocinio, dovrebbero incidere proprio su quel dato più problematico della disoccupazione giovanile".

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Vicariato propone corso di formazione alla luce dell'Amoris Laetitia

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Prende il via oggi, al Pontificio Seminario Romano Maggiore, “Fare pastorale familiare”, un itinerario di formazione per operatori di pastorale familiare, fondato sui contenuti dell’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia. Otto gli incontri a cadenza quindicinale, più due giornate di ritiro fino al 21 maggio. “Con questa iniziativa – spiega mons. Andrea Manto, incaricato del Centro diocesano per la pastorale familiare – si intende creare una equipe di famiglie che possa affiancare i vescovi di settore, trovare coppie che, assieme ai parroci e ai movimenti, sappiano far nascere e portare avanti la pastorale familiare per prefettura. Perché la fede si rafforza donandola e condividendola”. Francesca Sabatinelli ha lo intervistato: 

R. – La diocesi di Roma sta facendo un grosso sforzo di rilancio della pastorale familiare per creare sinergie tra tante realtà che già esistono e che sono operative nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti e che hanno a cuore la famiglia. Anche per rileggere la ricchezza che c’è, le esperienze che ci sono, nella luce nuova della “Amoris Laetitia” e sostenere sempre di più un cammino che renda la famiglia stessa soggetto di pastorale familiare, quindi protagonista di un lavoro di pastorale familiare. Direi che il percorso che i due Sinodi e l’Esortazione di Papa Francesco ci indicano è quello di partire dalle famiglie così come sono e far diventare proprio il loro quotidiano una spinta, una forza da mettere in gioco, perché la bellezza, il vissuto della famiglia possa diventare contagioso, nel senso: capace di attrarre, di stimolare, di creare sempre più comunità guardando a una Chiesa come famiglia di famiglie.

D. – Il cardinale vicario, nello spiegare l’applicazione di “Amoris Laetitia”, ha sottolineato in passato che la via del Papa ai divorziati risposati è un invito al discernimento. Allora, che cosa fare, come fare per seguire le persone segnate da quello che è stato definito “l’amore ferito e smarrito” rimanendo "fedeli alla dottrina della Chiesa"?

R. – La relazione conclusiva del cardinale vicario è stata ampia, su questo tema, ci ha indicato tante vie. Il primo concetto importante è lavorare per rinforzare la famiglia, lavorare – come anche “Amoris Laetitia” chiede – sulle persone, sulle famiglie o anche sulle coppie che magari già convivono, ma desiderano accostarsi al Sacramento e vivere con maggiore consapevolezza una scelta di vita, la vocazione al matrimonio. Poi, c’è il tema delicato delle persone che hanno una precedente unione fallita, che hanno poi intrapreso una nuova unione con altre persone. Su questo, anche, il cardinale ha voluto essere chiaro dicendo che in primo luogo l’“Amoris Laetitia” sgombra il campo da atteggiamenti di chiusura. Le situazioni delle persone, in qualunque stato della loro vita matrimoniale si trovino, riguardano comunque cristiani che vanno accolti, accompagnati e poi anche – dopo opportuno discernimento – integrati sempre più nella vita della Chiesa. Rispetto a questo, ci stiamo attrezzando per valorizzare esperienze che sono già in atto. C’è la necessità di un ripensamento che integri e che aiuti a entrare nella fatica e anche nell’impegno di seguire caso per caso le situazioni e di arrivare anche a integrare il rapporto tra la coscienza e la norma, cercando di evitare però sia quello che il cardinale dice essere un atteggiamento anche un po’ superficiale di un certo lassismo, così come quello di una chiusura e di un rigorismo che non consentirebbero di sviluppare una efficace azione pastorale che tenga conto – sono parole del cardinale – dell’accompagnamento, del primato della persona sulla legge.

D. – Quindi, quale dev’essere la caratteristica principale del percorso di accompagnamento previsto nei confronti di persone che per varie ragioni non arrivano alla nullità matrimoniale?

R. – Il cardinale ha accennato alla possibilità di una proposta di vita cristiana che possa anche far rivedere lo spirito e l’atteggiamento che si tiene in queste nuove unioni, dicendo che una cosa è il matrimonio che è naufragato nonostante tentativi di tenerlo insieme, oppure quando un membro della coppia abbia subito violenza psicologica, fisica o semplicemente una ingiusta e irrimediabile chiusura da parte dell’altro componente, che si è fatto carico di questo abbandono e, pian piano, con fatica, ha ricostruito una unione stabile, duratura e solida. Questo è diverso dal cambiare con superficialità, passando da un’unione all’altra, disinvoltamente. Questo lavoro di discernimento è un lavoro che richiede anche formazione morale e spirituale sempre più approfondita nei sacerdoti; richiede anche un tempo e un cammino per non banalizzare il tema del matrimonio. Oggi, sempre più, si vede il tema di giovani che decidono di non sposarsi o di convivere o di persone che dopo il naufragio, il fallimento di un matrimonio vivono una sorta di situazione non definita. Credo che il nostro tempo richieda la capacità di fare arrivare a tutti il messaggio e la misericordia ma anche l’esigenza di una maturazione nell’amore e nella capacità del donare se stessi con autenticità, con fedeltà e con vera passione, che vuol dire insieme gioia ma anche capacità di sacrificio, orientati a costruire qualcosa che sia un elemento solido della propria vita. In fondo è qui che si gioca il destino eterno e, se mi permette, anche il destino della società: nella capacità di avere riferimenti stabili e uno stile di comunione e di condivisione che parta dal nucleo familiare come suo motore.

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Manila: milioni di fedeli alla processione del Nazareno Nero

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Questa mattina oltre un milione e mezzo di fedeli nelle Filippine hanno invaso le strade della capitale filippina Manila, per partecipare alla tradizionale processione del Nazareno Nero. Ogni anno la centenaria statua in legno del Cristo sfila per le vie del centro della metropoli, accolta nel suo passaggio da cittadini e turisti raccolti in preghiera, per chiedere una grazia o un miracolo personale. Fino a 18 milioni di persone prenderanno parte all’evento nel corso di tutta la giornata.

Ingenti misure di sicurezza. Un centinaio di feriti lievi
Per scongiurare il pericolo di incidenti o attentati, le autorità hanno predisposto ingenti misure di sicurezza e anche le ambasciate straniere hanno invitato i concittadini alla prudenza. Circa quattromila fra soldati e poliziotti hanno pattugliato le vie della capitale. Fonti della Croce Rossa locale parlano di circa un centinaio di feriti lievi; un bilancio migliore rispetto allo scorso anno, quando si sono registrate due vittime e oltre 1200 feriti. Al passaggio del carro - spinto da dietro e trainato da funi - con la statua del Nazareno Nero, i fedeli si sono accalcati nel tentativo di sfiorare la figura di Gesù. Nelle Filippine, nazione asiatica a maggioranza cattolica, oltre l’80% dei circa 100 milioni di abitanti è in comunione con Roma. L’ex colonia spagnola è famosa per le celebrazioni di carattere religioso e la processione del “Black Nazarene” è fra le più famose e partecipate. 

La storia della statua miracolosa
La statua del Nazareno Nero rappresenta Gesù piegato sotto il peso della Croce. Essa è stata portata a Manila da un sacerdote agostiniano spagnolo nel 1607 a bordo di una nave proveniente dal Messico. Secondo la tradizione  l'imbarcazione ha preso fuoco durante il viaggio, ma l'immagine del Cristo è scampata miracolosamente all'incendio assumendo il colore nero. Nonostante il danno, la popolazione di Manila decide di conservare e onorare l'effige. Da allora, la statua è chiamata il Nazareno Nero e molte persone assicurano di aver ricevuto la guarigione da malattie toccandone la superficie.

La statua è uno dei simboli del popolo filippino
Nei secoli l'aura miracolosa che circonda l'immagine del Cristo ne ha fatto uno dei simboli del popolo filippino. In questi anni i vescovi hanno concesso una copia della statua ai cristiani di Mindanao, troppo lontani per partecipare in massa alla processione di Quiapo. Le celebrazioni si tengono a Cagayan de Oro in contemporanea con la capitale il 9 gennaio, festa del Nazareno, e il venerdì Santo.

Card. Tagle: l'amore di Dio è pronto ad abbracciare deboli e peccatori e non li condanna
Ad aprire la festività è stato l’arcivescovo di Manila, il card. Luis Antonio Tagle, che ha presieduto la solenne Messa di mezzanotte. Nell’omelia il porporato ha sottolineato l’importanza di un “amore disinteressato”, capace di mettere al bando l’egoismo e gli interessi personali. Per amare come Gesù ha fatto, ha proseguito il cardinale, è necessario concentrarsi sul “servizio agli altri”. Questo solo, ha aggiunto, è l’amore in grado di “promuovere l’unità” nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle città e in tutto il Paese. Il battesimo di Gesù, spiega il card Tagle, mostra la concretezza dell’amore di Dio, che ha voluto andare incontro ai peccatori e mostrarsi nel suo volto umano. “Questo è il tipo di amore - ha concluso l’arcivescovo di Manila - che è pronto ad abbracciare anche i deboli e i peccatori, invece di condannarli. Ciò che conta davvero è il bene degli altri”. (R.P.)

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Pakistan: governo Sindh respinge legge contro le conversioni forzate

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Il governo della provincia del Sindh, nel Pakistan sud-orientale, ha respinto la legge che punisce le conversioni forzate con pene fino all’ergastolo. Accolta dalle minoranze religiose del Paese come una vera svolta nel tentativo di assicurare la piena libertà di credo e arginare le conversioni estorte con la forza, la norma era stata approvata all’unanimità dall’Assemblea provinciale lo scorso novembre. All'agenzia AsiaNews attivisti cristiani e indù esprimono “grande dispiacere” e lamentano un pericoloso passo indietro nel rispetto di ogni confessione. Mukhee Lal Chand, presidente del Consiglio generale indù nel distretto di Jacobabad, denuncia: “Non possiamo fare nulla per impedire i rapimenti e le conversioni delle nostre figlie minorenni. Questa è davvero un’ingiustizia. Avevamo un grande bisogno di questa legge”.

Ogni anno 1.000 giovani donne costrette a rinnegare la propria religione
Le conversioni forzate all’islam, in particolare delle ragazze, rappresentano una vera piaga per gli otto milioni di fedeli indù. Secondo un rapporto della Commissione asiatica per i diritti umani, ogni anno almeno 1.000 giovani donne sono costrette a contrarre matrimonio islamico e a rinnegare la propria religione.

La legge prevedeva 5 anni di carcere per chi si fosse macchiato del crimine di conversione forzata
La scorsa settimana Saeeduzzaman Siddiqi, governatore del Sindh, ha rigettato la Criminal Law (Protection of Minorities). La normativa era stata proposta da Nand Kumar, parlamentare musulmano. Stabiliva che chi si fosse macchiato del crimine di conversione forzata, frequente nei matrimoni islamici dove la donna viene obbligata ad abbracciare la fede del marito, avrebbe dovuto scontare da cinque anni di carcere fino all’ergastolo. Per quanto riguarda le conversioni dei minori, la legge decretava che nessuno doveva essere giudicato, nel caso in cui la scelta fosse stata compiuta prima del raggiungimento della maggiore età (18 anni). Allo stesso modo, la conversione di un minore sarebbe stata riconosciuta dopo il compimento del 18mo anno.

I partiti musulmani avevano definito “anti-islamica” la legge sulle minoranze
Dopo il passaggio in Assemblea, i partiti musulmani avevano criticato come “anti-islamica” la legge sulle minoranze e chiesto l’immediato annullamento. Il senatore Siraj ul Haq, capo del Jamaat-i-Islami, aveva denunciato la nuova normativa come “un tentativo di creare disordini tra i musulmani e le minoranze”. In seguito 13 deputati che avevano redatto il testo, tra i quali anche tre ministri, hanno ricevuto minacce di morte.

Il respingimento della legge va contro la libertà di religione
​Peter Jacob, direttore cattolico del Centre for Social Justice dichiara: “Il respingimento della legge va contro la libertà di religione. Chiediamo con urgenza al governo del Sindh di focalizzarsi sulle divisioni sociali e chiedere il sostegno del Pakistan People Party al governo. Coloro che protestano non hanno né studiato la propria religione, né la Costituzione del Pakistan”. Nasira Javed Iqbal, giudice in pensione e attivista islamico, aggiunge: “Chi si è preso il diritto di rivedere la legge, non è il proprietario dell’intera provincia del Sindh. Tutti devono prendere posizione per la legge sulle minoranze”. (K.C.)

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Sud Corea: vescovi chiedono le dimissioni della Presidente Park

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Mentre la Corea del Sud è attraversata da una vicenda che ha travolto la nazione, con il processo per impeachment in corso a carico della presidente Park Geun-hye, la Conferenza episcopale cattolica, preoccupata di “proteggere e sviluppare la democrazia in maniera pacifica e matura” nel Paese, ha diffuso un messaggio titolato “La giustizia scorra come un torrente perenne”, in cui i vescovi sposano la richiesta popolare di dimissioni della Presidente.

La Presidente al centro di uno scandalo
Per oltre tre mesi si sono susseguite imponenti manifestazioni di piazza a Seul e nelle altre principali città coreane per chiedere le dimissioni della Park. La donna, eletta nel 2012, è al centro di uno scandalo a causa della sua controversa relazione con Choi Soon-sil, figlia di un leader di un culto sciamanico. Secondo quanto emerso, la Park è stata manipolata dalla santona Choi Soon-sil che ha usato questa influenza per controllare gli affari di Stato (accedendo a documenti riservati) e nel contempo per arricchirsi, pilotando contributi dei grandi gruppi industriali a fondazioni da lei controllate. Il Parlamento coreano ha autorizzato il processo di impeachment a carico della Park per corruzione, frode, abuso di potere, in violazione degli obblighi costituzionali.

Preoccupazione dei vescovi per la violazione della sovranità nazionale
Nel documento ripreso dall’agenzia Fides, la Chiesa cattolica coreana ribadisce il suo l'impegno e “discernimento, con atteggiamento profetico, per interpretare i segni dei tempi”. I vescovi scrivono: “Desideriamo che la pace e la giustizia scorrano come un fiume e preghiamo per la benedizione di Dio" sulla Corea, attraversata da una fase di profonda crisi e di grande tensione politica e sociale. Dicendosi preoccupati per la violazione della sovranità nazionale e dei principi cardine dello Stato di diritto, i vescovi coreani chiedono esplicitamente le dimissioni della Park e invitano il Parlamento nazionale ad agire per l'interesse e il bene comune della nazione.

I vescovi invocano un nuovo capitolo nella storia della democrazia in Corea
Il crollo della leadership - rileva il testo - rischia di far affondare il Paese in una paralizzante crisi economica, con conseguenze dannose per tutti: per questo, senza indugiare, la classe politica è chiamata a “versare lacrime di penitenza” e a “ristabilire la fiducia e la speranza della gente” che in modo legittimo ha espresso forte disapprovazione e amarezza verso l'intera vicenda. Per evitare “instabilità e disordine”, bisognerebbe accettare che la Presidente Park non è più politicamente in grado di svolgere il suo compito, e che si dimetta, essendo decaduta la fiducia della popolazione: per questo si invoca “un nuovo capitolo nella storia della democrazia in Corea, tenendo unito tutto il Paese”.

Richiamo ai parlamentari perchè mettano da parte le logiche di partito
A tal fine vi è un forte richiamo ai parlamentari perchè mettano da parte le logiche di partito e il calcolo politico e profondano “uno sforzo bipartisan per normalizzare la situazione, senza risparmiarsi”, restituendo un buon governo alla nazione e rispondendo alle attese delle gente, che è molto indignata. Il tutto al fine di garantire “pace e giustizia alla Corea”. (P.A.)

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A Parigi il V Forum Europeo cattolico-ortodosso

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“L’Europa nel timore della minaccia del terrorismo fondamentalista e il valore della persona e la libertà religiosa”. Questo il tema scelto per il V Forum europeo cattolico-ortodosso, un’iniziativa promossa dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee) insieme con il Patriarcato ecumenico in accordo con le Chiese ortodosse presenti in Europa. I lavori - riporta l'agenzia Sir - si aprono oggi a Parigi con i saluti dell’arcivescovo di Parigi, il card. André Vingt-Trois. Toccherà poi a due co-presidenti del Forum, al metropolita Gennadios di Sassima del Patriarcato ecumenico, e al card. Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, a introdurre i lavori. 

La composizione delle due delegazioni
I lavori si concluderanno giovedì 12 gennaio con l’adozione di un messaggio finale da parte dei partecipanti. Della delegazione ortodossa fanno parte metropoliti dei patriarcati ecumenico di Antiochia, Mosca, Serbia, Romania, Cipro, Grecia, Albania e Slovacchia. Della delegazione cattolica fa parte anche il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei e neo-eletto presidente del Ccee.

L’Europa alle prese con il terrorismo fondamentalista
Il tema scelto per la V edizione di questo Forum ecumenico – “L’Europa alle prese con il terrorismo fondamentalista” – sarà sviluppato dai partecipanti a partire da alcuni temi di interesse comune come “la dignità umana e la libertà religiosa; l’intolleranza religiosa, la discriminazione e la persecuzione; il fondamentalismo e il terrorismo di oggi; la coesione sociale e il fenomeno della paura nello Stato di diritto guardando alla missione dei governanti e al contributo della Chiesa; l’impegno delle Chiese nella gestione dei conflitti e nella promozione del bene comune e la solidarietà; e, infine, l’annuncio di Gesù Cristo come risposta alla minaccia sia del fondamentalismo che del terrorismo”. Mercoledì 11 gennaio alle 19.30 presso la cattedrale di Notre Dame i membri delle due delegazioni parteciperanno alla recita dei vespri – durante i quali sarà esposta la Corona di Spine – su invito dell’arcidiocesi di Parigi.

Il Forum affronta questioni antropologiche e pastorali e non dottrinali
“Il Forum Oortodosso-cattolico nasce dalla volontà di discutere questioni antropologiche e pastorali d’importanza cruciale per il presente e il futuro dell’umanità – si legge in una nota del Ccee – con lo scopo di aiutare a definire delle posizioni comuni sulle questioni sociali e morali, e non affronta questioni dottrinali, che vengono trattate ad altri livelli. Infatti, il Forum non sostituisce affatto la Commissione Mista Internazionale di Dialogo Teologico tra la Chiesa Romano Cattolica e la Chiesa Ortodossa che è in corso dal 1980”. 

I temi affrontati negli altri quattro Forum
Il 1° Forum europeo cattolico-ortodosso si è svolto nel 2008 (11-14 dicembre) a Trento in Italia sul tema “La famiglia: un bene per l’umanità”; il 2° Forum si svolse sull’Isola di Rodi in Grecia nel 2010 (18-22 ottobre) sul tema “Relazioni Chiesa-Stato”;  il 3° Forum si è svolto a Lisbona in Portogallo nel 2012 (5-8 giugno) sul tema “La crisi economica e la povertà. Sfide per l’Europa di oggi”; e il 4° Forum si è tenuto a Minsk, in Bielorussia, nel 2014 (2-6 giugno) sul tema: “Religione e diversità culturale: le sfide per le Chiese cristiane in Europa”. (R.P.)

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Post-verità, Fabris: mai rassegnarsi alle "balle mediatiche"

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False notizie, fake news, bufale corrono sulla rete da sempre, ma il dibattito sulla cosiddetta "post-verità" si accende ad ondate su giornali, tv, siti e social quando emergono casi più eclatanti o prese di posizione di leader politici su come ordinare o lasciare nel caos l’universo internet. Roberta Gisotti ha intervistato Adriano Fabris, docente di Etica della comunicazione all’Università di Pisa: 

D. - Prof. Fabris, tanti i modi per definire bugie, scorrettezze, infamie o anche spam e spazzatura, che vengono sversate in rete. Dobbiamo davvero rassegnarci a vivere in una terra di nessuno, senza regole e valori, diritti e doveri uguali per tutti?

R. – Molte persone vorrebbero questo: che ci rassegnassimo e abbandonassimo la possibilità di distinguere il vero dal falso. Questo farebbe comodo a coloro che vorrebbero proporci una realtà a loro misura, che vorrebbero convincerci che ci sono cose che in realtà non esistono e che incidono nella nostra vita. Io credo che questa sia una delle frontiere che davvero noi dobbiamo continuare a presidiare e che distingue il vero dal falso. Noi abbiamo bisogno di recuperare un concetto di verità, che certamente va modificato, anche in relazione ai nuovi mondi che ci vengono offerti dalle nuove tecnologie. Il tema della verità, con maggior forza nell’epoca delle “balle mediatiche”, deve essere riproposto all’attenzione di tutti.

D. – Diverse le ipotesi per ordinare il web sempre naufragate, perché ritenute – a torto o a ragione – censorie. Tra le ultime quelle di Giovanni Pitruzzella, presidente dell’anti-trust, che ha chiesto una Rete indipendente di agenzie nazionali; e poi quella del leader politico Grillo, che ha suscitato tante polemiche, che ha invocato una giuria popolare. Insomma tanto rumore e poi nulla?

R. – Effettivamente è difficile regolamentare il web dall’alto, perché l’ambiente di Internet è transnazionale; mentre la regolamentazione, il più delle volte, avviene su scala nazionale. Ogni tanto viene fuori l’idea di delegare all’Onu una regolamentazione: ma se l’efficacia dell’Onu è quella che spesso si vede all’opera, certamente non è forse la soluzione migliore… Io credo che una regolamentazione sia indispensabile e sia richiesta e questo lo vediamo anche da tante, tante esperienze di abusi del web. Solo che se non può provenire dall’alto, se magari sa fin troppo di censura o di Grande Fratello una regolamentazione imposta, deve sicuramente esserci e venire dal basso, dalla sensibilità etica delle persone, da quella che è una necessaria educazione all’uso delle nuove tecnologie.

D. – Professore, non so da quanti anni si parla ormai di “media education” per abituare, appunto, le nuove generazione – ma ormai tutti quanti – all’uso di questi strumenti, che fanno parte della vita ordinaria delle persone. A che punto siamo?

R. – Purtroppo non siamo molto avanti, perché si scambia l’educazione all’uso dei media con la capacità di adattarsi, sempre meglio e sempre di più, ai nuovi strumenti comunicativi o alle loro possibilità. Non è questo! Non è l’educazione all’utilizzo, ma al significato, alle conseguenze; alle responsabilità che noi abbiamo nell’utilizzo di uno strumento comunicativo ciò a cui dobbiamo essere educati. E soprattutto devono essere educate le giovani generazioni, che sono quelle che più immediatamente e senza filtri vengono inserite in questi nuovi ambienti in questa dinamica.

D. – Forse, che ci sia anche una informazione più veritiera su tutte le ricerche che sono state già fatte sugli effetti negativi di un uso distorto o un abuso dei nuovi media…

R. – E’ chiaro che attrae molto di più e fa molta più audience una notizia scandalosa, una notizia che allarma, una notizia anche esagerata, se non addirittura falsa. E questo perché, soprattutto su lanciata sul web, viene anche diffusa – come si dice – in maniera virale. Però siamo noi che utilizziamo il web e quindi siamo noi che poi, alla fine, possiamo anzi dobbiamo decidere sulla validità o meno di qualcosa. Il punto, però, è che noi possiamo e dobbiamo decidere se ne abbiamo le competenze: certo il web, da un punto di vista di divulgazione, ha una potenzialità di incremento della democrazia notevole. Il problema è che la democrazia, però, non ci mette tutti sullo stesso piano: abbiamo competenze diverse e possiamo giudicare, decidere e far conoscere anche agli altri quelle che sono le nostre decisioni grazie al web, ma sulla base delle conoscenze e delle competenze che ciascuno di noi ha.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 9

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.