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Sommario del 02/01/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa ai vescovi: difendere i bambini del mondo dai nuovi Erode

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La Sala Stampa della Santa Sede ha pubblicato oggi la Lettera che Papa Francesco ha scritto ai Vescovi nella Festa dei Santi Innocenti, celebrata il 28 dicembre scorso. Riferendosi alla strage degli Innocenti, così come è raccontata dal Vangelo, il Papa si sofferma sul “gemito di dolore delle madri che piangono la morte dei loro figli” di fronte “alla tirannia e alla sfranata sete di potere di Erode. Un gemito che anche oggi possiamo continuare ad ascoltare, che ci tocca l’anima e che non possiamo e non vogliamo ignorare né far tacere. Oggi tra la nostra gente, purtroppo – e lo scrivo con profondo dolore –, si ascolta ancora il lamento e il pianto di tante madri, di tante famiglie, per la morte dei loro figli, dei loro figli innocenti”.

“Contemplare il presepe – scrive Francesco - è anche contemplare questo pianto, è anche imparare ad ascoltare ciò che accade intorno e avere un cuore sensibile e aperto al dolore del prossimo, specialmente quando si tratta di bambini, ed è anche essere capaci di riconoscere che ancora oggi si sta scrivendo questo triste capitolo della storia. Contemplare il presepio isolandolo dalla vita che lo circonda, sarebbe fare della Natività una bella favola che susciterebbe in noi buoni sentimenti ma ci priverebbe della forza creatrice della Buona Notizia che il Verbo Incarnato ci vuole donare. E la tentazione esiste”.

Il Papa domanda: “È possibile vivere la gioia cristiana voltando le spalle a queste realtà? È possibile realizzare la gioia cristiana ignorando il gemito del fratello, dei bambini? San Giuseppe è stato il primo chiamato a custodire la gioia della Salvezza. Davanti ai crimini atroci che stavano accadendo, san Giuseppe – esempio dell’uomo obbediente e fedele – fu capace di ascoltare la voce di Dio e la missione che il Padre gli affidava. E poiché seppe ascoltare la voce di Dio e si lasciò guidare dalla sua volontà, divenne più sensibile a ciò che lo circondava e seppe leggere gli avvenimenti con realismo”.

“Oggi anche a noi, pastori, viene chiesto lo stesso, di essere uomini capaci di ascoltare e non essere sordi alla voce del Padre, e così poter essere più sensibili alla realtà che ci circonda. Oggi, tenendo come modello san Giuseppe, siamo invitati a non lasciare che ci rubino la gioia. Siamo invitati a difenderla dagli Erode dei nostri giorni. E come san Giuseppe, abbiamo bisogno di coraggio per accettare questa realtà, per alzarci e prenderla tra le mani (cfr Mt 2,20). Il coraggio di proteggerla dai nuovi Erode dei nostri giorni, che fagocitano l’innocenza dei nostri bambini. Un’innocenza spezzata sotto il peso del lavoro clandestino e schiavo, sotto il peso della prostituzione e dello sfruttamento. Innocenza distrutta dalle guerre e dall’emigrazione forzata con la perdita di tutto ciò che questo comporta. Migliaia di nostri bambini sono caduti nelle mani di banditi, di mafie, di mercanti di morte che l’unica cosa che fanno è fagocitare e sfruttare i loro bisogni”.

Il Papa ricorda i 75 milioni di bambini che, “a causa delle emergenze e delle crisi prolungate, hanno dovuto interrompere la loro istruzione. Nel 2015, il 68% di tutte le persone oggetto di traffico sessuale nel mondo erano bambini. D’altra parte, un terzo dei bambini che hanno dovuto vivere fuori dei loro paesi lo ha fatto per spostamento forzato. Viviamo in un mondo dove quasi la metà dei bambini che muoiono sotto i 5 anni muore per malnutrizione. Nell’anno 2016 si calcola che 150 milioni di bambini hanno compiuto un lavoro minorile, molti di loro vivendo in condizioni di schiavitù. Secondo l’ultimo rapporto elaborato dall’UNICEF, se la situazione mondiale non muta, nel 2030 saranno 167 milioni i bambini che vivranno in estrema povertà, 69 milioni di bambini sotto i 5 anni moriranno tra il 2016 e il 2030 e 60 milioni di bambini non frequenteranno la scuola primaria di base”.

“Ascoltiamo il pianto e il lamento di questi bambini – prosegue il Papa nella Lettera - ascoltiamo anche il pianto e il lamento della nostra madre Chiesa, che piange non solo davanti al dolore procurato nei suoi figli più piccoli, ma anche perché conosce il peccato di alcuni dei suoi membri: la sofferenza, la storia e il dolore dei minori che furono abusati sessualmente da sacerdoti. Peccato che ci fa vergognare. Persone che avevano la responsabilità della cura di questi bambini hanno distrutto la loro dignità. Deploriamo questo profondamente e chiediamo perdono. Ci uniamo al dolore delle vittime e a nostra volta piangiamo il peccato. Il peccato per quanto è successo, il peccato di omissione di assistenza, il peccato di nascondere e negare, il peccato di abuso di potere. Anche la Chiesa piange con amarezza questo peccato dei suoi figli e chiede perdono”.

“Ricordando il giorno dei Santi Innocenti, voglio che rinnoviamo tutto il nostro impegno affinché queste atrocità non accadano più tra di noi. Troviamo il coraggio necessario per promuovere tutti i mezzi necessari e proteggere in tutto la vita dei nostri bambini perché tali crimini non si ripetano più. Facciamo nostra chiaramente e lealmente la consegna ‘tolleranza zero’ in questo ambito”.

“La gioia cristiana non è una gioia che si costruisce ai margini della realtà, ignorandola o facendo come se non esistesse. La gioia cristiana nasce da una chiamata – la stessa che ricevette san Giuseppe – a “prendere” e proteggere la vita, specialmente quella dei santi innocenti di oggi. Il Natale è un tempo che ci interpella a custodire la vita e aiutarla a nascere e crescere; a rinnovarci come pastori coraggiosi. Questo coraggio – conclude il Papa - che genera dinamiche capaci di prendere coscienza della realtà che molti dei nostri bambini oggi stanno vivendo e lavorare per garantire loro le condizioni necessarie perché la loro dignità di figli di Dio sia non solo rispettata, ma soprattutto difesa”.

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Mons. Bizzeti dalla Turchia: cristiani e musulmani uniti contro terrorismo

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Impegnarsi per “affrontare la piaga del terrorismo”. E’ l’appello lanciato ieri all’Angelus da Papa Francesco dopo il sanguinoso attentato ad Istanbul, che ha provocato 39 morti, rivendicato oggi dal sedicente Stato islamico. Sulla vicinanza al popolo turco espressa dal Papa e l’impegno per eliminare le radici del terrorismo, Alessandro Gisotti ha raccolto il commento di mons. Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia, raggiunto telefonicamente in Turchia: 

R. – Credo che le parole del Papa abbiano espresso veramente il sentimento di tutta la Chiesa cattolica, ovvero la vicinanza a questo grande e glorioso popolo in un momento estremamente difficile della sua vita. Il Papa ha espresso i sentimenti di tutti noi cattolici che viviamo in Turchia; siamo profondamente addolorati di quanto sta succedendo e profondamente preoccupati ormai da una serie di attentati che hanno minato la tranquillità della nazione.

D. - Stamani la rivendicazione del sedicente Stato islamico. Ieri anche il Papa ieri, proprio all’Angelus, denunciava questo male terribile del terrorismo …

R. – Credo che purtroppo negli anni scorsi sia stata sottovalutata la pericolosità di quanto stata avvenendo in Medio Oriente, l’Is in modo particolare. Forse si è aspettato anche troppo, quando invece c’erano già tutti i segni di questa ferocia totalmente stupida e totalmente disumana. Credo che sia veramente necessaria una cooperazione forte tra tutte le nazioni di quest’area per togliere le radici di questo terrorismo che sono il commercio delle armi, l’inerzia nell’affrontare questo sedicente Stato islamico … Bisogna che tutti si esprimano con grande chiarezza e soprattutto che ci siano dei fatti molto forti.

D. - Un altro dato che emerge e che tra l’altro il Papa ha sottolineato più di una volta è che le vittime del terrorismo sono tutti, cristiani, musulmani, senza distinzione … Lo vediamo anche in Turchia, in tante occasioni …

R. - Esatto. Questo è forse l’aspetto che a volte in Europa viene sottovalutato; chi paga il prezzo più alto di queste stragi, anche in Siria, di questo Stato islamico non sono i cristiani, ma sono proprio gli stessi musulmani. Vedo che le persone, anche quelle semplici, stanno vivendo un dramma molto forte perché questa gente dice di agire in nome di Allah. Per questo motivo dicevo che ci vuole anche una mobilitazione delle coscienze e una mobilitazione religiosa e, come ha detto più volte il Papa, bisogna che diventi sempre più chiaro a tutti che la violenza in nome di Dio non è mai legittima.

D. – Il piccolo gregge, la comunità cristiana in Turchia, come vive questa situazione all’interno di una problematica che riguarda tutti? Nello specifico, come vivono i cristiani?

R. - Direi che per questi aspetti i cristiani vivono quello che vivono tutti; c’è un senso di dolore, di scoraggiamento, di paura, di incertezza. Di fronte a questi episodi di terrorismo siamo tutti uguali direi; si abbattono anche certe barriere perché tutti vengono colpiti in modo indiscriminato.

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Zenari: il 2017 potrebbe essere l'anno della svolta per la Siria

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In Siria resta fragile la tregua raggiunta il 30 dicembre scorso grazie alla mediazione di Russia e Turchia con l'avallo dell'Iran e da cui resta fuori lo Stato Islamico. I caccia russi e turchi continuano a bombardare le basi jihadiste in territorio siriano. Anche l’aviazione di Assad sta colpendo a nord di Damasco le basi islamiste escluse dal cessate il fuoco. Ora si guarda con speranza ai colloqui di pace che dovrebbero tenersi entro il mese in Kazhakistan. Sulla situazione ascoltiamo il nunzio a Damasco, il cardinale Mario Zenari, intervistato da Sergio Centofanti

R. – Vorremmo che questa tregua segnasse una svolta. E’ un segno di una certa speranza: si vive in questo clima. Naturalmente bisogna andare anche molto, molto cauti, perché la tregua – come si sa – non concerne tutti i gruppi armati. E poi si è visto proprio nelle prime ore dell’anno nuovo, nella vicina Turchia, questo atto di terrorismo … Quindi bisognare andare ancora molto, molto cauti. Però direi che la gente ha un po’ tirato un certo respiro di sollievo. E’ importante anche che non venga sepolta la speranza: io dico sempre “Tener vita la speranza!”. Ma bisogna essere prudenti, perché ancora – qua e là – ci sono scontri, bombardamenti … Qui a Damasco, ad esempio, gran parte della capitale da circa una settimana è senza acqua corrente, perché – da quanto si dice – sono stati danneggiati i depositi; e in gran parte della città manca ancora l’elettricità … Un certo sollievo si respira ad Aleppo. Anche le nostre comunità stanno vivendo queste festività natalizie con un certo clima di serenità che non c’era negli anni trascorsi … C’è questo clima di ottimismo e di fiducia, anche se ripeto - ancora una volta - bisogna essere alquanto cauti.

D. – Il Papa, nel suo ultimo appello per la Siria, ha auspicato che la Comunità internazionale si adoperi attivamente per la pace…

R. – Sì, qui è molto importante che la Comunità internazionale si trovi d’accordo. In questi passati sei anni abbiamo purtroppo assistito ad una divisione in seno alla Comunità internazionale e in particolare in seno al Consiglio di Sicurezza. E queste divisioni non hanno aiutato a trovare la via della pace. Ultimamente, in questi ultimi giorni, sono state votate all’unanimità un paio di Risoluzioni in seno al Consiglio di Sicurezza: vogliamo sperare che questo sia un segnale forte, che possa contribuire ad una svolta. Speriamo che il 2017 segni veramente l’anno della svolta! Naturalmente c’è molto da fare, ma importante è che cessi la violenza. E’ tempo di guaire le profonde ferite - ferite molto profonde! – sia sotto l’aspetto fisico, ma direi anche e soprattutto ferite molto profonde negli animi e negli spiriti. Occorre mettere mano e sanare tutte queste varie ferite.

D. - Ci sono delle nuove speranze per questo 2017?

R. – Direi di sì. Ma vanno alimentate: tutte le comunità cristiane, in questi giorni natalizi, alimentano questa speranza con la preghiera, indicando la strada della riconciliazione, del perdono, come ci insegna il Signore nel Vangelo. Naturalmente la strada è ancora molto lunga e direi che è tutta in salita. Però si vede qualche segno di speranza per l’avvenire … E desideriamo che, con l’aiuto di Dio e della Comunità internazionale, questi semi di speranza possano crescere e che possiamo vedere quanto prima dei frutti di riconciliazione e di pace.

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Nomine

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Per le nomine odierne consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Oggi in Primo Piano



L'Is rivendica l'attentato di Istanbul, è caccia al killer

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Stamani la rivendicazione da parte del sedicente Stato Islamico del sanguinoso attentato di Istanbul, che ha causato 39 morti. Intanto proseguono in Turchia le indagini per scovare l’autore della strage. Il servizio di Giancarlo La Vella

Nella sua delirante rivendicazione, il Califfato afferma che l’attentato realizzato da colui che viene definito “un soldato dell’Is”, rappresenta una risposta ai bombardamenti della Turchia contro i musulmani in Siria. Il comunicato del gruppo jihadista minaccia ancora: “Il governo di Ankara sappia che il sangue dei musulmani a causa dei bombardamenti turchi si trasformerà in fuoco nella sua casa”. E, intanto, continua la caccia al killer che, dopo l’attacco di Istanbul, si è dato alla fuga. Mobilitati migliaia di poliziotti in tutto il Paese. Si apprende, inoltre, che nell’attacco al locale sono stati esplosi tra i 120 e i 180 colpi. Si cerca una persona che, secondo fonti anonime riportate dalla stampa turca, potrebbe provenire dall'Uzbekistan o dal Kyrgyzstan. Quello che gli osservatori si chiedono è se l’attentato di Istanbul rappresenti un cambio in chiave terroristica della strategia dell’Is. Lo abbiamo chiesto a Emanuele Schibotto, del sito “geopolitica.info”:

R. – Credo proprio di sì … sarà un anno pericoloso per tutti noi, in Europa. Per diversi motivi: perché è un anno di elezioni in tutto il continente e ci sarà incertezza politica. Sappiamo che molto spesso l’incertezza crea condizioni per poter agire. C’è il pericolo dei lupi solitari, che sono sempre più incentivati e controllati dal sedicente Stato Islamico; sono lupi solitari, ma si sipirano sempre a un’ideologia comune.

D. – Aumentando il livello di attenzione contro possibili attacchi terroristici, è forse questo il momento di creare un fronte internazionale più compatto contro il Califfato?

R. – E’ questo il momento per alzare la voce e cercare di far fronte comune a una minaccia che è senz’altro condivisa da tutti: dalla Russia, dagli Stati Uniti; anche se gli Stati Uniti per diverse ragioni si stanno allontanando dall’arena mediorientale, sono comunque interessati. E' interessato poi il versante centroasiatico … Ci sono, comunque, anche ragioni per essere positivi, a mio modo di vedere, perché diciamo che possiamo anche leggere le mosse recenti dell’Isis come le ultime cartucce da sparare, atti segnati quasi dalla frustrazione, perché il contesto nel quale si sta muovendo sta mutando, e anche in maniera rapida. La Russia ha preso il controllo della Siria e quindi c’è un Paese più stabile; per questo ci sono condizioni mutate e proprio per questo c’è da stare molto attenti, ma è anche vero che ci sono motivi – ripeto – per essere ottimisti …

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Iraq: decine di morti in attentati dell'Is a Baghdad

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Il sedicente Stato Islamico ha rivendicato gli attentati di oggi a Baghdad. In un popoloso quartiere della capitale, un ultimo bilancio parla di 39 morti e 48 feriti. Lo riferisce la televisione satellitare panaraba Al Jazira. L'agenzia Ap sottolinea che la rivendicazione e' stata postata in un sito online normalmente usato dai jihadisti. Sempre stamane, Baghdad è stata scossa da altri due attentati avvenuti nei pressi di altrettanti ospedali della capitale irachena. Secondo il sito Iraqi News. Saad Maan, portavoce del ministero dell'Interno, ha precisato che un'autobomba è esplosa vicino all'ospedale Al Kindi, mentre un'altra e' stata fatta saltare in aria nei pressi dell'ospedale Al Jawader, nel sobborgo sciita di Sadr City.

Agire contro il terrorismo in Iraq anche per prevenire degli atti di terrorismo in Francia
Gli attentati sono avvenuti mentre era in corso a Baghdad la visita di qualche ora del Presidente francese Hollande, la prima di un leader occidentale da quando due anni e mezzo fa è stata creata la coalizione internazionale anti-Is. "Agire contro il terrorismo in Iraq serve anche a prevenire degli atti di terrorismo contro il nostro territorio - ha detto Hollande, parlando davanti ai militari francesi impegnati nell'addestramento delle forze irachene - Tutto quello che contribuisce alla ricostruzione in Iraq rappresenta una condizione aggiuntiva per evitare che da parte di Daesh possano essere condotte azioni sul nostro territorio". (R.P.)

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Iraq. Patriarca Sako: a Natale la solidarietà dei musulmani

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In Iraq si assiste a “una rivolta della base contro il terrorismo, contro le violenze”, accompagnata da un rinnovato impegno alla “difesa della vita, della pace, della gioia”; in questo modo “è possibile sconfiggere quanti cercano la morte, la distruzione, l’emigrazione”. È quanto racconta all'agenzia AsiaNews il patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako, descrivendo il clima di festa che si è respirato in questi giorni nel Paese, nonostante episodi di violenze. Fra i molti eventi che hanno caratterizzato questi giorni di festa, il primate caldeo cita tre esempi: gli alberi di Natale sparsi per diversi quartieri di Baghdad; la visita di un gruppo di giovani musulmani sciiti di Najaf che ha partecipato a una Messa nella capitale; i festeggiamenti per il capodanno a Bassora e l’invito delle autorità locali ai cristiani, che chiedono “di tornare nelle loro case”.

Quasi un milione di persone si sono riversate per le strade di Baghdad
“La notte di Capodanno - racconta Mar Sako - sono uscito per andare in una piazza del quartiere di Mansour, a Baghdad. Abbiamo festeggiato con moltissime persone, quasi un milione di persone si sono riversate per le strade”. “Abbiamo parlato con loro, ci siamo scambiati gli auguri; sono piccoli gesti- aggiunge - ma che servono a respingere l’ideologia del terrore di Daesh” (acronimo arabo del sedicente Stato Islamico) che anche in questi giorni ha colpito con attacchi bomba nella capitale.

Il 2017 in Iraq sarà un anno diverso, forse di maggiore coesione e unità
Il “cambiamento” è visibile, prosegue il patriarca caldeo, “soprattutto a Baghdad, disseminata di alberi di Natale. E poi le molte lettere di auguri da parte di autorità religiose, politiche, ma anche di attivisti civili musulmani e molta gente semplice”. “Penso che il 2017 - sottolinea - sarà un anno diverso, forse non di pace totale ma certo di maggiore coesione, unità. Questa è la mia preghiera, ma è anche il sentimento comune della maggioranza dei cittadini”.

La autorità di Bassona hanno chiesto ai cristiani di tornare nelle proprie case
In questi giorni le autorità politiche, religiose e istituzionali di Bassora hanno lanciato un appello ai cristiani, chiedendo a quanti sono emigrati di tornare nelle loro case. Nella città del sud dell’Iraq si è anche festeggiato per la prima volta il Capodanno, a dimostrazione di un clima di maggiore “coesione” fra le diverse anime che compongono la realtà locale e tutto il Paese. Le forze di polizia di Bassora hanno vigilato perché le celebrazioni e i festeggiamenti si svolgessero in tutta sicurezza; il Consiglio provinciale si è inoltre impegnato alla manutenzione e alla ristrutturazione delle chiese.

La visita di un gruppo di giovani musulmani sciiti che hanno partecipato a una Messa nella chiesa di San Giorgio
“Il governatore e il presidente del Consiglio municipale - racconta ancora mar Sako - sono andati a visitare il vescovo in queste giornate di festa. Un politico cristiano locale ha diffuso una lettera per il nuovo anno contro la guerra. Noi cristiani abbiamo molto da fare per la comunità locale; io ho chiesto alle autorità locali di mostrare la loro vicinanza alla comunità cristiana, e questi appelli e queste iniziative (fra Natale e Capodanno) sono una prima risposta”. L’episodio più significativo di questi giorni, secondo mar Sako, è la visita di un gruppo di giovani musulmani, ragazzi e ragazze, originari di Najaf, musulmani sciiti, che hanno partecipato a una Messa nella chiesa di San Giorgio. A seguire, il gruppo ha pranzato col patriarca e i vertici della Chiesa caldea scambiando racconti ed esperienze personali e comunitarie. “Hanno preso parte alla funzione religiosa - ricorda il primate caldeo - e poi abbiamo posato per alcune fotografie con una bandiera dell’Iraq e scritte per la pace. I giovani sono rimasti molto colpiti dai canti e dalle preghiere”.

I giovani musulmani invitati a combattere l’ignoranza che c’è in molti casi del cristianesimo
“Ho spiegato loro - continua  mar Sako - la nostra fede, l’unico Dio, il concetto di Trinità. Ho illustrato le basi della nostra fede, la discendenza comune da Abramo, la figura di Gesù. Li ho invitati a combattere l’ignoranza che c’è in molti casi del cristianesimo, non siamo infedeli. Ad accompagnarli c’erano anche i cronisti di due canali televisivi, ai quali ho chiesto di diffondere la nostra cultura, spiegarla agli spettatori, perché ci sono molte più cose che ci uniscono rispetto a quante ci dividano”. “Ancora più significativo - prosegue il patriarca caldeo - è che questa visita di giovani musulmani sciiti di Najaf è nata su loro iniziativa. Hanno visto sui media alcuni servizi dedicati alla nostra comunità e hanno voluto incontrarci, creando un legame personale e diretto con noi che spero possa proseguire anche in futuro. Ecco, da questo si vede anche l’importanza che hanno giornali e tv nel fornire occasioni di incontro e di confronto. Per questo, quest’anno, ho chiesto a sacerdoti e vescovi di pensare a messaggi e omelie di Natale che potessero valere per tutti”.

Dai giovani ai leader di governo è necessario adoperarsi per il dialogo, l’unità e il futuro dell'Iraq
Ai giovani di Najaf, al temine della Messa, si sono uniti anche un gruppo di ragazzi musulmani di Baghdad, che “hanno voluto portarci dei fiori” e festeggiare con noi “l’inizio del nuovo anno”. È tempo che i musulmani “si muovano e mostrino il lato positivo della loro fede” e che i politici operino “per rimuovere gli ostacoli e pensare al bene comune”. “Dai giovani ai leader di governo - conclude mar Sako - è necessario adoperarsi per il dialogo, l’unità e il futuro del Paese”. (D.S.)

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Pizzaballa: nel buio della violenza comportiamoci da figli della luce

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“La fede non è atto di un momento, magari eroico, ma è l’atteggiamento ordinario e quotidiano di chi crede costantemente che la vita ordinaria, semplice e a volte anche banale, sia abitata da un oltre. Che la vita non sia solo ciò che i nostri occhi carnali vedono”. Lo ha detto l’amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, durante la Messa, ieri a Gerusalemme, per la Solennità di Maria Madre di Dio.

Il credente è chiamato a testimoniare nella vita il suo essere figlio della luce
Per l’arcivescovo - riferisce l'agenzia Sir - la nascita di Cristo, celebrata solo pochi giorni fa, “ci dice anche che il dominio di Cristo nel mondo è sganciato da ogni potere umano e che il credente è chiamato a testimoniare nella vita ordinaria il suo essere figlio della luce, in questo nostro mondo violento. Di violenza, quest’anno, ne abbiamo vista tanta, ovunque. E sono stati tanti i credenti cristiani che, nonostante tutto, si sono comportati come figli della luce, senza permettere alle tenebre di vincere”. Chiaro il riferimento “al nostro Medio Oriente e alle tante testimonianze che i credenti hanno dato”.

Le nostre azioni devono dire a chi apparteniamo
Anche in Terra Santa, dove, ha sottolineato mons. Pizzaballa, “le tenebre della violenza non solo fisica sono forse meno ostentate, almeno ora, ma più latenti, e che avvolgono senza tregua la vita di tutti noi, il nostro quotidiano, siamo chiamati a comportarci da figli della luce. Spetta a noi chiederci cosa significhi, qui, oggi, essere figli della luce, appartenere a Cristo. Le nostre azioni – ha concluso – devono dire a chi apparteniamo”. (R.P.)

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Italia nel Consiglio di Sicurezza Onu. Gentiloni: sarà voce di pace

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L’Italia da oggi e per il 2017 nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. “Più forte nostra voce per sviluppo sostenibile, pace, impegno globale su migranti", scrive in un tweet il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. La pace al primo posto anche dell’agenda per il 2017, del Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, insediatosi ieri. Debora Donnini ha chiesto ad Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi internazionali, come l’Italia si impegnerà all’interno del Consiglio di sicurezza per raggiungere  questo obiettivo: 

R. – L’Italia è un Paese promotore della pace: lo fa e continua a farlo attraverso l’impegno delle sue  forze armate in missione di stabilità per donare pace e sicurezza a popoli devastati da violenze civili interne, da guerre, spesso con attori che vengono da fuori. Ma dall’altra parte c’è l’impegno morale nei confronti di tante persone che hanno bisogno ed hanno necessità di un futuro: questo viene fatto nei confronti dei migranti. L’impegno globale credo che sia anche quello di comprendere, all’interno degli sforzi, che il mondo non può essere soltanto diviso in singoli Paesi, ma che deve vedere un’Unione Europea più forte naturalmente in armonia con l’alleato tradizionale di sempre: gli Stati Uniti.

D. - La presenza dell’Italia nel Consiglio di sicurezza dell’Onu potrà far compiere dei passi avanti alle Nazioni Unite sulla questione migranti, cioè sul modo di affrontarla?

R. - Me lo auguro veramente di cuore, perché le parole dell’Italia sono sempre dettate da un’antica saggezza e rispetto nei confronti degli altri. La speranza è quella di trovare orecchie pronte ad ascoltare e non soltanto interessi da capitalizzare.

D. - Quale partita può giocare l’Italia in merito a questioni come quella dell’Iran?

R. - Non soltanto una partita di sponda, ma una partita centrale. L’Italia, da sempre, è un Paese di riferimento per gli iraniani aldilà della forma di governo temporanea. E’ un grande mercato che ha bisogno del nostro Paese ed è una nazione che può essere fonte di stabilità all’interno del Medio Oriente. Ma l’Italia non sarà soltanto centrale per le vicende iraniane, ma anche per le eventuali future sanzioni alla Corea del Nord. Il nostro è un Paese che guarda sempre più con attenzione allo sviluppo della situazione di crisi in Asia.

D. - Sicuramente a pesare sarà l’impronta che in politica estera vorrà dare Donald Trump, che ha già detto che dal 20 gennaio cambierà tutto. Ad esempio, per quanto riguarda il Medio Oriente basti pensare alla storica astensione degli Stati Uniti che ha fatto sì che ci fosse una risoluzione di condanna verso Israele per gli insediamenti in Cisgiordania. Secondo lei ci saranno passi in avanti o indietro per la situazione in Medio Oriente?

R. - Viene da pensare che una cosa sia fare proclami da Presidente eletto e, un’altra cosa, è essere seduti alla Stanza ovale e dover prendere delle decisioni. Aspettiamo che Trump si insedi e poi soltanto dopo qualche mese potremmo commentare l’inizio della sua politica estera.

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Pakistan: festa per i figli dei coniugi cristiani arsi vivi per blasfemia

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Suleiman, Sonia e Poonam, i figli di Shama e Shahzad Masih, i due coniugi cristiani pakistani massacrati e arsi vivi per presunta blasfemia a novembre 2014, hanno celebrato le festività del Natale del nuovo anno serenamente, grazie ai volontari della "Cecil Chaudhry & Iris Foundation" , guidata dalla cattolica Michelle Chaudhry, che si occupa di garantire l'istruzione ai tre orfani.

Suleiman e Sonia studiano in una scuola cattolica di suore a Lahore
I tre - riporta l'agenzia Fides - sono sono figli della di Shama e Shahzad uccisi un anno fa a Kot Radha Kishan, nel distretto di Kasur, nel Punjab pakistano. Da allora la "Cecil Chaudhry & Iris Foundation" si è assunta la responsabilità di educare questi bambini, sostenendo tutte le loro spese di istruzione come tasse scolastiche, libri, cancelleria, uniformi, costi delle attività extrascolastiche, gite, trasporti, assegnando anche una borsa di studio al nonno dei bambini, con cui attualmente essi vivono. Come appreso da Fides, Suleiman e Sonia studiano in una scuola cattolica di suore a Lahore ed entrambi i bambini si sono inseriti molto bene a scuola. Il preside e il personale sono estremamente felici dei loro progressi. La più piccola, Poonam, attualmente nella scuola materna, si unirà ai fratellini a marzo 2017.

I bambini si sono ben adattati: sono felici, sicuri di sé e sereni e con un buon rendimento scolastico
Michelle Chaudhry, presidente della Fondazione, ha dichiarato a Fides: "Ci dà immenso piacere vedere questi bambini ben adattati; sono felici, sicuri di sé e sereni e con un buon rendimento scolastico. Siamo felici di essere parte della loro vita e stiamo facendo tutto il possibile per fornire a questi bambini un ambiente di vita sano e sicuro, che veramente meritano". Durante le festività, ai bambini sono stati donati regali e dolci di Natale: "I piccoli si sono divertiti molto ed erano, come sempre, affascinati dall'albero di Natale", spiega Chaudhry. La fondazione che presiede è un'organizzazione indipendente senza scopo di lucro, impegnata a sradicare l'ingiustizia nella società, promuovendo i gruppi svantaggiati, vulnerabili ed emarginati all'interno del Pakistan. (P.A.)

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Nigeria. Ragazze di Chibok fuggite da Boko Haram: li abbiamo perdonati

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Carestia e terrorismo stanno devastando la Nigeria e i militari hanno scelto la strategia della paura, ma nel Paese prevale la speranza. Così il giornalista freelance Daniele Bellocchio arrestato e rilasciato nei giorni scorsi a Maiduguri capitale dello stato federale di Borno, dove si era recato per raccontare, anche per la Radio Vaticana, la realtà della guerra contro Boko Haram e il volto di alcune studentesse di Chibok riuscite a fuggire dopo il rapimento, nel 2014 di 276 ragazze, da parte degli estremisti islamici. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato: 

R. – Io avevo – è una premessa da fare – tutti i visti e gli accrediti giornalistici in regola per lavorare in Nigeria. Questi accrediti, per i quali tra l’altro ci vuole anche parecchio tempo per poterli ottenere, mi consentivano di lavorare proprio negli Stati del Nord, ma non mi permettevano di lavorare all’interno delle aree sotto controllo militare: per entrare nei campi profughi dovevo per forza avere un permesso in più rilasciato dall’esercito. Mi sono, quindi, recato in caserma insieme al fotografo e al fixer a Maiduguri, ma una volta arrivato in caserma c’è stata però questa sorpresa: anziché dirmi semplicemente puoi o non puoi andare nei campi profughi, mi hanno trattenuto il mio accredito e i miei documenti dicendo che io, essendo entrato in una caserma, avevo violato in qualche modo uno spazio militare…

D. – In sostanza, sei andato lì per chiedere una autorizzazione e invece ti hanno arrestato…

R. – Esattamente! Sono stato in arresto all’interno di questa caserma quasi 14 ore: subendo interrogatori e trattenuto in questa cella con i militari armati che ci piantonavano… Quando io ho chiesto di potermi mettere in contatto anche con la mia ambasciata,  questo mi è stato impedito. In piena notte siamo stati poi trasferiti dai servizi segreti nigeriani: anche qui ci sono stati altri interrogatori, è stato compilato l’intero modulo d’arresto, le foto segnaletiche, le impronte digitali… Quello che continuavano a dirci i militari era che noi abbiamo violato questo spazio militare, essendo entrati in caserma, e che quindi non potevamo più rimanere a Maiduguri e dovevamo tornare ad Abuja. Effettivamente così è stato: ci hanno proprio espulsi dalla città…

D. – Ma, secondo te, perché è accaduto questo: si vuole evitare la presenza della stampa o è una norma militare, seppur inspiegabile?

R. – Credo che sia la prima, ovvero che anche l’esercito non gradisca molto la presenza dei giornalisti, di osservatori stranieri nel Nord della Nigeria. Ora come ora vige la legge marziale e all’interno di questo contesto, anche di violenza, anche i militari non sempre hanno un comportamento che rende loro molto onore. Quello che anche io ho potuto capire, attraverso le interviste che ho fatto nella zona con i civili e con i profughi, è che i militari stanno cercando di combattere una guerra del terrore usando come antidoto la paura. C’erano anche diversi profughi che raccontavano di episodi di violenza commessi dall’esercito, che spesso interviene in modo brutale, in modo molto violento nei confronti anche della popolazione civile.

D. – Daniele, nel tuo viaggio hai comunque raccontato la realtà terribile dei campi profughi, ma anche la speranza negli occhi delle ragazze che sono riuscite a fuggire da Boko Haram. Che volto ha questa speranza, in questo Paese così complesso e dilaniato dal conflitto?

R. – E’ proprio negli occhi delle ragazze che sono riuscite a fuggire. Quando è stato loro chiesto se saranno liberate le loro ex studentesse, in modo lapidario e senza pensarci su due volte, hanno risposto: “Sì! La situazione volgerà per il meglio!”. Ma credo che la cosa più importante sia che quando l’abbiamo interrogate sul fatto se siano in grado di perdonare gli jihadisti di Boko Haram per quello che hanno fatto, anche in quel caso loro non hanno avuto esitazioni e ci hanno detto di sì.

D. – Nonostante siano state vittime di violenze…

R. – Esattamente! Quindi penso che questa volontà, questa capacità di essere predisposte al perdono sia la base più forte e più concreta per poter vedere della speranza all’interno della Nigeria, dove la situazione è molto difficile, dove c’è anche una crisi alimentare che sta falcidiando il Paese, che sta provocando delle stragi di bambini… La guerra ha avuto degli effetti collaterali che fanno proprio pensare che ormai il Nord della Nigeria sia un Paese di dannazione! Sentire, invece, delle risposte così umane, così sincere da parte delle ragazze che dicono: “Noi siamo anche disposte a perdonare, perché bisogna ricreare una nuova Nigeria, dimenticando la violenza, e per farlo serve il perdono”. Ecco, questa, penso che sia la frase che più di tutte possa dare una dimensione della speranza e del domani in Nigeria.

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Scossa vicino Spoleto. Boccardo: c'è paura ma la gente reagisce

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Molta paura in Centro Italia dove nella notte si sono registrate otto nuove scosse di terremoto che fortunatamente non hanno causato feriti e grossi danni materiali. La scossa più forte è stata di magnitudo 4.1 nei pressi di Campello sul Clitunno, a pochi chilometri a nord di Spoleto. Secondo gli esperti si tratterebbe di una nuova faglia, distinta da quella che ha provocato il terremoto del 24 agosto scorso. Intanto una buona notizia è che i terremotati verranno ricevuti da Papa Francesco il 5 gennaio prossimo per una udienza speciale. Fa il punto della situazione - al microfono di Giulia Angelucci - il vescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo

R. – La situazione rimane quella di una certa apprensione e preoccupazione, perché questo terremoto non arriva alla fine... Per fortuna non ci sono danni materiali tanto gravi: qualche lesione negli edifici; qualche edificio, che era stato già lesionato con le scosse precedente, ha riportato delle ferite più gravi… Ma nulla di troppo tragico! La cosa che è invece da rilevarsi credo sia lo stress al quale tutta questa gente continua ad essere sottoposta proprio da questo ripetersi delle scosse.

D. – Quali misure si stanno adottando per fronteggiare le temperature più rigide?

R. – Per fortuna nelle zone più gravemente toccate dal sisma – i comuni di Norcia, di Cascia e di Preci – tutte le persone hanno trovato una sistemazione più sicura, sia nelle roulotte che nei container, in attesa di avere poi le cosiddette casette di legno in primavera. E questo permette alla gente di acquistare anche una maggiore sicurezza. E’ importante che anche il tessuto umano non si disgreghi: è necessario ritrovare dei luoghi di vita. E grazie all’intervento di Caritas Italiana si stanno costruendo, in queste zone, i cosiddetti “centri di comunità”, degli edifici di un solo piano e certamente antisismici, che possono servire da luogo di incontro, da punto di riferimento per la gente, che può ritrovarsi insieme per condividere qualche momento di distensione, ma anche per la preghiera comune e per la celebrazione dei Sacramenti o per un momento di scambio e di conversazione libera.

D. – Come sono state vissute le feste natalizie da queste famiglie?

R. – Ci sono state naturalmente le celebrazioni liturgiche nelle tende o nelle tensostrutture, che adesso stiamo utilizzando come luoghi di culto. C’è stata una bella partecipazione. Qualcuno diceva “Sarà il Natale più brutto della nostra vita!”: io direi che è stato invece un Natale più vero. Si è sperimentata la precarietà, l’insicurezza che anche la Famiglia di Nazareth, anche lo stesso Figlio di Dio fatto uomo ha sperimentato. Celebrare le feste natalizie in questo clima ci ha fatto sentire una maggiore vicinanza al Mistero del Natale. Un messaggio di vita nuova, di rinascita, di ricostruzione… Alcune immagini che ho visto rappresentavano l’insieme delle nostre chiese crollate o distrutte e in mezzo c’era l’immagine del Bambino Gesù, come a dire che da queste rovine, con l’aiuto della grazia di Dio e con la buona volontà degli uomini, si può ricostruire, si può ripartire.

D. – Che progetti ha la diocesi per queste persone?

R. – Tramite la Caritas diocesana stiamo andando in aiuto agli allevatori e a piccoli imprenditori. In parallelo i centri pastorali, perché purtroppo non possiamo più parlare di chiesa parrocchiale o di locali parrocchiali, che non ci sono più sia a Norcia che a Cascia che nel comune di Preci, e lì si svolge – per quanto possibile – l’attività della parrocchia: è importante che si torni ad una certa normalità. Non si può vivere in un continuo stato di emergenza! Quindi ci sono diverse attività della parrocchia che, piano piano, ritornano ad un regime quotidiano di normalità.

D. – Mons. Boccardo, Papa Francesco incontrerà di nuovo i terremotati in Vaticano il 5 ottobre…

R. – Siamo stati piacevolmente sorpresi da questo invito che ci è arrivato: “Il Santo Padre desidera incontrare i terremotati”. E dopo la sua visita ai luoghi del terremoto, il 4 ottobre, dopo la sua partecipazione anche attraverso quei contatti telefonici che ha voluto avere con noi vescovi, dopo questi tanti gesti di vicinanza, credo che sarà un momento di famiglia, nel quale quella vicinanza e quella prossimità che il Papa ha manifestato più e più volte si farà nuovamente visibile e anche sperimentabile. Il Papa con le persone che portano direttamente o indirettamente le conseguenze e le ferite di questo terremoto. E certamente la parola del Papa sarà una parola di consolazione, di speranza e non soltanto di vicinanza, di chi abbiamo tanto bisogno…

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Vescovi Brasile: pace e speranza nel Messaggio per il nuovo anno

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“Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me”: si apre con un versetto del Vangelo di Giovanni (16,33) il messaggio che la Conferenza episcopale del Brasile (Cnbb) ha diffuso in occasione del nuovo anno e della 50.ma Giornata mondiale della pace, celebrata il 1.mo gennaio.

Pace è dono di Dio e frutto della giustizia
Si tratta di “un messaggio di pace e di speranza – scrivono i presuli firmatari del documento, ovvero il card. Sergio da Rocha, mons. Murilo Sebastião Ramos Krieger e mons. Leonardo Ulrich Steiner, rispettivamente presidente, vice-presidente e segretario generale della Cnbb. La pace, dono di Dio, è frutto della giustizia, dell’amore e della misericordia”. Ma essa è anche – ribadiscono i presuli – “il fondamento di un ordine sociale duraturo e sicuro”, mentre la speranza, “radicata nella fede”, si esprime “attraverso l'impegno di costruire una nuova vita, un nuovo mondo”, in sostanza, “la pace”.

Il Paese vive profonda crisi etica, no alla corruzione
Richiamando, poi, le virtù principali dei brasiliani, come la laboriosità, l’onestà, la fraternità e la solidarietà, i vescovi si dicono “desiderosi di pace e di speranza”, ed esprimono il loro rammarico per “le ingiustizie e gli scandali che affliggono il Paese”. “Viviamo una profonda crisi etica – notano infatti i presuli – il cui volto più visibile è la corruzione che provoca un danno incalcolabile all’intera nazione ed in particolare ai più poveri”. Di qui, la ferma “condanna di ogni forma di corruzione” ribadita dalla Cnbb ed il richiamo a “continuare a combattere con rigore” questa piaga, “sempre nel rispetto della legge dello Stato di diritto democratico”.

La politica sia al servizio del bene comune
Non solo: la Chiesa brasiliana sottolinea come uno dei frutti della crisi etica sia lo screditamento di quella politica che “favorisce gli interessi personali e di partito a scapito del bene comune, indebolendo lo Stato ed alimentando l’ingiustizia sociale”. Per questo, incalzano i vescovi, “c’è bisogno di un nuovo modo di fare politica”, che sia “a servizio della gente” e guardi all’etica per essere “credibile”. Questo perché “nella costruzione di un Paese giusto e fraterno è sempre necessario far rispettare l’ordine democratico”, tutelando “un rapporto autonomo ed armonico tra le autorità pubbliche”. Nello specifico, i vescovi invitano il governo a garantire “l’indipendenza costituzionale” dei suoi membri.

Risolvere difficoltà economiche e sociali, senza gravare sui poveri
Quanto alle difficoltà economiche e sociali che il Brasile sta vivendo, la Chiesa auspica “l’adozione di misure eque” i cui oneri “non ricadano mai sui più poveri e vulnerabili”, i quali vanno sempre “tutelati e difesi nei loro diritti”. “Il popolo brasiliano – prosegue il messaggio – ha la capacità di superare la crisi economica e politica attuale”, il che implica l’impegno di tutti: “Siamo tutti chiamati – sottolineano infatti i presuli – a collaborare nello sforzo, urgente, di costruire una società giusta e pacifica, di conservare e difendere l’ordine costituzionale e di rifiutare la violenza in ogni sua forma”. Un impegno comune che richiede anche l’uso del “dialogo e della non violenza”.

Collaborare per costruire un Paese migliore
​Dal suo canto, la Cnbb, “libera da legami di parte, motivata dai valori del Vangelo e ispirata dallo spirito democratico della Costituzione”, continuerà nel suo impegno di “collaborare per cercare soluzioni costruttive per il Paese”. Infine, i presuli richiamano un passaggio del Messaggio di Papa Francesco per la 50 ° Giornata Mondiale della Pace ed esortano i fedeli a d essere “artigiani di pace”. (A cura di Isabella Piro)

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Vescovi Usa: matrimonio è costruzione del bene comune

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Un uomo che costruisce una casa, mattone su mattone, con amore e pazienza: è questa l’immagine che apre il video preparato dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti per ribadire l’importanza della famiglia.

L’importanza del matrimonio tra uomo e donna
Ideato, in particolare, dalla Sottocommissione episcopale per la promozione e la difesa del matrimonio, presieduta da mons. James D. Conley, il video è intitolato “Fatto per il bene comune” e presenta testimonianze di esperti di vari settori, i quali sottolineano l’importanza del matrimonio tra uomo e donna sia per i figli che per la società in generale.

Se il matrimonio non viene tutelato, ne soffre la società
“Tutti dobbiamo prendere in considerazione l’importanza del matrimonio, il legame unico tra uomo e donna come fondamento della famiglia e della società – afferma mons. Conley – Infatti, quando il valore del matrimonio non viene compreso o sostenuto, l’intera società ne soffre”.

Iniziative multimediali        
​Da ricordare che il video “Costruito per il bene comune” è parte dell’iniziativa “Il matrimonio: unico per una ragione” che vuole promuovere e spiegare il dono speciale dell’unione sacramentale tra uomo e donna. Gli altri video della serie si intitolano: “Fatti l’uno per l’altro”, dedicato alle differenze sessuali maschili e femminili ed alla loro complementarietà; “Fatti per la vita” sulla procreazione e “Fatto per la libertà” incentrato sull’impatto che le nuovi definizioni, attualmente in voga, del matrimonio hanno sulla liberà religiosa. I vescovi invitano alla diffusione di tali video nelle parrocchie, nelle famiglie, nelle scuole, così da stimolare una riflessione appropriata sui diversi argomenti. (I.P.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 2

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.