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Sommario del 29/09/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: porre fine a logica armi e interessi oscuri in Siria e Iraq

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Papa Francesco ha incontrato stamane, nella Sala Clementina in Vaticano, i membri degli organismi caritativi cattolici che operano nel contesto della crisi umanitaria in Siria, Iraq e nei Paesi limitrofi, riuniti a Roma per il loro quinto incontro promosso dal Pontificio Consiglio Cor Unum. Nel suo discorso un nuovo accorato appello di pace. All’udienza ha partecipato anche Staffan de Mistura, inviato speciale del segretario generale delle Nazioni Unite per la Siria. Il servizio di Sergio Centofanti

Grande tristezza: la violenza continua a devastare Siria e Iraq
La Chiesa è impegnata in prima linea nel soccorrere le popolazioni intrappolate nelle violenze: 12mila gli operatori cattolici presenti nelle zone di conflitto. Assistono 4 milioni e mezzo di persone in Siria e Iraq. Il Papa auspica “una rinnovata collaborazione a tutti i livelli” tra quanti portano gli aiuti umanitari:

“A un anno di distanza dal nostro ultimo incontro, dobbiamo constatare con grande tristezza che, nonostante i molti sforzi prodigati in vari ambiti, la logica delle armi e della sopraffazione, gli interessi oscuri e la violenza continuano a devastare questi Paesi e che, fino ad ora, non si è saputo porre fine alle estenuanti sofferenze e alle continue violazioni dei diritti umani. Le conseguenze drammatiche della crisi sono ormai visibili ben oltre i confini della regione. Ne è espressione il grave fenomeno migratorio”.

Operatori umanitari, segno di speranza
La violenza genera violenza – afferma il Papa –  e porta ad “una spirale di prepotenza e di inerzia da cui non sembra esserci scampo”. E’ un male che deve interrogare, un “distruggere per distruggere” segno di quel “mistero dell’iniquità” che “è presente nell’uomo e nella storia e ha bisogno di essere redento”.  Il lavoro di tanti operatori umanitari impegnati ad aiutare queste persone sofferenti, spesso costrette a fuggire – osserva il Papa - è “un riflesso della misericordia di Dio e, in quanto tale, un segno che il male ha un limite e che non ha l’ultima parola”:

“È un segno di grande speranza, per il quale voglio ringraziare, insieme con voi, tante persone anonime – ma non per Dio! – le quali, specialmente in questo anno giubilare, pregano e intercedono in silenzio per le vittime dei conflitti, soprattutto per i bambini e per i più deboli, e così sostengono anche il vostro lavoro. Ad Aleppo, i bambini devono bere l’acqua inquinata!”.

Appello alla comunità internazionale
Di qui il nuovo appello alla comunità internazionale a fare di tutto per raggiungere con urgenza la fine del conflitto:  

“La mia richiesta si fa preghiera quotidiana a Dio di ispirare le menti e i cuori di quanti hanno responsabilità politiche, affinché sappiano rinunciare agli interessi parziali per raggiungere il bene più grande: la pace”.

Cristiani in Medio Oriente, testimoni della misericordia di Dio
Infine, il pensiero del Papa va alle “comunità cristiane del Medio Oriente, che soffrono le conseguenze della violenza e guardano con timore al futuro”:

“In mezzo a tanta oscurità, queste Chiese tengono alta la lampada della fede, della speranza e della carità. Aiutando con coraggio e senza discriminazioni quanti soffrono e lavorano per la pace e la coesistenza, i cristiani mediorientali sono oggi segno concreto della misericordia di Dio. Ad essi va l’ammirazione, la riconoscenza e il sostegno della Chiesa universale”.

Il Papa affida queste comunità e quanti operano al servizio delle vittime di questa crisi all’intercessione di Santa Teresa di Calcutta, modello di carità e di misericordia.

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De Mistura: ascoltare il Papa, basta armi in Siria se si vuole la pace

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Dopo l’udienza con Papa Francesco, Alessandro Gisotti ha intervistato l’inviato speciale del segretario generale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, che ha innanzitutto messo l’accento sull’importanza dei pressanti appelli del Pontefice per la pace in Siria: 

R. –  E' sempre fondamentale, ma in questo momento urgentemente necessario! Siamo in una fase talmente critica e talmente delicata, del tentativo di portare la pace in Siria, che un messaggio forte come quello che abbiamo sentito dal Santo Padre era non solo necessario per me, ma per la comunità internazionale.

D. – Anche ieri il Santo Padre ha detto: “Coloro che hanno bombardato i convogli umanitari così come gli ospedali renderanno conto a Dio”. Ecco, c’è davvero una situazione inimmaginabile …

R. – Pensi a quello che è avvenuto negli ultimi giorni, il Santo Padre lo sa. Ad Aleppo Est, 99 bambini: morti; 203, feriti. Due ospedali colpiti, sono rimasti 30 medici per 375 mila persone. Non si può immaginare che questi 99 bambini fossero tutti terroristi! Questa cosa è inaccettabile, e il Santo Padre ha ragione nel dirlo.

D. – C’è il problema poi delle armi, che viene denunciato chiaramente dalla Santa Sede e dall’Onu a più riprese …

R. – Oggi, la Siria è piena di armi: sembra che chi vuole parlare di pace invece punti poi su una soluzione militare – lo stiamo vedendo. La realtà è che non c’è una soluzione militare: c’è solo una soluzione politica e il Santo Padre l’ha ricordato. Due: ci sono risoluzioni dell’Onu che chiedono proprio questo: che non ci siano più armi date dall’una e dall’altra parte. E tre: l’abbiamo visto; io stesso con la mia esperienza personale di 19 conflitti in 46 anni; ogni volta che le armi o le munizioni incominciavano a mancare, erano tutti pronti a parlare di pace. Quindi, questo è urgente.

D. – Lei ha tante volte testimoniato che la Siria non è solo crudeltà; c’è tanta gente – nella Chiesa, negli organismi caritativi, nell’Onu, nei volontari – che fa tanto …

R. – Vede, abbiamo avuto un convoglio con 21 morti: erano tutti volontari siriani, pronti a rischiare la loro vita pur di portare cibo a una zona controllata dalla guerriglia, e partivano da Damasco: un bel segnale, anche, di collaborazione tra persone che aiutano i civili. Ebbene, come loro sono tanti altri e noi non ne sentiamo parlare perché vediamo solo l’orrore, e vanno ricordati perché sono i veri eroi di questo conflitto.

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Nunzio a Baghdad: non dimenticate le sofferenze degli iracheni

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All’udienza del Papa in Vaticano con i membri degli organismi caritativi cattolici che operano in Siria, Iraq e Paesi limitrofi, ha partecipato anche il nunzio a Baghdad, mons. Alberto Ortega Martín. Ascoltiamolo al microfono di Alessandtro Gisotti: 

R. – Quello del Papa è un appello sempre importante perché alla radice di tanti problemi c’è la mancanza di pace, c’è la violenza. Certo che si devono assistere i rifugiati, si deve dare tanta assistenza ma è importantissimo cercare di andare alla radice che è la mancanza di pace. Allora, questo appello per la pace, per la preghiera a favore della pace, per un impegno da parte di tutti con la propria responsabilità a favore della pace è sempre fondamentale, è sempre necessario.

D. – C’è il rischio che di fronte a una situazione terribile, drammatica come quella della Siria l’Iraq passi quasi non dico in secondo piano, ma meno in luce?

R. – Sì: anche per non dimenticare, appunto, anche tante situazioni di bisogno. Dell’Iraq si parla meno ma la situazione è sempre difficile: anche a livello di assistenza umanitaria ci sono 10 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria, tre milioni e mezzo di sfollati … Le cifre della Siria sono ancora più sconvolgenti … Allora, importante è non dimenticare, perché dietro ogni cifra, dietro a ogni numero c’è una persona concreta, una famiglia concreta che merita tutto il nostro appoggio, tutta la nostra carità.

D. – Quali sono, secondo lei, le cose che proprio nella vita quotidiana mancano di più, oggi, agli iracheni?

R. – A livello materiale hanno ancora bisogno di tanta assistenza che, grazie a Dio, in un modo o nell’altro arriva. I cristiani sono quasi tutti già sotto un tetto, sono quasi tutti già sistemati in case affittate, stanno chiudendo gli ultimi campi di rifugiati; ma il grande bisogno è un bisogno di speranza per poter affrontare il futuro con più speranza, e un bisogno – direi – a livello sociale: la grande sfida della riconciliazione o, con un’altra parola, la misericordia. Perché alla fine, l’unica risposta – lo diceva anche il Papa – la vera risposta ai conflitti, alla fine, è la misericordia, è un amore più grande.

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Aleppo: strage di bambini. Il vescovo: morte diventata cosa banale

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Continua il martirio di Aleppo. L'Unicef denuncia: i bambini sono intrappolati in un incubo, un centinaio hanno perso la vita nelle violenze da venerdì scorso. Ieri, nella sede di Caritas Internationalis a Roma, si è svolto un incontro tra i rappresentanti delle Caritas che operano in Siria, Iraq e nell'area a sostegno della popolazione colpita dalla guerra. In questi anni di guerra la Caritas ha messo in campo la sua operazione umanitaria più vasta, fornendo cibo, medicine, istruzione, rifugi, sostegno psicologico, sia in Siria che in Iraq che nei Paesi che accolgono rifugiati. Il servizio di Elvira Ragosta: 

Fare in modo che le parti in conflitto giungano a una soluzione pacifica, supportare i milioni di persone colpite dalla guerra e dare dignità e speranza ai siriani dentro e fuori il Paese. Questi gli obiettivi di Caritas Internationalis, da raggiungere sollecitando i suoi supporter nel mondo affinché facciano pressione sui propri governi. Dallo scoppio del conflitto a oggi sono oltre 230mila i morti tra i civili, 4,8 i milioni di rifugiati all’estero e 8,7 milioni i rifugiati interni. Tra le poche agenzie internazionali ancora operanti in Siria, Caritas Internationalis coopera con le comunità religiose del Paese e con organizzazioni umanitarie sia sciite che sunnite, per portare aiuti e soccorsi al maggior numero dei civili in difficoltà, fornendo cibo, assistenza medica, protezione e beni di prima necessità. Sulla difficile situazione umanitaria che sta vivendo in particolare la città siriana di Aleppo, mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo e presidente di Caritas Siria:

R. - I bambini, le donne, le famiglie… È veramente diventata una cosa normale per la gente che vive lì. La morte è divenuta una cosa banale, e questa è la cosa più grave per me. L’uomo non ha più valore, soltanto il potere e la violenza tra i diversi gruppi: questo è il problema. 

D. – Difficoltà a reperire e a trasferire gli aiuti, difficoltà in campo medico, difficoltà per i bambini e anche per il resto della popolazione nell’attingere ad acqua potabile…

R. – Sì, dappertutto: è vero per la regione ad est di Aleppo, ma è vero anche per l’ovest, dove ci sono due milioni di persone senza elettricità, senza acqua, dove tutto è caro e si vive nel pericolo ogni giorno. Generalmente i media non parlano di questa regione ovest.

L’incubo della guerra non riguarda solo Siria. Anche in Iraq la violenza del sedicente Stato islamico ha innescato un conflitto zeppo di attentati, violenze e devastazioni. Secondo Caritas sono 10 milioni gli iracheni bisognosi di aiuto e 3,4 milioni i rifugiati interni. Mons. Shlemon Warduni, ausiliare di Baghdad dei caldei e Presidente di Caritas Iraq:

“La situazione umanitaria è molto difficile perché manca l’essenziale, che è la pace e la sicurezza. Quindi, anche se c’è un po’ da mangiare e se ci sono i beni materiali, questo non vuole dire niente perché non c’è la pace”.

D. – Come è organizzato il sostegno di Caritas?

R. – Abbiamo subito, sin dall’inizio, cercato di organizzare il nostro lavoro. Quindi appena vedevo una grande difficoltà in un posto, dicevo al direttore di fare un progetto e di scrivere ai donatori. E loro – veramente – rispondevano subito, presto. Per questo ringraziamo Dio e tutti i donatori.

D. – Su Mosul, seconda città più importante dell’Iraq e nominata capitale del sedicente Stato islamico, si concentrano gli sforzi dell’esercito iracheno per strapparla appunto dal controllo jihadista: liberare Mosul cosa significherebbe per il futuro del Paese?

R. – Liberare Mosul significa grandi cose, perché Mosul è la prima città che è stata occupata e non sappiamo perché: tutti si meravigliavano del fatto che Mosul fosse caduta in due, tre ore… Per cui, se viene liberata, è una grande e bella cosa per tutti quanti.

D. – Nel dramma del conflitto anche il dramma dei cristiani iracheni: in 120mila costretti a lasciare Mosul e la Piana di Ninive per cercare rifugio nel Kurdistan iracheno. Circa 300mila quelli rimasti nel Paese: quali sono le difficoltà per i cristiani d’Iraq?

R. – Le difficoltà per i cristiani d’Iraq, come dicevo, riguardano la pace: non c’è la pace, non c’è la tranquillità. Quindi tanti giovani non hanno più fiducia nel futuro. Tanti cristiani non sanno cosa fare, specialmente quando ci sono le difficoltà contro la fede, contro il cristianesimo. E quindi in quel tempo, in quel momento, tutto sparisce: tutto si vede oscuro. Quindi chiediamo a Dio di darci la pace e la sicurezza. 

Oltre un milione e mezzo di siriani ha trovato riparo in Libano, uno dei Paesi più generosi nell’accogliere. Se ai rifugiati siriani si aggiunge il mezzo milione di rifugiati palestinesi presenti in Libano, il risultato è che il Paese dei cedri ospita una quantità di rifugiati pari alla metà della popolazione libanese. I recenti dati forniti dalle Nazioni Unite indicano che il 70% dei rifugiati siriani in Libano vive sotto la soglia di povertà e può contare solo sugli aiuti umanitari. Padre Paul Karam, presidente di Caritas Libano:

R. – Purtroppo la situazione è molto, molto grave e questo dà pena al nostro cuore, quando vediamo che la guerra sta prendendo più spazio della pace. E penso che questa sia una responsabilità di tutta la comunità internazionale: dobbiamo lavorare giorno e notte per la pace.

D. – Come vivono i rifugiati siriani in Libano e quali sono le loro necessità?

R. – La prima necessità è il cibo; le medicine – la cura medica –; avere un tetto e uno spazio dove poter vivere. Poi c’è un altro aspetto che è molto, molto importante, soprattutto a livello dei fanciulli, dei bambini: l’educazione nelle scuole. Per questo cerchiamo sempre di collaborare con l’Unicef, perché la Caritas ora assicura il trasporto dei bambini nelle scuole.

D. – Come sono organizzati i rifugiati in Libano?

R. – In Libano non abbiamo campi: non è come in Giordania o in Turchia. I profughi siriani sono sparsi in tutto il Paese: in montagna, nel litorale, in un garage… dappertutto.

Anche la Giordania ha aperto le porte ai rifugiati siriani. 1,4 milioni quelli ospitati nel piccolo Paese mediorientale, cui si aggiungono anche 130mila rifugiati iracheni. Sono poi 3 milioni i siriani che hanno trovato riparo dalla guerra in Turchia. Rinaldo Marmara, direttore di Caritas Turchia:

R. – Già il fatto di lasciare il proprio Paese è un trauma: arrivano in un Paese di cui non conoscono la lingua, senza lavoro… Hanno bisogno di tutto. Noi come Caritas li aiutiamo con dei coupon alimentari, medicinali, aiuti psicologici per le persone che hanno bisogno. E poi non dimentichiamo anche i bambini. A Istanbul aiutiamo quattro scuole e vicino alla frontiera un’altra scuola. Abbiamo poi campi da gioco. Nel 2015 abbiamo aiutato quasi 40mila persone. Certo, quando si compara questa cifra con quella totale di tre milioni di persone, forse è poco, ma – come dico io – “goccia a goccia si fa il mare”: noi aiutiamo persona per persona senza fare distinzione di religione.

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Altre udienze e nomine

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Il Papa ha ricevuto il Card. Donald William Wuerl, Arcivescovo di Washington (Stati Uniti d’America).

Il Santo Padre ha nominato Membro della Congregazione per il Clero e della Congregazione per l'Educazione Cattolica il Rev.do Mons. Dario Edoardo Viganò, Prefetto della Segreteria per la Comunicazione.

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L'attesa del Papa in Georgia: le speranze dei fedeli

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La Georgia è pronta ad accogliere Papa Francesco che domani pomeriggio sarà per la prima volta in questo Paese del Caucaso, ponte tra Europa e Asia, per il suo 16.mo viaggio apostolico. Visita all’insegna della pace e del dialogo, annunciata sin dall’aprile scorso, preceduta dalla tappa in Armenia a giugno, e a lungo preparata dalla piccola comunità cattolica che rappresenta solo poco più dell’1% su oltre 4 milioni di abitanti. Il servizio della nostra inviata Gabriella Ceraso

E’ il 23.mo Paese che Papa Francesco visiterà dall’inizio del suo Pontificato e la Georgia lo abbraccerà con calore, come è sua tradizione, pur nella massima semplicità. La povertà qui è diffusa ma la gente è molto ospitale. D’altra parte, la Georgia è stata crocevia di civiltà antichissime: greci, persiani, ottomani, arabi, sono passati da qui lasciando segni evidenti nell’architettura, nelle strade, nella cucina. Ne hanno fatto una terra tollerante, ma anche fiera nella difesa della propria identità a cui il Cristianesimo ha contribuito in maniera determinante.

E’ la terra dove si dice sia custodita la tunica di Gesù, è la seconda nazione cristiana dopo l’Armenia grazie soprattutto a Santa Nino, nel IV secolo, la cui croce ricurva e intrecciata di viti è il simbolo dei georgiani. La fede ha resistito a repressioni e a 70 anni di ateismo comunista prima di vivere una “nuova fioritura”, come disse da Tbilisi San Giovanni Paolo II nel 1999. Il suo ricordo è molto forte tra i fedeli cattolici, come il suo lascito: “Siate segno di unità e pace in particolare con i fratelli ortodossi”. Essere Chiesa di minoranza ancora oggi non è facile; per questo, l’attesa delle parole e dei gesti di un altro Papa che sta per arrivare è molto sentita, come ci hanno raccontato giovani e adulti:

“Io aspetto con grande gioia Papa Francesco perchè è un Papa che mi aiuta, come fosse un catechista. Poi penso che per la Georgia sarà un grande aiuto: c’è bisogno di qualcuno che porti la Chiesa, cioè Gesù Cristo, e questo Papa porta Gesù Cristo”.

“Personalmente questo Papa mi conferma nel mio desiderio di evangelizzare, mi dà molta gioia, dimostra tanta santità, cioè tanto amore ai poveri, e qui di poveri ce ne sono tantissimi”.

“Per me la sua presenza sottolinea che anche noi facciamo parte della Chiesa cattolica mondiale e penso che il messaggio che il Papa porterà - 'Pace a voi' - sarà molto importante anche per i giovani, perché non è solo una pace politica, ma è la pace della vita quotidiana e questa pace ci dà la forza di essere più amici tra noi”.

Sarà la dimensione ecumenica quella portante della tappa in Georgia, come il dialogo interreligioso segnerà la prosecuzione e il termine del viaggio papale nel Caucaso, con la sosta domenica nel vicino Azerbaigian.

Sono oltre 200 i giornalisti georgiani e internazionali finora accreditati a seguire la visita del Papa in sala stampa a Tbilisi. Un’attenzione che non si riscontra per le strade, tranne che nei luoghi che il Papa visiterà: in particolare nelle parrocchie, dove il suo volto sorridente risalta in grandi manifesti. "Non ci saranno grandi folle ma pochi fedeli preziosi", dice padre Akaki Chelidze, portavoce dell’Amministrazione apostolica del Caucaso per i latini:

"Cerchiamo di far giungere la nostra voce ai più, invitandoli a questo grande evento che qua ha una risonanza da quella che ci si potrebbe aspettare in un Paese a maggioranza cattolica o con una forte presenza cattolica. Noi siamo fiduciosi che la gente sarà motivata e se non sarà una grande folla sarà gente di grande amicizia nei riguardi della Chiesa cattolica e nei riguardi del Papa".

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Parolin: Francesco in Georgia e Azerbaigian per l'unità e la pace

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Una missione per la pace e per l'unità: così il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin descrive il viaggio che Papa Francesco compirà in Georgia e Azerbaigian dal 30 settembre al 2 ottobre. Ascoltiamo il porporato al microfono di Barbara Castelli, del Centro Televisivo Vaticano: 

R. - Direi che questo viaggio in Azerbaigian e in Georgia in certo senso completa la visita nel Caucaso meridionale che il Santo Padre ha iniziato nello scorso mese di giugno visitando l’Armenia. Si tratta di tre Paesi di molta storia e di antica cultura, ma anche diversi tra di loro. Era abbastanza naturale che il Santo Padre li visitasse tutti e tre, come di fatto sta facendo, venendo anche incontro agli inviti delle autorità ecclesiastiche della Chiesa cattolica e delle autorità civili. Papa Francesco va sempre, lo abbiamo visto anche in Armenia, come un amico, soprattutto per incontrare: incontrare le persone, incontrare le realtà così differenziate, per incontrare i popoli, per favorire questa cultura dell’incontro che gli sta tanto a cuore. E ovviamente a questa cultura dell’incontro è vincolato tutto il tema della pace. Quindi, il Papa certamente porrà al centro del suo insegnamento e della sua presenza proprio questo favorire in ogni modo la pace, la riconciliazione e l’intesa. Poi, come sempre, l’incontro con la Chiesa cattolica per incoraggiarla per andare avanti nella sua vita e nella sua missione.

D. - Quale è la situazione della Chiesa oggi in Georgia e quali sono le sfide per la società?

R. - Sappiamo che la Georgia è stato uno dei primi Paesi che ha accettato il cristianesimo in forma ufficiale attraverso l’opera evangelizzatrice di una santa, di una donna – sottolineiamo anche questo – santa Nino del IV secolo. Ancora oggi la caratteristica, l’impronta della società georgiana è cristiana. Il Papa va anche per incontrare questa Chiesa, la Chiesa ortodossa georgiana, il suo Catholicos patriarca Ilia II, per cercare di stringere, di favorire, di promuovere reciproci legami di amicizia, vincoli di amicizia. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, è certamente una realtà minoritaria, una realtà piuttosto piccola, limitata, ma che ha una presenza significativa: è presente in tutte le regioni del Paese attraverso i suoi tre riti – latino, armeno e assiro-caldeo – e, diciamo, realizza molte altre opere, oltre che dal punto di vista pastorale, soprattutto nel campo della carità e dell’assistenza e nel campo anche educativo. Vorrei sottolineare anche l’importanza del fatto che la Chiesa cattolica, come tutte le minoranze religiose, gode di uno statuto giuridico ben preciso. E questo evidentemente aiuta il suo inserimento in quella realtà e lo svolgimento della sua attività e della sua missione. Se pensiamo alle sfide, vorrei sottolinearle una: il tema dei rifugiati, sia rifugiati che vengono dai Paesi mediorientali che si trovano nella situazione di conflitto, vista anche la vicinanza geografica di questo Paese, sia anche gli sfollati interni che hanno dovuto abbandonare il loro luogo d’origine a causa dei conflitti che si sono prodotti negli anni recenti. Una delle sfide è proprio come far fronte a questa emergenza e a questa presenza di gente che ha dovuto lasciare la sua casa.

D. - In questo dittico cosa possiamo dire dell’Azerbaigian, quale è la situazione della Chiesa, ma anche quali sono le realtà, le situazioni a cui la Santa Sede rivolge la propria attenzione?

R. - Qualche anno fa c’è stata una mostra qui in Vaticano sull’Azerbaigian: c’è un’attenzione molto spiccata verso questo aspetto culturale. L’Azerbaigian si sforza di essere un Paese che promuove la tolleranza fra le varie religioni e le varie culture presenti, e direi che questo è di fondamentale importanza nel nostro mondo: favorire l’incontro. Anche qui le attività della Chiesa cattolica godono di un riconoscimento giuridico che permette di lavorare, di assistere adeguatamente i cattolici che vivono in questo Paese, e nello stesso tempo si sforza di impegnarsi nel dialogo con l’Islam e con le altre comunità presenti. Anche qui è una presenza piccola ma significative che contribuisce, insieme alle altre realtà, al bene del Paese.

D. - Queste sono terre di confine tra Oriente e Occidente, dove il dialogo è un’urgenza. Dunque, il Pontefice con le sue parole si farà, una volta in più, messaggero di pace?

R. - Certamente. E' una delle finalità del viaggio. Certo questa è terra di confine e le terre di confine sono terre di particolare ricchezza e vivacità, ma allo stesso tempo soffrono di particolari tensioni, di tanti conflitti, di lacerazioni. E allora la parola del Papa potrà essere davvero una parola che invita a fare quello che lui dice spesso: fare delle differenze non motivo di conflitto ma di arricchimento reciproco. E’ la grande sfida dei nostri giorni e certamente sarà una sfida che il Papa rilancerà anche in questa terra. D’altra parte ci sono anche segnali positivi, incoraggianti che si sta tentando di superare queste tensioni, e anche questi il Papa cercherà di appoggiare, di sostenere, di promuovere.

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Viaggio in Georgia. Mons. Pasotto: ecumenismo a piccoli passi

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”Chiederemo al Papa di incoraggiarci a proseguire nel nostro cammino di credenti”. Queste le parole con cui mons. Giuseppe Pasotto, amministratore apostolico del Caucaso, guarda alla visita del Pontefice in Georgia. Ci sarà anche lui ad accogliere Francesco all’aeroporto di Tblisi e lo accompagnerà a conoscere la minoranza cattolica di questo Paese. Ascoltiamolo al microfono della nostra inviata Gabriella Ceraso

R. - È una grande sorpresa, siamo felicissimi di avere il Papa. Doveva essere una visita sola, legata a quella armena, quindi mi sembra che il tema sia unico e continuo, cioè quello della pace e della fraternità, dell’essere figli dello stesso Padre e cercare il motivo della comunione e dell’unità. E questo per noi è molto importante.

D. - Che Chiesa troverà in Georgia Papa Francesco? Ricordiamo che sono passati 17 anni dalla visita di un Pontefice; vi aveva lasciato un chiaro impegno: essere pace e unità …

R. – Trova una Chiesa di minoranza che vive questa fatica e anche questa preziosità, perché la minoranza ti fa scoprire altri modi di guardare chi ti sta attorno. È una Chiesa che vive le difficoltà del cammino ecumenico: in questa visita si vedrà che sono stati fatti dei passi in avanti, però la strada da fare è ancora lunghissima. Mi sembra che come tutte le visite, la cosa più importante sia l’incontro: fermarsi, incontrare la Chiesa ortodossa, incontrare le altre confessioni - perché ci sarà un momento anche con loro - incontrare tutto uno stadio che sarà pieno di gente e non solo cattolici, tutto ciò dimostra che il cammino da fare è lungo, ma è il cammino vero, quello che ci è stato chiesto di fare.

D. - In questo senso quali frutti potrebbe portare questa presenza?

R. - Speriamo davvero che dia alla nostra comunità una spinta a dirci: “Camminate, camminate”. Questo è importante per noi.

D. - E la città di Tbilisi come si sta preparando? Cosa dicono i vostri fedeli? Siete riusciti a coinvolgerli?

R. - Devo essere sincero: mi hanno sorpreso. C’è una risposta molto bella, non solo dei nostri fedeli, ma anche della gente attraverso piccoli segni: per esempio il coro che canterà alla Messa sarà composto da 250 persone appartenenti a tutte le confessioni, così come i volontari che faranno servizio allo stadio saranno di tante confessioni. Dunque il coinvolgimento c’è.

D. - Questa visita del Papa si colloca nell’Anno Giubilare della Misericordia. So che lei ha aperto una Porta a Rustavi, una porta particolare, senza una chiesa, ma solo in un prato. Cosa sta significando per voi questo anno? Come lo state vivendo? E soprattutto, il Papa come potrà contribuire a concludere questo anno?

R. - Il Papa passerà attraverso questa Porta perché la porteremo allo stadio. Quindi sarà per Lui un ricordo; la vedrà di persona. Per noi la Porta è stata un richiamo per tutto l’anno. Mi sembra anche di poter dire che ci sono state tante iniziative: l’ultima, ad esempio, è stata quella di trovarsi quasi tutti, preti e suore, a vivere gli esercizi spirituali sulla misericordia, è stata la prima volta che abbiamo fatto questo tutti insieme. Comunque credo che noi dovremmo tenere questa parola – misericordia - sempre viva. Abbiamo bisogno di riscoprirla ogni giorno e di pensare che una porta aperta verso il mondo, senza confini, deve essere l’idea principale che dobbiamo dare della nostra Chiesa.

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Comunicare speranza e fiducia, tema Giornata comunicazioni sociali 2017

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Oggi è stato reso noto il tema scelto da Papa Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2017: “«Non temere, perché io sono con te» (Is 43,5). Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo”.  Si tratta della 51.ma Giornata dedicata dalla Chiesa ai mass media e si svolgerà il prossimo 28 maggio.

In un comunicato a commento del tema, la Segreteria per la Comunicazione osserva che ”anestetizzare la coscienza o farsi prendere dalla disperazione sono due possibili malattie alle quali può condurre l’attuale sistema comunicativo.È possibile che la coscienza si cauterizzi, come ricorda Papa Francesco nella Laudato si’, a causa del fatto che spesso professionisti, opinionisti e mezzi di comunicazione operando in aree urbane distanti dai luoghi delle povertà e dei bisogni, vivono una distanza fisica che spesso conduce a ignorare la complessità dei drammi degli uomini e delle donne”.

“È possibile – prosegue la nota - la disperazione, invece, quando la comunicazione viene enfatizzata e spettacolarizzata, diventando talvolta vera e propria strategia di costruzione di pericoli vicini e paure incombenti. Ma in mezzo a tale frastuono si ode un sussurro: ‘Non temere, perché sono con te’. Nel suo Figlio, Dio si è reso solidale con ogni situazione umana e ha rivelato che non siamo soli, perché abbiamo un Padre che non dimentica i propri figli. Chi vive unito a Cristo, scopre che anche le tenebre e la morte diventano, per chiunque lo voglia, luogo di comunione con la Luce e la Vita. In ogni avvenimento cerca di scoprire cosa succede tra Dio e l’umanità, per riconoscere come Egli stesso, attraverso lo scenario drammatico di questo mondo, stia scrivendo la storia di salvezza”.

“Noi cristiani – conclude il comunicato - abbiamo una ‘buona notizia’ da raccontare, perché contempliamo fiduciosi l’orizzonte del Regno. Il Tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali è un invito a raccontare la storia del mondo e le storie degli uomini e delle donne, secondo la logica della ‘buona notizia’ che ricorda che Dio mai rinuncia ad essere Padre, in nessuna situazione e rispetto ad ogni uomo. Impariamo a comunicare fiducia e speranza per la storia”.

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Radio Vaticana e Ctv celebrano insieme la festa di San Gabriele

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Nell’odierna Festa di San Gabriele Arcangelo, patrono delle Telecomunicazioni, è stata celebrata stamane a Roma una Messa nella chiesa di Santa Maria alla Traspontina, presieduta da mons. Fernando Vérgez Alzaga, segretario generale del Governatorato della Città del Vaticano. Dopo la concelebrazione, come consuetudine, sono state conferite le onorificenze ad alcuni dipendenti della Radio Vaticana e del Centro Televisivo Vaticano. La cerimonia si è svolta in Via della Conciliazione, nel Palazzo che ospita la nuova Segreteria per la Comunicazione. Il servizio di Roberta Gisotti

Un’occasione che suggella quest’anno la fusione tra la Radio ed il Centro Televisivo vaticani: cosi mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione, ha accolto all’inizio della Messa i dipendenti, i pensionati e i familiari delle due emittenti. Come San Gabriele – ha auspicato nella sua omelia mons. Fernando Vérgez Alzaga – siate sempre messaggeri della Parola di Dio.

“Siate umili, mettete da parte le gelosie, l'arrivismo, il voler essere a tutti i costi protagonisti, il vero obiettivo e il servizio fedele al Papa ed alla Chiesa, l'essere testimoni e comunicatori non solo spirituali, ma anche materiali verso il mondo. È un privilegio poter essere al servizio del mondo, rendere partecipi i nostri fratelli che si trovano in ogni angolo del mondo di ciò che avviene qui, mediante foto, articoli, immagini, video, dirette televisive.... Insomma siete un importantissimo strumento per it prossimo!”.

Dopo la Messa si è festeggiato nella Sala San Pio X. Conferendo le onorificenze, mons. Viganò ha sottolineato: “Ognuno di voi vale e vale molto” e questi riconoscimenti - ha detto - sono per confermare o sollecitare a continuare a fare bene il proprio lavoro o per ringraziare qualcuno in particolare.

Per la Radio sono stati premiati Stephan Von Kempis (Programma tedesco), e Janeth Mhella Thabita (Programma Inglese-Africa), Gianni Di Francesco (Direzione amministrativa) e Sergio Salvatori (Direzione tecnica); per il Centro Televisivo Vaticano: Renzo Alocci (direttore tecnico) e Cesare Cuppone (primo operatore papale).

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Ruolo delle donne nella Chiesa: concluso simposio a Roma

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Si è concluso ieri a Roma un simposio di tre giorni promosso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede sul ruolo delle donne nella Chiesa. All’incontro, organizzato da un comitato internazionale (Mary Melone, Lucetta Scaraffia, Ana Cristina Villa Betancourt, José Granados) e aperto dal cardinale Gerhard Müller, hanno partecipato una cinquantina di teologhe, storiche e canoniste, religiose e laiche, provenienti da tutti i continenti, e diversi consultori e ufficiali del dicastero.

Il tema – riferisce un comunicato del Dicastero - è stato affrontato grazie all’intreccio di due punti di vista: quello dell’approfondimento e della definizione della vocazione femminile nella tradizione cattolica, e quello dei ruoli concreti che le donne hanno ricoperto e possono ricoprire all’interno della Chiesa.

La definizione della vocazione femminile è stata affrontata il primo giorno dalla relazione di Barbara Hallensleben (discussant Margaret McCarthy), che ha inquadrato il tema all’interno del sacerdozio battesimale e del sacramento del matrimonio, e dagli interventi di Anne-Marie Pelletier e di Mary Healy, che hanno illustrato l’importante arricchimento che molte studiose donne hanno portato nell’interpretazione delle Scritture. Nel pomeriggio la presenza delle donne nella storia della Chiesa è stato il tema della relazione di Lucetta Scaraffia (discussant Sol Serrano). Bruna Costacurta e Laetitia Calmeyn hanno quindi parlato dell’importanza delle donne nella formazione dei sacerdoti, mentre Madelein Fredell è intervenuta sul tema delle donne predicatrici di esercizi spirituali.

Al centro del secondo giorno è stato il tema della differenza sessuale, presentato da Bianca Castilla Cortázar (discussant Deborah Savage) e oggetto di una interessante discussione. L’ultimo giorno Sara Butler (discussant Tracey Rowland) ha parlato della Chiesa come sposa e madre, offrendo così un fondamento ecclesiologico al dibattito. E nel pomeriggio Linda Ghisoni ha affrontato il tema del diritto canonico in rapporto alla cooperazione delle donne in ruoli decisionali, mentre Sandra Mazzolini ha parlato delle collaborazioni nella pastorale.

Accanto a queste relazioni principali sono state ascoltate interessanti e commoventi testimonianze che hanno riferito casi di esperienza concreta di intervento femminile nella Chiesa: nella teologia, nelle missioni, nella Curia romana, nelle conferenze episcopali, l’esperienza dell’Unione internazionale delle superiori generali, nella comunicazione, nella trasmissione della fede, in esperienze di collaborazione tra uomini e donne, nel dialogo ecumenico e tra le religioni, nella catechesi, nella carità. Come ha ribadito l’arcivescovo Luis Ladaria alla fine dei lavori, è prevista la pubblicazione degli atti che renderanno accessibile il risultato di questi giorni di dibattito. 

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La videoarte entra ai Musei Vaticani con la "Sala Studio Azzurro"

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La videoarte entra per la prima volta ai Musei Vaticani con l’inaugurazione della nuova “Sala Studio Azzurro”. La nuova sezione, parte delle collezioni di arte contemporanea, ospiterà l’opera “In principio (e poi)”, già realizzata per il padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia del 2013 e ispirata ai primi 11 capitoli della Genesi. Il servizio di Michele Raviart

"Mio padre si chiamava Antonio; i genitori di mio padre si chiamavano Maurizio e Maria Pia; quelli di mia mamma, Maria e Antonio…”.

Le voci sono quelle dei detenuti del carcere milanese di Bollate. Le loro immagini camminano in circolo sullo schermo e solo quando il visitatore poserà le mani su di loro cominceranno a parlare, a raccontare la loro storia familiare, la loro genealogia. Accanto a loro, negli schermi laterali, la Creazione si manifesta con i nomi di piante e animali, descritti con la lingua dei segni da un gruppo di sordomuti. Al centro la mano del visitatore si proietta sul pavimento attraverso un fascio di luce, la luce da cui tutto è iniziato. E’ la Genesi, così come è immaginata dal gruppo di artisti milanesi “Studio Azzurro”. Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura:

E’ un’opera legata soprattutto a tre verbi. Il primo è certamente quello della parola, perché – per esempio – i carcerati raccontano le loro genealogie, cioè la storia dell’umanità, sia pure nel loro microcosmo. Il secondo verbo è quello del vedere, che avviene nel silenzio – i sordomuti parlano con i gesti – e quindi le loro sono immagini non descritte ma rese visibili. E da ultimo, il “toccare”.

L’interazione tra spettatore e opera è infatti la chiave interpretativa di questa videoinstallazione, la prima ad essere inserita tra le esposizioni permanenti dei Musei Vaticani, come spiega il direttore Antonio Paolucci:

 “Quello che gli autori, gli artisti hanno voluto è il coinvolgimento del riguardante, dello spettatore. E’ un tipo di opera nella quale io che guardo sono, in qualche modo, co-creatore insieme all’artista che ha prodotto l’installazione. Io allungo la mano, si accendono gli schermi, partecipo della creazione. E’ un’opera di una straordinaria intensità poetica e di grande efficacia didattica: uno la guarda e capisce tutto!”.

Nata a partire dalle riflessioni del cardinale Ravasi sulla Creazione, l’opera è stata realizzata per la 55.ma Biennale di Venezia del 2013 e poi donata dal Pontificio Consiglio della Cultura ai Musei Vaticani. Leonardo Sangiorgi è uno dei fondatori di Studio Azzurro, che dal 1982 si propone di collegare le arti visive in forma interattiva:

“Leggendo le parole del cardinale Ravasi, abbiamo trovato una perfetta aderenza con le parole con cui noi raccontavamo il compito del nostro lavoro. L’artista non è più quella figura solitaria, in cima alla montagna. L’artista è una persona che sta nella piazza del mercato e che ha bisogno di persone attorno a lui che lo aiutino nella sua ricerca e nella sua visione. E questo è lo spirito con cui noi affrontiamo il nostro lavoro”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Pace in tutto il Medio Oriente: durante l’udienza appello del Papa agli organismi caritativi cattolici che operano in Siria e in Iraq.

Esperimenti senza verifica: Laura Palazzani sul caso del bambino nato con una nuova tecnica di fecondazione assistita.

Addio a un sognatore: Abraham Skorka ricorda Shimon Peres.

Una famiglia di carta: da Parigi, Charles de Pechpeyrou su una grande mostra dedicata a Hergé.

La Somalia e la sfida del futuro: Fausta Speranza all’indomani del rinvio delle elezioni.

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Oggi in Primo Piano



Lazzarotto: da Peres esempio di impegno comune per la pace

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Scortato da un drappello militare e coperto con la bandiera israeliana, il feretro dell'ex Presidente Shimon Peres, morto ieri all’età di 93 anni, ha raggiunto la Knesset, sede del Parlamento israeliano a Gerusalemme: lì è stata allestita la camera ardente che proseguirà fino a sera. Domani i funerali, alla presenza delle più alte cariche istituzionali di tutto il mondo. Alla cerimonia sarà presente anche una delegazione della Santa Sede, a cui prendono parte l’arcivescovo Antonio Franco, già nunzio apostolico a Gerusalemme, e l’arcivescovo Giuseppe Lazzarotto, attuale nunzio apostolico in Israele.

In quasi 70 anni di attività pubblica, Peres fu a lungo esponente di primo piano del Partito Laburista israeliano. Prima di divenire capo dello Stato, rivestì alti incarichi di governo, compresi quelli di premier e ministro degli Esteri. Nel 1994 gli era stato assegnato il Premio Nobel per la Pace insieme a Yitzhak Rabin e Yasser Arafat per gli sforzi nel processo di pace in Medio Oriente, culminati con gli Accordi di Oslo. Aveva conosciuto tre Pontefici: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Proprio dall’incontro con Papa Bergoglio muove il ricordo dell’arcivescovo Giuseppe Lazzarotto, intervistato da Giada Aquilino

R. – Io ho incontrato personalmente il Presidente in varie occasioni - sempre occasioni ufficiali - e soprattutto per la visita di Papa Francesco in Terra Santa, nel 2014. Ci fu un lungo colloquio del Santo Padre con il Presidente e poi un incontro, meno formale, nei giardini della residenza del Presidente, alla presenza di tanti invitati. E ricordo con piacere soprattutto la partecipazione di un gruppo di bambini e bambine, che cantarono e danzarono. Ebbi veramente l’impressione di essere in famiglia, con due ‘nonni’ che guardavano compiaciuti i loro nipotini, e pensai che quella rimane la strada che dovremmo seguire per trovare tutti insieme la soluzione al problema che affligge tante persone, qui in Terra Santa e in Medio Oriente in maniera più ampia, cioè la mancanza di una pace vera, che aiuti a vivere insieme come fratelli, rispettandoci gli uni con gli altri nelle nostre differenze, ma tutti uniti per una causa che, se non viene vissuta e combattuta insieme, è persa in partenza. Mi pare che, come ha detto il Santo Padre nel suo messaggio di cordoglio, questa sia l’eredità importante che il Presidente Peres lascia: dobbiamo tenere vivo lo sforzo da parte di tutti di impegnarci per la pace e per la riconciliazione. Come sottolinea il Papa, dobbiamo riflettere in questa occasione, che è un’occasione triste, ma anche un’occasione importante per Israele, per tutti quanti noi - soprattutto per noi che viviamo qui - e scoprire in che modo possiamo continuare ad andare avanti su questa strada, che è essenziale.

D. – Proprio il Pontefice ha auspicato che la memoria di Shimon Peres ispiri tutti a lavorare con sempre maggiore urgenza per la pace e la riconciliazione tra i popoli. Che periodo è per il processo di pace?

R. – Per il momento i colloqui sono stati interrotti - già da molto tempo - e tutti auspicano che possano presto riprendere. Però non c’è alcuna indicazione concreta. Naturalmente noi auspichiamo che questo avvenga e facciamo tutto il possibile. Dico noi, intendendo le comunità cristiane, ma non solo: anche tanti uomini di buona volontà, da una parte e dall’altra, che vogliono che i responsabili trovino questa strada comune. Come dice sempre il Santo Padre, c’è bisogno di gesti coraggiosi da parte dei politici, quelli che hanno in mano le sorti dei popoli.

D. – Come raccogliere l’eredità di Peres in Israele?

R. – Io spero, mi auguro e sono sicuro che ci siano tante persone di buona volontà in Israele che sanno come raccogliere questa eredità, tenerla viva e metterla a buon frutto per il futuro.

D. – In questo momento, in cui viviamo il dramma della crisi siriana e irachena, si sente un certo vuoto a livello anche internazionale sulle sorti del processo di pace israelo-palestinese?

R. – Mi pare che manchi una visione comune, concordata, per quanto è possibile. Ci si muove un po’ così, ogni Paese rispondendo a situazioni immediate o ad altri eventi. Mi pare, però, che sarebbe importante se si riuscisse ad avere un progetto comune su cui lavorare. Per fare questo, però, ci vuole appunto coraggio.

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Pace in Colombia: Giornata di preghiera in vista del plebiscito

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Alla vigilia della Giornata nazionale di preghiera per la pace (con momenti di adorazione eucaristica in tutto il Paese), indetta per oggi dalla Chiesa colombiana, il presidente della Conferenza episcopale (Cec), mons. Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja, ha tenuto ieri nella sede della Cec a Bogotá una conferenza stampa nella quale ha presentato le iniziative della Chiesa in seguito alla firma ufficiale dell’accordo di pace tra Governo e Farc, e alla vigilia del plebiscito confermativo di domenica prossima. In particolare - riferisce l'agenzia Sir - mons. Castro ha parlato della Campagna “Acciones Conscientes. Tu compromiso con el futuro” (“Azioni coscienti. Il tuo impegno per il futuro”), che ha l’obiettivo d’informare i colombiani in merito all’accordo firmato, in modo da avere una visione oggettiva della situazione nel momento della scelta referendaria.

La Chiesa non dà indicazioni di voto
Rispetto al voto di domenica, mons. Castro ha ribadito che la Chiesa non dà indicazioni di voto: “Io credo che si possa stare da una parte o dall’altra senza che ci sia necessità di fomentare odio o alimentare uno spirito negativo, l’obiettivo finale di tutti i colombiani è la pace”, ha detto il presidente della Cec, che ha poi aggiunto: “È molto importante che si prenda coscienza di quello che si sta facendo. Bisogna scegliere le modalità con cui arrivare alla pace e non si ottiene questo con l’odio”. Al tempo stesso, il presule ha mostrato soddisfazione per come è avanzato il cammino di pace tra Governo e Farc ed ha assicurato che la Chiesa, nel caso l’accordo sia confermato dalla popolazione, sarà molto attenta a dare seguito all’implementazione dell’accordo stesso. 

Importanza della Campagna informativa per il plebiscito
“Per questo – ha proseguito – è molto importante che questa campagna informativa sia visibile per tutti, poiché offre uno spazio di riflessione e informazione sul plebiscito”. Mons. Castro si è mostrato ottimista anche sulle future trattative con l’altro gruppo minoritario della guerriglia, l’Eln: “La Chiesa ha ricevuto segnali positivi che indicano la loro volontà di sedersi al tavolo delle trattative. Noi come Chiesa cercheremo di appoggiare il dialogo. Lo facciamo perché ce lo ha chiesto l’Eln, non prima di aver chiesto il permesso al Presidente Santos, che è stato molto contento di ricevere questa notizia”. (R.P.)

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Darfur. Amnesty: oltre 200 morti da gennaio a oggi

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Amnesty International ha denunciato che quest’anno il governo sudanese avrebbe condotto almeno 30 attacchi con armi chimiche contro la popolazione civile del Darfur. Sarebbero morte almeno 250 persone, tra cui molti bambini, nella regione di Jebel Marra da gennaio a oggi. Khartoum ha smentito. Andrea Walton ha intervistato Marco Di Liddo, analista di Africa, Balcani ed Ex-Urss presso il Ce.S.I, sul conflitto dimenticato in Darfur: 

R. – Il Darfur vive una situazione drammatica di guerra intensa e, purtroppo, dimenticata dalla maggior parte dei media internazionali da ormai quasi 14 anni. E’ una guerra che è corsa parallelamente a quella con il Sud Sudan e che, purtroppo, per i cittadini del Darfur non ha avuto lo stesso esito politico favorevole, quindi l’indipendenza. Il governo sudanese non può permettersi di perdere la regione del Darfur, perché è l’ultimo grande bacino petrolifero che gli resta dopo la perdita delle province meridionali. Purtroppo, quindi, utilizza questi metodi estremamente violenti da anni per impedire alla comunità Fur di raggiungere l’autodeterminazione.

D. – Può esistere una soluzione pacifica per il caso Darfur?

R. – Il caso del Sud Sudan ci spinge a pensare che una soluzione pacifica si possa trovare. Senza la volontà politica da parte di Karthoum, però, queste dichiarazioni di intenti purtroppo restano tali. Il Sudan ha bisogno del Darfur per ragioni energetiche e non può – ripeto – permettersi di perdere quella regione. Ma il vero problema è che in questo momento in cui l’Africa è purtroppo costellata da tantissimi conflitti, la stessa Unione Africana e le Nazioni Unite non hanno la forza sufficiente per dedicare le risorse adeguate alla risoluzione del conflitto. Siamo in una situazione di vera e propria guerra congelata in cui le parti si parlano ma nessuna delle due è disposta a fare concessioni. Al momento, quindi, c’è grande scetticismo.

D. – Quali sono i rapporti del governo sudanese con la comunità internazionale?

R. – Il governo sudanese, soprattutto nella figura del suo presidente Bashir, non sono visti bene dalla comunità internazionale. Tant’è vero che il presidente sudanese non può recarsi in molti Paesi nel mondo, perché sulla sua persona vigono pesanti accuse di crimini contro l’umanità. Quindi, i governi che hanno firmato determinate convenzioni internazionali sarebbero costretti ad arrestarlo, nel caso in cui questo presidente si recasse sul loro territorio nazionale. Bashir, quindi, purtroppo, deve barcamenarsi nelle relazioni internazionali, parlando con quegli Stati che usufruiscono malauguratamente della sua stessa condizione di isolamento. E’ una sorta di dialogo tra paria.

D. – Il Sudan ha aderito alla convenzione sulle armi chimiche nel 1999. L’accertamento di eventuali violazioni potrebbe portare a delle sanzioni internazionali?

R. – Sicuramente sì. La domanda è però se le sanzioni internazionali potrebbero avere l’effetto desiderato. Il Sudan è un Paese estremamente povero, quindi sanzionarlo potrebbe esporre più che la sua élite politica, la sua popolazione ad ulteriori sofferenze. Questo è il grande interrogativo, che pesa su chi eventualmente dovrebbe prendere questa decisione. Ma è una forma di pressione sicuramente più forte per avviare anche una sorta di transizione politica o di apertura del Paese alle norme democratiche, che potrebbe aiutare la popolazione sudanese, e anche quella del Darfur, ad uscire dall’attuale stato di sottosviluppo, di sofferenza e di morte in cui si trova.

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Nigeria: rapito il rettore del seminario maggiore di Tansi

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E’ stato rapito il rettore del Seminario maggiore di Tansi, padre Emmanuel Dim. Lo ha riferito padre Hyginus Aghaulor, direttore delle Comunicazioni sociali della diocesi di Nnewi, nello Stato Anambra, nella Nigeria sud-orientale.

L'attacco dei pastori Fulani
Secondo padre Aghaulor, alle 19 di lunedì scorso, lungo la strada Nkpologwu/Nimbo nello Stato di Enugu, alcuni pastori Fulani pesantemente armati hanno bloccato l’automobile sulla quale viaggiava padre Dim insieme ad altri due sacerdoti. “I tre preti stavano tornando da Nsukka a Onitsha e a Nnewi, quando sono stati attaccati”. 

I vescovi vietano qualsiasi riscatto per il sequestro di sacerdoti
Nell’assalto - riferisce l'agenzia Fides - sono rimasti feriti gli altri due sacerdoti, in maniera più leggera padre Ezeokana che insegna sia al Seminario Maggiore di Onitsha sia alla Nnamdi Azikiwe University di Awka. Mentre “padre Chukwuemeka, cappellano del San Camillus de Lellis College of Health Science, presso la Nnamdi Azikiwe University, a Nnewi, è stato colpito alla testa da colpi di arma da fuoco ed è stato trasferito dall’ospedale di Enugu a quello di Nnewi”. Padre Dim è ancora nelle mani dei suoi rapitori, che hanno chiesto un riscatto di 2,5 milioni di Naira. “La Conferenza episcopale della Nigeria ha vietato il pagamento di qualsiasi riscatto nel caso del rapimento di sacerdoti” ha precisato padre Aghaulor.

Altri attacchi contro uomini di chiesa
Padre Aghaulor denuncia che “lo stesso 26 settembre, anche un padre vincenziano il cui nome deve essere ancora confermato, è stato rapito insieme a suo fratello lungo la strada Abuja-Lokoja; un altro sacerdote cattolico, padre Emmanuel Ugwu, venne rapito il 9 agosto 2014 lungo la strada Ugwuogo-Nike-Opi, mentre poche settimane fa un seminarista è stato ucciso a sangue freddo ad Attakwu, nello Stato di Enugu”. “Uno inizia a chiedersi se i preti cattolici sono diventati una specie a rischio” ha rincarato il direttore delle Comunicazioni sociali.

La Chiesa denuncia: i militari proteggono gli oleodotti e non le persone
Secondo Padre Aghaulor le autorità degli Stati meridionali e il governo federale non stanno facendo nulla per proteggere gli abitanti dalle violenze dei pastori Fulani: “Mentre la gente innocente è lasciata senza protezione, vediamo i militari proteggere gli oleodotti nel Delta del Niger, come se il petrolio fosse più importante delle persone. Perché la popolazione deve essere uccisa senza motivo nella propria terra?”. (L.M.)

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Il card. Bagnasco sul referendum: i cittadini si informino

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In vista del referendum costituzionale del 4 dicembre i cittadini si informino, non si accontentino di slogan. Lo ha affermato il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, durante la conferenza stampa alla fine del Consiglio episcopale permanente chiusosi ieri. Altri temi dibattuti: il lavoro e la riforma delle Diocesi. Alessandro Guarasci: 

Un momento importante per il Paese, perché la Costituzione non la si cambia tutti i giorni, è la base di tutte le leggi. Ecco perché il referendum costituzionale del 4 dicembre ha bisogno di massima consapevolezza. Il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco:

“La partecipazione della sovranità popolare con il proprio diritto, dovere, di voto, in modo particolare – ripeto – per l’oggetto. E auspichiamo che le persone si informino, non si accontentino del sentito dire, di un’opinione o di slogan”.

I vescovi sono preoccupati anche per il lavoro. Più dell’11% infatti non ha un’occupazione. Ancora il cardinale Bagnasco:

“Perché nelle nostre parrocchie, nelle nostre curie, nei nostri episcopi, continua la processione di gente che ha perso il lavoro o che non lo trova: di tutte le età. Ora la Chiesa, oltre alla vicinanza, cerca di trovare delle vie, delle possibilità, di proporre dei percorsi”.

E allora ecco che tante diocesi si fanno promotrici di cooperative, riscoprono terreni da coltivare, danno indicazioni per aprire nuove iniziative imprenditoriali. Altro tema al centro del Consiglio episcopale, l’attuazione della riforma del processo matrimoniale:

“Facilitare la vicinanza della giustizia ecclesiastica alla gente; la maggiore gratuità o accessibilità possibile, che non è una cosa nuova – nuovissima – e anche la possibilità di non contribuire neppure minimamente, se le circostanze lo richiedono, a quelle che sono le spese generali per i dipendenti che ci lavorano e hanno diritto al loro stipendio, e per le strutture minimali che ogni tribunale richiede”.

Per il prossimo Consiglio episcopale permanente inoltre dovrebbe essere pronta la revisione della geografia delle diocesi, come chiesto dal Papa.

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Inaugurata nuova sede del network Ewtn, sogno di Madre Angelica

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Portare il Vangelo e il messaggio del Papa in tutto il mondo. Questa la sfida di Eternal World Television Network (EWTN), uno dei più grandi network religiosi del mondo fondato negli Usa nel 1981 dalla clarissa Madre Maria Angelica dell’Annunciazione, morta lo scorso mese di marzo, e presente oggi in 144 differenti nazioni. Questa sera a Roma l’apertura della nuova sede in via della Conciliazione, vicino San Pietro. A benedire i nuovi locali mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede. Il servizio di Paolo Ondarza

Sono passati  35 anni: era la festa dell’Assunta del 1981. Da un garage di un piccolo comune dell’Alabama suor madre Angelica con poche centinaia di dollari a disposizione dava vita all’Eternal World Television Network. Da quel desiderio di portare la Buona Novella in ogni angolo del mondo è nata una grande opera della Provvidenza: Ewtn trasmette oggi 24 ore su 24 ed è editrice, tra gli altri, del National Catholic Register, di Catholic News Agency e di Aci Stampa. L’apertura della sede romana è solo l’ultimo capitolo di una storia che continua. Alan Holdren, capo ufficio di EWTN news Roma:

R.- "Etwn esiste da più di trent'anni. Madre Angelica, la nostra fondatrice, era una suora clarissa. Ha dovuto chiedere il permesso di uscire dal monastero per poter fondare questa grande televisione con appena 200 dollari, se non sbaglio. Se lei potesse vedere questa sede qui a Roma, vedrebbe realizzato un suo piccolo sogno. 

D.- Madre Angelica si è spenta nel marzo scorso. Dunque è una  - chiamiamola - "bella coincidenza" l'apertura della sede romana proprio quest'anno...

R.- Sì. Si racconta che ogni volta che lei si ammalava, e accadeva molto spesso, c'era un regalo di Dio per Ewtn nel mondo. Adesso che è deceduta, crediamo che anche questa nuova sede è un regalo di Dio. 

D.- Quale secondo voi la principale sfida alla quale oggi siete chiamati?

R.- Ci sono tante crisi nella vita di oggi, crisi così eclatanti come quella del Medio Oriente. Serve una voce evangelica, serve la voce di Cristo, serve il messaggio del Papa. Quindi arrivare in questi luoghi di crisi è una sfida. Attraverso il satellite che ha comprato tantissimi anni fa Madre Angelica siamo riusciti ad entrare in questi Paesi. Quindi la sfida è quella di mantenere questa diffusione, ma anche arrivare anche all'uomo nella società moderna occidentale. Di fronte a tanti problemi e a tante sfide, ci sono tante speranze: vogliamo arrivare con questo messaggio evangelico per offrire quella Verità che crediamo porti ognuno alla salvezza, se la accoglie.

D.- Il riscontro, il feedback  che avete, qual'è?

R.- Un aneddoto: durante la canonizzazione di Madre Teresa, le suore di Madre Teresa, le Missionarie della Carità di Calcutta stavano guardando la nostra trasmissione che facevamo da qui vicino Piazza San Pietro! Basterebbe questo a motivare il nostro lavoro. Quel fine settimana della canonizzazione, attraverso i social media siamo arrivati a più di 100 milioni di persone. Quindi questa è un'altra sfida: arrivare ai più giovani. Stiamo adoperando i social network (instagram, Facebook, Snapchat): sono le nuove frontiere. 

D:- Quindi: grandi sfide, grandi potenzialità, e nello sfondo la fiducia costante nella Provvidenza...

R.- Esatto, noi ci affidiamo a quel Cristo al quale si è affidata Madre Angelica. Come ci ha detto mons. Viganò quando ha benedetto la nuova sede: per poter fare questo lavoro bene e arrivare con il Vangelo, dobbiamo crederlo, viverlo come una missione.  

Ewtn è un punto di riferimento nell’informazione cattolica in tutto il mondo, spiega il card. Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston: 

R.- Ewtn è una realtà importante negli Stati Uniti per arrivare ai nostri cattolici. Avere una sede qui a Roma aiuterà molto a comunicare alla nostra gente il messaggio del Santo Padre e ciò che succede qui a Roma. Sono convinto che Madre Angelica  è felice ora in cielo pensando che dopo tutto il suo lavoro, finalmente ora c'è questa sede qui a Roma.

D. - Un'opera nata da una fiducia piena nella provvidenza...

R.- Sì. La storia di Madre Angelica è la storia di un miracolo. Una suora di clausura è riuscita a fare ciò che i vescovi  e le fondazioni cattoliche degli Stati Uniti non sono riusciti a fare.

D.- Quali sfide oggi per Ewtn?

R.- Comunicare la fede alle nuove generazioni. Negli Usa ora abbiamo una popolazione ispanica enorme e siamo molto lieti che Ewtn abbia anche programmi in spagnolo, per i nostri migranti.

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Simposio Chiesa tedesca, francese e svizzera su migrazioni

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“Quando abbiamo a che fare con i problemi della migrazione, parliamo di un problema che tocca la Chiesa e la nostra fede. Noi riconosciamo Dio in ogni persona che chiede la nostra protezione”. È quanto hanno dichiarato il card. Reinhard Marx, mons. Georges Pontier e mons. Charles Morerod, rispettivamente presidenti dei vescovi tedeschi, francesi e svizzeri, al termine del simposio che li ha visti riuniti ieri a Berlino insieme a 50 rappresentanti del mondo scientifico ed ecclesiale attorno al tema “Migrazione e identità culturali e religiose in Europa. Le sfide che si presentano alla Chiesa”. Si è trattato del secondo incontro del genere dopo quello organizzato un anno fa a Roma in vista del Sinodo sulla famiglia.

L’impatto a lungo termine del fenomeno migratorio sulle società europee
L’obiettivo del simposio – riporta il comunicato finale - era di comprendere meglio l’impatto a lungo termine del fenomeno migratorio nei contesti sociali europei e di proporre quindi “prospettive di organizzazione della società, della politica e della Chiesa”. A fare da filo conduttore sono state una serie di domande sul rapporto tra migrazione,  origini dei migranti, cambiamenti demografici ed identità sociale e formazione culturale europea; sui sistemi per una convivenza pacifica nel pluralismo e sulle risposte che offre la Chiesa agli attuali sviluppi. Il tutto inquadrato nel contesto più ampio dei movimenti migratori nel mondo oggi.

La crisi dei modelli classici di integrazione nelle società europee
Dal confronto è emersa, innanzitutto la constatazione che gli attuali flussi migratori hanno messo in crisi i modelli classici di integrazione nelle società europee. Di qui la necessità di un ripensamento, attingendo ai principi fondamentali dell’identità europea. È stato poi sottolineato come le legislazioni nazionali che regolano l’immigrazione non possano prescindere dal rispetto di alcuni principi fondamentali sui diritti umani e del diritto internazionale.

La dignità umana non è negoziabile
E' quanto ribadito al termine del simposio dal card. Marx e dai vescovi Pontier e Morerod. “Anche se ogni Paese offre soluzioni e differenti - hanno detto - allo stesso tempo la dignità umana non è negoziabile. E la migrazione continuerà nei prossimi decenni e sarà all’ordine del giorno delle nostre società e della Chiesa”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Filippine: Chiesa e governo insieme per riabilitare i drogati

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L’arcidiocesi di Cagayan de Oro si unisce al governo locale per sostenere un programma multi-settoriale di riabilitazione per i tossicodipendenti. Lo ha annunciato mons. Antonio Ledesma, arcivescovo della zona nel sud delle Filippine. Per il presule “la Chiesa non ha le strutture adeguate per dare aiuto medico, ma possiamo dare aiuto spirituale in tanti modi diversi”. Egli inoltre condanna le esecuzioni sommarie nei confronti di spacciatori e drogati: “Il crimine non si combatte con un altro crimine”.

"Tolleranza zero" per il narcotraffico  trasformata in una mattanza di presunti criminali
Il riferimento è alla “tolleranza zero” nei confronti del mercato della droga promessa dal Presidente Duterte in campagna elettorale e che, dopo la vittoria alle urne, si è trasformata in una mattanza di presunti criminali. Le vittime accertate sono oramai più di 3mila – alcuni gruppi della società civile parlano del doppio – mentre non si registrano inchieste contro poliziotti o vigilantes che hanno aperto il fuoco contro persone spesso disarmate. Il capo della polizia nazionale ha persino invitato i tossicodipendenti a “dare fuoco” alle case dei “signori della droga” e ha promesso loro impunità: “Voi siete le vittime, non sarete puniti”.

L'iniziativa dell'arcivescovo Ledesma
L’arcivescovo Ledesma ha dato la sua adesione alla “Coalizione per una società libera dalla droga” formata dal governo di Cagayan de Oro – città indipendente nella provincia di Mindanao – e coordinata dal Dipartimento della Sanità insieme a molti gruppi della società civile. Lo scopo è quello di aumentare la consapevolezza nei confronti dei danni provocati dagli stupefacenti e riabilitare chi ne fa uso. Esistono, ha chiarito il presule, “tre passi necessari: prevenzione, intervento e sostegno della comunità. È in questo campo che la Chiesa farà la sua parte. Possiamo dare consulenza, conforto spirituale e sostegno anche attraverso le strutture delle nostre parrocchie e dei nostri centri formativi”. Le esecuzioni sommarie, ha concluso, “non sono la soluzione. Non si può combattere un crimine con un altro crimine”.

La Chiesa contro le esecuzioni sommarie di spacciatori e drogati
Contro questa deriva è intervenuto in più occasioni il presidente della Conferenza episcopale filippina, l’arcivescovo di Lingayen-Dagupan mons. Socrates Villegas, che ha presentato un appello “all’umanità delle forze dell’ordine” e ha pubblicato una preghiera “per sanare le ferite della società”. Oltre a lui si sono espressi molti altri leader cattolici, cui si è aggiunto anche il card. Tagle. L’arcivescovo della capitale ha aperto le strutture della Chiesa ai tossicodipendenti invitandoli a liberarsi dalla droga.

Chiesa condanna gli spacciatori ma ognuno deve avere la possibilità di riabilitarsi
Con durezza, il cardinale ha voluto condannare il mercato degli spacciatori: “Vendere queste sostanze illegali e spingere i giovani verso il vizio è un’altra forma di omicidio: si uccidono i loro sogni, le loro menti e le loro relazioni sociali e familiari”. Tuttavia davanti a un colpevole, ha concluso, “ci si deve sforzare perché abbia una nuova vita e la possibilità di rialzarsi in piedi”. (R.P.)

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Vescovi Sudafrica: poveri abbiano accesso a istruzione superiore

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“Un piano realistico per rendere possibile alle famiglie povere e della classe operaia di avere accesso all’istruzione superiore” è quanto auspicano i vescovi del Sudafrica, dopo l’annuncio del Ministro dell’educazione Be Nzimande di un aumento delle tasse universitarie e dei college non superiore all’8% per il prossimo anno. Il Ministro ha precisato che le tasse non aumenteranno per gli studenti che ricevano prestiti dal Programma nazionale di aiuti finanziari agli studenti (Nsfas) e che il Governo fornirà sussidi agli studenti delle famiglie più povere.

Più attenzione per gli studenti meno abbienti
In un comunicato ripreso dall’agenzia Fides, la Conferenza episcopale sudafricana (Sacbc) afferma che “i provvedimenti ad interim del Governo non forniscono una soluzione duratura per un modello di finanziamento del sistema educativo”, e chiede quindi “una speciale attenzione per gli studenti poveri che in questo momento non possono o hanno grandi difficoltà a pagare le rette”, invocando la concessione di sussidi governativi ai più poveri che possano coprire interamente le spese.

Non alla violenza nei campus
​I presuli lanciano poi un appello alla calma e alla discussione pacifica sulle nuove misure : “Siamo consapevoli che le misure provvisorie del Governo non saranno ben accettate da tutti e auspichiamo un dialogo aperto e onesto tra tutte le parti in causa per trovare una via d’uscita”. Infine condannano l’escalation della violenze e il vandalismo nei campus che hanno segnato le proteste degli studenti in questi mesi: “La violenza porta più male che bene alla nostra nazione. Chiediamo una leadership maggiormente etica da parte di tutti, inclusi i custodi delle legge e dell’ordine” concludono. (L.M.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 273

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.