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Sommario del 23/09/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa decide adesione S. Sede a Convenzione Onu anti-corruzione

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La Santa Sede, anche a nome e per conto dello Stato Vaticano, ha aderito alla Convenzione Onu contro la corruzione. Il 19 settembre scorso, presso la sede delle Nazioni Unite a New York, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ha depositato lo strumento di adesione della Santa Sede alla Convenzione che, per la Santa Sede e il Vaticano, entrerà in vigore il prossimo 19 ottobre. Il servizio di Alessandro Gisotti

Mons. Gallagher: Francesco chiede di sconfiggere la corruzione
In un articolo per l’Osservatore Romano, l’arcivescovo Paul Gallagher ricorda che Papa Francesco ha denunciato “la corruzione come una piaga della società e ha chiamato a combatterla attivamente”. Il Papa, scrive il segretario per i rapporti con gli Stati, ha quindi stabilito che la Santa Sede e lo Stato Vaticano “si adeguino a più autorevoli parametri internazionali per prevenire la corruzione, sia nell’esercizio di funzioni pubbliche che in ambito economico”. Mons. Gallagher rammenta che la cosiddetta Convenzione di Mérida contro la corruzione è “il principale strumento globale per prevenire e contrastare i reati commessi nell’ambito della funzione pubblica”.

Santa Sede prosegue impegno contro ogni forma di corruzione
In particolare, prosegue, gli Stati che hanno ratificato la Convenzione sono tenuti a “perseguire e punire” ogni forma di corruzione “attiva e passiva” e prevede un “dettagliato impianto normativo per agevolare l’assistenza giudiziaria fra gli Stati Parte attraverso l’estradizione, le rogatorie, la restituzione di beni acquisiti illecitamente, l’assistenza tecnica, lo scambio di informazioni”. Il presule ricorda che la Santa Sede ha già adottato strumenti giuridici al riguardo, volti a prevenire e investigare eventuali casi di corruzione e di proporre alle Autorità competenti l’adozione di politiche appropriate per contrastare il reato.

Uffici della Curia rivedranno procedure amministrative
D’altra parte, osserva mons. Gallagher, “sarà necessario che, nel futuro, gli uffici competenti della Curia Romana e dello Stato della Città del Vaticano rivedano le proprie procedure amministrative alla luce dei parametri contenuti nella Convenzione, al fine di assicurarne la necessaria conformità”. Infine, conclude il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ci si augura che l’adesione della Santa Sede alla Convenzione di Mérida “possa contribuire agli sforzi della Comunità internazionale per garantire la trasparenza e la buona gestione degli affari pubblici”.

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Viganò: Papa incoraggia riforma media, processo è irreversibile

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Papa Francesco ha incontrato, ieri pomeriggio, mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione, il segretario mons. Lucio Adrián Ruiz e il Consiglio del nuovo dicastero. Il Papa si è intrattenuto con i presenti con grande cordialità ed ha loro consegnato lo Statuto, pubblicato ieri e che entrerà in vigore il primo ottobre prossimo. Sull’incontro con Francesco e lo sviluppo della riforma dei media vaticani, Alessandro Gisotti ha intervistato mons. Dario Edoardo Viganò

R. – E’ stato un incontro molto cordiale. Erano presenti il segretario del dicastero e i direttori della direzione generale, della direzione teologico-pastorale, della direzione tecnologica e della Sala Stampa. Il Papa ha voluto consegnare personalmente gli Statuti, che sono stati preparati in molti mesi di lavoro da un gruppo di lavoro misto e, soprattutto, Statuti che sono stati seguiti con particolare cura e anche importante lavoro da parte del Pontificio Consiglio dei Testi Legislativi e soprattutto dalla Segreteria di Stato. Quindi, è stato un momento molto cordiale e il Santo Padre ci ha chiesto di procedere con determinazione e secondo scelte che siano scelte irreversibili per questo nuovo scenario, che è lo scenario – appunto – della convergenza digitale.

D. – Che cosa rappresenta, appunto, l’approvazione degli Statuti in questo percorso che chiaramente continua – si parla di un triennio che abbiamo ancora davanti?

R. – Diciamo che il lavoro è già iniziato ed è iniziato secondo quel progetto che era stato condiviso con il Consiglio dei nove cardinali e approvato poi dal Santo Padre. Quindi, tendenzialmente gli Statuti – al di là della formula che ha atteso molti mesi per individuare anche aspetti formali molto importanti – di fatto sanciscono quello che era il progetto presentato e approvato. Certo, è un atto di nascita importante dal punto di vista giuridico: c’è una paternità legale, diciamo così, in questo momento, che ci permette di attuare adesso anche quelle operazioni che sono importanti per un dicastero che nasce dall’accorpamento di tanti altre entità, che è quello di sviluppare i regolamenti e poi l’unica tabella dell’organico, che sarà una tabella unitaria.

D. – Quello che colpisce in alcune parti è una dimensione di “Statuto aperto”, cioè pronto a guardare alla comunicazione nei suoi cambiamenti, anche dinamici e veloci, come abbiamo visto ultimamente proprio con l’irrompere della rivoluzione digitale. Cosa significa questo?

R. – Vuol dire preparare uno strumento che possa accogliere quanto sarà sviluppato. Pensiamo che dal telegrafo a oggi sono passati poco più di 150 anni e c’è stata un’evoluzione tecnologica enorme, esponenziale. Quindi è importante avere uno strumento giuridico che permetta di proseguire da qui a cinque, dieci anni rispetto a ciò che apparirà sulla scena dei media.

D. – Nel discorso al Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, proprio nel giorno in cui sono stati approvati e consegnati gli Statuti, il Papa ha sottolineato che la Segreteria per la comunicazione ha proprio una dimensione di “servizio” …

R. – Questo credo che sia anche un po’ una vocazione: da un lato una vocazione interna alla Chiesa ma dall’altro lato anche aiutare i giornalisti a raccontare la Chiesa che, come dice Papa Francesco, non è semplicemente una entità sociologica, non possono essere utilizzate categorie politiche per raccontare la Chiesa, ma la Chiesa ha bisogno piuttosto di un’ermeneutica spirituale, cioè di una modalità che assuma uno sguardo sui fatti, sull’agire della Chiesa che sia uno sguardo innanzitutto spirituale. La Chiesa è un insieme di uomini e di donne che vivono il discepolato nei confronti di Gesù e che, con la loro azione, vogliono risignificare tutto in Cristo. E quindi, o si assume questo sguardo spirituale sulla Chiesa oppure molto spesso nascono addirittura le derive ideologiche pretestuose. Quindi, la Segreteria per la comunicazione, come ha detto il Papa, è un punto di riferimento per il mondo dell’informazione e in particolare penso ai vaticanisti, perché sempre più e sempre meglio possano raccontare a tutto il mondo il Magistero del Santo Padre e i suoi gesti.

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Udienze e nomine di Papa Francesco

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Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: mons. Giacinto Berloco, Arcivescovo tit. di Fidene, Nunzio Apostolico; mons. Héctor Miguel Cabrejos Vidarte, O.F.M., Arcivescovo di Trujillo (Perú); il rev.do Padre Nuno da Silva Gonçalves, S.J., Rettore della Pontificia Università Gregoriana. Il Papa riceve oggi in udienza: il card. José Saraiva Martins.

In Germania, Francesco ha nominato mons. Helmut Dieser Vescovo della diocesi di Aachen, trasferendolo dalla sede titolare vescovile di Narona e dall’ufficio di Ausiliare della diocesi di Trier.

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Tweet Papa: Dio non si stanca mai di offrire il suo perdono

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"Dio non si stanca di offrire sempre il suo perdono ogni volta che lo chiediamo". E' il tweet pubblicato da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

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Cattolici e ortodossi approvano documento su primato e sinodalità

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La Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa ha approvato un importante documento intitolato “Sinodalità e Primato nel Primo Millennio. Verso una comune comprensione nel servizio all’unità della Chiesa”. La plenaria si è svolta a Chieti dal 16 al 21 settembre ed è stata co-presieduta, da parte cattolica, dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e da parte ortodossa dall’arcivescovo di Telmessos Job Getcha, rappresentante del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. Illustra il documento mons. Andrea Palmieri, sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, al microfono di Sergio Centofanti

R. – Il documento è il risultato di un lungo cammino, inaugurato con il documento cosiddetto di Ravenna, approvato nel 2007. Lì si affermava – cattolici e ortodossi insieme – la necessità di un primato nella Chiesa a livello locale, regionale e universale. Si trattava di specificare in che maniera questo primato dovesse essere esercitato. Ora, con questo documento - che ha richiesto un lungo lavoro perché tocca uno dei problemi cruciali del contenzioso tra cattolici e ortodossi - abbiamo una spiegazione di come nel Primo Millennio primato e sinodalità si articolassero. E questo modello del Primo Millennio diventa un’indicazione per poter risolvere i problemi ancora esistenti tra cattolici e ortodossi.  

D. – Che cosa significa per l’oggi l’approvazione di questo documento?

R. – E’ un passo, è soltanto un passo di un cammino che ancora si può prevedere lungo. E’, però, un passo importante, perché pone il Primo Millennio come indicazione, come esempio, come modello per poter risolvere i problemi ancora aperti a livello ecclesiologico. Lì troviamo i riferimenti non soltanto utili, ma necessari per poter immaginare un esercizio del primato nel contesto della sinodalità, anche in una Chiesa finalmente riconciliata.

D. – Da quanto si legge in questo documento, come comprendono gli ortodossi il primato?

R. – Dalla lettura del Primo Millennio è emerso come non ci sia alcun dubbio che alla Sede di Roma fosse riconosciuto il primo posto nell’ordine delle Chiese. Questo primato, comunque, era sempre esercitato nel contesto della sinodalità. Va dunque naturalmente chiarito poi, nei successivi passi, cosa significhi esattamente questo primato e come possa essere esercitato oggi, perché sia davvero un servizio di comunione tra le Chiese.

D. – Quali prospettive si aprono adesso per il dialogo?

R. – Il dialogo adesso ha una base comune sulla quale poter continuare il proprio studio di quelle che possono essere le strutture che nella Chiesa possono assicurare la comunione tra tutte le Chiese di Oriente e di Occidente. Pone un riferimento comune nell’esperienza del Primo Millennio e nell’interpretazione alla quale sono convenuti cattolici e ortodossi. Questo documento apre un cammino, ma non risolve chiaramente tutte le difficoltà. Ci consente, però, di essere ottimisti per il futuro.

D. – Un evento importante, perché è il primo documento approvato dal 2007…

R. – Questo dice la fatica, l’impegno della Commissione per raggiungere un consenso su un tema così delicato. E’ stato necessario un lungo ed approfondito studio delle fonti storiche, canoniche, patristiche per addivenire ad una comune interpretazione che non sempre è stata facile. E’ però sicuramente motivo di grande speranza che si sia riusciti a raggiungere su alcuni elementi fondamentali tale consenso.

D. – Qual è stato il clima di questa plenaria?

R. – La plenaria si è svolta in un clima di grande fraternità, di sincerità e di confronto aperto e franco. Questo sicuramente ha contribuito al buon successo dei lavori. Inoltre, non sono mancate occasioni di preghiera, sia nella Cattedrale cattolica di Chieti, ma anche poi con la celebrazione di una divina liturgia nel Santuario di Manoppello nei pressi di Chieti. Tutto ciò ha offerto anche un contesto spirituale che non è assolutamente indifferente rispetto ai risultati che abbiamo raggiunto.

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Onu, Parolin: sviluppo integrale è impossibile senza la pace

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Il clamore delle armi in Siria “deve cessare affinché la pace sia una possibilità e soprattutto perché l'assistenza umanitaria possa essere portato a coloro che ne hanno più bisogno”. È uno degli appelli più importanti levati dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, intervenuto ieri all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York sui temi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Il servizio di Alessandro De Carolis:

La panoramica è vasta, attenta ai singoli casi e restituisce un quadro che sarebbe del tutto scoraggiante se non fosse sostenuto da una visione di speranza. Il cardinale Parolin disegna l’una e offre l’altra nel passare in rassegna, nel suo intervento all’Onu, la situazione mediorientale, quella africana, la crisi in Ucraina. È questa analisi che costituisce la parte più corposa del suo intervento, preceduta da una convinzione sul tema in discussione in assemblea generale – gli obiettivi di sviluppo dell’Agenda 2013 – e cioè che pensare a uno sviluppo umano integrale “è impossibile senza la pace”.

“In Medio Oriente – si sofferma il segretario di Stato – vediamo le terribili conseguenze di una spirale di guerra: tante vite distrutte, Stati dissolti, cessate il fuoco violati, l’insuccesso delle iniziative di pace, il fallimento dei tentativi di soluzione delle cause basilari del conflitto in Siria, in Iraq e Libia, della crisi della presidenza in Libano e del conflitto israelo-palestinese”. E ancora, le troppe vite mietute da conflitti infiniti, come quelli in Sud Sudan, nei Grandi Laghi, in Ucraina orientale.

La Siria, osserva più da vicino, “è stata invasa da molti tipi di gruppi armati”, c’è urgenza di portare “assistenza umanitaria” a chi ne ha “più bisogno” e la Santa Sede resta “convinta che questo sia possibile, a condizione che vi sia la volontà politica per porre fine ai combattimenti”. Per “rilanciare il processo di pace tra israeliani e palestinesi”, l’appello a entrambe le parti è quello “di astenersi da misure unilaterali o illegali di qualsiasi tipo, che possano costituire un ostacolo alla ricerca della pace e all'avanzamento della soluzione dei due Stati”. E per la crisi istituzionale libanese si “può ancora trovare”, dice, una base comune di dialogo tra i diversi gruppi etnici, culture e religioni per arrivare a una “coesistenza pacifica” di cui il Libano è stato a lungo “modello”.

Come esempio da seguire il cardinale Parolin indica la Colombia: il negoziato che un mese fa ha posto fine a mezzo secolo di guerriglia dimostra ciò che la Santa Sede sempre propone, ovvero che la pace non è un’utopia se la “comunità internazionale” decide di mobilitarsi. Per il Medio Oriente, suggerisce, “può servire da modello per altri Paesi con analoga struttura sociale” l’Accordo globale siglato tra la Santa Sede e la Palestina lo scorso anno.

Il cardinale Parolin cita spesso Papa Francesco, sia il suo intervento all’Onu un anno fa sia le sue parole al recente incontro interreligioso di Assisi. “Uomini e donne, come individui, devono essere – ribadisce – i principali agenti dell’Agenda 2030”, avendo chiaro che lo sviluppo integrale “include ma non si esaurisce con lo sviluppo economico” e dunque necessita di risorse, anche “sistemi di finanziamento alternativi”, in ​​grado di essere “tanto accessibili quanto sostenibili per i più poveri”.

Tra i fattori di instabilità, il segretario di Stato mette il terrorismo, la rinnovata “minaccia di un conflitto nucleare”, come da decenni non si conosceva, il fenomeno della migrazione forzata: 65 milioni di persone, una popolazione “in movimento – rimarca – superiore a quella di molti degli Stati rappresentati qui”. E a questo punto il plauso del porporato va a Libano e in Giordania “per l'ospitalità che stanno offrendo a coloro che sono scappati dalla guerra e distruzione in Iraq e Siria”, nonché alla Turchia, “che ospita milioni di rifugiati siriani”.

In definitiva, “i poveri e i bisognosi – conclude il cardinale Parolin – sono il volto umano dello sviluppo sostenibile che vogliamo tenere sempre davanti a noi, in modo che possiamo diventare agenti responsabili di una società più giusta e veramente umana”.

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Cause Santi, approvato nuovo Regolamento su riconoscimento miracoli

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Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, su mandato di Papa Francesco, ha approvato il nuovo Regolamento della Consulta Medica della Congregazione delle Cause dei Santi. L’attuale testo – spiega mons. Marcello Bartolucci, segretario del Dicastero, in un articolo sull’Osservatore Romano – “si ispira al precedente Regolamento approvato dal Beato Paolo VI, il 23 aprile 1976. Oltre all’adeguamento linguistico e procedurale, sono state introdotte alcune novità, quali ad esempio: la maggioranza qualificata, per procedere ad ulteriora, nell’esame di un presunto miracolo è di almeno 5/7 oppure 4/6; il caso non può essere riesaminato più di 3 volte; per il riesame del presunto miracolo si richiede una Consulta con nuovi membri; l’incarico del Presidente della Consulta può avere solo una riconferma (5 anni più altri 5); sono tenuti al segreto tutti quelli che trattano il presunto miracolo (promotori della causa, tribunale, postulatori, periti, officiali del Dicastero); i compensi ai periti saranno corrisposti solo tramite bonifico bancario; il Sotto-segretario svolge per i miracoli le funzioni che la Costituzione apostolica Divinus perfectionis magister attribuisce al Relatore”.

“La finalità del Regolamento – afferma mons. Bartolucci - non può essere che il bene delle Cause, che non possono mai prescindere dalla verità storica e scientifica degli asseriti miracoli. Come è necessario che le prove giuridiche siano complete, convergenti ed affidabili, così è necessario che il loro studio sia effettuato con serenità, obiettività e sicura competenza da parte di periti medici altamente specializzati e, poi, ad un livello diverso, dal Congresso dei consultori teologi e dalla Sessione dei cardinali e vescovi per arrivare, infine, alla determinante approvazione del Santo Padre, che ha l’esclusiva competenza di riconoscere un evento straordinario come vero miracolo. Questo Regolamento riguarda ovviamente solo il buon funzionamento della Consulta Medica, il cui compito appare sempre più delicato, impegnativo e, grazie a Dio, apprezzato dentro e fuori la Chiesa”.

“I miracoli – spiega il presule - non sono eventi marginali del Vangelo e neppure delle cause dei santi. Gesù ha annunciato il Regno di Dio con la parola e con i ‘segni messianici’, che compiva per rendere trasparente la sua identità e credibile la sua missione e anche per anticipare le novità finali del mondo redento. Altrettanto si può dire per i santi. I miracoli, che essi ottengono con la loro intercessione, sono il segno della presenza di Dio nella storia e, allo stesso tempo, sono la conferma ex alto della loro santità, espressa prima di tutto nell’esercizio eroico delle virtù cristiane o nel martirio. Da sempre la Chiesa è convinta che nei miracoli dei santi c’è il ‘dito di Dio’, che ratifica, se così si può dire, il giudizio umano sulla loro santità di vita. Questa visione fa parte del sentire della Chiesa ed è stata ripetutamente ribadita dal magistero ordinario fino ai pronunciamenti di Benedetto XVI e di Papa Francesco. E’ storicamente certo che i miracoli sono stati sempre un argomento decisivo per la canonizzazione dei Servi di Dio”.

Il miracolo, richiesto per la Beatificazione dei Venerabili Servi di Dio e per la Canonizzazione dei Beati – ricorda l’Introduzione del Regolamento - è stato  “sempre esaminato con il massimo rigore. Già in epoca medievale si fece ricorso a Periti Medici per i quali, il 17 settembre 1743, fu creato un Albo specifico da Benedetto XIV. Più recentemente, Pio XII istituì presso la Congregazione dei Sacri Riti, il 20 ottobre 1948, una Commissione di Medici, cui aggiunse, il 15 dicembre 1948, uno speciale Consiglio Medico".

"Giovanni XXIII, il 10 luglio 1959, unificò questi due organismi in una Consulta Medica, approvandone il Regolamento. Alla luce di nuove esigenze e in base alla Costituzione Apostolica Sacra Rituum Congregatio dell’8 maggio 1969, si procedette ad un’ulteriore revisione delle norme del Regolamento, che fu approvato da Paolo VI il 23 aprile 1976".

"La promulgazione della Costituzione Apostolica Divinus perfectionis Magister di Giovanni Paolo II, il 25 gennaio 1983, e l’esperienza degli ultimi anni da parte di questa Congregazione evidenziarono la necessità di aggiornare nuovamente il Regolamento della Consulta Medica”. Proprio a tale scopo, sono state redatte le norme del nuovo Regolamento della Consulta Medica della Congregazione delle Cause dei Santi".

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Oggi in Primo Piano



Venezuela, mons. Padrón: rinvio referendum va contro Costituzione

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Proteste in Venezuela, per il rinvio del referendum popolare sulla revoca del mandato del presidente Nicolás Maduro. Il voto non avrà luogo prima del 10 gennaio 2017, impedendo così di fatto eventuali elezioni anticipate che vedrebbero favorite le opposizioni. Inoltre, i promotori del referendum sono costretti ad un’ulteriore raccolta di firme: 4 milioni in 3 giorni, dal 26 al 28 ottobre. E perché l’iter sia valido, la soglia del 20% delle firme dovrà essere raggiunta in ogni Stato del Venezuela. Intanto, nel Paese la crisi economica si fa sempre più drammatica con un’inflazione che supera il 700%. Anche la Chiesa critica fortemente il rinvio del referendum. Ascoltiamo mons. Diego Rafael Padrón Sánchez, arcivescovo di Cumaná e presidente della Conferenza episcopale venezuelana, al microfono di Alvaro Vargas Martino

R. – Il referendum revocatorio è un diritto dei venezuelani ed è riconosciuto dalla stessa Costituzione nazionale. E quando un governo non permette di farlo nei tempi, spostandolo, vuol dire che non vuole farlo: cerca cioè di trovare il modo di rimanere al potere, senza dare la possibilità al popolo di esercitare il diritto di revocare qualsiasi funzionario del governo, perché non soltanto il presidente, ma qualsiasi funzionario del governo può essere revocato, trattandosi di una elezione popolare. Tutti coloro che sono eletti da una elezione popolare hanno la possibilità di essere revocati. Questo vuol dire che il governo ha assunto un atteggiamento di chiusura verso tutte le possibilità costituzionali.

D. – E questo indubbiamente mette a repentaglio qualsiasi eventuale dialogo tra governo ed opposizione, per il quale la Santa Sede ha dimostrato la sua disponibilità a partecipare, qualora ci fosse…

R. – Il governo ha detto ai venezuelani che non vuole in alcun modo il dialogo. Tutt’altro:  mantiene la sua posizione molto radicale, e non ha alcun interesse alla partecipazione del popolo, al suo modo di esprimere la volontà di cambiare: non vuole cioè riconoscere il diritto del popolo. Perciò non vuole davvero alcuna forma di dialogo! Noi venezuelani siamo riconoscenti e ringraziamo tantissimo Papa Francesco e la Santa Sede per l’interesse, per la vicinanza e per la solidarietà al popolo venezuelano. Ma sentiamo davvero un grande dolore, perché il governo ha perso questa opportunità dell’intervento della Chiesa.

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Iraq: prevista per i primi di ottobre l'offensiva su Mosul

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In Iraq, continua l’avanzata delle truppe guidate dagli Stati Uniti verso Mosul, occupata dai jihadisti dello Stato Islamico poco più di due anni fa. Strappata agli uomini del sedicente Califfato la città di Shirqat, 80 chilometri a sud di Mosul. Per il generale Joseph Dunford, capo degli Stati maggiori riuniti americani, gli iracheni saranno pronti a lanciare l'attacco per l’inizio di ottobre. Intanto, le Nazioni Unite lanciano un allarme umanitario per gli oltre 600 mila civili rimasti in città. Per un analisi sull’imminente offensiva, Michele Raviart ha intervistato Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all’Università cattolica di Milano: 

R. – L’attacco verso Mosul era atteso da mesi ed è il punto cardine della lenta campagna per conquistare e riunificare l’Iraq ed eliminare la presenza dello Stato islamico, almeno nelle grandi sedi urbane. E quindi è un momento importantissimo, proprio perché la caduta di Mosul aveva dato il via al tracollo delle Forze armate irachene e aveva reso evidente il pericolo rappresentato dallo Stato islamico.

D. – A liberare Mosul sarà una coalizione di forze guidate dagli Stati Uniti, che comprendono l’esercito iracheno, alcune milizie curde e milizie sciite. Come sarà possibile coordinare questi gruppi per il futuro poi della città?

R. – Non dimentichiamoci che Mosul non è solo una delle principali città irachene, ma è anche una città simbolo, perché Mosul è – come dire – l’intersezione di tutta la complessità, la pluralità irachena. Mosul è la sede, ad esempio, storica delle comunità cristiane orientali e ha una presenza anche curda. E’ una delle città simbolo della pluralità irachena. Fondamentale sarà decidere che cosa fare di Mosul. Io credo sia opportuno che a entrare a Mosul siano soltanto le forze nazionali e irachene. Le milizie sciite che sono state finanziate, sostenute, armate dall’Iran sono state fondamentali per evitare la caduta di Baghdad nelle mani del terrorismo jihadista. Ma con le milizie non costruisci nessun percorso democratico. E anche i curdi hanno la tendenza a sfruttare le vittorie militari per incamerare altri territori. Questo sarebbe un pessimo segnale e porterebbe a un nuovo scontro fra le componenti irachene.

D. – Dall’altro lato, c’è lo Stato islamico. Abbiamo letto che probabilmente al-Baghdadi è apparso a Mosul dopo due anni. Cosa significa questa città per lo Stato islamico e che cosa significa perdere questa città?

R. – Perdere Mosul significa perdere l’ultimo grande centro urbano che tiene in Iraq. Significa venire completamente scardinato nella parte orientale del suo autoproclamato Califfato e significa poi esporsi a un attacco concentrico verso Raqqa. Evidentemente, vanno preparati sistemi molto efficienti di guerra asimmetrica, tenere il più possibile il campo, rendere soprattutto molto costosa in termini umani l’avanzata delle truppe avversarie e usare i civili come ostaggi. Sappiamo, però, che il morale sta peggiorando: sta diminuendo il flusso di volontari, anzi molti cercano di andarsene. Quindi, è evidente che vi è una forte difficoltà militare.      

D. – In mezzo a tutto questo c’è la popolazione civile che è stata avvertita con dei lanci di volantini di stare lontano dai jihadisti. Si parla di 600 mila possibili sfollati. Qual è la situazione della popolazione civile?

R. – Molti se ne sono andati o sono stati cacciati da Mosul, soprattutto cristiani. Una parte della popolazione, soprattutto quella più radicalmente sunnita, è rimasta anche perché a causa degli errori del governo di Baghdad vedeva nello Stato islamico una possibile soluzione. E’ fondamentale che chi entra in Mosul non si accanisca contro la popolazione oppure che si adottino tattiche e una strategia militare che cerchi di evitare al massimo le perdite civili. In passato non sempre è stato così. Soprattutto le milizie sciite hanno cercato di rendere la pariglia alla popolazione sunnita per tutti gli attacchi subiti da parte dei jihadisti contro gli sciiti.

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Onu: in Burundi lesi diritti umani. P. Marano: rischio genocidio

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In Burundi, sono in corso da più di un anno gravi violazioni dei diritti umani ed è alto il rischio di genocidio. L’allarme è lanciato dall’Onu e si riferisce alle manifestazioni contro il terzo mandato del presidente Nkurunziza, che sta usando il pugno di ferro contro le opposizioni. Giancarlo La Vella ne ha parlato col saveriano, padre Claudio Marano, per anni missionario in Burundi: 

R. – La situazione è molto grave. Nkurunziza con il suo governo non collabora e non accetta nessun dialogo con l’opposizione e l’opposizione non accetta nessun dialogo con Nkurunziza. E allora l’opposizione si sta armando: hanno fatto diversi gruppi che sono in Rwanda, Repubblica del Congo, Tanzania e molti sono scappati all’estero. Nkurunziza, d’altra parte, sta facendo delle retate continue, cercando di prendere la gente che è stata fotografata o ferita durante le manifestazioni: la stanno mettendo in prigione e dalla prigione salta fuori normalmente la tortura e poi anche le uccisioni in massa.

D. – C’è la paura che si torni a quel genocidio che negli anni Novanta il Paese ha già vissuto…

R. – C’è un grosso rischio, perché la gran parte dell’opposizione è composta dai Tutsi e la gran parte della gente che è con il presidente appartiene agli Hutu. La stessa gente del governo, in diversi discorsi ufficiali, parla di vendette sui Tutsi che già dal 1972 hanno distrutto gli Hutu. Quindi, ciò porta a pensare che prima o poi qualcosa arriverà, perché molti dell’opposizione – quindi molti Tutsi – sono scappati in Rwanda e secondo anche i rapporti Onu, il Rwanda li sta preparando per armarsi e attaccare il Burundi.

D. – La comunità internazionale sicuramente è impegnata in crisi molto gravi in questo momento, ma sarebbe opportuno uno sguardo proprio alla situazione burundese, casomai attraverso l’Unione Africana: in che modo?

R. – A livello internazionale sono stati fatti dei passi e questi sono stati fatti nella chiusura di tutti doni e i progetti da parte dell’America, della comunità europea, la Francia, il Belgio e la Germania. Questo ha portato il Burundi all’ultimo posto nella povertà nel mondo intero. Quindi, nel Paese stanno vivendo tempi molto difficili: la moneta è stata svalutata di più del 50% e tutti ne soffrono terribilmente.

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Yahoo: nel 2014 violati i profili di 500 milioni di utenti

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Circa 500 milioni di profili di utenti Yahoo sarebbero stati oggetto di attacchi di pirati informatici nel 2014. La notizia è stata resa pubblica solo ieri. Tra i dati che potrebbero essere stati sottratti ci sarebbero nomi, mail, telefoni e password. Non dovrebbero esserci, invece, dati bancari. Yahoo ha sostenuto la possibilità che a compiere l’attacco siano stati hacker sostenuti da un entità statale. Andrea Walton ha intervistato sull’argomento il prof. Maurizio Mensi, docente di Diritto dell’informazione e della comunicazione presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma e la Scuola nazionale dell’amministrazione: 

R. – Quello che è evidente è innanzitutto la dimensione dell’attacco, che ha riguardato violazione degli account di posta elettronica, quindi con l’acquisizione di nomi, password, date di nascita, indirizzi di posta elettronica. Soprattutto però, l’elemento più rilevante è la circostanza che si abbia notizia soltanto ora: quindi a distanza di oltre due anni dall'evento.

D. – Chi potrebbe esserci dietro questo attacco informatico, e con quali motivazioni?

R. – Si prendono in considerazione tre fronti: la criminalità organizzata, la concorrenza sleale – quindi soggetti che possono aver acquisito tutto questo per ragioni di carattere economico e commerciale – e poi terrorismo. Chi controlla i dati oggi controlla le nostre vite: insomma, Internet oggi è diventato un bene importantissimo, un bene che ha una connotazione economica, e i dati sono l’oro dei nostri tempi.

D. – È così facile violare i sistemi di sicurezza di un colosso come Yahoo?

R. – Io direi che non è facile, perché ogni sistema web – sia il sito di un ente, di una banca o di una società – sostanzialmente viene scomposto in tre livelli distinti: la rete in cui opera, gli apparati che lo erogano e la sua interfaccia web. Un pirata informatico può attaccare un sistema web su uno di questi livelli oppure su un quarto livello, umano, costituito dagli utenti del sistema.

D. – Quali potrebbero essere le contromisure adottate da altri webmail provider per evitare il ripetersi di questi eventi?

R. – Sostanzialmente, la risposta è fatta di investimenti in risorse tecnologiche, regole: quindi la necessità che ci sia un sistema, un meccanismo di notifica degli attacchi che avvenga in modo tempestivo ai soggetti che possono essere in grado di elaborare, disporre degli elementi conoscitivi per adottare delle adeguate contromisure. E poi il terzo aspetto: un codice comportamentale che è fatto di un’etica che dobbiamo tutti imparare. Quindi, alla fine serve un comportamento complessivo che induca tutti, a partire dai minori fino a ogni cittadino, a essere un po’ più attenti prima di concedere i nostri dati.

D. – E quindi gli utenti cosa possono fare?

R. – Gli utenti devono tutelarsi affidandosi a operatori responsabili e soprattutto cercando di fare attenzione: cambiando spesso la propria password e cercando ogni tanto di verificare le impostazioni di privacy e sicurezza. Questo è quello che secondo me ogni cittadino, ogni utente della Rete, deve fare.

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Un mese dal terremoto, mons. D’Ercole: si attende e si spera

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E’ passato un mese dal terremoto che, lo scorso 24 agosto, ha scosso il centro Italia provocando la morte di quasi 300 persone. Il premier, Matteo Renzi, ha garantito che i paesi colpiti dal sisma saranno ricostruiti “dove erano e come erano, anche più belli di prima se possibile”. Il commissario straordinario del governo per la ricostruzione, Vasco Errani, ha inoltre reso noto che “sarà avviato un meccanismo chiaro di riconoscimento pieno dei danni”. Su questa fase, ancora di emergenza, Amedeo Lomonaco ha intervistato mons. Giovanni D'Ercole, vescovo di Ascoli Piceno: 

R. – La ferita è molto aperta. E’ un momento difficile e questo per tanti motivi. E il primo perché le tende devono essere smantellate il più rapidamente possibile, anche perché il freddo incalza e l’inverno si fa sentire. Le persone non si vogliono distaccare, non vogliono perdere le loro radici. E noi comprendiamo molto bene questo. In questo momento, il lavoro importante è ancora quello del supporto morale, psicologico, spirituale che la gente, tra l’altro, desidera e chiede.

D. – E’ questa una fase ancora di piena emergenza…

R. – La fase dell’emergenza ancora non è chiusa. Vedo che la Protezione Civile sta lavorando tantissimo e anche il commissario è molto attivo. Siamo in una fase di attesa e di speranza.

D. – Il premier Matteo Renzi ha garantito che i paesi colpiti dal sisma saranno ricostruiti “dove erano, come erano, anche più belli di prima”…

R. – Questo è un po’ difficile. Le promesse, perché si possano poi realizzare, si scontrano poi con realtà concrete: Pescara del Tronto è difficile da ricostruire dove era. Ma colgo nelle parole del premier – come è stato sin dall’inizio – una vicinanza straordinaria e la volontà di rassicurare la gente che, comunque, non sarà abbandonata e che tutto sarà ricostruito. Ma c’è un motivo per cui la gente ha paura che questo non avvenga e anche noi abbiamo paura che ciò non avvenga: questi sono paesi che d’inverno sono ridotti a poche centinaia di persone. Ma il sabato e la domenica e poi durante il periodo estivo si riempiono straordinariamente. E’ quello che possiamo chiamare il “turismo dei poveri”: quelli che non si possono permettere di andare in alberghi e vanno dai nonni, dagli zii, nelle case di montagna in cui rivivono la loro storia delle origini. E non possiamo assolutamente perdere questi legami, quanto mai utili alle città dove abitano ormai i figli dei figli. Legami che sono anche utili al nostro territorio perché lo fanno sopravvivere. Ecco perché è importante che sia ricostruito possibilmente la dove è e quanto prima.

D. – Anche per non perdere questi legami, per non smarrire questo patrimonio affettivo, il commissario straordinario del governo per la ricostruzione, Vasco Errani, ha reso noto che sarà avviato un meccanismo chiaro di riconoscimento pieno dei danni…

R. – Sì. Posso dire che, per quello che ho conosciuto Errani – e ormai lo ho incontrato più di qualche volta – vedo in lui una persona anzitutto molto come competente, che vuole soprattutto agire nel modo più limpido possibile e anche più fattivo possibile. Su questo credo che saranno importanti le decisioni che prenderanno riguardo alla metodologia da seguire: noi abbiamo avuto le esperienze del passato, tra L’Aquila, l’Emilia Romagna, l’Umbria e le Marche già nel ’97. Spero che facciano il meglio, tratto dalle esperienze passate, tenendo conto che ogni terremoto ha una sua storia particolare. E’ un grande lavoro quello che il commissario deve fare. Io personalmente lo accompagno con la preghiera, perché le decisioni che verranno prese oggi, saranno quelle che determineranno il futuro di questa nostra terra.

D. – Il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, ha detto che i danni provocati dal terremoto ammontano ad almeno 4 miliardi di euro. E ad essere particolarmente colpito è anche il patrimonio religioso di queste terre…

R. – Noi ci mettiamo accanto al dramma delle vittime, anche un altro dramma: quello delle chiese distrutte, delle chiese inagibili. C’è tutta una fascia che va da Amatrice e che prende l’Umbria, le Marche, la diocesi di Ascoli, in cui ci sono più di 130 chiese inagibili. Una fascia che poi raggiunge Fermo e che arriva addirittura fino a Pesaro. Noi ci rendiamo conto – anche dal punto di vista religioso – dell’urgenza di realizzare, quanto prima, luoghi di aggregazione, in attesa che vengano rifatte le chiese. Luoghi in cui possano essere celebrati i riti liturgici e dove si possano incontrare i cristiani e la gente.

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Mattarella su Moro: "Vero innovatore". Con noi G. Fioroni

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“Dovere e possibilità della democrazia è interpretare la società”. Lo ha affermato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo intervento al Quirinale per i 100 anni della nascita di Aldo Moro, riprendendo parole dello statista ucciso dalle Brigate Rosse. Il capo dello Stato ha aggiunto che In Europa "si avverte l'esigenza di uno slancio verso equilibri di pace". Il servizio di Alessandro Guarasci

Moro era l’esatto opposto dei conservatori. Al Quirinale il capo dello Stato, Sergio Mattarella, delinea la figura politica dello statista ucciso dalle Br. Per il presidente della Repubblica, Moro era animato da “una forte spinta alla innovazione: nel sistema politico, nella definizione di nuove opportunità nella società, con la stagione delle riforme". Moro, ha ricordato Mattarella, "non rinunciava ad affidare alla politica il dovere e il compito di indicare mete collettive. Proprio per questo” ricercava “l'ascolto”. Un’azione guidata dai valori cristiani, dice Giuseppe Fioroni, presidente della Commissione d’inchiesta sul rapimento di Moro:

“Vedere la battaglia di Moro sulla primazia della persona rispetto allo Stato, sui doveri che non devono essere concessi perché la titolarità è propria della persona umana. Vedere la battaglia di Moro per la libertà dell’educazione. Vedere la battaglia di Moro per l’importanza delle autonomie, dei corpi intermedi e delle autonomie locali. Vedere Moro costruttore di pace che parla di solidarietà e di cooperazione, perché così si costruisce la pace, e non solo con la repressione: credo che questi valori di solidarietà, pace, giustizia e dignità, la centralità dell’uomo – quella frase: "Ogni uomo è un universo" – legano indissolubilmente Moro alla nostra cultura cattolica”.

E tanti, per Fioroni, sono ancora taanti oggi i punti oscuri nel rapimento dello statista Dc:

“Il terrorismo è stato tombato più che sconfitto. Oggi stiamo andando avanti e ogni giorno si scoprono contiguità e responsabilità: hanno fatto tutto le Br, ma molti che potevano non fecero”.

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P. Pio, card. Bagnasco celebra Messa a San Giovanni Rotondo

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Oggi la Chiesa fa memoria di San Pio da Pietrelcina, nel giorno dell’anniversario della sua morte, avvenuta il 23 Settembre 1968. Questa mattina, a San Giovanni Rotondo, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha presieduto la Messa dopo aver partecipato nella notte alla veglia di preghiera. Per la prima volta, la reliquia del corpo di San Pio è stata esposta sul sagrato del Santuario a lui dedicato, per permetterne la venerazione da parte dei fedeli. Questa sera, la reliquia sarà riportata nella chiesa inferiore, dove è situata stabilmente. Maria Carnevali ha intervistato padre Gianluigi Pasquale, professore e direttore della collana “Lettere di Padre Pio”: 

R. – San Pio da Pietrelcina, di cui oggi celebriamo la memoria, inserita nel Calendario Romano per volontà di San Giovanni Paolo II, è la memoria di un Santo che è stato il primo sacerdote stigmatizzato nella storia. Celebrava ogni giorno l’Eucaristia portando su di sé la sofferenza, ma anche la venerazione delle ferite, delle stigmate, cinque, quelle stesse stigmate che Gesù ricevette sulla Croce. E’ questo sacrificio che Padre Pio ha portato su di sé a favore, però, degli altri e della santità della Chiesa.

D. – La partecipazione delle sofferenze di Cristo e la piena obbedienza furono caratteristiche imprescindibili del Santo…

R. – Senza dubbio. Questo giovane frate cappuccino, sacerdote, soltanto all’età di 31 anni ricevette le stigmate, dopo aver ricevuto Gesù Eucaristia nel cuore. E lì, nel convento dove era stato assegnato, a San Giovanni Rotondo, nacque un polo magnetico della cattolicità della Chiesa e quindi anche l’interessamento – certamente benevolo – da parte della Santa Sede di vedere e di appurare la veridicità di queste stigmate. Padre Pio era molto semplice e se venivano dei visitatori da parte della Santa Sede e avevano l’autorizzazione, lui mostrava le ferite che aveva nel costato, nelle mani e soprattutto anche nei piedi, che continuavano a sanguinare. Chiaramente con alcuni – tipo padre Agostino Gemelli, che non avevano l’autorizzazione della Santa Sede, ma volevano solo un po’ indagare, per non dire inquisire – padre Pio si dimostrava reticente. Ma questo soltanto perché gli stava a cuore un passo stupendo del Libro di Tobia: non devi rivelare a nessuno il segreto del re... Per padre Pio le stigmate erano un segreto, non certo di esibizioni, quanto piuttosto di pudore e anche un po’ di vergogna.

D. – In questa settimana sono stati numerosi gli eventi per farne memoria. Questa notte a San Giovanni Rotondo si è svolta una veglia di preghiera con circa 10 mila fedeli e per la prima volta sono state esposte le reliquie del Santo sul Sagrado della Chiesa a lui dedicata. Come si può ricordare il Santo?

R. – Tutto quello che sta avvenendo in questi giorni si situa nel filo rosso del Giubileo straordinario della Misericordia. Mi piace ricordare – a questo proposito – che San Padre Pio, assieme al mio confratello cappuccino, San Leopoldo Mandic, a febbraio sono stati scelti come i due Santi della misericordia. Quindi la veglia di preghiera, con ben 10 mila persone, si inserisce in questo binario d’oro che è la misericordia e che poi ha trovato sbocco ieri sera anche nella esposizione, sul sagrato di San Giovanni Rotondo, delle spoglie di Padre Pio. Perché? Perché oggi la gente di un’era virtuale, ha bisogno di toccare i Santi.

D. – Confessioni, volontà di alleviare il dolore dei malati, miracoli, direzione spirituale: cosa era la misericordia per San Pio?

R. – Quando Padre Pio, come tutti i sacerdoti, assolve, alza la mano destra in maniera benedicente – ma è un segno che benedice e accarezza il penitente che riceve l’assoluzione dei peccati e quindi anche la misericordia di Dio – ecco, questo è il segno da parte di un sacerdote di Gesù che, con la mano destra, accarezza e trasmetta la misericordia, che è l’essenza stessa di Dio.

D. – La devozione da parte dei fedeli verso la figura di San Pio è sempre stata grande: cosa attira di questo uomo semplice e grande Santo?

R. – Padre Pio ha avuto una intuizione geniale che è uno specimen, cioè una caratteristica, solo sua: ha fondato i gruppi di preghiera di Padre Pio, che sono diffusi capillarmente in tutto il mondo. Padre Pio era un frate di una grande amabilità: sapeva mettersi a livello di qualsiasi persona. In sostanza, la sua bonarietà – che si vede anche dal suo volto, no? – vedendo il volto di Padre Pio si vede il frate buono.

D. – Come è cambiata la devozione verso San Pio?

R. – Si è passati sempre meno da una devozione "devozionalistica" a una autentica devozione spirituale e mistagogica: in Padre Pio, soprattutto i giovani, vedono uno da imitare, ma anche uno da invocare per poter essere guariti. Perché i miracoli che ottiene Padre Pio, ancora adesso, sono veramente tanti.

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Bologna, Festival francescano: la fede in giro per le piazze

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Si apre oggi a Bologna il Festival Francescano. Una tre giorni di eventi che i frati dell’Emilia Romagna hanno pensato per portare nelle strade il messaggio di San Francesco a servizio del Vangelo. Il servizio di Luca Tentori

Bologna, piazza Maggiore anno 1211. San Francesco predica alla città perdono e riconciliazione. A più di 800 anni i suoi figli ci riprovano attraverso l’arte, la cultura e naturalmente la spiritualità. In campo più di 150 appuntamenti con la partecipazione di importanti personaggi della società civile, dello spettacolo e della Chiesa. Cuore pulsante, una copia a grandezza naturale della Porziuncola montata proprio in Piazza Maggiore, luogo di preghiera, confessioni e ascolto. A illustrare il tema di quest’anno il direttore del Festival, fra Giordano Ferri:

“Ci siamo inventati questo Festival prendendo spunto dai grandi festival culturali come quello della letteratura e quello della filosofia. Il motto di quest’anno è 'Per forza o perdono' e abbiamo scelto come tema il perdono perché abbiamo tre appuntamenti importanti: il primo è il grande Giubileo delle misericordia, poi abbiamo l’ottavo centenario del Perdono di Assisi e lo spirito di Assisi del quale ricorrono i trent’anni, questo incontro con i rappresentanti delle grandi religioni del mondo”.

Un clima di festa anche con maghi, spettacoli e musica per coinvolgere le famiglie e quanti in questi giorni passeranno per il centro del capoluogo emiliano. A spiegare i momenti di incontro tra uomini di fede differenti, fra Alessandro Caspoli, presidente dell’evento francescano:

“Francesco d’Assisi è stato l’uomo della Riconciliazione, l’uomo che cercava sempre una via di mediazione sia con i suoi frati sia con le persone del suo tempo. Il francescanesimo forse ha perso quel suo carattere così incisivo nella società che aveva all’epoca di Francesco o che aveva avuto attraverso i secoli successivi. Il ritornare in piazza è un po’ prendersi questo posto nella società”. 

Un assaggio del Festival ieri sera nel palazzo comunale con una tavola rotonda su “Le parole imperdonabili”. A incontrare i giornalisti della regione, a cui era rivolto l’evento, anche fra Paolo Iorio, predicatore con l’inconfondibile stile diretto e popolare francescano:

“Le parole tendono a inquinare la nostra vita: le tante parole false, le tante parole vuote che entrano dentro di noi e che tendono a formare una mentalità. E davanti a tutto questo la Parola di Dio come parola che è stata seminata dentro di noi: è una Parola rigeneratrice e che viene rigenerata attraverso il sacramento del perdono che è anche il Sacramento della misericordia di Dio. Questa ci dà la capacità di vivere all’interno di parole false e di parole vuote in un modo nuovo e di essere così semplici testimoni di una di quella che io credo sia l’unica vera Parola autorevole che ha la capacità di riempire la nostra vita”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Messico: un altro sacerdote rapito nel Michoacan

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Si chiama padre José Alfredo Lopez Guillen ed è stato rapito in Messico: a denunciarne la scomparsa è stato l'arcivescovo di Morelia, il card. Alberto Suárez Inda, in un video pubblicato ieri sul sito della Conferenza episcopale messicana (Cem) e citato dall’agenzia Fides. Padre Guillen è parroco della chiesa della Santissima Trinità di Janamuato, nel comune di Puruándiro, nello Stato di Michoacan.

Rispettare la vita umana
“Siamo angosciati - afferma il porporato - per la scomparsa ed il rapimento di uno dei nostri sacerdoti. Imploriamo il rispetto della sua integrità e della sua vita e chiediamo che possa tornare presto all'esercizio del suo ministero”. Infine, il card. Suárez Inda si unisce alle preghiere dei fedeli e dei familiari di padre Guillen per il suo rilascio. Il sacerdote è stato rapito lunedì 19 settembre e dalla sua abitazione sono stati rubati molti oggetti.

L’incoraggiamento del Papa alla Chiesa messicana
Da ricordare che sempre lunedì scorso sono stati sequestrati ed uccisi altri due sacerdoti cattolici: padre Alejo Naborì e padre José Alfredo Jimenez. Il crimine è avvenuto a Poza Rica, nello Stato orientale messicano di Veracruz, dove un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione nella chiesa di Nostra Signora di Fatima. Profondo il dolore di Papa Francesco che, in un telegramma a firma del card. Pietro Parolin, segretario di Stato, ha condannato fermamente tutti gli attacchi alla vita e alla dignità delle persone, esortando i consacrati, nonostante gli ostacoli, a proseguire nella loro missione seguendo l’esempio di Gesù Buon Pastore. (A cura di Isabella Piro)

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Iraq. Patriarca Sako al Sinodo caldeo: appello in favore dei rifugiati

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La crisi spirituale della Chiesa caldea è stata al centro della relazione del Patriarca caldeo, Louis Raphael I Sako, che ieri ha aperto i lavori del Sinodo annuale dei vescovi caldei. L’incontro è in corso ad Ankawa, sobborgo a maggioranza cristiana di Erbil, nella regione autonoma del Kurdistan iracheno. In particolare - riferisce l’agenzia Fides - il Patriarca ha delineato le ombre, ma anche le significative luci, che segnano la condizione della Chiesa caldea nel tempo presente, caratterizzato da violenza, settarismo e instabilità politica che continua ad affliggere da anni il popolo iracheno.

Necessari formazione e discernimento spirituale per i sacerdoti
Il Patriarca Sako ha poi accennato alla migrazione di sacerdoti e religiosi che, negli ultimi anni, si sono trasferiti all’estero, in cerca di condizioni di vita migliori. Di qui, il richiamo alla necessità di una maggiore formazione per i sacerdoti, così da contrastare anche i rischi di un auto-ripiegamento sui propri interessi, accresciuto dalla diffusione della cultura digitale. A tale proposito, il Patriarca ha auspicato che si moltiplichino le occasioni per fornire ai sacerdoti iracheni criteri di guida e discernimento spirituale, anche attraverso incontri e scambi di visite con confratelli e formatori che vivono e operano in altri Paesi.

Appello contro la corruzione ed in favore dei rifugiati
Quanto all'aspetto finanziario, il Patriarca ha puntato il dito sugli episodi di “corruzione finanziaria e amministrativa” che hanno coinvolto alcune parrocchie e istituzioni ecclesiali del Paese. Sul fronte dell'aiuto ai rifugiati, infine, ha ringraziato quelle parrocchie che hanno compiuto “un lavoro enorme per aiutare tutte le famiglie sfollate, senza alcuna discriminazione”, esortando tutti a “prestare attenzione” a questo problema. (I.P.)

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Germania: plenaria vescovi su Europa, rifugiati ed ecumenismo

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“C’è sempre meno fiducia, nell’opinione pubblica, che l’Europa sia in grado di dare risposte alle sfide politiche attuali, dopo che gli egoismi nazionali e la mancanza di disponibilità al compromesso da parte degli Stati membri hanno portato l’Ue a una profonda crisi”: questa nella lettura dei vescovi tedeschi la situazione dell’Europa dopo la cosiddetta “Brexit”, ovvero l’uscita del Regno Unito. Lo riferisce il loro presidente e cardinale di Monaco Reinhard Marx, che ieri in conferenza stampa ha presentato i risultati dei lavori dell’Assemblea plenaria svoltasi a Fulda dal 19 al 22 settembre.

L’Ue sia un progetto di pace e di riconciliazione
La Brexit “pone molte domande per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’Ue”, dicono i vescovi, citati dall’agenzia Sir, che tornano a “sottolineare il significato dell’Unione come progetto di pace e di riconciliazione” e rinnovano il loro impegno “a prendere parte in modo attivo al dibattito sul futuro dell’Ue” ed a “continuare a lavorare con decisione per l’integrazione europea come progetto di pace e di unità”. Tra le questioni discusse dai vescovi nel corso della plenaria, anche il dibattito “preoccupante” sull’opportunità di “rendere possibile la sperimentazione farmaceutica su persone incapaci di intendere e di volere”, per scopi di ricerca di fatto “non orientati a progressi nella lotta contro malattie quali la demenza”.

Riflessione sull’Amoris laetitia, “stimolo all’evangelizzazione”
Al vaglio dell’Assemblea, inoltre, un testo di prossima pubblicazione su “Formazione ai media e giustizia partecipativa”, riguardante le sfide della digitalizzazione, perché “i valori etici e morali e gli standard culturali del mondo analogico valgono anche per quello digitale”. Poi, i presuli si sono soffermati sull’Esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco “Amoris laetitia sull’amore della famiglia”, un documento che è “uno stimolo all’evangelizzazione”, “apprezzato” per “il suo significato teologico e pastorale” e per “il nuovo impulso” che offre alla Chiesa tedesca “sui temi da affrontare”.

L’aiuto per i rifugiati
Nei quattro giorni di lavoro ai 66 vescovi tedeschi è stata presentata, inoltre, la nuova traduzione interconfessionale della Bibbia, frutto del lavoro di circa dieci anni e della collaborazione di quasi 50 esegeti. Come di consueto, poi, c’è stato un aggiornamento sulla situazione dei rifugiati: nei primi 7 mesi del 2016, le 27 diocesi tedesche hanno devoluto 52,2 milioni di euro a progetti in patria e 27,3 milioni nelle regioni in crisi. 28 mila, inoltre, sono i rifugiati accolti in strutture ecclesiali in Germania. A tal proposito, la plenaria ha avuto modo di ascoltare la testimonianza dell’arcivescovo cattolico caldeo di Erbil, Bashar Warda, che ha riferito della drammatica situazione dei cristiani in Iraq ed ha ringraziato per l’aiuto economico ricevuto dalla Germania.

Gli eventi in programma per il 500.mo della Riforma
Infine, guardando al prossimo anno, in particolare al 500.mo anniversario della Riforma luterana, il card. Marx ne ha ribadito l’importanza anche per i cattolici, in quanto “festa comune di Cristo”. Numerosi gli eventi in programma: dal 16 al 22 ottobre prossimo, nove vescovi della Chiesa cattolica e nove della Chiesa evangelica andranno in pellegrinaggio in Terra Santa, culla del cristianesimo, “per rinnovare il loro impegno alla sequela di Gesù nonostante le divisioni”. Un secondo momento sarà incentrato sulla Sacra Scrittura, a febbraio 2017, per fare memoria del “Cristo che si è fatto Parola di Dio”. A marzo, poi, a Hildesheim con una solenne “celebrazione di riconciliazione” si cercherà la “reciproca comprensione” degli sviluppi ecclesiali derivati dalla Riforma.

Possibile cooperazione cattolico-luterana nelle scuole
Questi momenti, spiegano i vescovi tedeschi, potranno “dare la forza ai cristiani per affrontare le sfide di oggi nella società”, che saranno oggetto di un incontro ecumenico nel settembre 2017, organizzato dagli organismi episcopali e laicali delle due Chiese tedesche. A tal proposito, la plenaria ha discusso anche della possibile cooperazione tra cattolici ed evangelici per l’insegnamento della religione nelle scuole. (I.P.)

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Vescovi Paraguay: no a violenze contro i contadini

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“La Chiesa condanna qualsiasi tipo di atti che vadano contro la dignità dell’essere umano, qualunque sia la sua condizione sociale, ma in special modo quando si tratta dei settori più fragili della società, come le famiglie dei contadini”: inizia così il comunicato della Conferenza episcopale del Paraguay (Cep) riguardante lo sgombero delle famiglie dei contadini dalla colonia di Guahory, nel distretto di Tembiaporá.

Accertare la titolarità della terra
Avvenuto il 15 settembre - spiega l’agenzia Fides - lo sgombero ha colpito un’area in cui risiedevano da lungo tempo famiglie contadine; l’episodio ha suscitato grande eco nel Paese per l’eccessivo uso della forza. “Lamentiamo e condanniamo l’intervento eccessivo e sproporzionato delle forze dell’ordine - scrivono infatti i presuli del Paraguay - per distruggere le coltivazioni e le abitazioni dei contadini, in una terra la cui proprietà è contesa e la cui titolarità non sembra ancora accertata e provata in modo sufficiente”.

Urgenza di una riforma agraria integrale
Di qui, il forte richiamo della Cep: "Ancora una volta, si vede la necessità di affrontare seriamente, e con urgenza, una riforma agraria integrale, che permetta alle famiglie contadine di rimanere nelle loro terre". Per questo, la Chiesa di Asunción ribadisce “l'obbligo, per le autorità, di misurare le azioni e rispettare i diritti e la dignità di tutti, offrendo le necessarie garanzie ai più deboli". Infine, i vescovi si appellano a quanto scritto da Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato si’”, in cui afferma che “il ricco e il povero hanno uguale dignità” e che “oltre al titolo di proprietà, il contadino deve contare su mezzi di formazione tecnica, prestiti, assicurazioni e accesso al mercato”. (I.P.)

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Italia: 26 settembre, al via Consiglio episcopale permanente Cei

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Sarà la prolusione del cardinale presidente, Angelo Bagnasco, ad aprire il 26 settembre, alle ore 17.00, a Roma, la sessione autunnale del Consiglio episcopale permanente della Cei. Nel corso dei lavori - informa una nota - i vescovi italiani affronteranno in particolare: “la revisione delle norme circa il regime amministrativo e le questioni economiche dei tribunali ecclesiastici; una proposta di riesame delle voci dei rendiconti diocesani; le consegne dell’Assemblea generale quanto al rinnovamento del clero a partire dalla formazione permanente”.

Preparativi per la 48.ma Settimana sociale dei cattolici
Infine, si procederà alla “scelta del tema della 48.ma Settimana sociale dei cattolici italiani, che si svolgerà a Cagliari dal 26 al 29 ottobre 2017”. Il documento finale dei lavori sarà presentato in conferenza stampa dal cardinale Bagnasco giovedì 29 settembre, alle ore 12.00, presso la Radio Vaticana. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 267

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.