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Sommario del 22/09/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa ai giornalisti: onesti e rispettosi della dignità umana

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Il giornalismo contribuisca a far crescere la dimensione sociale delle persone, rispettandone la dignità e amando la verità dei fatti. Sono alcuni dei punti sui quali Papa Francesco ha sollecitato il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti italiano, ricevuto in udienza in Sala Clementina. Il servizio di Alessandro De Carolis

Il bianco e il nero, nettamente suddivisi, sono colori difficilmente rintracciabili nel “pezzo” di un giornalista. Un articolo di cronaca è più spesso il racconto di infinite sfumature di grigi, perché “dibattiti politici e perfino molti conflitti sono raramente l’esito di dinamiche distintamente chiare, in cui riconoscere in modo netto e inequivocabile chi ha torto e chi ha ragione”.

Amore per la verità
Papa Francesco dimostra di comprendere a fondo il mestiere del cronista. E tuttavia, davanti ai circa 400 membri del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, non rinuncia ad alzare l’asticella del mestiere verso i suoi valori più nobili. Anche se il flusso mediatico va di corsa tra “tempi di consegna” scadenze, “è indispensabile – dice – fermarci a riflettere su ciò che stiamo facendo e come lo stiamo facendo”. Cominciando, indica, dall’amore per la “verità”, “fondamentale” – sostiene il Papa – per chi, pubblicando notizie, scrive in certo senso ogni giorno “la prima bozza della storia”:

“Amare la verità vuol dire non solo affermare, ma vivere la verità, testimoniarla con il proprio lavoro (...) La questione qui non è essere o non essere un credente. La questione qui è essere o non essere onesto con sé stesso e con gli altri. La relazione è il cuore di ogni comunicazione. Questo è tanto più vero per chi della comunicazione fa il proprio mestiere. E nessuna relazione può reggersi e durare nel tempo se poggia sulla disonestà”.

Giornalismo e dimensione sociale
C’è poi un secondo atteggiamento che sta a cuore a Francesco, che sprona i giornalisti a “vivere con professionalità”. Non si tratta, precisa, di fermarsi al recinto della deontologia, ai doveri scritti nei codici, ma di “interiorizzare il senso profondo del proprio lavoro”:

“Da qui deriva la necessità di non sottomettere la propria professione alle logiche degli interessi di parte, siano essi economici o politici. Compito del giornalismo, oserei dire la sua vocazione, è dunque – attraverso l’attenzione, la cura per la ricerca della verità – far crescere la dimensione sociale dell’uomo, favorire la costruzione di una vera cittadinanza”.

Rispettare la dignità delle persone
Tutto quanto del Papa è un appello alla coscienza del giornalismo, che nella sua lunghissima storia ha annoverato tante “schiene dritte”, come quella di Giancarlo Siani, giovane cronista ammazzato 31 anni fa dalla camorra e ricordato dal presidente dell’Ordine, Enzo Iacopino, che ha donato al Papa un assegno per le vittime del terremoto. Un giornalismo sano, afferma Francesco, è quello che evita le chiacchiere ma informa sempre rispettando la “dignità umana”:

“Un articolo viene pubblicato oggi e domani verrà sostituito da un altro, ma la vita di una persona ingiustamente diffamata può essere distrutta per sempre. Certo la critica è legittima e dirò di più: necessaria, così come la denuncia del male, ma questo deve sempre essere fatto rispettando l’altro, la sua vita, i suoi affetti. Il giornalismo non può diventare un’’arma di distruzione’ di persone e addirittura di popoli. Né deve alimentare la paura davanti a cambiamenti o fenomeni come le migrazioni forzate dalla guerra o dalla fame”.

“Fattore di bene comune”
“Quanto sarebbe bello che il giornalismo sapesse raccontare le vicende di tante donne e tanti uomini che giorno dopo giorno, con dignità e fierezza, affrontano le questioni della malattia, della mancanza del lavoro, dell’impossibilità a costruire un futuro”, aveva detto mons. Dario Viganò, prefetto della Segreteria della Comunicazione in apertura di incontro. “Perché – aveva proseguito – non coltivare il gusto per le notizie buone, quelle che non fanno mai capolino tra i grandi titoli dei giornali e della Tv che sembrano preferire tutto ciò che è segnato da violenza e da sopraffazione?”. Nella stessa direzione, va l’augurio finale di Francesco:

“Auspico che sempre più e dappertutto il giornalismo sia uno strumento di costruzione, un fattore di bene comune, un acceleratore di processi di riconciliazione; che sappia respingere la tentazione di fomentare lo scontro, con un linguaggio che soffia sul fuoco delle divisioni, e piuttosto favorisca la cultura dell’incontro”. 

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Iacopino, Odg: discorso Papa richiamo a coscienza giornalisti

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Sull’importanza di questo incontro con i giornalisti italiani e del discorso di Papa Francesco sulla professione giornalistica, Alessandro Gisotti  ha intervistato Enzo Iacopino, presidente dell'Ordine nazionale dei giornalisti: 

R. La mia speranza è che rappresenti la nostra coscienza: il richiamo alla  nostra coscienza nel fare con onore, con rispetto della verità e delle persone - come ci ha detto il Papa – il nostro lavoro. Questo è il mio auspicio.

D. – Cosa l’ha colpita di questo discorso, che ha guardato proprio in profondità al senso dell’essere giornalisti?

R. – Il richiamo al dovere che abbiamo nel servire la verità. Io spero che diventi la nostra coscienza questo discorso, perché così forse miglioreremo il nostro lavoro nel servire il Paese!

D. – Il Papa ha parlato anche del ruolo proprio per la società, per la democrazia, dei giornalisti. Questo è fondamentale...

R. – Proprio quello che dicevo, perché una corretta informazione, rispettosa della verità, delle persone, senza urla, senza gossip esasperato, aiuta i cittadini a crescere e a fare scelte consapevoli quando sono chiamati a farlo. Dovrebbe essere il nostro compito, ma non è sempre così!

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Francesco: la vanità è l'osteoporosi dell'anima

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L’inquietudine che viene dallo Spirito Santo e l’inquietudine che viene dalla coscienza sporca, la vanità che trucca la vita come un’osteoporosi dell’anima: di questo ha parlato il Papa nell’omelia della Messa del mattino a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Le due inquietudini
Il Vangelo del giorno presenta il re Erode inquieto perché, dopo aver ucciso Giovanni il Battista, ora si sente minacciato da Gesù. Era preoccupato come il padre, Erode il Grande,  dopo la visita dei Magi. “C’è nell’anima nostra – ha affermato il Papa - la possibilità di avere due inquietudini: quella buona, che è l’inquietudine” che “ci dà lo Spirito Santo e fa che l’anima sia inquieta per fare cose buone” e c’è “la cattiva inquietudine, quella che nasce da una coscienza sporca”. E i due Erode risolvevano la loro inquietudine uccidendo, andavano avanti passando “sopra i cadaveri della gente”:

“Questa gente che ha fatto tanto male, che fa del male e ha la coscienza sporca e non può vivere in pace, perché vive in un prurito continuo, in una orticaria che non li lascia in pace… Questa gente ha fatto il male, ma il male ha sempre la stessa radice, qualsiasi male: la cupidigia, la vanità e l’orgoglio. E tutti e tre non ti lasciano la coscienza in pace; tutti e tre non lasciano entrare la sana inquietudine dello Spirito Santo, ma ti portano a vivere così: inquieti, con paura. Cupidigia, vanità e orgoglio  sono la radice di tutti i mali”.

La vanità, osteoporosi dell'anima
La prima Lettura del giorno, tratta dal Qoèlet, parla della vanità:

“La vanità che ci gonfia. La vanità che non ha lunga vita, perché è come una bolla di sapone. La vanità che non ci dà un vero guadagno. Quale guadagno viene all’uomo per tutta la fatica con cui si affanna? Si affanna per apparire, per fingere, per sembrare. Questa è la vanità. Se vogliamo dirlo semplicemente: la vanità è truccare la propria vita. E questo ammala l’anima, perché uno se trucca la propria vita per apparire, per sembrare, e tutte le cose che fa sono per fingere, per vanità, ma alla fine cosa guadagna? La vanità è come una osteoporosi dell’anima: le ossa di fuori sembrano buone, ma dentro sono tutte rovinate. La vanità ci porta alla truffa”.

Faccia da immaginetta, ma la verità è un'altra
Come i truffatori “segnano le carte” per vincere – ha aggiunto - e poi “questa vittoria è finta, non è vera. Questa è la vanità: vivere per fingere, vivere per sembrare, vivere per apparire. E questo inquieta l’anima”. San Bernardo – ricorda il Papa - dice una parola forte ai vanitosi: “Ma pensa a quello che tu sarai. Sarai pasto dei vermi. E tutto questo truccarti la vita è una bugia, perché ti mangeranno i vermi e non sarai niente”. Ma dov’è la forza della vanità? Spinti dalla superbia verso le cattiverie, "non permettere che si veda uno sbaglio, coprire tutto, tutto si copre”:

“Quanta gente noi conosciamo che sembra… ‘Ma che buona persona! Va a Messa tutte le domeniche. Fa grosse offerte alla Chiesa’. Questo è quello che si vede, ma l’osteoporosi è la corruzione che hanno dentro. C’è gente così - ma c’è gente santa pure! – che fa questo. La vanità è questo: ti fa apparire con una faccia di immaginetta e poi la tua verità è un’altra. E dov’è la nostra forza e la sicurezza, il nostro rifugio? Lo abbiamo letto nel salmo interlezionale: ‘Signore tu sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione'. E prima del Vangelo abbiamo ricordato le parole di Gesù: 'Io sono la via, la verità e la vita’. Questa è la verità, non il trucco della vanità. Che il Signore ci liberi da queste tre radici di tutti i mali: la cupidigia, la vanità e l’orgoglio. Ma soprattutto della vanità, che ci fa tanto male”. 

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Messico, dolore del Papa per i sacerdoti uccisi: Chiesa continui missione

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Papa Francesco ha espresso il suo profondo dolore per la morte in Messico di due sacerdoti cattolici, sequestrati e uccisi a Poza Rica, nello Stato orientale di Veracruz. Le vittime sono Alejo Naborì e José Alfredo Jimenez. Il Santo Padre, in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, condanna fermamente tutti gli attacchi alla vita e alla dignità delle persone ed esorta i consacrati, nonostante gli ostacoli, a proseguire nella loro missione seguendo l’esempio di Gesù Buon Pastore.

L'area dove sono stati assassinati i sacerdoti è tristemente famosa per la presenza e il dominio incontrastato dei cartelli del narcotraffico e dove è noto l'impegno della Chiesa per contrastarlo e a sostegno dei giovani e dei poveri. 

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Dal Papa il nuovo ambasciatore del Belgio in Vaticano

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il conte Jean Cornet d'Elzius, ambasciatore del Belgio, per la presentazione delle Lettere credenziali, il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l'Economia, l’arcivescovo Juliusz Janusz, nunzio apostolico in Slovenia, con incarico di delegato apostolico in Kosovo, e mons. Jean-Marie Mate Musivi Mupendawatu.

In Messico, il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Matamoros mons. Eugenio Andrés Lira Rugarcía, trasferendolo dall'ufficio di ausiliare dell'arcidiocesi di Puebla de los Ángeles. Il presule è nato il 24 luglio 1965 nella Città di Puebla, arcidiocesi di Puebla de los Ángeles. Ha studiato filosofia e teologia nel Seminario Palafoxiano di Puebla. Ha conseguito la Licenza in Filosofia presso l’Università Popolare di Puebla. È stato ordinato presbitero il 22 febbraio 1991 per l'arcidiocesi di Puebla de los Ángeles. Successivamente, ha ricoperto i seguenti incarichi: Professore nella "Libera Scuola di Diritto" dell’Università Autonoma dello Stato e nell’Università "La Salle Benavente", sempre a Puebla; Presidente della Commissione diocesana delle Comunicazioni sociali e Portavoce dell’arcidiocesi. Il 24 febbraio 2011 è stato eletto Vescovo titolare di Capo della Foresta e all'ufficio di Ausiliare dell'arcidiocesi di Puebla de los Ángeles, ricevendo l'ordinazione episcopale il 12 aprile 2011. In seno alla Conferenza Episcopale Messicana ha ricoperto l'incarico di segretario generale.

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Papa, tweet: se l'amore di Dio coinvolge la vita si rigenera

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Più ci lasciamo coinvolgere dall'amore di Dio e più la nostra vita si rigenera”.

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Pubblicato lo Statuto della Segreteria per la Comunicazione

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E’ stato pubblicato oggi lo Statuto della Segreteria per la Comunicazione (Spc), istituita dal Papa con il Motu proprio “L’attuale contesto comunicativo”, nel giugno 2015, nell’ambito della riforma della Curia Romana. Il nuovo dicastero vaticano - è scritto nel preambolo - risponde “all’attuale contesto comunicativo caratterizzato dalla presenza e dallo sviluppo dei media digitali, dai fattori della convergenza e dell’interattività”. Ciò comporta una “riorganizzazione” degli organismi vaticani e degli enti collegati con la Santa Sede, volta “all’integrazione e gestione unitaria”. Lo Statuto, che ha natura sperimentale, scadrà fra tre anni. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Natura e competenza
Il primo punto su “natura e competenza” della nuova Segreteria per la comunicazione sottolinea l’obiettivo primario di unificare “tutte le realtà della Santa Sede che si occupano della comunicazione, affinché l’intero sistema risponda in modo coerente alle necessità della missione evangelizzatrice della Chiesa”. Ma anche in futuro di accogliere “altri modelli e innovazioni tecniche e forme di comunicazione”.

Struttura
La struttura della Spc, che  agisce “in collaborazione con gli altri “Dicasteri competenti”, “in particolare con la segreteria di Stato”, prevede la nomina da parte del Papa del Prefetto, del Segretario, dei Membri e dei Consultori, per un periodo di 5 anni. Stessa durata d’incarico per i Direttori, anch’essi di nomina pontificia, delle 5 Direzioni, “paritetiche nell’esercizio della loro attività”, dipendendo “direttamente” dal Prefetto - che potrà istituirne “secondo le esigenze” anche altre - e dal Segretario. Spetta al Consiglio della Segreteria – cui partecipano Prefetto, Segretario, Direttori e Vicedirettori – “elaborare le linee guida generali” del Dicastero. Il Prefetto può inoltre proporre di istituire “altre entità” e “enti collegati con la Santa Sede”  per “particolari esigenze di natura giuridica, editoriale o economica”. Così anche potrà dotare di “Servizi autonomi” le singole Direzioni.

Direzione per gli Affari Generali
Riguardo gli ambiti di competenza, alla Direzione per gli Affari Generali compete sotto la guida del Segretario: “la cura e la gestione degli affari comuni; l’amministrazione”, “l’organizzazione e la formazione delle risorse umane”; “l’amministrazione, il controllo di gestione e lo sviluppo delle procedure interne”; “gli affari legali”; “l’amministrazione delle attività tecnico produttive”; “il coordinamento delle iniziative e delle partecipazioni di carattere internazionale”.

Direzione Editoriale
La Direzione Editoriale decide: “l’indirizzo e il coordinamento di tutte le linee editoriali”; “lo sviluppo strategico delle nuove forme di comunicazione”; “l’integrazione efficace dei media tradizionali con il mondo digitale”.

Direzione della Sala Stampa
Alla Direzione della Sala Stampa spetta: “pubblicare e divulgare le comunicazioni ufficiali” sugli atti del Papa e l’attività della Santa Sede, “attenendosi alle indicazioni della Segreteria di Stato”; “ospitare e moderare conferenze stampa e briefing; rispondere in modo ufficiale alle domande dei giornalisti”, “dopo aver consultato la Segreteria di Stato”.

Direzione Tecnologica
La Direzione tecnologica gestisce in modo integrato le piattaforme e i servizi tecnologici “a supporto dell’evoluzione dei mezzi di comunicazione della Santa Sede”, al passo con l’aggiornamento tecnologico globale, anche progettando “nuovi servizi” e sviluppando di “quelli esistenti”, anche “in relazione alle differenti condizioni di sviluppo delle Chiese particolari”.

Direzione Teologico Pastorale
La Direzione teologico pastorale elabora “una visione teologica della comunicazione a cui conformare il contenuto di ciò che si comunica”; promuove “l’attività pastorale” del Papa, “in parole e immagini” e la formazione teologico-pastorale, “tessendo una rete con le Chiese particolari e con le associazioni cattoliche” in campo di comunicazione; sensibilizza il popolo cristiano affinché prenda coscienza “dell’importanza dei mezzi di comunicazione, nella promozione del messaggio cristiano e del bene comune”.

Personale e Uffici
Il personale e i consulenti esterni “sono scelti tra persone di comprovata reputazione, libere da ogni conflitto di interesse e dotate di un adeguato livello di formazione ed esperienza professionale” “Ogni conflitto di interesse, che dovesse sorgere durante il loro mandato, deve essere reso noto e devono essere adottate misure idonee a risolverlo”. Riferimento per nomine, assunzioni e impiego del personale sono “il Regolamento Generale della Curia Romana”, “il Regolamento proprio del Dicastero”, e  “altre disposizioni della Sede Apostolica”.

Documenti e dati
Tutti i documenti, i dati e le informazioni in possesso della Spc “sono usati unicamente per gli scopi previsti dalla legge; protetti in modo da garantire la loro sicurezza, integrità e confidenzialità; coperti dal segreto d’ufficio”.

Archivio
La Spc ha “un archivista responsabile” della conservazione degli archivi della Segreteria stessa”, da custodirsi “in un luogo sicuro all’interno dello Stato della Città del Vaticano o in una zona extraterritoriale vaticana”. Spettano al Prefetto “direttive e procedure” per “l’ottimale custodia e conservazione dei documenti (anche audiovisivi e sonori, in formato analogico e/o digitale)” di “rilevanza legale e storica”, in consultazione con la Commissione Centrale per gli Archivi della Santa Sede.

Lingua di lavoro
La lingua di lavoro della Spc è l’italiano.

Norma transitoria
Lo Statuto si chiude con una “norma transitoria”, dove si ribadiscono - come già indicato nel Motu Proprio - gli organismi destinati a confluire nella Segreteria per la Comunicazione, ovvero: il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, la Sala Stampa della Santa Sede, il Servizio Internet Vaticano, la Radio Vaticana, il Centro Televisivo Vaticano, L’Osservatore Romano, la Tipografia Vaticana, il Servizio Fotografico e la Libreria Editrice Vaticana. La Spc assumerà altresì il Sito web istituzionale della Santa Sede e la titolarità della gestione nelle reti sociali della presenza del Papa.

Tutte questi organismi proseguiranno nelle loro attività, osservando le norme in vigore, “attenendosi però alle indicazioni date dal Prefetto, fino alla data in cui confluiranno nella Segreteria per la Comunicazione, momento a partire dal quale saranno abrogate”. Nel processo di integrazione, i vari organismi coinvolti  osserveranno i Regolamenti, le Direttive o altre disposizioni man mano emanati dalla Spc, “nel quadro delle norme generali della Santa Sede e nel rispetto dei diritti acquisiti dai dipendenti”.

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Resistenza antibiotica. Card. Parolin all'Onu: aiutare i più esposti

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La Santa Sede chiede alla Comunità Internazionale di prendere maggiormente in considerazione la necessità di milioni di persone nel mondo che sono più esposte alla resistenza antibiotica e alle relative malattie. E’ l’appello lanciato ieri dal Segretario di Stato vaticano, il card. Pietro Parolin che come capo della Delegazione della Santa Sede è intervenuto nei giorni scorsi al Summit dell’Onu su migranti e rifugiati, e ieri alla riunione ad alto livello dell’Assembrala generale. Al centro della stessa  riunione, il tema della resistenza antimicrobica. Il servizio di Debora Donnini

La resistenza antimicrobica, cioè la capacità dei batteri di resistere agli antibiotici, e il suo impatto nel mondo, è il tema centrale dell’Assemblea. Una preoccupazione condivisa dalla Santa Sede, che è consapevole della “situazione catastrofica” che potrebbe svilupparsi se non fossero prese misure adeguate di prevenzione e igiene. Il discorso del card. Pietro Parolin verte proprio sulla necessità che la comunità internazionale si faccia carico di queste problematiche, specialmente per le fasce più deboli della popolazione, come partorienti bambini e malati, ma anche coloro che vivono situazioni svantaggiate come minoranze, poveri, sfollati e rifugiati. La difficoltà di accedere a cure sanitarie di qualità infatti li può spingere a comprare medicine sui mercati non ufficiali e quindi li rende esposti ad acquistare farmaci contraffatti.

Resistenza antimicrobica. La Santa Sede chiede di aiutare le persone più vulnerabili nel mondo
Il discorso del Segretario di Stato vaticano è ricco di riferimenti al pensiero di Papa Francesco, specialmente all’Enciclica Laudato si’. La Santa Sede chiede quindi alla Comunità internazionale di assumere le preoccupazioni di “centinaia di milioni di persone che non hanno accesso alle cure sanitarie e sono più sensibili alle malattie legate alla resistenza antimicrobica”. L'esortazione è a guardare a queste persone non come a oneri sostenuti solo “per dovere” e a dare loro maggiore attenzione. Si chiede anche di potenziare la prevenzione e contrastare le cause interconnesse a questa problematica  come l’uso inappropriato di farmaci antimicrobici negli essere umani, negli animali ma anche nell’agricoltura.

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Ravasi: finanza crea ricchezza virtuale che fa sanguinare i popoli

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L’economia e la finanza troppo spesso sono ripiegate su se stesse. Ieri sera, nel convegno "Verso un'economia più umana e giusta" all'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede, si è tentato di analizzare le cause che portano alle disuguaglianze nel mondo. L’appuntamento ricade nelle iniziative del Cortile dei Gentili. Alessandro Guarasci: 

Crescono nel mondo povertà e distribuzione ineguale della ricchezza. Sono 62 i megamiliardari e hanno un patrimonio che equivale agli averi della metà dei più poveri del pianeta. L’economia non riesce a dare risposte e ancora meno la finanza, dice il cardinale Gianfranco Ravasi:

“La finanza è semplicemente uno strumento, uno strumento che in questi giorni è diventato invece il fine ed è diventato l’idolo che comanda - attraverso i suoi oggetti e strumenti, che sono i mercati, le Borse, i modelli di sviluppo - in maniera asettica e frigida, al punto tale che ha creato una ricchezza che è puramente virtuale; la quale, però, pur essendo virtuale, fa sanguinare dei popoli, delle comunità intere”.

Le disuguaglianze portano a migrazioni spesso incontrollate. Il presidente del Senato Piero Grasso chiede all’Europa di puntare sul migration compact:

“Io auspico una rapida approvazione, da parte della Commissione, di quel piano che – se attuato – potrebbe finalmente incidere sui flussi migratori e porre rimedio al grave sottosviluppo causato proprio da quei Paesi europei che per decenni hanno sfruttato le risorse dell’Africa e sostenuto regimi autoritari”.

Per l’economista Jean Paul Fitoussi, le politiche di austerità sono sbagliate e questo ha un riflesso anche su chi fugge da guerre e fame:

“Quando la società va male, quando la disoccupazione è alta, quando la precarietà è alta, quando la disuguaglianza è alta, allora le società temono l’immigrazione e rigettano l’immigrazione, perché considerano che sia una concorrenza sleale, che viene da fuori”.

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Vaticano: adeguamento eliporto a servizio dell'Ospedale Bambino Gesù

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Ieri, il direttore generale dell’Enac, Ente Nazionale per l'Aviazione Civile, Alessio Quaranta, e il segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, mons. Fernando Vérgez, hanno firmato un Protocollo d‘Intesa finalizzato all’adeguamento di un’infrastruttura di volo per elicotteri sita nella Città del Vaticano e alla definizione dei relativi requisiti tecnico-operativi.

Lo Stato della Città del Vaticano già da diversi mesi, a seguito della sottoscrizione di un apposito accordo approvato dal Santo Padre, ha acconsentito l’uso di tale infrastruttura agli elicotteri che svolgono servizio HEMS – Helicopter Emergency Medical Service - da e verso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.

A tal fine è stato predisposto il Protocollo d’Intesa che prevede la collaborazione dell’Enac nella progettazione delle opere necessarie per l’adeguamento tecnico agli standard italiani e internazionali dell’infrastruttura di volo dello Stato della Città del Vaticano, nonché nella definizione delle procedure tecnico-operative per l’utilizzo da parte degli operatori che svolgeranno il servizio. 

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Oggi in Primo Piano



Siria: gli sviluppi dopo la fine della tregua

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Non si ferma il bagno di sangue in Siria. La precaria tregua sponsorizzata dal governo americano e russo è terminata lunedì in maniera prematura. Lo stesso giorno è stato colpito da bombardamenti un convoglio di aiuti umanitari delle Nazioni Unite diretto vicino Aleppo, causando venti morti. Sulle difficoltà del cessate-il-fuoco, Andrea Walton ha intervistato Stefania Azzolina, analista esperta di Medio Oriente e Nord Africa presso il Centro studi internazionali di Roma:

R. – Di fatto, l’accordo è crollato sul campo militare, riproponendo la grande peculiarità e allo stesso tempo criticità del conflitto siriano, che vede attori sia locali che regionali e internazionali perseguire ognuno il proprio interesse. Da lì, la difficoltà di trovare una sintesi che possa accontentare tutti.

D. – Le Nazioni Unite hanno annunciato oggi la ripresa degli aiuti umanitari: qual è la strada per garantirli in maniera efficace e sicura?

R. – Ci vorrebbe un accordo sul cessate-il-fuoco: questo creerebbe le condizioni di sicurezza necessarie affinché le Nazioni Unite possano svolgere questo tipo di funzione. Come abbiamo visto, in questo momento tali condizioni di sicurezza sembrano non essere, almeno appunto nella zona di Aleppo, garantite.

D. – Potrebbe essere utile una "no-fly zone" nel nord della Siria?

R. – Sì, perché no. Anche se, al di là della "no-fly zone", l’elemento più critico rimangono i combattimenti sul terreno. Se si guarda al caso di Aleppo infatti, nel momento della dichiarazione dell’ultima tregua, di fatto si è creata una situazione di criticità per il passaggio dei convogli destinati nelle aree di Aleppo maggiormente colpite dalle forze presenti sul terreno: quindi tra i ribelli e, dall’altra parte, gli uomini dell’esercito di Assad, che hanno avanzato reciproche richieste affinché i convogli potessero passare, creando così una situazione di stallo.

D. – Si riuscirà nel futuro immediato a garantire un accesso universale per gli aiuti umanitari alla popolazione siriana?

R. – È difficile da prevedere in questo momento. Molto dipenderà da quelli che saranno, da qui alle prossime settimane, le evoluzioni dello scenario militare sul campo. Certo è che esiste la necessità di parlare con gli attori presenti nelle varie zone territoriali, cercando di strappare un accordo che crei quelle condizioni volte ad aiutare una popolazione che si trova in una fase di grande, grande criticità.

D. – Quali dovranno essere i capisaldi per un processo di transizione pacifico in Siria?

R. – Quello che colpisce in questo momento è l’assenza degli attori locali. Mi riferisco quindi ai gruppi ribelli – anche se bisogna sempre fare una differenziazione tra gruppi ribelli moderati e gruppi ribelli di fatto terroristici – e, dall’altra parte, alle forze appartenenti all’esercito siriano. Il presupposto deve essere anche un incontro diretto tra le parti in causa e non solo un incontro a livello internazionale che veda tutte le grandi potenze o le potenze regionali coinvolte nel conflitto, ma non i rappresentanti locali. 

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Egitto, naufragio di 600 migranti. Perego: allargare accoglienza

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Ieri, nelle acque egiziane, è naufragata un’imbarcazione con a bordo circa 600 migranti. Per ora le vittime sono 43, con 163 persone portate in salvo, ma il bilancio è inevitabilmente destinato a salire. La nuova tragedia in mare avviene mentre è in corso all'Onu l’Assemblea generale sul tema dell’immigrazione. Maria Carnevali ha raggiunto telefonicamente Mons. Giancarlo Perego, direttore generale di Migrantes, a Lampedusa, per un incontro tra il vescovo di Calais e il cardinale Francesco Montenegro, organizzato da Migrantes per approfondire la realtà delle due città di frontiera: 

R. – Un altro messaggio forte è che non si può lasciare ai trafficanti di esseri umani, in una situazione ancora e sempre più precaria, il governo delle immigrazioni e del cammino di tanti migranti che partono dall’Egitto e che partono dalla Libia soprattutto. Un’altra strage che rende attuale l’appello del Papa, proprio fatto in questi giorni, che invitava a guardare a forme nuove di legalità per accompagnare i viaggi dei migranti verso l’Europa, facendo in modo effettivamente che i corridoi umanitari siano una delle strade più importanti, che possono far viaggiare in sicurezza persone disperate che sappiamo in fuga da guerre, da disastri ambientali e da persecuzione politica, religiosa e dal terrorismo.

D. – Questa tragedia si è verificata proprio mentre in questi giorni il tema cruciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite è l’immigrazione. Perché il dialogo internazionale non funziona?

R. – Perché, purtroppo, c’è un vento che soffia nella direzione di chiudere le nazioni, un’autoreferenzialità delle nazioni nella gestione dell’immigrazione. E tutto questo, oltre che non aiutare un governo internazionale delle migrazioni, per quanto riguarda l’Europa, sta rischiando effettivamente di indebolire una politica comune dell’asilo, che era stata invece uno dei tasselli importanti della crescita sociale dell’Europa. E credo, quindi, che il messaggio che viene in questi giorni dall’Onu sia quello di ripensare effettivamente, alla luce delle situazioni gravi, internazionali che crescono, ripensare un governo delle migrazioni che trovi effettivamente l’impegno di tutte le nazioni del mondo. Ormai l’immigrazione non è più un fatto soltanto dei Paesi costieri – di Grecia, d’Italia, del contesto europeo o di altri luoghi, come possono essere quelli asiatici o latinoamericani più famosi, per quanto riguarda il passaggio dei migranti – ma deve essere uno degli impegni delle politiche, non solo internazionali, ma anche delle politiche sociali dell’Europa e dei diversi continenti.

D. – Quando ci sono naufragi con numerose vittime, tra cui anche bambini, come in questo caso, l’opinione pubblica si ferma, ma poco dopo si ricomincia senza mettere in campo delle politiche effettive di sostegno a quelle popolazioni. Quali sono, quindi, secondo lei, gli interventi maggiormente necessari?

R. – A breve distanza, certamente l’impegno di un’accoglienza allargata su tutto il territorio europeo. Sappiamo come 160 mila quote di ricollocazione sono state utilizzate. Occorre ritornare a rivedere la politica dell’asilo, l’accordo di Dublino, con un impegno deciso e preciso, e non volontario, ma determinante di tutti i 27 Paesi europei. In questo modo anche dei numeri che possono sembrare alti si sgonfiano di fronte invece alla diffusione di un’accoglienza e di un accompagnamento alle persone richiedenti asilo. Un secondo passaggio è quello dei corridoi umanitari e cioè accompagnare direttamente alla partenza il viaggio. E quindi questo potrebbe, da una parte, salvare le vite umane e dall’altra dare un duro colpo ai trafficanti di esseri umani e anche ai terroristi, che guadagnano ingenti somme nel governo di questo traffico. Il terzo passaggio è certamente quello del ricercare la pace in 35 Paesi del mondo, dieci dei quali sono Paesi da cui provengono la maggior parte dei migranti che sbarcano anche in Europa. Una pace che è stato l’annuncio forte anche dell’incontro religioso di Assisi, ma che deve trovare delle politiche che effettivamente vanno al di là degli interessi di alcune nazioni, per ricercare gli interessi di queste nazioni che sono in guerra. Infine, un grosso sforzo di politica internazionale. Già un anno fa, abbiamo parlato per i migranti di un "Piano Marshall" per l’Africa. "Piano Marshall" non significa fare i campi profughi in Africa: significa dare delle condizioni a questi Paesi per uno sviluppo economico che sia veramente la condizione per evitare partenze in disperazione da parte di molti giovani.

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RD Congo: i vescovi chiedono chiarezza per un dialogo ampio

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I vescovi della Repubblica Democratica del Congo hanno sospeso la loro partecipazione al “dialogo nazionale”, in segno di lutto e solidarietà per le 32 vittime nelle manifestazioni popolari – il 19 e 20 settembre - in favore delle elezioni presidenziali e nazionali, secondo la Costituzione del Paese. Intanto nella capitale Kinshasa è tornata la calma. Nel loro comunicato, i vescovi chiedono chiarezza su quattro punti-chiave, nella speranza di poter continuare il dialogo democratico con il consenso più ampio, che includa anche le forze di opposizione. Marcello Storgato ha intervistato Loris Cattani, membro di Rete Pace per il Congo e redattore del bollettino informativo “Congo Attualità”: 

R. – Non direi proprio che si siano ritirati. Hanno sospeso la loro partecipazione al dialogo, soprattutto per due motivi: per solidarietà con le vittime e per i disordini che sono successi il 19 e il 20 settembre a Kinshasa. Il secondo motivo è quello di cercare un consenso più ampio per poter continuare il dialogo.

D. – Cos’è successo a Kinshasa in questi giorni?

R. – A partire da lunedì scorso – il 19 settembre – la data in cui la commissione elettorale doveva convocare le elezioni presidenziali e non lo ha fatto, la popolazione di Kinshasa e di altre città del Congo è scesa in piazza per protestare.

D. – I vescovi, nel loro comunicato, hanno messo delle condizioni per partecipare nuovamente?

R. – Sarebbero quattro i punti che dovrebbero entrare nel testo di un eventuale accordo. Il primo punto è che nel testo dell’accordo dovrebbe apparire chiaramente il principio secondo cui l’attuale Presidente, Joseph Kabila, non dovrà più presentarsi alle prossime elezioni presidenziali: questo in virtù dell’art. 70 della Costituzione. Il secondo punto dovrebbe riferirsi alle date precise delle prossime elezioni. Il terzo punto è relativo allo sblocco dei fondi necessari per il finanziamento delle elezioni. Il quarto riguarda la composizione del comitato di sorveglianza per l’attuazione dell’accordo stesso.

D. – Sono condizioni forti: sembra che i vescovi non si fidino molto…

R. – I vescovi lo avevano già detto all’inizio del dialogo: è proprio il rispetto della Costituzione. Avevano parlato di un loro ritiro qualora il quadro costituzionale non fosse stato garantito.

D. – Questa sospensione è definitiva o temporanea?

R. – Dovrebbe essere temporanea, cioè giusto il tempo per trovare un consenso più ampio; che si entri in una fase più inclusiva del dialogo: cioè un dialogo a cui possa partecipare anche quell’opposizione - la maggior parte dell’opposizione - che finora è assente. Tutte le forze politiche dovrebbero partecipare al dialogo.

D. – Comunque le elezioni ormai sono rimandate…

R. – Le manifestazioni di lunedì scorso chiedevano la convocazione dell’elettorato in base al registro elettorale, le liste degli elettori che ancora non sono pronte; o meglio: ci sono le liste degli elettori del novembre 2011, che furono contestate dagli osservatori elettorali, sia nazionali che internazionali. Andare alle elezioni con quel registro elettorale non mi sembra prudente. D’altra parte la commissione elettorale, già lo scorso febbraio, aveva annunciato che per riformulare il registro elettorale sarebbero occorsi sedici mesi. Quindi ciò vuol dire che le prossime elezioni potrebbero essere possibili entro il mese di ottobre 2017.

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Consiglio d'Europa dice no a utero in affitto

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Nuovo "no" a ogni tipo di utero in affitto da parte della Commissione salute dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Con 17 sì, 14 no e 2 astenuti ieri è stata respinta la risoluzione della senatrice belga Petra De Sutter e approvata invece una bozza di raccomandazione per l’elaborazione di linee guida sui “diritti dei bambini nati da maternità surrogata”. Quest’ultima sarà al vaglio della plenaria di Strasburgo i prossimi 10-14 ottobre. “L’auspicio è che l’utero in affitto sia dichiarato una pratica contraria alla dignità umana”. E’ quanto spieg,a al microfono di Paolo Ondarza, il portavoce della Federazione europea delle Associazioni familiari cattoliche, Nicola Speranza

R. – Più che di un pronunciamento, si tratta di un non pronunciamento. Nel senso che c’è un “no” chiaro a ogni forma di maternità surrogata, ma bisogna anche dire che c’è una sorta di afasia da parte dell’Assemblea riguardo a quello che è veramente la maternità surrogata. L’assemblea non ha ancora espresso quella che è la realtà dei fatti: che la maternità surrogata è veramente uno sfruttamento delle donne e una commercializzazione del corpo umano, sia dei bambini che delle donne.

D. – C’è stata dunque, una erronea trasposizione dei fatti da parte dei mezzi di stampa di quello che effettivamente è accaduto?

R. – Decisamente.   

D. – Perché la notizia che è rimbalzata è: “il Consiglio d’Europa boccia l’utero in affitto, in quanto lede la dignità della donna e riduce i bambini a merce”. Questo non c’è scritto…

R. – Decisamente. Non c’è scritto da nessuna parte. E’ quello che desidereremmo. Attenzione, questa bozza di raccomandazione può ancora cambiare e quello che noi auspichiamo è che sia migliorata.

D. – Attraverso questo pronunciamento viene meno la distinzione tra gestazione per altri, per dono o per profitto. E’ così?

R. – Sì, questo è decisamente un fattore positivo. Cade ogni distinzione tra maternità surrogata per finalità commerciale oppure no profit. Nella raccomandazione si fa riferimento alla maternità surrogata in quanto tale, senza stare a specificare se sia fatta tramite agenzie commerciali che operano internazionalmente oppure se è fatta in una clinica in Belgio, come avviene nella clinica condotta dal relatore di questa stessa relazione, Petra de Sutter.

D. – Il “no” da parte della Commissione Salute, dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, si somma a un altro “no”, quello di qualche mese fa da parte della Commissione Affari Sociali del Consiglio d’Europa. Quest’ultimo “no”, se da una parte fa interrogare sul motivo per il quale si torni a dibattere su un argomento già affrontato, però rafforza una posizione ormai consolidata da parte del Consiglio d’Europa in merito alla pratica dell’utero in affitto…

R. – Sì, politicamente, e anche da un punto di vista giuridico, se guardiamo alla carta geografica del Consiglio d’Europa con i suoi 47 membri, c’è una maggioranza di Stati che in un modo o nell’altro proibisce il ricorso all’utero in affitto.

D. – In attesa delle linee guida, che valore ha questo nuovo pronunciamento?

R. – Si tratta di un pronunciamento provvisorio, quindi una bozza di raccomandazione che sarà sottoposta a rivalutazione da parte della stessa Commissione tra un paio di settimane. Questa raccomandazione poi sarà posta ai voti della plenaria e allora vedremo e potremo trarre le conclusioni di quella che sarà la raccomandazione effettiva che l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa suggerisce al Comitato dei ministri, cioè all’organo esecutivo del Consiglio d’Europa, che riunisce i rappresentanti dei governi degli Stati membri.

D. – La partita è aperta perché queste ultime votazioni sono passate con pochi voti di scarto…

R. – Decisamente. La partita è aperta. I numeri sono a favore di una proibizione totale di ogni tipo di maternità surrogata. Ma quello che serve è una sorta di sensibilizzazione dei membri dei parlamenti nazionali perché veramente prendano a cuore quello che succede a Strasburgo e che diano la giusta importanza a questo tipo di risoluzioni, che non hanno un valore obbligante per gli Stati.

D. – Ma hanno un forte valore simbolico…

R. – Ma che hanno un valore simbolico, altamente politico e che poi conducono i governi a prendere delle posizioni.

D. – Per adeguarsi al resto d’Europa…

R. – Per adeguarsi in un modo o nell’altro al resto d’Europa. I governi rappresentati a Strasburgo sono obbligati a dare una risposta.

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Proseguono le polemiche dopo il no della Raggi alle Olimpiadi

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Molte le polemiche dopo la decisione, annunciata ieri dal sindaco di Roma, di rinunciare alla candidatura della capitale alle Olimpiadi del 2024. Per il sindaco, Virginia Raggi, dire sì ai Giochi sarebbe stato "da irresponsabili" perché sulle spalle dei romani e degli italiani si sarebbero accumulati ulteriori debiti. “L'amministrazione comunale aveva il diritto e il dovere di supervisionare”, il commento oggi del presidente del Coni, Malagò, mentre critiche alla Giunta arrivano dal Pd: “Scappano perché hanno paura”. Una scelta comunque difficile quella a cui si è trovata di fronte la Raggi. Adriana Masotti ha raccolto due commenti, il primo è quello di Francesco Ramella, ordinario di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università di Torino: 

R. – Io penso che la valutazione di dire no alle Olimpiadi sia sostanzialmente corretta e corretta perché abbiamo ormai una esperienza passata e di molti casi in cui il rischio che viene paventato per il futuro, si è poi rivelato una realtà: quasi sempre le stime che vengono fatte prima dell’evento si rivelano poi, a consuntivo, errate e sono errate quasi sempre in termini di sottostima dei costi, invece che di sovrastima dei benefici. Nell’ultimo evento, quello delle Olimpiadi di Londra nel 2012, si era partiti da una stima iniziale di un costo di circa 2 miliardi di sterline e si è arrivati alla fine, a consultivo, a oltre quasi 15 miliardi. Quindi il rischio – a mio modo di vedere – c’è e nelle condizioni particolari dell’Italia e di oggi di Roma la scelta la trovo del tutto corretta e prudente.

D. – Però, è un momento in cui c’è bisogno anche di rilanciare l’economia. Per quanto riguarda la possibilità di creare nuovi posti di lavoro, che dati abbiamo?

R. – Questo è un argomento che viene spesso portato a sostegno delle candidature olimpiche: nel 2006 la città di Torino ha organizzato le Olimpiadi invernali e se uno va a rivedersi i giornali dell’epoca trova dichiarazioni molto simili: le Olimpiadi volano dell’economia…  Oggi, sono passati alcuni anni e se andiamo a vedere come si è evoluta l’economia di Torino e del Piemonte prima e dopo le Olimpiadi vediamo che questo effetto non c’è stato. Si creano certamente dei posti di lavoro, ma non dobbiamo dimenticarci che parliamo sempre di risorse scarse: quindi se noi finanziamo questo evento, le risorse dobbiamo sottrarle a qualcun altro e a chi? Quindi, a fronte di una possibile creazione di nuovi posti di lavoro, c’è l’effetto che non si vede e cioè che lavori in altri settori non vengono creati o vengono distrutti.

D. – Un altro motivo, espresso dalla Raggi, è il non voler trasformare un evento sportivo in nuove colate di cemento sulla città. “No alle Olimpiadi del mattone”, ha detto...

R. – Questo è vero, ma  non è una certezza... Ieri ho sentito la conferenza stampa del presidente del Coni e una contro-obiezione era: perché le cose dovrebbero andare male in questo caso? Noi potremmo dimostrare, invece, che le cose possono anche andare bene. Dal mio punto di vista è un problema di incentivi: il punto è che è vero che non possiamo dire con certezza che le cose andranno male o che si faranno delle costruzioni non utili, ma proviamo a farci questa domanda: nel caso si decidesse di organizzare le Olimpiadi e i costi crescono e i benefici sono più ridotti, chi risponde della scelta? In realtà nessuno sarà chiamato a rispondere e questo è – a mio avviso – l’argomento più forte per essere scettici. C’è un esempio positivo, che è quello di Los Angels: quando il Comitato promotore presentò la sua proposta, il Comune fece obiezioni molto simili a quelle del sindaco di Roma e disse: la proposta può procedere, ma sappiate che non ci saranno contributi pubblici. E questo effettivamente fu un incentivo molto forte per gli organizzatori a contenere i costi e a raccogliere sponsorizzazioni. Fu uno dei pochi eventi in cui il bilancio fu positivo…

D. –  Un po’ l’impressione è questa: per non sbagliare, meglio non fare…

R. – Io direi “per non sbagliare è meglio responsabilizzare, metti i tuoi soldi dove è anche la tua opinione”. Non dovrebbe essere coinvolta, a mio modo di vedere, la collettività…

D. – Lo dicevo anche in riferimento alla trasparenza, alla gestione dei fondi, i lavori, gli appalti… C’è forse un po’ di paura di non riuscire a gestire bene quest’evento...

R. – Purtroppo, il passato ci dice che quando risorse ingenti vanno nelle mani di persone che non ne rispondono, se poi i costi raddoppiano a chi il contribuente italiano potrà chiedere conto?

D. – Lei teme per il danno erariale che il Comune dovrà eventualmente affrontare se dovesse rimborsare il Coni per le spese già sostenute nei mesi scorsi per la promozione della candidatura di Roma?

R. – Come battuta posso dirle: da contribuente italiano preferisco pagare 50 centesimi per persona di danno erariale che non dover pagare qualche centinaia di euro per realizzare i Giochi…

Il secondo parere è quello di Vincenzo Atella, direttore del Ceis di Tor Vergata e docente di Economia alla stessa Università romana:

R. – Ovviamente, queste sono scelte molto, molto complesse. In ogni caso bisogna poi rispettare la scelta fatta dal sindaco. Tuttavia, a me viene da dire che questo sembra quasi un totale arrendersi, uno sventolare bandiera bianca e ammettere che, forse, su Roma non si può cambiare, perché comunque c’è sempre questo pericolo e questa paura delle infiltrazioni, della corruzione… Una scelta più coraggiosa sarebbe stata quella di dire: le Olimpiadi sono sicuramente un evento importante. Noi siamo una Giunta nuova, diversa… Siamo entrati con delle idee ben precise, di voler correggere e cambiare, e questo potrebbe essere un ottimo banco di prova per farvi vedere che siamo in grado di controllare e di fare in modo che l’evento sia un evento degno di questo nome e che non dia luogo a tutti quanti i problemi che fino ad oggi hanno caratterizzato l’Italia e Roma in particolare.

D. – Il problema è il rapporto costi e benefici. Noi che dati abbiamo per poter valutare se sono maggiori i benefici o maggiori i costi?

R. – A noi, come Ceis di Tor Vergata, ci era stato commissionato da parte del Comitato Olimpico uno studio per fare una valutazione economica dei Giochi Olimpici e Paralimpici. I dati che avevamo riportato da un punto di vista economico – e quindi una volta che noi includiamo tutti i benefici, anche di natura sociale, di impatto sul territorio più allargato e non solo su Roma – i risultati erano abbastanza positivi. Abbiamo visto che, anche assumendo che ci fossero stati degli aumenti non considerati all’inizio, entro certi limiti il progetto comunque si sarebbe mantenuto e avrebbe dato dei risultati positivi. Però, se poi i piani i iniziali sono tali per cui gli investimenti raddoppiano, lì non è un problema di robustezza delle stime: è un problema che qualcosa non è andato bene nella gestione del progetto.

D. – Quali sarebbero potuti essere i benefici nel caso del sì alle Olimpiadi?

R. – Innanzitutto, se le cose sono fatte bene, il territorio si ritrova delle infrastrutture notevoli, che in questo momento su Roma mancano abbastanza… Ci sarebbe potuto essere un grande ritorno di immagine, riuscendo, in qualche modo, a dare finalmente una visione diversa di "Roma Capitale" o "Roma ladrona". Ma, ripeto, l’aspetto più importante è che se le strutture fossero state fatte nella maniera giusta, sarebbe stato un capitale strutturale che i cittadini romani avrebbero potuto ritrovarsi. Noi stimavano che nella fase di cantiere ci sarebbe stata una crescita del Pil per la Regione Lazio del 2.4%, che rispetto alla situazione attuale – che è solo dello 0,4 – sarebbe stata sicuramente una cosa molto positiva. Però, ripeto: lì il controllo della politica avrebbe fatto la differenza e, secondo me, quello sarebbe potuto essere il vero banco di prova di persone che sono andate al governo della Capitale cercando di fare la differenza… Io vorrei aggiungere la seguente cosa: riguardo al tema dell’Olimpiadi – se vediamo anche un po’ i commentatori a livello nazionale – ci sono quelli che dicono che l’Olimpiade è una grossa occasione e quelli che dicono che l’Olimpiade, appunto, è una buona occasione per rubare ancora più soldi. Il modo di interpretare queste cose è nel seguente modo: in presenza di istituzioni che funzionano, l’Olimpiade può essere una buona occasione, in presenza di istituzioni che non funzionano, l’Olimpiade è una occasione per continuare a perpetrare ruberie. Ma non è assolutamente vero che l’una o l’altra fazione abbia necessariamente ragione.

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Bologna, Convegno sui rotoli di Qumran, nel 70.mo della scoperta

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Ancora sorprese, nuovi frammenti e dibattiti. E’ quanto riservano anche in questi mesi, a 70 anni di distanza dai primi ritrovamenti, i manoscritti di Qumran. Se ne è parlato a Bologna in un Convegno internazionale che si chiude oggi, promosso dall’Università emiliana, dall’Associazione italiana per lo studio del giudaismo e dalla Fondazione per le Scienze religiose "Giovanni XXIII". Luca Tentori ha sentito per noi alcuni degli esperti intervenuti al simposio: 

Nel 1947, una capra che si era persa o la ricerca di un nascondiglio per il contrabbando portarono un pastore di Qumran dritto dritto a un vero e proprio tesoro. Fu il più grande evento archeologico del XX secolo, che con una campagna di scavi fino al 1956, in undici grotte, riportò alla luce i resti di 900 rotoli ebraici, databili tra il III e II secolo avanti Cristo. Tra di essi i manoscritti più antichi della Bibbia ebraica mai conosciuti. Appartenevano probabilmente alla comunità essenica del luogo, perita per mano dei romani nel I secolo dopo Cristo. Spiega il prof. Corrado Martone dell’Università di Torino e tra i promotori dell’evento:

“La stragrande maggioranza dei testi di Qumran è nota e pubblica. A settant’anni (dalle scoperte) abbiamo un quadro completamente diverso, basato su fonti di prima mano del Giudaismo del secondo Tempio che è in qualche modo il periodo più vivace della cultura giudaica, da cui nascerà il cristianesimo e da cui nascerà il giudaismo contemporaneo, quindi alle radici della nostra cultura occidentale. Il grosso dei testi trovati, soprattutto biblici, a Qumran, conferma quello che molti secoli dopo diventerà il testo masoretico, cioè il testo ancora oggi letto nelle sinagoghe e il testo ebraico della Bibbia. Però, ci dà anche la possibilità di comprendere lo sviluppo che ha portato a questa concretizzazione del testo. Quindi, è veramente come vedere dal vivo la nascita del testo biblico.

E la bibliografia di Qumran si è arricchita in questi ultimi mesi anche di due nuovi volumi di studi che propongono inediti frammenti con interpretazioni e ricostruzioni storiche e filologiche, che già fanno discutere gli esperti.

Nuovi dati durante il convegno sono stati offerti dal prof. Mauro Perani dell’Università di Bologna, a proposito del rotolo intero del Pentateuco più antico al mondo da lui riscoperto nel 2013 nella biblioteca universitaria. In questi anni, diversi studi hanno dimostrato che il manoscritto, dice, "ha costituito un pilastro, una specie di stella polare, una specie di faro della vera Bibbia di Esdra – era attributo allo scriba Esdra, ovviamente in maniera iperbolica per dire antichissimo – al punto che era un riferimento non solo per la vita religiosa, ma anche per la vita politica. Infatti, si parlerà di dispute di natura politica e religiosa, che avevano sempre come punto di riferimento la Bibbia vera di Esdra, che si trova a Bologna presso la biblioteca universitaria”.

La sua storia è avvincente e piena di colpi di scena. Il rotolo di 36 metri di lunghezza risale all’XI secolo e da Tolosa arrivò a Bologna all’inizio del Trecento per mezzo dei Frati domenicani. Nei secoli successivi, fu un punto di riferimento per i biblisti di tutta Europa. Poi, con l’arrivo di Napoleone, prese il volo per la Francia. Tornato a Bologna del 1813 non fu più riconosciuto perché privo della sua carta d’identità: una pergamena cucita sul retro che ne spiegava la storia. Solo tre anni fa la riscoperta.

Ora, l’Università di Bologna si propone di aprire un Museo dedicato alla Bibbia. A spiegare il progetto il prof. Alberto Melloni, della Fondazione per le Scienze Religiose "Giovanni XXIII":

“Questa scoperta ha fatto sì che sia venuta l'idea di pensare che attorno questo rotolo possa nascere non solo una sua esposizione, come oggi è nella Biblioteca universitaria di Bologna, ma qualcosa di più. Perchè Bologna è stato il luogo della prima Editio princeps della Bibbia ebraica, ma è stato anche il luogo, tanti cattolici lo ricorderanno, dove le Edizioni dehoniane fecero la prima Bibbia di Gerusalemme: quel volume grande rosso, quasi un cubo di carta, che rappresentava il ritorno della Scrittura dall'esilio nella tradizione cattolica. E dunque questo potrebbe essere un momento e un luogo nel quale questa presenza della Bibbia a Bologna possa trovare un suo significato non per musealizzarla, perchè sarebbe una bestemmia trattarla così, ma per offrire a tutti, anche a quelli che ne hanno una dimestichezza sempre più scarsa, una possibilità di conoscenza del testo sacro”.

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E' morto Gian Luigi Rondi, decano dei critici cinematografici

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È morto a 94 anni, a Roma, Gian Luigi Rondi, decano dei critici cinematografici, per anni direttore della Mostra del Cinema di Venezia, presidente a vita dell’Ente David di Donatello e dell’Accademia del Cinema italiano. Padre Riccardo Lombardi, sulla Civiltà Cattolica, lo definì “l’inventore del cinema come apostolato”. Ma riascoltiamo Gian Luigi Rondi che ne spiegava il motivo in una recente intervista rilasciata ad Rosario Tronnolone

R. – Io sono allievo dei Gesuiti, frequento anche adesso e faccio gli Esercizi di Sant’Ignazio ogni anno, prima di Pasqua. Una delle cose che più mi ha colpito nelle meditazioni è quella in cui scrive che bisogna preparare quella che lui chiamava “la composizione di luogo”. Lui diceva: “Componete il luogo su cui poi meditate”. Ed io dicevo: “Vedete un film e sulla base di quelle immagini, cercate di ragionare, non dico sempre di meditare, ma cercate di ragionare”. E questa composizione di luogo che loro applicavano da Gesuiti al cinema fece molta strada, tanto che padre Riccardo ad un certo punto disse: “E’ lui, Gian Luigi, che ha inventato il cineforum”. Perché il cineforum era appunto trovare il mezzo e il film per fare apostolato.

D. – Un suo rimpianto, questo nel 1950, è stato quello di non avere potuto far premiare “Francesco, giullare di Dio” di Rossellini, a Venezia…

R. – Sì, “Francesco, giullare di Dio”, che per me rimane uno dei capolavori del cinema italiano. Io lo vidi nascere, perché accompagnai Rossellini in tutti i conventi francescani. Lui voleva, infatti, dei veri francescani a fare i protagonisti di questo film. Ed io così conobbi fra Nazario che poi è diventato San Francesco nel film. Io lo ritenni veramente il non plus ultra di quello che si poteva fare in campo neorealista con il cinema. Mi battei molto per questo film, ma a quell’epoca erano soprattutto dei laici, degli intellettuali un pochino sofisticati, cui questo linguaggio ancora non aveva fatto presa, e quindi io rimasi in minoranza e il film non fu premiato. E mi ricordo che sul treno incontrai Luigi Chiarini, che era laico e si dichiarava non credente, che mi si avvicinò nello stesso vagone, dicendo: ”Non capisco come, te che sei un cattolico, – lo dimostri e lo scrivi – hai potuto accettare che non si premiasse ‘Francesco’”. Ed io dissi: “Guarda che mi sono battuto fino all’ultimo e non ci sono riuscito”. E lui mi disse: “Io avrei dato le dimissioni da giurato”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Terra Santa: l'ingresso di mons. Pizzaballa a Gerusalemme

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“Accogliere, ascoltare, discernere e, insieme, orientare il cammino della Chiesa per i prossimi anni”. Ha ribadito tutta la sua volontà di “costruire strade e ponti e non muri”, mons. Pierbattista Pizzaballa, nuovo amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, che nel pomeriggio di ieri - riferisce l'agenzia Sir - ha ufficialmente fatto il suo ingresso a Gerusalemme. 

Il diavolo, che è all’origine delle divisioni, sembra avere preso casa a Gerusalemme
Un discorso dal sapore programmatico quello del presule nel quale non ha nascosto la difficoltà del compito che l’attende, “non sono ingenuo” ha detto, sapendo bene che “dopo la gioia della trasfigurazione, c’è la discesa dal Monte, nella vita ordinaria e quotidiana, con il suo carico di gioie certamente, ma anche di problemi, sofferenze e divisioni. E a Gerusalemme, e più in generale in Terra Santa, le divisioni non mancano”. “E sono dure, feriscono nella nostra vita quotidiana” ha rimarcato mons. Pizzaballa, elencando una lista di criticità che ben conosce, dopo 12 anni (2004-2016) trascorsi come custode di Terra Santa. “Lo costatiamo continuamente: nella vita politica e sociale, con un conflitto politico che sta logorando la vita di tutti, nella dignità offesa, nella mancanza di rispetto dei diritti basilari delle persone; le vediamo anche nelle relazioni intra-religiose, tra le nostre chiese e non di rado anche all’interno delle nostre rispettive Chiese. Il diavolo, che è all’origine delle divisioni, sembra avere preso casa a Gerusalemme”.

Nel contesto lacerato e diviso della Terra Santa, dare testimonianza di unità
​La risposta alle divisioni, per mons. Pizzaballa, è una soltanto: “Essere Chiesa, cioè dare la nostra testimonianza di unità. Qui, in questo contesto lacerato e diviso, insomma il primo annuncio da dare è l’unità, che comincia da noi, all’interno della nostra casa”. Per coinvolgere anche gli ortodossi, ribadendo al Patriarca greco ortodosso della Città santa “la volontà di operare per la comunione e l’armonia vicendevole”. Perché, ha concluso l’amministratore apostolico, “non possiamo permetterci di dare lezioni di dialogo al mondo, se tra noi regnano le divisioni e la sfiducia! Dobbiamo, vogliamo allora diventare esperti di una vita che viene dalla croce, che non si rassegna alla morte, ma la vince con l’amore”. (R.P.)

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India: impegno della Chiesa per lo sviluppo dei dalit

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Le violenze sui dalit (i “fuori casta” o “intoccabili”) in India sono aumentate negli ultimi anni: lo dicono i dati ufficiali del National Crime Record Board (Ncrb), illustrati nei giorni scorsi in un incontro pubblico a Delhi cui hanno preso parte più di 7000 dalit da tutto il Paese, promosso dal “Bharatiya Khet Mazdoor Union Federation” (Bkmuf), rete che unisce diverse organizzazioni di dalit indiani.

Con il governo Modi sono aumentate le violenze contro i dalit
“E' un dato preoccupante da constatare: da quando il Baratiya Janata Party del Premier Narendra Modi è al governo federale, le atrocità sui Dalit sono cresciute”, conferma all'agenzia Fides il padre gesuita Xavier John Bosco, direttore del Jesuit Social Centre, con sede a Secunderabad (Andhra Pradesh), uno dei relatori alla manifestazione di Delhi, cui hanno partecipato numerosi gruppi cristiani. “Urge effettuare una massiccia campagna in tutto il Paese sulla delicata questione dei dalit”, chiede padre Bosco.

Attenzione della Chiesa per istruzione, assistenza sociale, sviluppo e promozione dei dalit
Interpellato dalla Fides, il vescovo Theodore Mascarenhas, segretario generale della Conferenza episcopale indiana, afferma: “La Chiesa ha sempre dato attenzione ai dalit e ai tribali, e quanto ha fatto la Chiesa per i dalit nemmeno il governo lo ha fatto, in materia di istruzione, assistenza sociale, sviluppo e promozione. Esiste una Commissione apposita dei vescovi che si occupa della loro promozione sociale e lotta contro le discriminazioni. Certo, bisogna contrastare una mentalità diffusa che li discrimina. Inoltre chiediamo che i dalit cristiani, penalizzati dall’Ordinanza presidenziale del 1950, abbiano gli stessi diritti di cui godono i dalit non cristiani”.

I dalit sono spesso vittime di esproprio arbitrario e illegittimo delle terre più fertili
Secondo i dati diffusi, nel 2015 gli Stati che hanno registrato un tasso di violenza più alto, che include omicidio e stupro di donne dalit, sono Gujarat (6.655 casi), Chhattisgarh (3.008 casi) e Rajasthan (7.144 casi) hanno riportato il più alto tasso di criminalità contro i Dalit. I dalit sono spesso vittime di esproprio arbitrario e illegittimo delle terre più fertili. Secondo i risultati del censimento socio-ecnomico del 2011, questo è avvenuto a quasi il 73% delle famiglie dalit che vivono in aree rurali. Circa il 45% per cento delle famiglie di dalit e tribali sono senza terra o privati una parte importante del loro reddito per il sostentamento. Tali disuguaglianze generano povertà, malnutrizione, problemi di salute, l'analfabetismo e bassi indicatori di sviluppo umano.

Chieste misure efficaci per limitare le atrocità sui dalit in India
Durante la manifestazione di Delhi, i partecipanti hanno chiesto al governo di adottare misure efficaci per limitare le atrocità sui dalit in India. Tra le altre richieste sollevate: bandire i gruppi violenti che attaccano i dalit; dare occupazione e contratti di lavoro; distribuire terra a tutti i senza terra; implementare leggi contro la discriminazione negli istituti scolastici. (P.A.-S.D.)

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Ccee: a Madrid un incontro sulle sfide dell’integrazione

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Alla luce della riflessione avviata negli ultimi anni assieme a diversi organismi ecclesiali sulla risposta della Chiesa all’intenso flusso migratorio verso l’Europa, e cercando di integrarla nella riflessione nell’Anno della Misericordia, si aprirà il 26 settembre a Madrid l’incontro annuale dei responsabili della pastorale per i migranti in Europa (fino al 27 settembre). 

L'integrazione: dall’assistenza umanitaria al reinsediamento in terra straniera
Al centro dei lavori, con l’aiuto della Comece - riferisce l'agenzia Sir - le politiche europee d’integrazione e le dimensioni dell’integrazione, in particolare quella pastorale, sia nella prospettiva di chi arriva che di quella di chi accoglie: dalla ricerca di un lavoro, di un’abitazione, all’educazione dei figli e all’esperienza personale e comunitaria della propria religione, ma anche il rapporto tra immigrati già integrati e nuovi arrivati. “Nell’affrontare il fenomeno migratorio – afferma mons. Duarte da Cunha, segretario generale del Ccee – è necessario non solo rispondere alle sfide a livello della carità che pongono coloro che fuggono da aree di guerra o da situazioni di completa instabilità politica e sociale, ma anche alle diverse tappe dell’integrazione: dall’assistenza umanitaria al reinsediamento in terra straniera”. 

Tra i temi, anche la tratta di esseri umani e gli immigrati cinesi in Europa
“Appartiene al Dna dell’Europa – prosegue - plasmato anche dalle sue radici cristiane, l’aver un’identità culturale aperta, non indifferente né sincretista, ma dialogante, consapevole che ha non solo molto da offrire ma anche da ricevere”. La prima giornata si concluderà con la celebrazione dell’Eucarestia nella parrocchia “Santa Maria del silenzio” insieme a una delegazione diocesana per la pastorale dei migranti di Madrid, presieduta dall’arcivescovo della città, mons. Carlos Osoro Sierra. I lavori (a porte chiuse) si concluderanno il 27 settembre con la Messa nella sede della Conferenza episcopale spagnola, presieduta dal card. presidente Ricardo Blázquez Pérez. Tra i temi trattati anche la tratta di esseri umani e la presenza di immigrati cinesi in Europa. (R.P.)

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Cina: è morto mons. Vincenzo Zhu Weifang, vescovo di Wenzhou

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 Il 7 settembre scorso, all’età di 88 anni, si è spento mons. Vincenzo Zhu Weifang, vescovo di Wenzhou (Yongjia), nella provincia di Zhejiang (Cina Continentale).

Ordinato sacerdote nel 1954 a Shanghai
Il presule era nato il 10 dicembre 1927 nel villaggio di Yang’ao, distretto di Yongjia. Nel 1939, all’età di dodici anni, entrò nel seminario minore di San Vincenzo della diocesi di Ningbo; proseguì poi la formazione nei seminari maggiori di Ningbo, Jiaxing, Fuzhou e Shanghai. Fu ordinato sacerdote il 6 ottobre 1954 nella chiesa di Xujiahui di Shanghai da mons. Ignazio Gong Pinmei.

Subì vari arresti e controlli a causa della fede
Nel luglio del 1955 iniziò ad esercitare il ministero nella parrocchia di Qianku a Wenzhou. Alcuni mesi dopo, fu arrestato e condannato a 16 anni di rieducazione tramite il lavoro. Dopo la sua liberazione nel 1971, subì vari arresti e controlli a causa della fede.  A partire dal 1988 poté operare apertamente nelle parrocchie di Cangnan e di Pingyang a Wenzhou, edificando i fedeli con la sua testimonianza. Egli prestava attenzione anche alla Congregazione diocesana femminile di Santa Teresa di Gesù Bambino. Durante i periodi di detenzione, aveva contribuito all’opera di evangelizzazione, offrendo al Signore tutta la fatica dei lavori forzati “come sacrificio di soave odore”.

Ha salvaguardato i diritti e gli interessi della Chiesa
Nel novembre del 2007 venne nominato vescovo di Wenzhou: fu ordinato il 10 gennaio 2009 e poté prendere possesso della diocesi  soltanto il 23 dicembre 2010. Da quel momento, malgrado la sua età avanzata, egli assunse la propria importante responsabilità pastorale lavorando con grande passione. Come vescovo, ha prodigato ogni sforzo per salvaguardare i diritti e gli interessi della Chiesa, guadagnandosi una grande stima fra tutti i fedeli.

Ai funerali hanno preso parte migliaia di fedeli
La diocesi di Wenzhou (Yongjia) conta più di 140.000 cattolici: ha circa 50 sacerdoti per lo più giovani, e oltre 100 religiose, attive nell’assistenza dei malati, degli anziani e delle famiglie, e nel lavoro di evangelizzazione. I funerali del vescovo Zhu, ai quali hanno preso parte migliaia di fedeli, si sono tenuti il 13 settembre scorso. A norma del diritto canonico, mons. Pietro Shao Zhumin, vescovo coadiutore della suddetta diocesi, succede al defunto presule. (I.P.)

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Malta. Mons. Scicluna: politica aspiri a unità, bontà, verità e bellezza

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“I quattro valori dell’unità, della bontà, della verità e della bellezza siano i criteri di governo” del Paese, di “una governance della famiglia umana cui la politica deve aspirare”: lo ha detto mons. Charles Scicluna, arcivescovo di Malta, nella Messa presieduta ieri nella co-cattedrale di San Giovanni a La Valletta, per celebrare la Festa nazionale dell’indipendenza, raggiunta dal Paese nel 1964.

Lottare contro le discriminazioni
Soffermandosi sui quattro valori enunciati, il presule ha evidenziato che, “in primo luogo, il governo di uno Stato deve essere basato sulla ricerca dell’unità nazionale”, perché “le politiche che portano alla divisione, che guardano al privilegio di pochi o che puntano a promuovere la fedeltà ad un partito piuttosto che alla nazione, sono una parodia della vera politica ed un veleno mortale per il bene comune della società”. Ogni cittadino, infatti, “ha il diritto di beneficiare dei servizi forniti dal governo”, senza alcuna esclusione. In questo senso – ha detto mons. Scicluna – “la lotta contro le discriminazioni è una lotta per l’unità nazionale”. 

Cercare il bene ed evitare il male
Quanto al principio della bontà, l’arcivescovo di Malta lo ha riassunto come “cercare il bene ed evitare il male”, elemento basilare “di una vita autenticamente umana”. “I sistemi politici che pretendono di rifuggire dalle esigenze morali dell’esistenza umana – ha messo in guardia il presule – spesso finiscono per diventare caricature mostruose di uno Stato”, perché “quando si sacrifica il bene comune agli interessi egoistici di pochi e alla ricerca incessante del guadagno materiale a tutti i costi, allora lo Stato è malato”.

Governance sia trasparente e responsabile
​Poi, parlando della verità, mons. Scicluna l’ha collegata ad altri valori, come “la correttezza, il retto giudizio e la giustizia”. Una governance poco trasparente o basata sul “disprezzo della verità” è destinata “ad implodere”, ha ribadito il presule. Al contrario, sono “la trasparenza e la responsabilità” che rendono i cittadini “orgogliosi del proprio governo”. Infine, riguardo alla bellezza, l’arcivescovo maltese si è detto convinto del fatto che “un cittadino formato alla verità ed al bene” saprà anche “promuovere la bellezza nell’arte, nell’architettura, nell’ambiente”. Per questo – ha concluso – “un governo che tutela il patrimonio nazionale, che difende energicamente la pulizia delle acque marine e che consente solo lo sviluppo sostenibile è un governo che esprime la bellezza e la saggezza del cuore della nazione”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 266

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.