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Sommario del 18/09/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: mondo unito per la pace. Oggi corruzione è come droga

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La guerra oggi è “dappertutto”: il mondo, dunque, preghi “unito” per la pace. Così il Papa all’Angelus in Piazza San Pietro. Francesco ha pure esortato a vivere secondo il Vangelo, scegliendo la strada retta indicata da Gesù e non seguendo la logica di una “diffusa corruzione”. Quindi ha ricordato l’odierna chiusura a Genova del Congresso Eucaristico Nazionale e la Beatificazione ieri in Sardegna di Elisabetta Sanna. Il servizio di Giada Aquilino

Tutto il mondo preghi “unito” per la pace. Si è levato forte l’appello del Papa all’Angelus in Piazza San Pietro. Il Pontefice ha ricordato che martedì prossimo sarà ad Assisi per l’incontro interreligioso convocato a trent’anni da quello storico voluto da San Giovanni Paolo II. Ha invitato parrocchie, associazioni ecclesiali e singoli fedeli a vivere quei momenti “come una Giornata di preghiera per la pace”.

“Oggi più che mai abbiamo bisogno di pace in questa guerra che è dappertutto nel mondo. Preghiamo per la pace! Sull’esempio di san Francesco, uomo di fraternità e di mitezza, siamo tutti chiamati ad offrire al mondo una forte testimonianza del nostro comune impegno per la pace e la riconciliazione tra i popoli. Così martedì, tutti uniti in preghiera: ognuno si prenda un tempo, quello che può, per pregare per la pace. Tutto il mondo unito”.

Quindi, meditando sulla parabola dell’amministratore infedele e corrotto, che viene presentato dall’evangelista Luca come “esempio di scaltrezza”, Francesco ha esortato ad allontanarsi dallo spirito e dai valori del mondo, “che tanto piacciono al demonio”, per vivere secondo il Vangelo. L’invito è stato a compiere una “scelta chiara” tra Gesù e lo “spirito del mondo”, tra la logica della corruzione, della sopraffazione e dell’avidità e quella della rettitudine, della mitezza e della condivisione:

“Qualcuno si comporta con la corruzione come con le droghe: pensa di poterla usare e smettere quando vuole. Si comincia da poco: una mancia di qua, una tangente di là… E tra questa e quella lentamente si perde la propria libertà. Anche la corruzione produce assuefazione, e genera povertà, sfruttamento, sofferenza. E quante vittime ci sono oggi nel mondo! Quante vittime di questa diffusa corruzione”.

Seguendo invece la logica evangelica “dell’integrità, della limpidezza nelle intenzioni e nei comportamenti, della fraternità”, ha osservato, diventiamo “artigiani di giustizia”, aprendo “orizzonti di speranza per l’umanità”. È nella gratuità e nella donazione di noi stessi ai fratelli, ha aggiunto, che possiamo servire “il padrone giusto”, cioè Dio. Il percorso della vita, ha dunque riflettuto, comporta una “scelta”, senza “oscillare”, tra due strade che “si muovono su logiche diverse e contrastanti”: onestà e disonestà, fedeltà e infedeltà, egoismo e altruismo, bene e male.

“Il profeta Elia diceva al popolo di Israele che andava su queste due strade: ‘Voi zoppicate con i due piedi’! È bella l’immagine. È importante decidere quale direzione prendere e poi, una volta scelta quella giusta, camminare con slancio e determinazione, affidandosi alla grazia del Signore e al sostegno del suo Spirito”.

Bisogna quindi rispondere “con l’astuzia cristiana” all’astuzia mondana:

“La mondanità si manifesta con atteggiamenti di corruzione, di inganno, di sopraffazione, e costituisce la strada più sbagliata, la strada del peccato, perché una ti porta all’altra! È come una catena, anche se - è vero - è la strada più comoda da percorrere, generalmente. Invece lo spirito del Vangelo richiede uno stile di vita serio - serio ma gioioso, pieno di gioia! -, serio e impegnativo, improntato all’onestà, alla correttezza, al rispetto degli altri e della loro dignità, al senso del dovere. E questa è l’astuzia cristiana”.

Francesco ha poi ricordato che ieri in Sardegna è stata proclamata Beata Elisabetta Sanna, madre di famiglia che, rimasta vedova, si dedicò totalmente alla preghiera e al servizio degli ammalati e dei poveri.

“La sua testimonianza è modello di carità evangelica animata dalla fede”.

Ha quindi salutato la conclusione a Genova del Congresso Eucaristico Nazionale:

“Rivolgo un saluto speciale a tutti i fedeli là convenuti, e auspico che questo evento di grazia ravvivi nel popolo italiano la fede nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia, nel quale adoriamo Cristo sorgente di vita e di speranza per ogni uomo”.

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Da due secoli a difesa dell'onestà. Messa del Papa per Gendarmeria vaticana

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Al servizio della giustizia e dell'onestà, contro ogni forma di corruzione e di sfruttamento. Stamani Papa Francesco, celebrando la Messa nella Basilica di San Pietro in occasione dei 200 anni dalla creazione della Gendarmeria vaticana, ha rivolto il suo grato pensiero al Corpo che opera per la sicurezza nella Città del Vaticano. Il servizio di Giancarlo La Vella

"Vi ringrazio per questo servizio di due secoli e mi auguro che la società dello Stato del Vaticano, che la Santa Sede, riconoscano il vostro servizio".

Da 200 anni al servizio del Papa, nell’assicurare l’incolumità del Pontefice, nel garantire sicurezza e ordine pubblico all’interno del piccolo Stato vaticano, ma, non solo, anche collaborando con le polizie internazionali nella lotta alla criminalità. E con gratitudine Francesco sottolinea nell’omelia come questo sia un compito rivolto alla custodia, alla giustizia delle cose, da svolgere con carità, tenerezza, anche a rischio della vita. Un ruolo, quello della Gendarmeria vaticana, tanto più importante nei tempi attuali – dice Francesco – pervasi da una dilagante corruzione. Prendendo spunto dalle letture bibliche, il Pontefice mette a confronto la figura dello sfruttatore, del truffatore e dell’uomo fedele. I primi due sono coloro che vivono di frode, di tangenti, di accordi sottobanco, credendo addirittura di agire secondo onestà. Attività, queste, che invece inevitabilmente vanno a colpire il prossimo:

"Il truffatore ama i soldi, ama le ricchezze: le ricchezze sono un idolo. A lui non importa – come dice il profeta – calpestare i poveri. Sono quelli che hanno le grandi 'industrie del lavoro schiavo'. E oggi nel mondo il lavoro schiavo è uno stile di gestire".

E’ una furbizia, questa, tutta mondana, fortemente peccatrice. Esiste invece – dice Francesco – una furbizia, per così dire, corretta, quella cristiana: fare le cose con scaltrezza, ma non con lo spirito del mondo, fare le cose onestamente:

"E’ quello che dice Gesù, quando invita ad essere astuti come i serpenti e semplici come le colombe: mettere insieme queste due dimensioni è una grazia dello Spirito Santo, una grazia che dobbiamo chiedere".

Proprio per questo, mette in evidenza il Santo Padre, ieri come oggi la Gendarmeria vaticana è chiamata a combattere la truffa e lo sfruttamento, a difendere e promuovere l’onestà. Un lavoro – dice ancora il Papa – che è una “vocazione” da perseguire, nonostante a volte malpagati, resistendo alle tentazioni “di quelli che vogliono comprarvi”. Il gendarme ideale è quello che più si avvicina all’uomo fedele, descritto nelle letture bibliche: ovvero colui che segue Gesù, “il quale ha dato sé stesso in riscatto per tutti, ha dato la sua testimonianza secondo la volontà del Padre”:

"L’uomo fedele è  un uomo di preghiera, nel duplice senso che prega per gli altri e confida nella preghiera degli altri per lui, per poter condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa. L’uomo fedele può camminare a testa alta".

Camminare a testa alta, dunque, perché si è svolto disinteressatamente il proprio compito al servizio degli altri. In linea con questo intento la recente partecipazione di un gruppo di gendarmi vaticani ai soccorsi per le popolazioni colpite dal terremoto, un goccia preziosa – ha detto uno dei responsabili del Corpo – di fronte al dolore e alla disperazione di chi ha perso tutto.

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Il Papa saluta Assisi. Sorrentino: davanti a Dio, poveri saranno giudici o avvocati

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Bisogna entrare nello spazio dei poveri per poter incontrare Dio. Così in sintesi il vescovo di Assisi, mons. Domenico Sorrentino, nell’omelia per la solenne celebrazione eucaristica che si è tenuta questa mattina, alla presenza dei rappresentanti delle Chiese cristiane e delle comunità ecclesiali. Nel pomeriggio è atteso l’arrivo del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, per l’Assemblea che apre l’incontro internazionale “Sete di Pace: religioni e culture in dialogo”, di cui ha parlato anche il Papa all'Angelus. Il nostro inviato ad Assisi, Massimiliano Menichetti

Sotto un cielo plumbeo, nella stupenda cornice della Basilica Superiore di San Francesco gremita di fedeli, pellegrini e volontari, mons. Sorrentino centra la sua omelia guardando all’odierna liturgia la quale denuncia “l’avidità insaziabile” di pochi che “produce lo sterminio dei poveri”:

“È la condizione in cui versa ancora il nostro mondo, dove un pugno di possidenti si è accaparrata la massima parte dei beni e uno smisurato esercito di poveri è privo del necessario. Agli schiavisti di tutti i tempi il Signore annuncia il suo giudizio: egli non dimenticherà!"

Questo è “un discorso che riguarda l’etica della giustizia e della solidarietà” - spiega - ma “prima ancora è rivelazione del volto di Dio”. Poi con forza domanda: “Da che parte sta Dio”?

“Non c’è dubbio: dalla parte dei poveri. È lì, dunque, nello spazio dei poveri che bisogna portarsi, per poterlo incontrare”.

Il vescovo aggiunge che “tutti i beni vengono da Dio”, cita Giobbe e ricorda che l’uomo è nudo quando nasce e muore. Evidenzia che Francesco d’Assisi volle ritornare a questa condizione “per libera scelta” restituendo ogni suo avere, “anche i vestiti”:

"Solo con la consapevolezza di questa nudità possiamo sentire la bellezza del dono di Dio. Solo con questa profonda coscienza della condizione umana possiamo anche aprirci alla sofferenza dei fratelli".

“Gesù - rimarca mons. Sorrentino - enuncia un principio di incompatibilità” tra l’amare Dio e “quegli attaccamenti invisibili del cuore che sono i nostri idoli”, ed indica la “direzione della carità”:

“Non basta liberarsi dalla schiavitù del denaro. Occorre farlo in vista di un mondo giusto e fraterno”.

E’ il legame tra gli uomini, figli di Dio, che il prelato mette più volte in evidenza ribadendo che “al momento della nostra morte” il Creatore “ascolterà a nostro favore la supplica dei poveri che abbiamo amato e servito”:

“I poveri saranno i nostri giudici severi o i nostri avvocati. È un ragionamento che ha il sapore di una minaccia, ma soprattutto quello di un incoraggiamento. Come se Gesù ci dicesse: coraggio, provate ad amare”!

Mons. Sorrentino guarda ad un “mondo di fraternità e di pace” costruito sulla grande verità, ovvero che per salvarci Cristo “ha dato se stesso in riscatto per tutti”.

“Il nostro ritrovarci in Assisi in nome della pace non mette in parentesi questa verità, anzi poggia su di essa. Una verità da vivere e da annunciare”.

“Una verità che si fa preghiera” - prosegue - ricordando che “San Giovanni Paolo II intuì, trent’anni fa, con l’iniziativa dello spirito di Assisi, che, per costruire la pace, bisogna far leva proprio sulla forza della preghiera”. Poi l’auspicio:

“Sia questo lo spirito di Assisi che viviamo in questi giorni alla scuola di Gesù e del suo servo Francesco, in cordiale dialogo con tanti credenti, pur di diversa ispirazione, in preghiera con noi”.

Assisi ha iniziato dunque a vivere una tre giorni d’incontri all’insegna della pace e del dialogo. Trent’anni fa qui San Giovanni Paolo II volle radunare esponenti di tutte le religioni del mondo, la Comunità di Sant’Egidio, la diocesi della città di Assisi e le Famiglie francescane, che hanno raccolto e proiettato nel tempo quella sfida. Al microfono del nostro inviato Massimiliano Menichetti il sindaco di Assisi, Stefania Proietti: 

R. – Per Assisi questa tre giorni è una grande opportunità, qualcosa che ha un valore spirituale incredibile, perché Assisi e i suoi abitanti - me compresa - ricordano 30 anni fa il momento di tregua e di preghiera per la pace, una unità che va al di là del credo, delle religioni, degli steccati. Ricordo che da bambina partecipai con la scuola, ma tutti rammentano quel momento come uno dei momenti storici vissuti dalla città ed è importante riviverlo oggi con un Papa di nome Francesco e in un momento diversissimo. Oggi, da sindaco, guardo l’organizzazione della sicurezza. E chi era qui 30 anni fa dice: “A livello di sicurezza tutto è cambiato, 30 anni fa era tutto molto più libero”. Oggi abbiamo dei protocolli di sicurezza rigidissimi. Il mondo fuori è cambiato, l’esigenza e la sete di pace, come hanno ben titolato gli organizzatori, sono enormi, ancora di più che in passato e forse anche per la grande eco che la guerra porta nei mass media.

D. - Lei e tutti qui ad Assisi ribadite che non è la religione a portare la guerra…

R. - Ha detto bene Papa Francesco andando a Cracovia: le guerre non sono di religione, smettiamola di dire queste fandonie. Le guerre sono fatte per le risorse della natura, per il dominio dei popoli. Le guerre vengono dalla grande iniquità globale di cui parla la “Laudato si’”. Le guerre, anche se guardiamo dove sono poste, vediamo che sono collegate ai grandi centri dove c’è l’energia, spesso fossile, il petrolio, collocate dove c’è una grande iniquità globale che, come su due piatti della bilancia, si sta rovesciando. Questo genera un dominio sui popoli ed una manipolazione, una tratta umana, le nuove schiavitù. Dire che sono guerre di religione è veramente una pellicola che dobbiamo toglierci dagli occhi a tutti i livelli, da quello delle istituzioni a quello quotidiano, perché non è così: è un voler annacquare quella che è la realtà. Le guerre derivano dalla grande iniquità globale che vige nel mondo e che tutti dobbiamo combattere. Questo chiaramente ha implicazioni immediate sulla crisi ambientale. Crisi ambientale e crisi sociale sono un’unica grande crisi.

D. - In questo senso le religioni possono contribuire a fornire una coscienza diversa?

R. - Assolutamente sì. E anche questo è stato percepito benissimo da Papa Francesco che riesce a dirlo con efficacia e semplicità, perché tutte le religioni perseguono la pace, la custodia del Creato, dei più fragili e dei poveri. Questi tre aspetti pace, custodia del Creato e opzione preferenziale per i poveri sono tre elementi di un unico insieme, di un unico problema complesso al quale va data un’unica soluzione. Le religioni, insieme, possono trovare questa unica soluzione. Qui non parliamo di sincretismo, parliamo di tavoli intorno ai quali le religioni si siedono insieme per seguire il bene comune, perché dietro alle guerre che vogliono farci passare per guerre di religioni ci sono solo interessi economici. Dobbiamo avere il coraggio che ha il Papa di dire questo su tutti i piani: quello dei cittadini, quello delle istituzioni ad ogni livello, quello della comunità internazionale.

D. - Assisi in questo evento è faro per il mondo. Qual è il suo augurio?

R. - Il mio augurio è che questo evento desti un moto veramente virale nelle coscienze mondali. Noi non possiamo aspettarci la pace solo dal trattato tra due grandi potenze. Come si dice alle Nazioni Unite, la pace la fanno gli uomini. Con un’azione non salveremo il mondo, ma sette miliardi di azioni possono fare la differenza. Quindi la pace può essere costruita con gesti concreti ogni giorno, con nuovi stili di vita più sobri che vadano a sanare quella grande iniquità globale, quello sbilanciamento che ci sta portando a tante ignominie che non possiamo far finta di non vedere. Credo che oggi il nemico maggiore della pace sia l’indifferenza.

D. - Nella lettera che le ha inviato nel mese di agosto, il Papa le ha lasciato una sfida e una consegna grandi, la comunanza di lavoro tra Comune e diocesi: le due piazze quindi non sono separate…

R. - Assolutamente no. Una sfida di questo programma politico, amministrativo per la città è stata proprio questa: la sinergia. In una città come Assisi, l’istituzione laica deve avere il suo peso - naturalmente, giustamente - e non può derogare dal suo ruolo, deve esserci. Deve esserci in sinergia con la realtà così particolare della Chiesa locale. E questo valore deve essere visto in un’ottica che ha un solo scopo: il servizio. Questa è stata un’altra mia sfida: dire che il politico non è un politico e basta, è un politico "al servizio". Io spesso mi definisco non il primo cittadino, ma il primo servitore. Mi piace molto questa definizione, perché il sindaco è la persona che deve essere più di tutti a servizio, visto che rappresenta una città, nel mio caso Assisi.

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Tweet del Papa: cristiani siano missionari del Vangelo

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“Come cristiani abbiamo la responsabilità di essere missionari del Vangelo”. E' il tweet pubblicato da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex in 9 lingue

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Nunzi apostolici: adoperarsi più efficacemente per la pace

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Adoperarsi “ancor più efficacemente ad arrestare la violenza e a risolvere pacificamente i conflitti in varie parti del mondo”. Questo il progetto di dichiarazione dei rappresentanti pontifici, riuniti in questi giorni con Papa Francesco per la celebrazione del Giubileo. I nunzi apostolici rivolgono così un pressante appello alla comunità internazionale e a quanti hanno responsabilità di governo e, al contempo, esprimono solidarietà “a tutte le vittime innocenti” e a quanti subiscono discriminazioni e persecuzioni “a motivo della fede religiosa”. Per tutti elevano la preghiera al Padre di ogni misericordia. 

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Spadaro: per Francesco, la riforma è frutto di discernimento continuo

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"La riforma e le riforme nella Chiesa". E' il titolo di un volume, pubblicato in questi giorni dalla Queriniana, che raccoglie i 30 saggi inediti scritti da altrettanti esperti - tra teologici, storici della Chiesa, ecumenisti e canonisti - che hanno preso parte ad un seminario promosso da "Civiltà Cattolica", dal 28 settembre al 2 ottobre del 2015 proprio sul tema della riforma della Chiesa, nel Pontificato di Papa Francesco. Alessandro Gisotti ha intervistato al riguardo il direttore di "Civilità Cattolica" e curatore del volume, padre Antonio Spadaro: 

R. – C’è da intendere bene il concetto di riforma. Papa Francesco non vuole riformare la Chiesa in senso astratto; il suo gesto è quello di porre, di ri-porre Cristo al centro di tutto. Poi sarà Lui a riformare la Chiesa. Però bisogna porre delle condizioni, cioè bisogna porre la Chiesa nella condizione di essere riformata da Cristo. Il potere del Vangelo è un potere in questo senso rivoluzionario, dirompente: cioè, posto all’interno della Chiesa può profondamente cambiare. Quindi, il concetto di tradizione è un concetto dinamico che va letto alla luce della capacità di riforma che ha il Vangelo.

D. – Papa Francesco ha ripetuto più volte – e notoriamente lo troviamo in “Evangelii Gaudium” – che è più importante avviare processi che occupare spazi. Ecco: questo chiaramente dà anche l’idea della dinamicità del processo impresso da Francesco. Questo come si armonizza poi con un’idea di riforma e quindi di qualcosa che comunque poi deve andare a compimento?

R.- Sì: la vita, la vita stessa è un processo; è un processo complesso che si articola in tante dimensioni. Dire che la riforma è un processo significa che c’è una storia, che c’è una vita, che le espressioni culturali, anche, il modo stesso di vivere la Chiesa non è uguale, uniforme ovunque nel mondo: ce ne siamo resi conto soprattutto con gli ultimi Sinodi. Ecco, la riforma della Chiesa non può non passare da questi elementi di complessità, ma possiamo dire anche di ricchezza.

D. – Il discernimento è ovviamente un’altra parola-chiave per ogni Gesuita e tanto più per il primo Papa gesuita. Il cammino si apre camminando: in qualche modo Francesco mostra anche il coraggio di non dare linee definite, di essere attento anche alla realtà, di non imporsi alla realtà …

R. – Sì: il discernimento è anche il criterio fondamentale di Francesco. Potremmo dire che Papa Francesco sta interpretando il suo Ministero petrino come un ministero di discernimento. Il discernimento significa cercare e trovare Dio nel modo in cui Lui si manifesta nella storia; non possiamo partire con idee rigide e precostituite: cioè, dobbiamo capire come Lui parla oggi alla Chiesa e al mondo. Per un processo vero di riforma, la cosa fondamentale è porsi in un atteggiamento aperto, di discernimento, e che sia in grado di leggere la storia concreta. La Chiesa vive nel mondo, vive il suo rapporto con il mondo che è fondamentale; però, deve entrare in dialogo, deve capire cosa succede nella storia. Ecco perché il discernimento è fondamentale per la riforma.

D. – Come è noto, ci sono anche delle resistenze, a volte delle incomprensioni rispetto a quello che è l’incedere anche nel processo di riforma di Papa Francesco. Secondo lei, dove si può trovare la radice, anche in una mancata sufficiente comprensione – per esempio – di che cosa voglia dire “discernimento” per un uomo come Bergoglio?

R. – Papa Francesco, parlando in maniera privata ai Gesuiti polacchi durante il suo viaggio, ha detto una cosa molto importante. Ha detto chiaramente che a volte la formazione, anche dei sacerdoti, è molto legata all’applicazione un po’ rigida di norme, cioè si stabilisce una norma e quella si applica sempre, ovunque, dappertutto, per tutti. Questo criterio è molto rassicurante, perché dà delle linee molto rigide e dei binari da cui il treno non si distacca, appunto. Questa è una visione molto rassicurante, ma non è una visione evangelica. Papa Francesco ha parlato del discernimento e del fatto di guardare alle esigenze della storia. Queste, a volte, fanno paura. Cioè, evidentemente in alcune persone, anche in buona coscienza, ogni riferimento alla singolarità delle storie oppure alla necessità di qualche cambiamento, genera uno stato di ansia, e a volte il Vangelo è ansiogeno perché ci chiede di cambiare cose, abitudini anche a cui noi siamo legati. Direi: è naturale, anzi è proprio il segno che la riforma della Chiesa procede bene, provare un certo senso di ansia. Si tratta di viverlo bene, questo; cioè, di vivere questo come un pungolo per andare avanti, non come un ostacolo o una barriera.

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Oggi in Primo Piano



Belgio, eutanasia su minore: card. Bagnasco, vita è sacra

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Shock in Belgio dove è stata effettuata l’eutanasia su un minore: è il primo caso nel mondo, dopo l’approvazione nel Paese - era il 2014 - di una legge ad hoc. Il fatto è avvenuto nelle Fiandre. Il paziente aveva 17 anni e “dolori fisici insopportabili”, ha spiegato Wim Distelmans, direttore del Centro di controllo dell’eutanasia, senza rivelarne l'identità o il sesso. Il Comitato etico, chiamato a dare l'autorizzazione ai medici, aveva ricevuto il dossier la scorsa settimana. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Belgio e Paesi Bassi sono gli unici in Europa ad aver autorizzato l’eutanasia anche sui minori di 18 anni, nei Paesi Bassi però questo è valido solo per i neonati e per i maggiori di 12 anni. In Belgio forte è stata l’opposizione a questa legge, un crimine – l’hanno definita i vescovi - che apre la strada ad altri “attentati contro la vita”. In Italia si è aperto immediatamente un dibattito, che ha visto il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco, parlare di dolore ma anche di preoccupazione per quanto accaduto in Belgio. “La vita è sacra è deve essere accolta sempre", anche quando questo sembra essere un'impresa difficile, dolorosa, spiega il porporato in un'intervista all'Ansa, ricordando anche i ripetuti appelli di Papa Francesco in questo senso. Critiche forti sono arrivate da associazioni come “Scienza e Vita”, che parla di adulti con licenza di uccidere. Il no all’eutanasia, soprattutto per i minori, arriva anche dalla Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) che soprattutto indica come questione fondamentale la mancanza in Italia di attenzione al percorso di fine vita. Alberto Giannini, già responsabile del gruppo di studio sulla bioetica della Siaarti e responsabile della Terapia intensiva pediatrica del policlinico di Milano:

R. - Il tema fondamentale che manca sempre nei dibattiti con l’opinione pubblica in Italia è quello del limite che non viene mai considerato ed affrontato. Chi fa il medico in discipline complesse e di frontiera come la medicina intensiva incontra e sperimenta quotidianamente il limite. Noi non siamo in grado di dare una risposta e di salvare la vita di tutte le persone perché la realtà della medicina è governata dai limiti; di questo dobbiamo essere assolutamente consapevoli. Quando un mezzo di cura non è proporzionato o perde di proporzionalità nel tempo può e deve essere sospeso, accettando l’ineluttabilità della morte. Questa è la posizione che è stata espressa dalla Società italiana di anestesia e rianimazione. Il tema centrale è questo: il limite, non l’eutanasia.

D. - Nel momento in cui ci si trova di fronte ad una persona sofferente e con un esito infausto già definito - nel caso poi di un bambino immagino quanto debba essere terribile per i genitori, ma anche per i medici stessi sentire questo senso di impotenza - e si chiedesse al medico di mettere fine a queste sofferenze, qual è il “no” che il medico oppone?

R. - Io credo che il “no” che il medico oppone sia motivato dal fatto che questa scelta eutanasica entra in rotta di collisione con quello che è il compito, il dovere del prendersi cura dell’altro. Questo non soltanto per i credenti, ma anche per i non credenti. L’elemento fondamentale è innanzi tutto rendere esplicito il tema del limite e quello della morte che nella nostra società è assolutamente escluso ed esiliato. È qualcosa che quasi non può essere evocato. Ma laddove c’è una richiesta di morte o più semplicemente dove di sperimenta il limite, la scelta è quella di accettare l’ineluttabilità di una malattia che non può essere sconfitta - questo è nella natura delle cose - seguendo con impegno il paziente per togliere qualunque forma di sofferenza. La medicina palliativa che si è sviluppata in questi ultimi 20 anni ci ha insegnato tantissimo e ci ha offerto delle armi formidabili per seguire pazienti, accompagnarli e togliere qualunque forma di sofferenza. Credo che questo rappresenti il nostro compito e il modo migliore di onorare il nostro impegno nel prenderci cura del paziente.

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Siria. Dopo raid Usa nel nord, Mosca chiede riunione Onu

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Sono almeno 62 i soldati dell’esercito siriano uccisi “per errore” nel bombardamento della coalizione internazionale a guida statunitense effettuato ieri su Deir-el-Zour, nel nord-est della Siria. Mosca chiede urgentemente una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, mentre l’Is fa sapere di aver abbattuto un caccia siriano nella stessa area. Il servizio di Roberta Barbi: 

È durata solo pochi giorni la tregua in Siria, scaturita dall'accordo tra Stati Uniti e Russia: le violenze sono in continuo aumento e dei promessi aiuti umanitari alla popolazione non si vede neanche l’ombra. E il bombardamento della coalizione a guida Usa su Deir-el-Zour, che secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani è costato la vita a oltre 90 militari, ci mette del suo: secondo gli Stati Uniti la controparte russa sarebbe stata informata prima dell’inizio del raid effettuato usando l’intelligence americana e diretto contro obiettivi di natura terroristica seguiti per giorni. L’uccisione di soldati governativi non sarebbe stata intenzionale, dunque, secondo Washington, che ribadendo il proprio impegno per il rispetto della tregua definisce “uno stratagemma cinico e ipocrita” la richiesta di convocazione a New York del Consiglio di Sicurezza dell’Onu voluta dalla Russia. Mosca intanto è giunta alla triste conclusione che “Washington difende lo Stato islamico - così ha detto il portavoce del ministro degli Esteri russo - e ciò è un tentativo per dirottare l’accordo raggiunto”. E mentre la tensione sale, le violenze si moltiplicano intorno ad Aleppo, ma anche nelle province di Idlib e Homs, mentre la Turchia avrebbe inviato nuove truppe nel nord della Siria. L’esercito di Damasco, infine, arretrato per il raid, nel frattempo avrebbe sferrato un’offensiva che gli ha fatto recuperare posizioni sul monte Thurda, con la copertura russo-siriana dall’alto.

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Parlamentari in Russia: favorito il partito di Putin

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Urne aperte questa domenica in Russia per il rinnovo dei 450 seggi della Duma. Secondo tutti i sondaggi, il partito "Russia Unita" del presidente Vladimir Putin continuerà a dominare il Parlamento raccogliendo alle legislative un fetta di consensi che dovrebbe oscillare intorno al 50%. Il partito di governo dovrebbe comunque registrare una lieve flessione per il peggioramento del quadro economico e l'isolamento internazionale della Russia dovuto al conflitto ucraino. Grande attenzione sarà rivolta all’affluenza che è prevista in calo: tale eventualità favorirebbe Russia Unita. Diversi istituti demoscopici indicano che probabilmente solo il 45% dei 111 milioni di aventi diritto si recherà a votare negli oltre 95 mila seggi elettorali del Paese. Sul fronte dell’opposizione resta un quadro politico frantumato: gli unici dati in crescita sono i liberaldemocratici del nazionalista Vladimir Zhirinovski. Parnas e Iabloko, che contestano da sempre la presidenza, potrebbero restare al di sotto della soglia di sbarramento del 5%. E per la prima volta parteciperanno alle elezioni russe anche i cittadini della Crimea, la penisola sul Mar Nero annessa dalla Russia nel 2014 a seguito della guerra nell’Est dell’Ucraina. Gli Stati Uniti hanno fatto già sapere che non riconosceranno la legittimità e il risultato delle consultazioni per la Duma russa programmate in tale territorio. Sulla tornata elettorale, Marco Guerra ha intervistato Danilo Elia dell’Osservatorio Balcani e Caucaso: 

R. – Sicuramente nessuna sorpresa: questo è ormai pacifico. Chi si aspetta un risultato elettorale di interesse, rimarrà deluso. Sarà comunque interessante vederne lo sviluppo da un altro punto di vista, cioè non proprio da quello del risultato, che sicuramente confermerà a larghissima maggioranza il partito “Russia Unita” del presidente, ma più che altro per vedere proprio lo stato di funzionamento della macchina del Cremlino in relazione alla gestione delle elezioni. Un dato in particolare: quello dell’affluenza. E’ forse il più interessante. Infatti, queste elezioni sono state anticipate: erano inizialmente previste per dicembre, sono state anticipate a settembre; per molti osservatori è stata una mossa che tenta di fare abbassare l’affluenza degli elettori. Una bassa affluenza può comportare soltanto un maggior risultato per il partito di Putin.

D. – Quali gli schieramenti in campo e i temi della campagna elettorale? Oltre a “Russia Unita”, c’è qualche altro partito che è significativo sulla scena politica russa?

R. – L’unico partito che ha un minimo di ruolo politico di opposizione è probabilmente il partito Iabloko. Il dato interessante è - e spesso viene sottovalutato - che a queste elezioni partecipano molti partiti. Secondo diversi osservatori, questa è una strategia voluta per diluire proprio il voto di protesta: cioè questo 15-20% si diluisce tra una quindicina di partiti e nessuno riesce ad arrivare anche soltanto alla soglia di sbarramento. Ecco perché il dato dell’affluenza può essere significativo: perché con un elettorato tipicamente apatico, come quello russo, sicuramente gli elettori che supportano Putin e il suo partito andranno a votare; saranno invece più o meno motivati - dalla crisi, dalla condizione economica, dal malcontento per la corruzione - gli elettori delle opposizioni. Quindi, più alto sarà il dato di affluenza, più noi potremo interpretarlo come un segnale contrario al Cremlino. Fermo restando che il risultato elettorale vero e proprio non desterà sicuramente sorprese.

D. – Si vota anche in Crimea, il territorio annesso dalla Russia due anni fa. Che cosa significa questo voto in Crimea? Gli Stati Uniti hanno già detto che non verrà riconosciuto …

R. – Sì, infatti: è la prima volta che gli abitanti della Crimea, con il passaporto russo nuovo, votano in elezioni della Federazione Russa. Ma la sovranità russa non è riconosciuta da quasi nessun Paese della comunità internazionale; dal punto di vista della comunità internazionale è un’elezione non valida. Bisogna vedere come essa e come gli osservatori - per esempio - affronteranno la questione. Riconosceranno o non riconosceranno questo voto?

D. – Quali sfide si aprono in Russia dopo queste elezioni? Quali sono le emergenze che deve affrontare il Paese?

R. – Al momento, l’emergenza principale è la crisi economico-finanziaria dovuta ai bassi prezzi delle materie prime, di cui la Russia è grandissima esportatrice, e anche alle sanzioni occidentali, per quanto potranno durare: sanzioni decise per la crisi ucraina. Ma c’è anche un altro aspetto che sta emergendo sempre di più e potrebbe svolgere un ruolo in queste elezioni: la sempre più maldigerita corruzione dell’establishment russo che, appunto, i cittadini russi sempre più difficilmente riescono a mandare giù, in un momento di grossa crisi economica in cui gli stipendi medi si vanno erodendo sempre di più, la classe media che timidamente era emersa nell’ultimo decennio, nell’ultimo quindicennio, comincia ad impoverirsi sempre di più. Quindi, questi sono i fattori che possono mettere maggiormente in difficoltà la leadership di Putin.

D. – Ma la popolarità di Putin comunque non è cambiata?

R. – Direi che la popolarità del presidente è sempre stratosferica: gode di un fortissimo supporto popolare, le voci dissonanti sono poche, sono isolate, sono poco influenti e hanno – appunto – scarsa presa su una popolazione che non si è mai granché appassionata alla politica e comunque ama una figura di leader che Putin incarna perfettamente.

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Elezioni a Berlino: la Merkel verso una nuova sconfitta

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Questa domenica si svolgono le elezioni per il rinnovo del Parlamento del Land di Berlino, in una fase d’instabilità e incertezza per la politica tedesca. I grandi partiti tradizionali, la Cdu di centro-destra e la Spd di centro-sinistra, sono in calo di consensi mentre sono in crescita la sinistra radicale, il partito della Linke e quello della destra, l’Afd. Andrea Walton ne ha parlato con Christian Blasberg, professore di Contemporary History presso la Luiss Guido Carli, iniziando dalla possibile performance del partito della cancelliera Merkel, la Cdu: 

R. – Si è visto già nelle precedenti elezioni nelle altre Regioni che la Cdu è in un trend molto negativo in questo momento. C’è chi pensa quindi che la Cdu arriverà al 18 percento circa e potrebbe addirittura finire dietro il Partito dei Verdi, i quali, in alcuni sondaggi, sono quotati ancora più in alto della Cdu. Quindi queste elezioni saranno sicuramente un’altra delusione per la cancelliera Merkel.

D. – Quale risultato potrebbe emergere dalle urne?

R. – La cosa interessante è che tutti i grandi partiti, oltre a quelli tradizionali, sono in perdita. Anche la Spd, che ha guidato il governo del Land di Berlino, è quotata in diminuzione. Quindi sono in una crisi generale. Quando si fa un calcolo sulle possibili coalizioni di governo che potrebbero farsi a Berlino, bisogna probabilmente arrivare ad una coalizione a tre partiti: magari Cdu e Spd insieme, che negli ultimi anni hanno già governato insieme, e che però devono trovarsi addirittura un terzo partner, cosa che non è mai accaduta da nessuna parte in Germania. Si parla dei Verdi o dei Liberali, oppure anche di un governo tra la Spd, i Verdi e il Partito della Linke, cioè la Sinistra post-comunista.

D. – Secondo lei, al netto di un risultato positivo nelle elezioni, fin dove può spingersi l’Afd, il nuovo partito di destra radicale tedesco?

R. – Sicuramente rimane un partito di opposizione. Il problema in Germania è come trattare l’Afd: l’Afd è un fenomeno abbastanza recente, degli ultimi due anni: i grandi successi sono cominciati l’anno scorso con la crisi migratoria. Sicuramente, qualcuno parlava del fatto che un partito del genere avrebbe dovuto partecipare alla responsabilità di governo, ossia che bisognasse includerlo in qualche governo. Questo ovviamente è un passo – quello di includere l’Afd nel governo – che i grandi partiti non vogliono fare, però si comincia a parlarne. Quindi se l’Afd si stabilizza ulteriormente, forse il prossimo anno o in quelli a venire potrebbe anche essere un elemento che, per togliere un po’ il peso di protesta e di opposizione, e per radunare tutti gli scontenti della politica, potrebbe essere incluso in qualche governo.

D. – Quali potrebbero essere le ripercussioni a livello nazionale del voto locale di Berlino?

R. – A livello nazionale, continuano sicuramente le discussioni che vediamo già da alcuni mesi. Certamente la prima scossa è stata quella del marzo scorso, quando la politica sulla migrazione è stata sconfessata dagli elettori in diverse Regioni. Da allora, si vede questo trend al ribasso della Cdu - la crisi della Cdu - e anche di quello che potremmo chiamare come il suo “partito-sorella”: la Csu in Baviera. Di sicuro questa crisi continuerà e si continua a discutere. Bisogna vedere poi il settembre prossimo, quando ci saranno le elezioni federali. Tutto quello che succede in questo momento è visto come una indicazione di quello che potrebbe succedere di qui fino alle elezioni. Si parla anche addirittura della successione della cancelliera Merkel, che non è più la leader indiscussa del suo partito; ma sono stati fatti alcuni nomi per una possibile successione. Si discute sulla possibilità che non si ripresenti alle elezioni del 2017 oppure, nel caso in cui la crisi si aggravi ulteriormente, sul fatto che potrebbe dare le dimissioni anche prima. Quindi sono cose che non vedevamo da tanto tempo in Germania. È un’elezione che a prima vista sembra piccola - in un Land che non è il più grande, quello di Berlino – e che alla fine potrebbe comportare tutta una serie di conseguenze a livelli anche molto più alti.

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Oxfam: i conflitti armati sono il maggior ostacolo allo sviluppo

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In vista dell’imminente Assemblea generale dell’Onu, in programma a New York il 19 e 20 settembre, sulla “crisi globale dei rifugiati“, vari organismi internazionali (tra cui Acnur, Banca mondiale, Ifad) hanno presentato i loro “rapporti”, in particolare sulle migrazioni forzate: 65 milioni di sfollati e rifugiati interni e 20 milioni di profughi all’estero. Guerre e conflitti sono la prima causa di questa crisi globale. Elisa Bacciotti, direttrice di Oxfam Italia, commenta questa grave situazione umanitaria al microfono di Marcello Storgato: 

R. – Abbiamo analizzato una realtà molto triste: quella della situazione che si trovano ad affrontare milioni di rifugiati ogni anno. Quattro milioni di persone in fuga da un conflitto, che hanno trovato la possibilità di fuga in un Paese che però è colpito da un altro conflitto: sono i dati che devono farci riflettere. Chiediamo un’azione tempestiva e risolutiva per dare a queste persone una speranza e arrivare in un contesto migliore.

D. – L’Ifad, alcuni giorni fa, ha rivolto un appello ai governi affinché si punti sullo sviluppo delle zone rurali e della produzione agricola, per risolvere i problemi della povertà e della fame nel mondo. Ma i conflitti non sono un grande ostacolo?

R. – Sicuramente lo sono ed è per questo che anche i governi e le istituzioni internazionali devono fare uno sforzo per risolvere le cause che inducono queste persone a mettersi sulla via di fuga per conflitti, guerre e altre violenze, in maniera parallela o anche in maniera preventiva rispetto alla necessità di investire appunto nello sviluppo rurale e nella lotta alla fame. Di fatto, noi chiediamo ai governi del mondo di risolvere davvero le cause-chiave che hanno a che fare con la necessità di arrivare a finalizzare processi di pace nelle maggiori crisi che oggi coinvolgono il nostro mondo, nelle cause che oggi spingono molte persone a fuggire. Quindi, chiediamo un impegno ai governi nell’investire in processi di pace che poi rafforzino le istituzioni nazionali e locali di questi Paesi; nel momento in cui queste istituzioni siano effettivamente rafforzate, si può anche lavorare a un investimento in termini di sviluppo rurale e di lotta alla povertà rurale. Un investimento deve partire dai bisogni e dalle esigenze dei piccoli contadini e dei piccoli allevatori e coltivatori, che sono le persone che oggi sfamano il pianeta ma che sono le prime a soffrire la fame.

D. – Abbiamo esperienza, per esempio nel Kivu, di tante famiglie che seminano e coltivano il loro campo, ma poi devono scappare perché arriva un conflitto o un’occupazione …

R. – Esatto. E’ per questo che il problema va affrontato da due parti: da un lato, il tema di finanziamenti e aiuti della comunità internazionale, delle agenzie internazionali che devono però essere spesi nel modo giusto; ma questo non è possibile da solo: occorre anche un investimento in quella che si potrebbe chiamare good governance e ancora prima un investimento nei processi di risoluzione di pace, un investimento che non è finanziario: è politico, della comunità internazionale, di andare a risolvere delle crisi. Non è impossibile: basta volerlo e basta investirci un certo tipo di capitale e di sforzo.

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Oggi colletta della Cei per le popolazioni colpite dal sisma

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Oggi, in tutte le chiese italiane, si tiene la colletta nazionale promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana per aiutare le comunità delle diocesi del centro Italia colpite dal terremoto la notte del 24 agosto. Ascoltiamo il commento del vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, raccolto da Marina Tomarro

R. – E’ un modo per dare continuità a quel grande coinvolgimento emotivo che, all’indomani del 24 agosto, ha attraversato tutta la penisola e che richiede però adesso una capacità di progettazione e di risorse che deve essere altrettanto esplicita. La colletta, che fa seguito a tante forme di aiuti che sono qui pervenute da ogni parte d’Italia, è un'ulteriore forma per dare concretezza a questo desiderio di guardare avanti e naturalmente, siccome la ricostruzione è un processo di lungo periodo, perché nessuno è così ingenuo da pensare che si possano in un attimo garantire risorse più che sufficienti, che è la condizione per poter guardare avanti con un po’ più di serenità. Questa della colletta è anche un modo per esprimere la condivisione del dramma dei terremotati che non può essere circoscritto al cratere del sisma, ma coinvolge tutto il nostro Paese perché la comunicazione pubblica ci ha resi tutti partecipi di questo dramma che purtroppo continua ad affliggere tante persone che sono state private dei loro affetti più cari, che hanno visto sbriciolarsi tutto ciò che avevano costruito in un’intera esistenza.

D. – Attualmente, qual è la situazione?

R. – La situazione attualmente è quella del passaggio dalle tende a una situazione che per alcuni mesi sarà presso residence o case prese in affitto per consentire alla Protezione Civile di approntare le necessarie premesse in vista dei moduli prefabbricati. E quindi diciamo che le tendopoli stanno progressivamente spopolandosi e in questo momento si sta cercando di individuare tutte le possibili soluzioni alternative alla tenda, sia – appunto – in residence della Riviera Adriatica o anche nell’entroterra reatino o attraverso case prese in affitto nelle zone limitrofe.

D. – Da qualche giorno è ripresa anche la scuola: in qualche modo può essere anche un aiuto per un ritorno verso la vita normale?

R. – La scuola era un test importante, perché dal numero degli alunni iscritti realmente si sarebbe capito anche il numero delle famiglie rimaste in loco, che sono circa 178. I bambini, gli adolescenti e i giovani delle varie fasce scolastiche – materna, elementare, media e liceo scientifico – rappresentano un numero significativo per queste zone a densità piuttosto bassa, dal punto di vista della popolazione. E, comunque, la grande realizzazione della scuola e anche di tutte le necessarie convergenze che si sono stabilite tra le istituzioni culturali, scolastiche e anche politiche creano le premesse per una ripresa della vita quotidiana e credo che questo sia soprattutto un grande invito alla speranza: se i bambini e i ragazzi ricominciano a crescere e a imparare, c’è speranza un po’ anche per tutto il resto.

D. – Lei ha la possibilità di parlare con queste persone: come stanno vivendo adesso?

R. – Intanto c’è un trauma che non è affatto superato, che è quello per cui tutti quelli che hanno vissuto quegli interminabili secondi vivono con un retro-pensiero che si fa strada ogniqualvolta si ripresenta, con lo sciame sismico, qualche situazione che lo richiami. C’è un dato psicologico che non va dato per superato: si fa fatica a prendere sonno anche se si sta sotto le tende, e questo anche per il persistere di queste scosse che sono state a tutt’oggi infinite. Poi c’è il lutto delle persone che hanno visto distrutta la propria famiglia e quindi occorre, secondo me, aiutare le persone a sanare questa ferita e questo non è un processo che va dato per scontato. E infine c’è la necessità di avere degli spazi comuni che possano in qualche modo ricreare quella dimensione comunitaria che era tipica di centri così piccoli e che adesso invece occorre ricreare.

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Al Congresso eucaristico, il pellegrinaggio nazionale delle famiglie

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Si è tenuto ieri a Genova il nono Pellegrinaggio nazionale delle famiglie per la famiglia, nell’ambito del XXVI Congresso Eucaristico Nazionale. Il tema di quest’anno: “Famiglia ed Eucaristia, sacramenti d’amore per il mondo”. Una particolare attenzione è stata rivolta all’accoglienza delle famiglie colpite dal terremoto del Centro-Italia, presenti per dare la loro testimonianza. Maria Carnevali ha intervistato Salvatore Martinez, presidente Nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo, movimento che ha promosso l’evento: 

R. – Siamo giunti alla IX edizione del Pellegrinaggio nazionale delle famiglie per la famiglia, che sorge all’indomani del “Family Day”: era il 2007. Sono centinaia e centinaia di famiglie che ci hanno raggiunto da tutta Italia, quest’anno a Genova in occasione del Congresso Eucaristico, in collaborazione con il Forum delle associazioni familiari e l’Ufficio nazionale di pastorale della famiglia, per ridire la bellezza del matrimonio cristiano. Quest’anno del Sacramento del matrimonio alla luce dell’Eucaristia: Eucaristia e matrimonio sono entrambi ostensione e incarnazione dell’amore di Dio. E dunque siamo particolarmente felici di aver voluto sottolineare la gioia di essere famiglie cristiane all’interno di questo importante evento, che è il Congresso Eucaristico Nazionale.

D. – Il pellegrinaggio delle famiglie si inserisce nell’Anno Giubilare della Misericordia: come nella famiglia si può leggere la preziosità della misericordia di Dio e come i genitori possono trasmettere la consapevolezza di tale amore anche ai figli?

R. – Papa Francesco ci invita a dare corso alle opere della misericordia: la misericordia, come l’amore, deve essere in atto, non può essere un concetto filosofico o un sentimento. E credo che per educare i figli, e trasmettere la fede in famiglia, sia fondamentale quest’anno ribadire il valore delle opere di misericordia spirituale; perché è proprio in casa che si annidano i dubbi, le ignoranze, i peccati, le afflizioni, le offese, le impazienze, e soprattutto la mancanza di preghiera. Chi impara a pregare sa anche parlare: sa parlare di Dio agli uomini e sa parlare agli uomini di Dio. L’arte della preghiera non è soltanto l’arte del dialogo, ma è anche l’arte dell’attesa, direbbe Papa Francesco: della “negoziazione”; insomma, ci mette in relazione. Le famiglie sono spesso – purtroppo – scuole di solitudine oggi piuttosto che di educazione alla vita. Dunque ripartire dalle opere di misericordia può essere l’antidoto a tanti mali del nostro tempo.

D. – Il tema è “Famiglia ed Eucaristia”: come possiamo leggerlo alla luce del Sinodo sulla Famiglia e dell’Esortazione apostolica del Santo Padre “Amoris laetitia”?

R. – Papa Francesco intanto apprezza i gesti e chiede che siano promossi, come questo appartenente all’espressione della pietà popolare. Un pellegrinaggio è un tesoro di spiritualità per molte famiglie, perché mette in relazione, proprio in chiave intergenerazionale, nonni, genitori e figli, e trova nella preghiera una speciale forma di unità e di trasmissione della fede. Ma Papa Francesco, in “Amoris laetitia” n. 86, sottolinea anche l’indissolubilità del matrimonio e la fedeltà che gli sposi devono riscoprire. Guardando all’Eucaristia, tutto questo appare ancora più facile: l’Eucaristia è l’espressione di una parola data, di un amore dato e mai ritirato, di un amore offerto ogni oltre limite. E dunque la famiglia guarda a questa scuola che è l’Eucaristia, e con l’Eucaristia diventa l’ostensione di questo amore. In fondo, la fragilità di una coppia e di una famiglia è nella stessa fragilità del pane che si spezza e che deve essere consumato, perché altrimenti diventa come una pietra e viene scartato. L’amore di Dio viene oggi ampiamente scartato nella misura in cui non se ne fa esperienza. La famiglia è il luogo nativo dell’amore ed è il luogo che più di chiunque altro ci dice la verità e l’attualità dell’Eucaristia.

D. – Si parla di “Sacramenti di amore per il mondo”: quale testimonianza la famiglia è chiamata a dare nella società concretamente?

R. – Abbiamo ascoltato tre testimonianze per dire in quanti modi le famiglie concorrono al bene comune, al bene dell’umanità. Una coppia ha testimoniato il valore della vita: quindi l’apertura alla vita nell’esperienza dell’affido di più figli, affidati e poi adottati. Un’altra famiglia ha parlato del valore della grazia nella famiglia, quando tutto sembra crollare con la morte prematura di un figlio e i tumori che si accaniscono tanto sullo sposo quanto sulla sposa. E poi una famiglia terremotata: una signora che ha perduto il marito, il figlio, il padre, la madre, il cognato e le case, e che conserva la consolazione dello Spirito; e dunque ha mostrato che cosa può fare la fede e l’apertura alla grazia. Ecco, se queste famiglie si muovono verso il mondo, allora davvero diventano la rappresentazione più eloquente e convincente dell’amore di Dio.

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Nella Chiesa e nel mondo



Congresso eucaristico. Bagnasco: famiglia, scuola accogliente di vita

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“A voi, famiglie, che siete Chiesa domestica e scuola accogliente di vita in tutte le sue fasi, giunga la nostra voce di ammirata riconoscenza. Lasciatevi incontrare dal Signore e custodite la Sua amicizia: una famiglia che prega non potrà mai essere semplicemente disperata né cadere totalmente in preda alla discordia”. Così il cardinale Angelo Bagnasco, inviato speciale del Santo Padre Francesco e presidente della Conferenza episcopale italiana, nell’omelia pronunciata oggi alla Messa conclusiva del XXVI Congresso Eucaristico Nazionale a Genova. Il porporato ha salutato i partecipanti al IX Pellegrinaggio nazionale delle famiglie per le famiglie sul tema “Famiglia ed Eucaristia, sacramenti d’amore per il mondo”, che si è svolto nell’ambito del Congresso stesso.

“L’Eucaristia sorgente della missione”
“La forza del pane eucaristico - ha proseguito - ci congeda con un preciso mandato missionario: l’Eucaristia è la sorgente della missione”. Un saluto e un incoraggiamento speciale anche ai giovani: “Non scoraggiatevi mai, l’umanità ha bisogno di voi, di giovani svegli, desiderosi di rispondere al sogno di Dio e a tutte le aspirazioni del cuore”. Un pensiero, poi, pure ai “diseredati della vita” affinché camminino insieme. Quindi un’espressione di gratitudine a consacrati e claustrali, “le sentinelle vigilanti nel crepuscolo”, a sacerdoti e diaconi “in mezzo al nostro popolo ogni giorno”. In chiusura, anche una parola al Paese e ai suoi governanti, nei confronti dei quali la comunità ecclesiale tutta si sente sinceramente vicina e disponibile all’incontro.

“Dio non si arrende davanti alla storia infranta degli uomini”
“Genova è lieta e onorata di ospitare il Congresso”, ha detto il cardinale Bagnasco, stavolta nelle vesti di arcivescovo del capoluogo ligure, ringraziando quanti si sono adoperati per l’organizzazione dell’evento. L’Eucaristia - ha proseguito - è un dono, capace di saziare la fame dell’anima che spinge la folla a seguire Gesù e le sue parole “di vita eterna” , che svelano e portano a compimento il mistero dell’esistenza. Ma l'Eucaristia è anche un dono totale di sé, là dove le parole non bastano più, ma si fanno carne e sangue, pane che nutre di grazia. Questo il cuore dell’omelia del porporato che ha spiegato come l’ingresso di Dio nella storia le dia una nuova direzione. “Mangiare questo Pane - ha aggiunto - significa aprirsi a Colui che è così grande da farsi tanto piccolo”. Ha poi ricordato come la gente di Cafarnao aveva chiesto al Signore di donare loro sempre questo pane, il “nostro” pane quotidiano: è così che l’Eucaristia ci pone nel “noi” della Chiesa, comunità di fratelli che invocano il pane dell’anima per saper spezzare anche il pane materiale della giustizia e della pace. La carità rivela che in essa "abbiamo incontrato il Signore e non noi stessi, che abbiamo adorato Dio e non il nostro io - ha detto ancora il cardinale Bagnasco - e le opere di Misericordia, tanto raccomandate dal Papa in questo Anno Santo, sono infatti opere eucaristiche”. Il presidente dei vescovi italiani ha quindi ricordato il gesto di concreta solidarietà con le popolazioni terremotate del centro Italia che i presuli hanno voluto far coincidere proprio con questa domenica di conclusione del Congresso. (A cura di Roberta Barbi)

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Centrafrica. Attacchi di miliziani Seleka nel nord, 20 morti

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Centrafrica. Almeno 20 persone sono state uccise e diverse sono state ferite da uomini armati della ribellione Seleka che hanno sparato a bordo di auto all’indirizzo della popolazione inerme in alcune località nell'area di Kaga Bandoro, nella parte settentrionale del Paese. A riferire l’accaduto sono fonti della polizia locale.

Numerosi gli attacchi dei ribelli
Secondo quanto si è appreso, sarebbero stati diversi gli attacchi perpetrati da venerdì scorso da elementi appartenuti all’organizzazione ribelle Seleka nei villaggi intorno a Kaga Bandoro, provocando paura tra gli abitanti che sono fuggiti nella boscaglia. (R.B.)

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Usa: esplosione a New York, 29 feriti. “Non è terrorismo”

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È di 29 feriti, tra cui uno in gravi condizioni ma non in pericolo di vita, il bilancio di una forte esplosione avvenuta ieri sera alle 20.30 ora locale a New York, nel quartiere di Chelsea, sulla 23.ma strada. L’ordigno sarebbe stato posizionato all’interno di un cassonetto. Dei feriti, 23 sono ancora trattenuti in ospedale, mentre 6 sono già stati dimessi. Si è trattato di “un atto intenzionale, ma per il momento non ci sono prove di connessione con il terrorismo”, ha detto il sindaco della città statunitense, Bill de Blasio, che ha aggiunto: “I newyorchesi non si faranno intimidire, non consentiremo a nessuno di cambiare chi siamo e come viviamo”.

Allarme per un pacco sospetto a 5 isolati di distanza
Anche il presidente Obama, che proprio domani è atteso nella Grande Mela per l’Assemblea Generale dell’Onu, è stato informato dei fatti, riferisce il suo staff. È cessato, inoltre, dopo pochi minuti, l’allarme che era stato diramato in merito a un pacco sospetto trovato a cinque isolati di distanza dal luogo dell’esplosione: si trattava di una semplice ventiquattr’ore dimenticata.

Una bomba esplosa anche nel New Jersey
Ieri in mattinata, inoltre, una bomba rudimentale è esplosa nel New Jersey, dove doveva essere corsa una maratona del corpo dei marines, immediatamente annullata. Non sembra ci siano legami tra i due fatti, mentre l’esplosione di stanotte a Manhattan ha un punto in comune con l’attentato alla maratona di Boston del 15 aprile 2013: in entrambi i casi, infatti, gli ordigni erano stati piazzati in pentole a pressione. Quello di stanotte, infine, è il terzo attentato negli Stati Uniti in meno di un anno dopo la strage di San Bernardino a dicembre e la sparatoria in un locale a Orlando nel giugno scorso.

Ieri pomeriggio a Parigi un falso allarme terroristico in chiesa
E anche a Parigi, in Francia, ieri è tornato per qualche ora l’incubo terrorismo a causa di un falso allarme in un quartiere centrale del primo arrondissement, non lontano dal Centre Pompidou. Poco prima delle 16 è arrivata una telefonata alla polizia che avvertiva della presenza nella chiesa di Saint-Leu-Saint Gille di una decina di uomini vestiti di nero e armati di kalashnikov che avrebbero preso in ostaggio i fedeli. Immediato l’intervento di un centinaio di uomini delle forze dell’ordine che in poco tempo hanno ristabilito la calma. (R.B.)

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Elezioni Usa. Trump sfida Clinton sul tema delle armi

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Continua a crescere il clima di tensione che avvolge le prossime elezioni americane, con i due candidati che si sferrano colpi a distanza. Il repubblicano Donald Trump, nel corso di un comizio a Miami, in Florida, ha chiesto provocatoriamente che gli agenti della scorta della rivale fossero privati delle loro armi, in riferimento a uno dei punti di forza del programma della democratica Hillary Clinton, che vorrebbe un controllo più rigido sulla vendita e sul porto delle armi stesse.

“Trump inneggia alla violenza”
“Trump incita la gente alla violenza - è stato il commento del campaign manager della Clinton, Robby Mook - sia che lo faccia per provocare i manifestanti o anche solo per gioco: è un cosa inaccettabile per uno che vuole diventare presidente”. Una delle ultime dichiarazioni di Trump che avevano suscitato polemiche, inoltre, riguardava i natali americani del presidente Obama. “Signor presidente, non solo sappiamo che tu sei un americano, ma sei un grande americano”, ha detto in sua difesa Hillary Clinton durante un gala di beneficenza a New York.

Clinton cerca voti in Virginia e Ohio
Sul fronte dei sondaggi, Hillary Clinton corre ai ripari là dove sta perdendo terreno: dopo l’intervento di Michelle Obama in Virginia, tocca ora alla senatrice Warren e all’ex rivale Sanders giocare per lei la partita per conquistare il voto dei giovani dell’Ohio, mentre Trump promette di smantellare il disgelo con Cuba se il governo di Castro non libererà i prigionieri politici. (R.B.)

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India. Attacco a base militare nel Kashmir, 17 morti

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È di 17 soldati morti e 12 rimasti gravemente feriti, il bilancio di un attacco avvenuto nella notte nella base di fanteria Uri nel distretto di Baramulla, a un centinaio di km dalla città di Sringar, nello Stato di Jammu & Kashmir, in India. Il commando di quattro uomini armati, tutti uccisi nello scontro a fuoco che ne è seguito, si sarebbero infiltrati dal vicino Pakistan. Secondo quanto si è appreso, nella base si trovava un numero straordinario di militari impegnati in un turn over, tanto che molti stavano dormendo in tende che si sono incendiate a causa del lancio di bombe a mano.

La reazione del governo federale indiano
Dura la reazione del governo federale indiano: “Un codardo attacco terroristico che non resterà impunito”, lo ha definito il primo ministro Narendra Modi, parlando di uno degli attentati più cruenti mai condotti contro l’esercito indiano. Il ministro dell’Interno Singh, che ha rinviato all’ultimo minuto un viaggio all’estero a causa dell’accaduto, ha puntato il dito contro il Pakistan: “È uno Stato terrorista e come tale dovrebbe essere identificato e condannato”, ha detto.

Il Kashmir, luogo di contrasti e divisioni
La regione del Kashmir, dove sono avvenuti i fatti, è divisa tra India e Pakistan fin dai tempi dell’indipendenza dei due Paesi, nel 1947, e da allora è spesso teatro di scontri fra gruppi indipendentisti ribelli vicini a Islamabad e forze militari indiane. (R.B.)

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Francia. Ricoverato Chirac per infezione polmonare

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L’ex presidente francese Jacques Chirac è stato ricoverato oggi per un’infezione polmonare in un ospedale di Parigi, dove resterà, stando a quanto riferito dai suoi familiari, per i prossimi giorni. Chirac era appena tornato dal Marocco, dove si trovava con la famiglia. L’ex presidente francese era stato colpito da un ictus del 2005 e, dopo aver lasciato l’Eliseo nel 2007, era stato ricoverato più volte per controlli, l’ultimo dei quali nel dicembre dell’anno scorso, per due settimane. (R.B.)

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Egitto pronto a perseguire assassino di Regeni

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L’Egitto sarebbe pronto a incriminare un alto funzionario di polizia per le torture e l’uccisione del ricercatore italiano Giulio Regeni, secondo quanto riportato in questi giorni da alcuni media locali che citano fonti interne alla polizia. L’intento del governo egiziano – stando alla stampa – sarebbe portare in tribunale un ufficiale coinvolto, in modo da chiudere definitivamente questo caso che ha risvolti diplomatici importanti.

Molti leader mondiali hanno rifiutato di incontrare al-Sisi al G20
Alla base della decisione del Cairo, infatti, sta probabilmente il rifiuto di alcuni leader mondiali di incontrare il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi durante il recente vertice del G20 in Cina proprio a causa della morte del ricercatore friulano, in circostanze ancora tutte da chiarire, avvenuta tra il gennaio e il febbraio scorso. In particolare, a margine della riunione, la cancelliera tedesca Merkel avrebbe suggerito ad al-Sisi di rivelare il prima possibile la verità sul killer di Regeni in modo da ripristinare le normali relazioni tra Egitto ed Europa. (R.B.)   

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 262

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.