Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 17/09/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa ai nunzi: costruire ponti in un mondo che ha paura

◊  

Aprire porte, costruire ponti, tessere legami, promuovere unità, essere uomini di preghiera, senza cedere alla logica della burocrazia. Questo l’invito rivolto dal Papa stamani in Sala Clementina ai partecipanti all’incontro dei rappresentanti pontifici, riuniti in Vaticano per la celebrazione del Giubileo. “Il mondo ha tanta paura e la diffonde” costruendo spesso muri e fossati – ha detto Francesco nel suo discorso – ma “la paura abita l’oscurità del passato ed è provvisoria”, “il futuro appartiene alla luce, appartiene a Cristo”. Il servizio di Paolo Ondarza

Servire come umili inviati
Chiamati a servire con sacrificio come umili inviati e ad accompagnare con cuore di pastori i popoli nei quali è presente la Chiesa. Questo il mandato dei nunzi secondo Francesco che chiede loro di portare la carità premurosa del Papa nel Paese e nella Chiesa che si è chiamati a servire, pronti a sorreggere, prima che correggere, a fare il primo passo per la riconciliazione in spirito di vicinanza, disponibilità e fraternità, senza puntare il dito su chi la pensa diversamente:

Il pensiero ai cristiani perseguitati
Il Santo Padre avverte: la minaccia del lupo è sempre attuale: rimozione della verità, ostilità culturale inspiegabile, persecuzione:

“Penso ai cristiani in Oriente, verso i quali il violento assedio sembra mirare, con il silenzio complice di tanti, alla loro eradicazione”.

Francesco chiede ai nunzi di non cedere alla tentazione di piangersi addosso di fare le vittime di chi ci critica, non indugiare in un clima di assedio:

“Spendete le vostre migliori energie per far risuonare ancora nell’anima delle Chiese che servite la gioia e la potenza della beatitudine proclamata da Gesù”.

Non sposare politiche o ideologie, non sottomettersi al potere del mondo che passa
Nell’ingente compito di garantire la libertà della Chiesa di fronte ad ogni forma di potere che voglia far tacere la verità, il Papa esorta i nunzi a non illudersi che tale libertà sia solo frutto di intese e negoziati diplomatici. La Chiesa sarà libera solo se le sue istituzioni potranno operare per annunciare il Vangelo a tutti "senza paura" e se si manifesterà come vero segno di contraddizione rispetto alle mode ricorrenti che spesso contagiano anche Pastori e gregge:

“Ricordatevi che rappresentate Pietro, roccia che sopravvive allo straripare delle ideologie, alla riduzione della Parola alla sola convenienza, alla sottomissione ai poteri di questo mondo che passa. Dunque, non sposate linee politiche o battaglie ideologiche, perché la permanenza della Chiesa non poggia sul consenso dei salotti o delle piazze, ma sulla fedeltà al suo Signore che, diversamente dalle volpi e dagli uccelli, non ha tana né nido per poggiare il proprio capo”.

Superare logica burocrazia, i vescovi siano pastori e non principi
Forte l’invito a superare la logica della burocrazia e a farsi voce degli ultimi e degli emarginati, espressione della "Chiesa in uscita" e "ospedale da campo". La nunziatura – è la raccomandazione - non sia “rifugio degli amici”, ma Casa del Papa. Particolare attenzione Francesco raccomanda nella selezione dei futuri vescovi perché siano testimoni del Risorto, pastori e non principi:

“Bisogna smuoversi per cercarli. Girare per i campi con il cuore di Dio e non con qualche prefissato profilo di cacciatori di teste. Bisogna lanciare le reti al largo. Non ci si può accontentare di pescare negli acquari, nella riserva o nell’allevamento degli amici degli amici”.

Misericordia è cifra della missione diplomatica
Infine il Papa ricorda che anche la diplomazia pontificia non può essere estranea all’urgenza di rendere palpabile la misericordia in un mondo ferito. "Nessuna situazione è impermeabile al potere della bontà di Dio”. Niente e nessuno è perduto o irrecuperabile:

“Sono convinto che le persone siano ancora abbordabili. Sussiste nell’uomo lo spazio interiore dove la voce di Dio può risuonare. Dialogate con chiarezza e non abbiate paura che la misericordia possa confondere o sminuire la bellezza e la forza della verità. La verità si compie in pienezza solo nella misericordia. E siate sicuri che la parola ultima della storia e della vita non è il conflitto ma l’unità, alla quale anela il cuore di ogni uomo”.

inizio pagina

Francesco: nunzi siano “uomini in uscita”, in dialogo con il mondo

◊  

Uscire da se stessi per annunciare il Vangelo in ogni angolo del mondo. E’ l’esortazione che Papa Francesco ha rivolto ai nunzi apostolici che, stamani, hanno partecipato alla Messa mattutina a Casa Santa Marta, in occasione del Giubileo. Il Pontefice ha ringraziato i nunzi per la loro disponibilità a ricominciare il loro impegno in un Paese diverso con gioia ed entusiasmo. Il servizio di Alessandro Gisotti

Francesco ha preso spunto dalla parabola del Seminatore per soffermarsi su come i nunzi apostolici seminino la Buona Notizia in ogni parte del mondo. Il Papa ha riconosciuto che spesso la vita dei nunzi è una “vita da zingari” per i loro continui spostamenti:

"Quando si è imparata bene la lingua, uno squillo da Roma e … 'Ah, senti, come stai?' – 'Bene …' – 'Tu sai, il Santo Padre, che ti vuole tanto bene … ha pensato …' – perché queste chiamate, queste telefonate si fanno con zucchero, no? – '… ha pensato a te per questo …'. E fare le valigie, e andare in un altro posto, lasciare amici, lasciare abitudini, lasciare tante cose che uno ha fatto … Uscire da se stesso, uscire da quel posto per andare in un altro. E lì, incominciare'".

"Quando si arriva in un nuovo Paese - ha proseguito Francesco - il nunzio deve compiere un’altra “uscita”: “uscire da se stesso per conoscere, il dialogo, per studiare la cultura, il modo di pensare”.

Seminare la Parola di Dio senza farsi prendere dalla mondanità
Anche, ha detto scherzando, “uscire da se stesso per andare ai ricevimenti, tante volte noiosi”, ma anche “lì si semina”, “il seme è sempre buono, il chicco è buono”. Qualcuno, ha osservato, può pensare che sia un lavoro “troppo funzionale, un lavoro amministrativo pure” che potrebbero fare i laici:

“L’altro giorno, parlando su questo argomento, ho sentito il Segretario di Stato che diceva: “Ma, guardate, nei ricevimenti tanti che sembrano superficiali cercano ‘il colletto’”. E tutti voi, sapete bene che cosa avete fatto in tante anime. In quella mondanità, ma senza prendere la mondanità, ma prendere le persone come sono, sentirle, dialogare … questa è anche una uscita da se stesso del nunzio, per capire la gente, dialogare … E’ croce”.

Gesù, ha soggiunto, “dice che noi, il seminatore semina il chicco, semina il grano e poi si riposa perché è Dio che lo fa germogliare e crescere”. E anche il nunzio, ha affermato, “deve uscire da se stesso verso il Signore che fa crescere, che fa germogliare il seme; e deve uscire da se stesso davanti al tabernacolo, nella preghiera, nella adorazione”.

Ricominciare sempre con gioia ed entusiasmo, anche nelle difficoltà
E’ una “testimonianza grande”, questa, ha ribadito, “il nunzio solo adora Colui che fa crescere, Colui che dà vita”:

“Queste sono le tre uscite di un nunzio: l’uscita fisica, fare le valigie, la vita da zingaro. L’uscita – diciamo – culturale: imparare la cultura, imparare la lingua … ‘Dimmi’ – in quella telefonata – ‘dimmi, tu quali lingue parli?’ – ‘Io parlo l’inglese bene, il francese, me la cavo con lo spagnolo …’ – ‘Ah, bene, bene … Ma senti: il Papa ha pensato di inviarti in Giappone, eh!’ – ‘Ma neppure conosco una lettera, di questi giapponesi!’ – ‘Ma, imparerai!’. Io sono rimasto edificato da uno di voi che prima di presentare le credenziali, in due mesi aveva imparato una lingua difficile e aveva imparato in quella lingua a celebrare: ha ri-incominciato questa uscita con entusiasmo, con gioia. E la terza uscita: la preghiera, la adorazione”.

Grazie ai nunzi per il servizio alla Chiesa, siate sempre in uscita
Questo, ha affermato, “è più forte nei nunzi emeriti”. E’ anche un compito di “fratellanza”, il “nunzio emerito prega di più, deve pregare di più per i fratelli che sono lì, nel mondo”. Ma anche il nunzio che è in carica, ha ripreso, non deve dimenticare questa adorazione, “perché il Padrone faccia crescere quello che lui ha seminato”:

“Tre uscite e tre modi di servire Gesù Cristo e la Chiesa. E la Chiesa ringrazia voi per queste tre uscite. Ringrazia tanto. E anche io, personalmente, voglio ringraziarvi. Tante volte ammiro, quando ricevo, al mattino presto, le vostre comunicazioni: guarda questo come fa bene … Che il Signore vi dia la grazia di essere sempre aggiornati in queste tre uscite, queste tre uscite da voi stessi”.

inizio pagina

Papa: l'autentica ospitalità è sicurezza contro il terrorismo

◊  

“Trasformate le vostre comunità in luoghi di benvenuto”, con il vostro aiuto la "Chiesa sarà capace di rispondere più pienamente alla tragedia umana dei rifugiati". Così il Papa nel suo discorso ai partecipanti all’incontro promosso dalla Confederazione Europea degli ex Alunni dei Gesuiti impegnati al fianco del Jesuit Refugee Service in tutto il mondo. L’autentica ospitalità, ha detto Francesco, è la nostra più grande sicurezza contro gli odiosi atti di terrorismo. Il servizio di Gabriella Ceraso

Rifugiati, come membri delle nostre famiglie
La crisi dei rifugiati è la crisi umanitaria più grande dopo la II guerra mondiale: oggi riguarda più di 65 milioni di persone, non numeri, ma uomini e donne non "diversi dai membri delle nostre famiglie e dai nostri amici". E’ questo il primo pensiero che il Papa rivolge a chi studia radici e responsabilità di questo fenomeno:

"Questo numero senza precedenti va oltre ogni immaginazione. Il numero complessivo dei profughi è ora più grande dell’intera popolazione dell’Italia! Se andiamo oltre la mera statistica, comunque, scopriremo che i rifugiati sono donne e uomini, ragazzi e ragazze che non sono diversi dai membri delle nostre famiglie e dai nostri amici. Ognuno di loro ha un nome, un volto e una storia, come l’inalienabile diritto di vivere in pace e di aspirare a un futuro migliore per i propri figli".

Troppi conflitti nel mondo, serve coraggio e ascolto dei più poveri
Più che mai oggi mentre la guerra imperversa e Francesco ricorda quella “terribile” in Siria, le guerre civili in Sud Sudan e il Mediterraneo “diventato un cimitero”, la Chiesa ha bisogno che voi sappiate essere “coraggiosi nel rispondere alle necessità”, e che ricordiate le vostre radici ignaziane di uomini e donne "per e con gli altri:

“Mediante la vostra educazione gesuita siete stati invitati a diventare 'compagni di Gesù' e, con Sant’Ignazio di Loyola come vostra guida, siete stati inviati nel mondo per essere donne e uomini per e con gli altri. In questo frangente della storia, c’è un grande bisogno di persone che ascoltino il grido dei poveri e che rispondano con compassione e generosità”.

Ospitalità autentica è sicurezza contro terrorismo
Poi, prendendo spunto dall’anno giubilare della Misericordia, che “Dio offre a tutti”, il Papa incoraggia gli ex alunni dei Gesuiti ad un atto di accoglienza speciale:

“A dare il benvenuto ai rifugiati nelle vostre case e comunità, in modo che la loro prima esperienza d’Europa non sia quella traumatica di dormire al freddo nelle strade, ma quella di un’accoglienza calda e umana. Ricordate che l’autentica ospitalità è un profondo valore evangelico, che alimenta l’amore ed è la nostra più grande sicurezza contro gli odiosi atti di terrorismo”.

Più opportunità di istruzione per i rifugiati
Particolare impegno è chiesto dal Papa nel campo dell’educazione per “costruire un’ Europa più forte” afferma e un “futuro più luminoso”.Troppo bassa è infatti, osserva, la percentuale di bambini e ancor più di adolescenti rifugiati che ha accesso all’istruzione. Lavorate in squadra con le altre organizzazioni è il suo invito, con una certezza:

“Più importante ancora, ricordate che l’amore di Dio vi accompagna in questo lavoro. Voi siete occhi, bocca, mani e cuore di Dio in questo mondo”.

"Molto avete imparato dai rifugiati", conclude il Pontefice e ribadisce: "trasformate le comunità in luoghi di benvenuto" in cui non si debba solo "sopravvivere" ma "crescere e portare frutto".

inizio pagina

Venerdì Misericordia: Francesco visita due strutture sanitarie

◊  

L’importanza della vita, dal suo primo istante fino alla sua fine naturale. E’ stata rimarcata dalla visita del Papa, questo Venerdì della Misericordia, a due strutture romane: il reparto di  neonatologia dell’Ospedale San Giovanni e poi l’Hospice “Villa Speranza”, dove sono ricoverati una trentina di pazienti in fase terminale, che appartiene alla Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Al San Giovanni si trovano invece 8 bimbi che necessitano cure intensive, e altri 16 meno gravi, ma bisognosi di ricovero. Al piano superiore del reparto vi è poi un nido con bambini senza patologia alcuna. Forte la sorpresa, e soprattutto forte la commozione, di pazienti, parenti e personale sanitario di entrambe le strutture che, senza preavviso, hanno visto il Papa far loro visita. Francesca Sabatinelli ha intervistato il dott. Ambrogio Di Paolo, direttore di neonatologia e terapia intensiva neonatale: 

R- Le emozioni sono state tantissime: sia del personale che lì lavora con dedizione e tanta generosità, sia delle mamme, di vario tipo, perché ci sono mamme che hanno bambini in condizioni gravi, anch’esse molto commosse e molto emozionate, e mamme che hanno avuto, invece, bambini normali, senza nessuna malattia in atto, che erano già felici per l’arrivo dei figli ed hanno provato ulteriore commozione ed emozione per l’arrivo del Santo Padre. C’è stata veramente una commozione generale. Il Papa è arrivato senza preavviso. In realtà, non c’era tantissima gente, c’era tutto il personale perché si è sparsa la voce e si è presentato lì a salutarlo, a baciarlo ed a cercare una sua benedizione.

D. - Il Papa, come chiunque entri in un reparto così delicato, si è sottoposto alla routine del caso, compresa la vestizione con la mascherina…

R. – Non usiamo la mascherina, ma usiamo dei camici e delle sovra-scarpe. Il Santo Padre ha fatto anche questa operazione. La mascherina non c’era.

D. – Lei, quindi, ha visto anche come il Papa si è rivolto a questi bambini, a queste mamme. Si è commosso anche lui?

R. – Sì, si è commosso. Ha avuto una parola di conforto per tutti, ha dato una medaglietta-ricordo benedetta da lui, ha incontrato un disabile con cui ha avuto scambi di sguardi, lo ha benedetto. Si è commosso lui stesso e si è fermato un po’ di più: si trattava di un ragazzo disabile stava lì da noi ed era venuto appositamente per incontrare il Santo Padre. È stato un momento emozionante.

D. – Il Papa ha voluto sapere qualcosa del Reparto? Vi ha chiesto informazioni?

R. – Ha voluto sapere come funziona, da quanto tempo sono degenti i bambini e quanto tempo ancora devono restare ricoverati. Ha chiesto notizie anche sui bambini appena nati e che dovevano andare a casa. Quindi ha voluto parlare e salutare tutte le mamme, ne ha benedette alcune, ha benedetto il Reparto. È rimasto un po’ frastornato dalle macchine, perché molti bambini sono attaccati alle macchine che li aiutano a sopravvivere. Ma era interessato anche ai genitori. Devo dire che la cosa che ha caratterizzato questo evento è stata la grande emozione di tutto il personale: il personale veramente si è commosso, forse più delle mamme. Il personale infermieristico, i medici hanno provato una grande commozione, ho visto tante lacrime. Non me l’aspettavo neanche io.

inizio pagina

Altre udienze e nomine di Papa Francesco

◊  

Il Papa ha ricevuto, stamani, in udienza il card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi. Nel pomeriggio, a Casa Santa Marta, Francesco riceverà mons. Jean-Marie Speich, Arcivescovo tit. di Sulci, Nunzio Apostolico in Ghana.

Il Santo Padre ha nominato il card. Murphy-O’Connor, Arcivescovo emerito di Westminster, Suo Inviato Speciale alla consacrazione della nuova Cattedrale della Prelatura territoriale di Trondheim (Norvegia), che avrà luogo il 19 novembre 2016.

inizio pagina

Tweet Papa: comunichiamo con gioia l'incontro con Gesù

◊  

"Il segno concreto che abbiamo davvero incontrato Gesù è la gioia che proviamo nel comunicarlo anche agli altri". E' il tweet pubblicato da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

inizio pagina

Beatificata Elisabetta Sanna, sposa e madre di sette figli

◊  

E’ stata beatificata stamane, in Sardegna, Elisabetta Sanna, sposa e madre di sette figli. Il rito è stato presieduto dal card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, nella Basilica della Santissima Trinità di Saccargia (nel comune di Codrongianos) in provincia di Sassari. "Mama Sanna", come viene affettuosamente chiamata, è vissuta a cavallo tra due secoli, il 1700 e il 1800: rimasta vedova, divenne terziaria professa dell'Ordine dei Minimi di San Francesco, del Sodalizio dell'Unione dell'Apostolato Cattolico fondato da San Vincenzo Pallotti. Sulla sua figura ascoltiamo il cardinale Amato al microfono di Roberto Piermarini

R. - Elisabetta, nata a Codrongianos (Sassari) il 23 aprile 1788, a sette anni fu vittima di una epidemia di vaiolo, che la rese invalida alle braccia, tanto che non riusciva a sollevarle per lavarsi la faccia o pettinarsi. Pur sentendosi attratta alla vita religiosa, seguì la volontà della madre, che la esortava a sposarsi. Il matrimonio fu celebrato il 13 settembre 1807 e la famiglia fu allietata da sette figli. Morto il marito nel 1825, Elisabetta continuò ad occuparsi dei suoi figli e ad amministrare i beni della sua famiglia facoltosa.

D. - Cosa dire della sua permanenza a Roma?

R. - Nel 1831 era partita per un pellegrinaggio in Terra Santa, per la mancanza del visto per l'Oriente, non riuscì a proseguire. Si fermò quindi a Roma, senza più fare ritorno in patria. Ma non potè tornare in Sardegna, su consiglio dei medici, perché gravemente sofferente di cuore. A Roma rimase 25 anni, lavorando, pregando e visitando i poveri e gli ammalati. Morì il 17 febbraio 1857. Aggiungiamo subito, soprattutto tenendo conto dell'odierna mentalità, che sorprende la vicenda di questo suo allontanamento dai figli. Ma a Roma riceveva notizie tranquillizzanti sulla loro crescita e formazione in casa del fratello sacerdote Don Antonio Luigi. Inoltre, san Vincenzo Pallotti la rassicurava continuamente dicendole: «Coraggio, figlia; la vostra famiglia non ha bisogno di voi; anzi, sarà la meraviglia e l'invidia di tutto il paese». Queste parole le davano una grande serenità di spirito. Era finalmente giunta a vivere la vocazione, avuta fin da piccola, di consacrarsi totalmente a Dio.

D. - Cosa pensa di tutto ciò?

R. - Dobbiamo ricordare la parola di Gesù che dice: «Se uno viene a me e non mi preferisce a suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino alla propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26). È lungo l'elenco di coloro che hanno preso alla lettera la parola del Signore. Qui ricordo, come esempio, l'esperienza della suora orsolina francese, Santa Maria dell'Incarnazione, al secolo Marie Guyart (1599-1672), canonizzata da Papa Francesco nel 2014. Rimasta vedova giovanissima, affidò al collegio dei gesuiti il figlio Claudio per farsi religiosa. Il bambino, che all'inizio piangeva implorando il ritorno a casa della mamma, non solo non subì alcuna conseguenza psicologica nella sua crescita, ma divenne monaco benedettino e il più fervido ammiratore della madre, che, nel frattempo, era andata missionaria in Canada, pioniera dell'evangelizzazione in quelle terre. Lo stesso si può dire di Santa Giovanna Francesca Frémyot de Chantal (1572­1641), madre di sei figli. Rimasta vedova a ventinove anni, dopo un po' di tempo, il 29 marzo 1610, lasciò la famiglia per fondare le Visitandine e — dice la storia ­passò sul corpo del figlio Celso Benigno, di 14 anni, che si era disteso sulla soglia, implorando che non partisse.

D. - Si tratta, in ogni caso, di vocazioni speciali, rare e riservate a pochi. Immagino che siano scelte fondate su un fortissimo amore per Gesù...

R. - Esattamente. Gesù aveva conquistato totalmente il loro cuore. Per quanto riguarda Elisabetta Sanna, né la terra natia, né la famiglia, né le afflizioni della vita la separarono mai dalla carità di Dio. Venne da Dio l'ispirazione di andare in pellegrinaggio in Terra Santa e di rimanere per sempre a Roma. Non si trattò di un impulso arbitrario, ma di una vocazione seria, vagliata e approvata da padri spirituali saggi e prudenti, ai quali la Beata si affidava con obbedienza e umiltà. Di lei i testimoni affermano: «Iddio le era più caro di tutti i beni terreni messi insieme e di qualunque persona più diletta». L'amore di Dio le fece superare contrasti, dicerie, offese e soprattutto il peccato. Il male non fece breccia nel suo cuore, che rifuggiva il peccato come i bambini temono il buio. L'Eucaristia era l'approdo della sua anima, adoratrice instancabile del SS. Sacramento dell'altare. Da lei stessa apprendiamo che ascoltava anche cinque o sei messe al giorno.

D. - Quale fu il suo apostolato a Roma?

R. - Elisabetta era una donna di quotidiana adorazione eucaristica. Questo fervore spirituale lo riversava nell'amore del prossimo con un cuore aperto a tutti nel consiglio e nel servizio. A Roma era nota la sua disponibilità verso chi si rivolgeva a lei, nobili e plebei, amici e nemici, ricchi e poveri, romani e forestieri, grandi e piccoli. Con le sue parole metteva pace nelle famiglie e ristabiliva la concordia tra i coniugi. Un suo biografo scrive: «Aveva una grazia particolare per consolare gli afflitti, che, parlando con lei, sentivano tornare nei loro cuori pace e tranquillità. Inculcava a tutti carità e perdono dei torti ricevuti».

D. - Come possiamo definire la nuova beata Elisabetta Sanna?

R. - Elisabetta era la donna della misericordia. La sua vita fu una pratica continua delle opere di misericordia corporale e spirituale. Nonostante il freddo, la fatica del cammino e le braccia rattrappite, si recava all'ospedale san Giacomo o in case private per servire le ammalate. Delle elemosine che riceveva, toltone quel poco che serviva per il suo misero vitto, ne faceva elemosina agli altri. Non si turbava per gli insulti ricevuti. Non permetteva che si parlasse male del prossimo. Pregava e faceva pregare per i condannati a morte. Le opere di san Vincenzo Pallotti furono il principale destinatario della sua carità: per esse lavorava di maglia e cucito e ad esse mandava oggetti e denaro. Il Pallotti soleva dire che due erano i grandi benefattori dell'Istituto: una donna povera, Elisabetta Sanna, e il Cardinale Luigi Lambruschini (1776-1854). Alla sua morte, avvenuta il 19 febbraio 1857, nella sua stamberga nei pressi della Basilica Vaticana, la gente sussurrava: «È morta la Santa, la donna che stava sempre a pregare in S. Pietro».

inizio pagina

Giani: Gendarmeria, 200 anni di fedeltà e solidarietà

◊  

Questa domenica, alle 9.30, Papa Francesco presiede nella Basilica di San Pietro, all’Altare della Confessione, la Santa Messa in occasione del 200.mo anniversario del Corpo della Gendarmeria. Su questo evento ascoltiamo Domenico Giani, comandante della Gendarmeria vaticana, al microfono di Luca Collodi

R. – Credo che sia una data veramente importante. Sono grato al Signore di poter essere, in questo momento storico, il responsabile di questo glorioso Corpo che ha una storia bellissima alle spalle, da sintetizzare in due concetti: la fedeltà al Papa e la solidarietà. Leggendo un po’ la storia di questi anni – a breve dovrebbe uscire un volume dedicato – si vede come questo Corpo, in 200 anni di storia, ha avuto proprio questi due obiettivi: fedeltà al Santo Padre e solidarietà verso gli altri. A parte i momenti, direi, più militari  – la storia di questi 200 anni la conosciamo e sappiamo il ruolo della Gendarmeria sotto lo Stato Pontificio  – mi piace qui ricordare questi due concetti perché, ad esempio, durante la peste che colpì l’Italia Centrale verso la fine del 1700, i gendarmi furono impegnati in prima fila, come lo sono stati oggi nei terremoti de L’Aquila e di Amatrice. Oppure durante la Seconda Guerra Mondiale, quando il Vaticano e Castel Gandolfo furono il luogo, il rifugio, di tante persone – prigionieri, disertori, renitenti, ebrei ovviamente – o le ambasciate, che in quel momento storico non potevano più stare all’interno del territorio romano ma costrette a venire in Vaticano. In questa occasione i gendarmi fecero un grande servizio, anche di accoglienza, sotto le direttive della Segreteria di Stato e del Governatorato del tempo. Pagine molto belle che oggi si sono ripetute, ad esempio, con l’accoglienza di Papa Francesco ai profughi. I nostri gendarmi, anche in questo caso, sono stati presenti nell’isola di Lesbo e hanno offerto il loro aiuto per far venire alcune famiglie, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, a Roma. Ed ora, sempre tornando alla solidarietà, la presenza dei nostri Vigili del Fuoco e dei nostri Gendarmi nella Valle del Tronto.

D. – Una caratteristica importante della Gendarmeria vaticana riguarda proprio il servizio di Protezione Civile…. 

R. – Sì. Fu nel 2000, quando venne fatta la riforma e la nuova legge del governo dello Stato, che fu istituita la Direzione dei Servizi di Sicurezza e di Protezione Civile, al cui vertice fu posto il Comandante della Gendarmeria. All’interno di questo organismo vennero inseriti i Vigili del fuoco che, fino ad allora, dipendevano dalla Direzione dei Servizi tecnici. Per noi fu un’esperienza nuova, ma devo dire che è stata una scelta positiva, perché la difesa civile è un altro elemento molto importante. Pensiamo, oggi, con il Giubileo, quanto sia importante il servizio di Protezione civile. Certamente il terremoto di Amatrice - senza escludere tutte le altre piccole realtà coinvolte – ha fatto vedere come in Vaticano ci fosse una grande voglia, un grande desiderio immediato di aiutare. Noi siamo partiti subito perché, ovviamente, i Vigili del fuoco dovevano fare interventi immediati. La notte stessa è partita la prima squadra, mentre i gendarmi li hanno raggiunti il giorno seguente per occuparsi di altre attività. Devo dire che le Guardie Svizzere erano pronte a partire, come i Servizi sanitari del Governatorato. Tanta gente ha chiamato il Comando per offrire la propria disponibilità in qualunque modo. E’ stata fatta, inoltre, una raccolta di vestiario, di attrezzature, che verranno portate a stretto giro nelle zone terremotate. Siamo in contatto continuo con il vescovo di Rieti …

D. – Intanto sono tornati in Vaticano, da Amatrice, i 6  Vigili del fuoco e i 6  Gendarmi inviati da Papa...

R. – Hanno operato alle dipendenze dell’autorità di Protezione Civile e del Prefetto del luogo, svolgendo una grande attività - in particolare i Vigili del Fuoco – per la ricerca dei dispersi. C’è una pagina molto bella che parla del ritrovamento di una bambina. I gendarmi hanno invece svolto un servizio di controllo del territorio a fianco delle forze dell’ordine italiane, soprattutto per prevenire i fenomeni di sciacallaggio. Sciacalli che purtroppo in questi casi si manifestano sempre. I Gendarmi hanno svolto anche un’attività di controllo nell’area dove si stava costruendo la tendopoli.

D. – L’Anno giubilare volge al termine. Si è parlato molto in questi mesi  di terrorismo islamico. Avete temuto l’azione di qualche folle?

R. – Direi intanto che l’Anno giubilare è partito da una zona di guerra, dove il Papa ha fatto un gesto importantissimo, un gesto di riconciliazione e di dialogo interreligioso. La visita alla moschea (di Bangui) è stato un momento molto bello. I gendarmi hanno fatto un grande lavoro in questo teatro, proseguito poi con l’apertura della Porta Santa e tutti gli eventi che sono succeduti. È stato un anno, e tuttora lo è, molto impegnativo, bello, anche dal punto di vista spirituale per noi gendarmi. Abbiamo celebrato il Giubileo insieme alle Guardie Svizzere qualche giorno fa: un momento molto toccante dal punto di vista spirituale, un arricchimento forte. Sotto il profilo delle minacce, devo dire che i rapporti con le forze di Polizia italiane e tutto il lavoro che è stato fatto dalla Questura di Roma e dalle forze di polizia, dai Carabinieri, dalla Guardia di Finanza, dai Vigili urbani, ovviamente dall’Ispettorato vaticano – che è nostro dirimpettaio, il nostro fratello più vicino da questo punto di vista, insieme alla Guardia Svizzera ovviamente, ha permesso, secondo me, un clima di grande serenità. Il popolo, la gente, ognuno di noi, è ormai abituato a sottostare a dei controlli che fanno parte del nostro tempo. Non ci sono stati episodi, non ci sono stati elementi di pericolo, di rischi, di allarme… L’Anno Santo è partito, ovviamente, con alcune preoccupazioni, vorrei dire fisiologiche in questi momenti, però sta proseguendo bene senza nessun allarme. Certamente c’è una grande vigilanza ed una grande attenzione.

D. – Dialogate con le forze di sicurezza dei Paesi arabi?

R. – Ma certo. Ormai da anni, attraverso i canali di polizia e di agenzia di informazione, abbiamo un  contatto quotidiano con le Forze di polizia di altri Paesi, tra cui i Paesi musulmani. Posso testimoniare come ci sia una grande venerazione per la figura del Santo Padre. I miei colleghi di tanti Paesi arabi, del Corno d’Africa, del Medio Oriente, dell’Oriente, hanno una particolare venerazione per il Santo Padre: vedono il Papa come una figura a cui fare riferimento. Posso dire veramente come sia considerato un profeta, un uomo di pace, un uomo per il dialogo e del dialogo. Per noi è bello incontrarsi, a volte, con i capi di queste realtà, potersi abbracciare davvero come fratelli e sentirsi dire che la presenza dei cristiani in tante zone del mondo è importante. 

D. – Domenica mattina la Messa con Papa Francesco. La sera, alle 18.00, la cerimonia per i 200 anni del Corpo nei Giardini vaticani…

R. – Come tutti gli anni ci sarà un intervento del presidente del Governatorato vaticano, il cardinale Giuseppe Bertello. La cerimonia proseguirà con l’intervento del sostituto della Segreteria di Stato, poi il discorso del comandante e la lettura del messaggio del Papa. Quest’anno lo stendardo della Gendarmeria verrà decorato della Medaglia d’oro al valore della Croce Rossa. Un scelta che il presidente della Croce Rossa nazionale, l’avvocato Rocca, ha voluto fare insignendo di questa alta benemerenza, direi sociale, lo stendardo della Gendarmeria per l’attività svolta in questi 200 anni di vita. A seguire una festa alla quale parteciperanno molte delegazioni dall’Italia ma anche dall’estero, da Corea, Svezia, Libano. Mi piace definirla come una festa in famiglia, fra amici, che si ritrovano insieme per dirsi reciprocamente grazie per il servizio che facciamo. Per dire noi grazie, ai colleghi italiani e agli altri per l’aiuto che ogni giorno offrono alla Santa Sede.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

La parola ultima della storia: ai nunzi apostolici il Papa ricorda che il cuore degli uomini è in cerca dell'unità e non del conflitto.

Ultimatum di Obama alla Siria.

Nessuna garanzia per il futuro dell'alimentazione: Carlo Triarico sulla fusione Bayer Monsanto.

Conoscere l'altro per rafforzare la fede: da Parigi, Charles de Pechpeyrou sull'esempio del liceo cattolico Charles Peguy.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Shock in Belgio, eutanasia su un bambino, primo caso al mondo

◊  

Shock in Belgio dove è stata effettuata l’eutanasia su un bambino: è il primo caso nel mondo. Il Paese ha approvato nel 2014 una legge che consente ai genitori di scegliere la morte per i propri figli, malati terminali, dopo averne fatto richiesta al medico curante. La legge specifica che anche il minore deve esprimere una forma di consenso.

Contro la legge si erano schierati cristiani, ebrei, musulmani e anche non credenti. Secondo i vescovi si tratta di un crimine che apre la strada ad altri "attentati contro la vita”. Per un gruppo di pediatri belgi l’eutanasia è una falsa soluzione: è urgente invece migliorare l’accesso dei bambini alle cure palliative.

In una intervista rilasciata alla Radio Vaticana sulla questione, il card. Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita, così si era espresso: "E’ un salto. Un salto abissale, sotto il livello di civiltà, di umanità. Questa decisione non tocca soltanto la sensibilità di tutte le religioni, che in Belgio hanno fatto sentire la loro voce, ma tocca il senso umano perché il minore, specialmente se fragile, specialmente se malato, va aiutato, va sostenuto con le medicine e con l’assistenza morale e psicologica e spirituale. Credo che il bambino sia diventato bersaglio di più attacchi. Si ricorderà che alcuni studiosi hanno proposto addirittura il cosiddetto aborto post-natale, che altro non è che la soppressione dei bambini malati e malformati dopo la nascita. Questa mostruosità va a colpire il bambino non solamente prima ma anche dopo. In Belgio, dopo l’aborto ora c’è anche l’eutanasia per gli anziani, gli infermi, i bambini senza limiti di età. Si vanno a congiungere aborto ed eutanasia nella fascia dei bambini. C’è un accento di crudeltà che rende orribile il solo pensare a quello che sta succedendo. C’è da dire che nel mondo manca l’amore, perché basterebbe un po' di pietà e di compassione umana per scongiurare queste cose. Poi l’Europa non aveva proprio bisogno di fare quest’altro passo: dopo la denatalità che già si configura come auto-genocidio, adesso il diritto alla vita va ad essere tolto anche ai bambini”.

inizio pagina

Vertice a Bratislava: strappo tra Renzi e Hollande-Merkel

◊  

Il confronto in Europa dopo il vertice di ieri a Bratislava, il primo dopo la Brexit. Ok dei 27 a una road map concordata e consenso a una comune difesa, ma restano divisioni sui nodi cruciali di economia e migrazioni. Forte il dissenso dell’Italia, assente dalla conferenza stampa congiunta Parigi-Berlino. "Il punto su cui abbiamo discusso ieri - ha detto il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi - non è che noi dobbiamo accogliere e gli altri no, ma su qual è il futuro dell'Ue. Alla fine ieri ci siamo detti le stesse cose, non si è fatto un passo avanti rispetto a Ventotene". Il servizio di Elvira Ragosta

A Bratislava, per la prima volta senza la Gran Bretagna, i 27 capi di Stato e di governo hanno tentato di rilanciare l’Unione con l’accordo su una road map. I temi sono: economia, difesa e sicurezza e i relativi provvedimenti saranno presi, hanno detto Berlino e Parigi, al vertice previsto a Roma il prossimo marzo, in occasione del sessantesimo dalla firma dei Trattati comunitari. "Lo spirito di Bratislava è stato di grande cooperazione - commentava ieri sera la cancelliera tedesca, Angela Merkel - senza l'unità europea non riusciremo a raggiungere gli obiettivi. Non è stato un vertice con grandi dichiarazioni o cambiamenti nei trattati, ma ci sono state azioni per i cittadini europei". Ma a Bratislava si è consumato uno strappo tra Italia da un lato e Germania e Francia dall’altro, sui temi di immigrazione ed economia, tanto che il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, non ha partecipato alla conferenza stampa congiunta con Angela Merkel e François Hollande, lamentando l’assenza di concreti passi avanti, rispetto a quanto già detto nell’incontro con i due partner europei a Ventotene, lo scorso agosto. E oggi parlando al Wired Next Fest a Firenze ha detto: "Noi siamo italiani, generosi, però non possiamo lasciare che un problema come l'immigrazione esploda per l'incapacità dell'Europa". E a proposito dell’austerità ha aggiunto: "Dobbiamo riconoscere che la ricetta dell'Europa era sbagliata e quella di Obama giusta. Non lo dico io, lo dicono i numeri e la realtà". Per un commento sul vertice di Bratislava abbiamo raggiunto telefonicamente il responsabile del Programma Europa dell’Ispi, Antonio Villafranca:

R. – Lo spirito di Ventotene è stato perso effettivamente. C’era l’auspicio che Bratislava potesse rappresentare il primo passo per rilanciare l’Unione Europea, ma così non è stato: è stato l’ennesimo summit in realtà con tanto fumo e poco arrosto. Il poco arrosto riguarda una posizione che in realtà era già stata espressa nelle settimane precedenti. Si tratta di una posizione comunque riguardante la politica di difesa con ancora l’incognita di una politica estera ostaggio del voto all’unanimità. Per dirla in maniera semplice: è inutile aver un esercito se poi non si riesce a capire, non si riesce a decidere come utilizzarlo. Mentre si è assolutamente lontani da un accordo, anche per la forte opposizione dei Paesi di Visegrad, riguardante l’immigrazione. Non c’è stata neanche l’indicazione precisa che l’impegno dell’Unione Europa deve essere verso i Paesi dell’Africa, in particolare l’Africa Sub-sahariana; non dimentichiamo che la maggior parte degli immigrati che arrivano in Italia provengono proprio da questa parte del mondo. È stato detto ci sarà una road map verso Roma, verso il vertice che poi dovrà celebrare i 60 anni dai Trattati di Roma, però effettivamente non sembra che ci siano le condizioni perché anche a Roma ci possa essere un rilancio. È evidente che ormai bisognerà aspettare le elezioni del 2017, a partire di quelle di Francia e Germania.

D. - Oltre alla questione migrazioni anche la questione economica ha determinato un punto di frattura tra la posiziona italiana, quella tedesca e francese …

R. - Assolutamente sì. L’Italia chiede a gran voce e ovviamente ad altri Paesi europei soprattutto della sponda sud dell’Europa, di rivedere le regole e di rivedere soprattutto il Fiscal compact che secondo l’Italia non sta funzionando o non sta funzionando come avrebbe dovuto, rilanciando anche la crescita e non soltanto indicando una strada di rigore. Ma su questo era evidente ormai che non ci sarebbe stato l’accordo soprattutto con la Germania. Quello che continua a colpire è l’atteggiamento della Francia che sembra ancora considerarsi al pari della Germania e in una situazione economica simile, mentre invece si trova in una situazione economica molto più simile a quella  della sponda sud del Mediterraneo. Hollande non intende - questo è il suo atteggiamento - cambiare strategia.

D. - Questo di Bratislava è stato anche il primo vertice dopo la Brexit. Quanto il voto della Gran Bretagna ha pesato, secondo lei, su questo incontro?

R. - In realtà di Brexit si è parlato pochissimo, al punto che forse si poteva anche invitare la Gran Bretagna a questo vertice straordinario che, tra l’altro, rimane ancora un Paese membro dell’Unione a tutti gli effetti non avendo ancora mandato alcuna notifica in merito alla sua uscita. Quindi non è emerso nulla, ma d’altra parte sembra che stia prevalendo l’attendismo tedesco di dire: “Non facciamo nulla fino a quando non ci saranno le elezioni in Germania”.

D. - Cosa attendersi dunque per i prossimi incontri?

R. - Ovviamente dal governo italiano si dice che ci si attende tanto, anche se le basi che sono state gettate ieri a Bratislava sono molto fragili. È ovvio che non ci vuole costruire una road map come è stata chiamata fino a marzo, fino a Roma, che effettivamente poi non abbia contenuti. L’Unione Europea nel 2017 deve essere fortemente rilanciata perché altrimenti è evidente che i movimenti euroscettici ne beneficeranno. È sbagliato pensare di non fare nulla prima delle elezioni perché alle elezioni la gente vota ovviamente e votando, in un momento in cui manca un progetto, è ancora più portata a spostarsi verso posizioni euroscettiche.

inizio pagina

Mons. Paglia: ho portato a Ciampi morente la benedizione del Papa

◊  

Verrà aperta alle 16, a palazzo Madama, la camera ardente per il presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, scomparso ieri. Attese per l'omaggio le più alte cariche dello Stato, a cominciare dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Lunedì mattina, invece, si svolgeranno i funerali privati di Ciampi, a Roma. Sarà una giornata di lutto nazionale, per decisione del governo. Negli edifici pubblici di tutta Italia, dunque, verranno esposte le bandiere a mezz'asta. Negli ultimi momenti prima della morte, il presidente Ciampi ha avuto accanto a sé l’arcivescovo Vincenzo Paglia. Antonella Palermo ha raccolto la sua testimonianza: 

R. – Ho accompagnato Carlo, il presidente, sino agli ultimi giorni. Ci conoscevamo da tanti anni e in questi ultimi anni la malattia lo aveva molto provato. E la fede, la compagnia, l’amicizia lo hanno confortato davvero in maniera sorprendente fino all’altro giorno quando, prima che si assopisse, gli ho portato i saluti e la benedizione di Papa Francesco con il quale mi ero incontrato il giorno precedente. E lui, con un poco di voce – un poco – mi ha ringraziato di questa benedizione, e ha tentato poi, ma senza riuscirci bene, di farsi il segno della Croce. È stato un uomo la cui fede era come una sorta di filo rosso: mai gridata, mai urlata, e tuttavia sempre, sempre, sempre presente in tutti i giorni. E in questo tempo ultimo, si è preparato all’incontro con il Signore. Sapeva che era un momento importante; ci raccoglievamo in preghiera, e lui poi ne aveva una – l’ho ricordato già altrove – che recitava tutti i giorni, e che iniziava appunto con: “Eccomi, o mio amato e buon Gesù”. Non ha mai smesso di recitarla, e oggi quell’”Eccomi”, oggi si realizza nella sua pienezza. A me commuoveva anche poi quando lui ricordava l’amicizia con San Giovanni Paolo II: aveva accanto a sé una foto che portava dovunque: al Senato, e poi quando lasciava il Senato se la portava a casa. Ed era la foto dell’abbraccio – del bacio quasi – con Papa Giovanni Paolo II al termine della celebrazione a Tor Vergata al Giubileo con i giovani: stanchissimi tutti e due, ma in quell’abbraccio si sprigionava una tenerezza che davvero sorprende. E lui teneva tanto a quest’immagine e al rapporto con Papa Giovanni Paolo II. Tra l’altro è singolare che quando si incontrarono la prima volta fu il Papa a dirgli: “Presidente, si ricordi che lei è stato eletto il giorno della Madonna di Fatima, quando mi hanno fatto l’attentato. Ha giurato quando io ho fatto la mia Celebrazione di ingresso come Papa. E poi, tutti e due ci chiamiamo Carlo”. E questo lo colpì tantissimo, tanto che poi in un’altra udienza ancora – lo ricordava sempre il presidente – lui, con Franca accanto che ovviamente faceva da controcanto come solo lei sapeva fare, disse al Papa: “Giovanni Paolo, noi abbiamo la stessa età” – e in effetti Ciampi era nato nel 1920 – “E se lei muore prima di me, mi raccomando: mi venga incontro, non mi lasci solo, mi accolga”. Ecco, sono quelle espressioni di una fede sincera, per certi versi anche spontanea, immediata, che a lui ha fatto tanto bene, e che credo a noi ricordi l’importanza della fede che ci accompagna da ragazzi, e poi da giovani, adulti, sino all’età anziana, perché sostiene: sostiene la vita.

D. – Sull’impegno dell’uomo in politica quale lezione ci ha lasciato Ciampi?

R. – Ciampi ci ha lasciato una grande lezione di serietà, dignità e integrità. Ha vissuto con rigore tutti gli impegni che gli sono stati affidati, non ha mai cercato nulla, e si è sentito servitore del Paese, servitore del bene comune di tutti; non ha mai approfittato per sé. È una lezione di un’attualità incredibile. E ha sentito come una sorta di doppio patriottismo: quello per l’Italia – chi di noi non ricorda il suo impegno per ridare forza al termine “patria” o anche all’Inno nazionale: ha voluto visitare tutte le regioni, nessuna esclusa –; e poi l’altra passione patriottica – potremmo dire la seconda – quella per l’Europa. Lui sapeva benissimo che l’Europa non poteva essere un’unione semplicemente economica o mercantile. Ed in questo doppio patriottismo credo che ci sia l’attualità politica del presidente Ciampi, che si staglia, ancor più robusta, mentre vediamo attutirsi e l’uno e l’altro patriottismo, per risorgere di campanilismi o per muri che si alzano. Ed io ricordo la sua afflizione e il suo dolore, in questi ultimi due anni, quando vedeva affievolirsi il sogno dell’Europa in varie parti di questo continente. Credo che sia una lezione da apprendere, perché il presidente Ciampi sosteneva queste visioni non per sé stesso ma per i popoli europei. E un’annotazione vorrei aggiungere ancora – la si vede benissimo nei discorsi del suo settennato, nei discorsi di fine d’anno, quando lui dedicava un’attenzione straordinaria ai giovani –: questo anziano presidente pensava al futuro dei popoli rivolgendosi ai giovani.

inizio pagina

Card. Bertone ricorda Ciampi: aveva fede semplice e schietta

◊  

Un servitore dell’Italia, un grande europeista dalla fede semplice e schietta. Il cardinale Tarcisio Bertone ricorda così Carlo Azeglio Ciampi. L’ex segretario di Stato vaticano ha avuto, negli anni, numerosi incontri con l’ex presidente della Repubblica Italiana. Al microfono di Alessandro Gisotti, il cardinale Bertone si sofferma su alcuni tratti distintivi del carattere e della fede di Ciampi: 

R. – Il primo incontro personale è avvenuto a Macerata, in occasione del conferimento della laurea ad honorem da quella università. Io ero rettore della Pontificia Università Salesiana e rappresentavo, in quella circostanza, i rettori delle Pontificie Università. Incontrandolo personalmente, con la signora Franca, mi disse: “Allora, lei è salesiano?” – “Sì, io sono salesiano”. “Allora – dice – davanti a mia moglie devo confessare la mia grande devozione a don Bosco e devo dire che tutte le volte che abbiamo invocato don Bosco, soprattutto per problemi familiari, siamo stati esauditi”.

D. – Ovviamente, poi, tanti altri incontri, più istituzionali …

R. – Sì, specialmente quando sono stato nominato arcivescovo di Genova e poi creato cardinale, ho incontrato il presidente – il presidente aveva invitato i neo-cardinali italiani – e poi l’ho incontrato ancora personalmente diverse volte. Ricordo la sua profonda fede, schietta, semplice, una schietta fede religiosa, e le sue preoccupazioni per la formazione dei giovani: abbiamo ripreso un po’ il discorso sui giovani, sull’educazione dei giovani. Mi parlava della sua esperienza non propriamente positiva come studente a Livorno: mi raccomandava, e voleva che estendessi la mia raccomandazione ai vescovi italiani, una buona scelta degli insegnanti di religione nella scuola, perché, diceva: “Questo è un momento formativo molto importante, un momento anche di dialogo con le altre materie, con le altre scienze, con gli altri docenti; ma bisogna scegliere bene gli insegnanti a scuola”, dimostrando così che anche nell’esercizio della più alta carica dello Stato si preoccupava della formazione integrale dei giovani.

D. – Colpisce, anche, da questi suoi ricordi una figura istituzionale che ha sempre tenuto all’importanza della laicità dello Stato e pure un grande rispetto e una grande attenzione per la fede …

R. – C’è anche la dimensione religiosa! Quindi, in questo intreccio, in questa interazione tra una formazione umana integrale e anche l’accento, la valorizzazione degli elementi religiosi poteva scaturire la formazione di persone, di testimoni di un impegno sociale, di un impegno per il bene comune e anche di una fede religiosa, e quindi continuando così la tradizione dell’Italia. D’altra parte, sappiamo come egli avesse anche una fedele settimanale pratica religiosa proprio nella parrocchia dove abitava, a Roma.

D. – Il profilo del presidente Ciampi è decisamente il profilo di un uomo con un orizzonte europeo, un europeista a tutto tondo. Ecco, forse oggi serve anche a ricordare quanto ci sia bisogno di Europa…

R. – C’è bisogno di Europa e c’è bisogno di un’Europa animata dai valori fondativi della Comunità europea e dall’esempio dei grandi uomini che hanno fatto l’Europa faro e maestra di civiltà e attenta anche alle necessità e ai problemi della comunità internazionale, specialmente dei Paesi più deboli, dei Paesi più bisognosi di aiuto. Quindi, abbiamo bisogno di queste forti personalità nell’Europa di oggi e abbiamo bisogno di questo spirito nell’Europa di oggi.

inizio pagina

Colletta Cei per i terremotati. D'Ercole: non lasciateci soli

◊  

Non si fermano le scosse le scosse di terremoto nelle zone colpite dal sisma del 24 agosto. Inoltre, la situazione è resa particolarmente difficile anche dal maltempo che sta colpendo l'area. Questa domenica a sostegno dei terremotati si svolge in tutte le parrocchie d'Italia la Colletta nazionale indetta dalla Cei. Intanto mons. Giovanni D'Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, ha annunciato per il prossimo 24 settembre, ad un mese esatto dal disastroso terremoto, una celebrazione eucaristica in suffragio delle vittime, durante la quale farà anche un primo bilancio di quanto finora compiuto nella prima fase dell'emergenza. Sulla Colletta Cei ascoltiamo il commento di mons. D’Ercole al microfono di Marina Tomarro

R.  - È un gesto di grande attenzione, di grande affetto, di grande partecipazione alla sofferenza di queste nostre famiglie, paesi e località che soffrono il terremoto. Credo che sia anche l’occasione per esprimere in modo concreto quella solidarietà evangelica che ci rende attenti a quanti sono nel bisogno. Io sono convinto che più si è generosi, più si riceve; le persone che sono generose verso chi è in difficoltà poi ci testimoniano di aver ricevuto il doppio. È proprio la mano di Dio che attraverso il cuore generoso delle persone va in aiuto di chi soffre. Colgo l’occasione per ringraziare fin d’ora tutti coloro che in Italia e altrove hanno pensato a noi, alle zone terremotate e continuano a pensarci.

D. - Qual è la situazione attuale? C’era stata un allerta meteo e questa notte c’è stata una nuova scossa …

R. - Sì, diciamo che ormai bisogna vivere abituandosi alle scosse di terremoto, senza che queste, ogni volta, creino il panico. Bisogna imparare la lezione che viene dal terremoto. Dobbiamo costruire case più solide e nel frattempo cercare di mantenere quella calma interiore. La  situazione è certamente complicata in questo momento, se si pensa che dopo un primo momento di grande solidarietà, di grande attenzione, oggi ci sono altri problemi e si rischia sempre di più di rimanere soli. Ma proprio in questo momento particolare, credo che sia importante prendere consapevolezza – noi che siamo sul posto – che dobbiamo ricostruire un tessuto umano prima di tutto che ci permetta di essere i protagonisti di una ricostruzione ed esser umili nel chieder aiuto quando ne abbiamo bisogno. Credo che con questa consapevolezza dobbiamo fare un passo alla volta tenendoci per mano. È un po’ in questa prospettiva che cerchiamo di lavorare nella nostra diocesi.

D. - Ormai si va verso la stagione fredda. In che modo vi state organizzando?

R. - Noi andiamo verso il freddo. Stiamo facendo di tutto ed io mi sto battendo affinché nel tempo più rapido possibile non ci siano in più tende. Questo significa che stiamo lavorando per accogliere le persone in strutture sicure e in famiglie. La gente però vuole rimanere vicino ai propri paesi. Stiamo cercando di pensare come venire incontro a questo desiderio che qualche volta è proprio un'esigenza del cuore. Se qualcuno si allontana, soprattutto gli anziani, rischia proprio - e non esagero - di morire, perché è un distacco da un luogo che rappresenta più che una casa, un luogo sicuro. Noi stiamo cercando in tutti i modi, anche ricorrendo per esempio a roulotte o strutture di legno, di fare in modo tale che le persone possano il più possibile aver protezione dal freddo.

D. - La ripresa della scuola in qualche modo può essere anche un riprendere in mano la vita quotidiana, la normalità di un paese?

R. - Certo, aver riaperto le scuole significa aver dato ai ragazzi la possibilità di riprendere la normalità della scuola. Ma ci sono tanti problemi. Vedo i ragazzi, soprattutto i bambini che portano negli occhi la paura del terremoto. Stiamo facendo un forte lavoro di natura umana e spirituale. Il primo obiettivo, ancor prima della ricostruzione delle case, è stato proprio quello di affiancare alle comunità persone volenterose che li aiutassero a superare questo momento non in modo saltuario ma costante. Oltre a psicologi di varie associazioni che sono venuti a dare il loro aiuto, abbiamo creato per i bambini una presenza costante di volontari che permetta loro, un po’ per volta, di metabolizzare. Ci sono bambini che hanno paura del terremoto e dormono addirittura con le scarpe con l’idea di dover scappare. Sono quelle situazioni che solamente chi le vive può capire. Noi cerchiamo di dare risposte sul piano umano. Cerchiamo di essere molto vicini e su questo abbiamo delle buone risposte.

inizio pagina

Il vescovo di Assisi: credenti e non credenti insieme per la pace

◊  

Inizia questa domenica ad Assisi l'Incontro internazionale "Sete di Pace: religioni e culture in dialogo", organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla diocesi della città umbra e dalle Famiglie francescane. Tre giorni di incontri che si tengono nel trentennale della storica Giornata di Preghiera per la Pace (il 27 ottobre del 1986) voluta da San Giovanni Paolo II. Partecipano oltre 450 tra leader religiosi e rappresentanti di istituzioni e del mondo della cultura. Martedì 20 settembre l’atteso arrivo di Papa Francesco. Il nostro inviato ad Assisi Massimiliano Menichetti

Tutto è pronto qui ad Assisi: ancora una volta, la terra di San Francesco accoglie la volontà d’incontro e confronto che in questo luogo, quest’anno, si chiama: “Sete di pace”. Sono passati trent’anni dalla storica Giornata di Preghiera per la Pace voluta da San Giovanni Paolo II, ma le sue parole sono vere ancora oggi:

“La pace è un cantiere aperto a tutti, non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale: essa passa attraverso mille piccoli atti della vita quotidiana. A seconda del loro modo quotidiano di vivere con gli altri, gli uomini scelgono a favore della pace o contro la pace”.

Significati e sfide che hanno attraversato il tempo riflettendosi, sviluppandosi e consegnandosi anche grazie al lavoro della Comunità di Sant’Egidio ai leader religiosi, rappresentanti di istituzioni, della cultura, dell’economia. Il mondo, in questi anni, ha visto cadere il “Muro di Berlino”, la fine della “guerra fredda”, ma anche l’accendersi di altri conflitti come la guerra nei Balcani in Ucraina, in Siria, la morte di migliaia di migranti o la crescente minaccia del terrorismo. Ma la pace è e rimane la via, come ha ribadito anche Benedetto XVI, sempre ad Assisi il 27 ottobre 2011, nel 25.mo della giornata:

“Vorrei assicurarvi che la Chiesa cattolica non desisterà dalla lotta contro la violenza, dal suo impegno per la pace nel mondo. Siamo animati dal comune desiderio di essere pellegrini della verità, pellegrini della pace”.

E tanta è l’attesa per questa domenica quando i testimoni della pace inizieranno ad incontrarsi: interverranno in 29 panel, sessioni di lavoro e condivisione. Martedì l’abbraccio di Assisi, di tutti, sarà per Papa Francesco, poi la lettura e la consegna alle Nazioni dell’Appello per la pace 2016.

 

Domenica pomeriggio ci sarà l'avvio dei lavori alla presenza del capo di Stato Sergio Mattarella, la mattina presiederà la solenne celebrazione Eucaristica il vescovo di Assisi, mons. Domenico Sorrentino. Su questo evento ascoltiamo il presule ai nostri microfoni: 

R. – C'è una grande partecipazione; sto cercando adesso di organizzare tutto il necessario per l’accoglienza degli ospiti e dei tanti che vorranno prendere parte ai singoli momenti della tre-giorni.

D. – “Sete di pace: religioni e culture in dialogo”. Lei ha ribadito: un incontro importantissimo in un mondo ormai del tutto globalizzato …

R. – Le sfida sono evidentemente tutte le situazioni di tensioni, di guerre e di conflittualità nelle diverse regioni del mondo. E’ un mondo globalizzato in cui però non si è globalizzata la solidarietà e sembra davvero così difficile individuare il bandolo della costruzione della pace. Sono tre giorni in cui tutti gli uomini, credenti ma anche non credenti, aperti - aperti al dialogo, aperti al mistero – si vogliono incontrare per dire un “no”, un “no” deciso a ogni forma di violenza, di guerra e per dire un “sì” alla cultura dell’incontro, del dialogo.

D. – Un incontro, quello di Assisi, che è passato attraverso tre Papi; ci sarà anche Papa Francesco …

R. – Il Papa sicuramente porterà l’impegno di tutta la Chiesa cattolica a procedere, come sta facendo, nella direzione della costruzione della pace e del dialogo con tutti gli uomini di buona volontà. Naturalmente, da credenti, da cristiani, qui, poi, ad Assisi, con la testimonianza di Francesco noi porteremo anche lo specifico cristiano. Non va dimenticato che questa giornata nacque nel 1986 e tale deve restare: una giornata di preghiera e dunque il valore della preghiera. Di fronte alla difficoltà di costruire la pace, non c’è che la grazia che ci possa realmente accompagnare aprendo i cuori. Poi, tutte le iniziative necessarie sul versante politico, economico, culturale … Ma abbiamo bisogno di rivolgerci a Dio, al suo Santo Spirito perché ci tocchi i cuori.

D. – Domenica alla solenne celebrazione eucaristica che lei presiederà, cosa dirà? Il cuore del suo messaggio …

R. – La Parola di Dio mi aiuterà perché sarà un discorso sulla ricchezza; si ricorderà che non si possono servire due padroni e in ogni caso, la ricchezza materiale serve per aprire il cuore ai fratelli in difficoltà, e dunque non c’è dialogo che tenga là dove non c’è apertura di cuori, di mente, accoglienza … E la Chiesa dev’essere in prima linea, è la Chiesa di Gesù che si fa ritrovare, quasi ci dà appuntamento nei più poveri: bisogna che essi vengano posti al centro della nostra attenzione, del nostro amore.

Saranno tre giorni in cui con forza si ribadirà che le religioni costruiscono la pace e non la violenza dice Augusto D'angelo della Comunità di Sant'Egidio, il quale sottolinea anche che si sta lavorando agli ultimi preparativi: 

R. – Direi che i preparativi per questo 30.mo anniversario vanno benissimo: si lavora di gran lena, ma si lavora fortemente contenti perché ci si rende conto che è un momento importante. Poi la presenza del presidente Mattarella domani e di Papa Francesco nella giornata conclusiva ci riempiono di felicità. Saranno giornate molto belle ed interessanti in cui imparare tante cose nuove e scoprire che gli uomini religiosi possono diventare amici e far da modello a tutti gli altri. Perché in fondo oggi in Europa, per esempio, c’è un grosso problema di integrazione; e il conoscersi reciprocamente, il rispettarsi e lo stimarsi a vicenda possono essere un veicolo di grande integrazione.

D. – La sfida è riunire le religioni e le culture di tutto il mondo, che si pongono in una dimensione di dialogo: qual è l’obiettivo che si vuole raggiungere in questo 30.mo così carico di aspettativa?

R. – Direi che l’obiettivo principale è quello di dimostrare ancora una volta che le religioni possono dialogare tra di loro; che ci deve essere un senso unitivo nel mondo piuttosto di seguire le voci che chiamano alla divisione e al porsi gli uni contro gli altri.

D. – Vengono chiamati “panel” questi luoghi dove ci si incontra e ci si confronta. Molti dicono che la prossimità più bella è quella che c’è anche nei vicoli di Assisi, dove poi tutte queste persone si ritrovano in maniera informale e in realtà tessono un dialogo, un incontro vero…

R. – È così e direi di più. Da un lato, i panel servono a conoscersi reciprocamente e a far presente al pubblico che queste realtà man mano si avvicinano su tanti problemi fondamentali. Dall’altro, è anche vero che l’amicizia e le connessioni che nascono tra i diversi capi delle diverse religioni, in quei vicoli che tu citavi, sono importanti perché in fondo, conoscendosi, cresce la fiducia reciproca, la conoscenza reciproca, il rispetto reciproco, e crescono le occasioni per poter collaborare su tanti temi importanti per tutte le religioni.

D. – Qual è l’augurio della comunità per questo evento?

R. – Che questo evento possa essere molto importante proprio nel ribadire, come si fece 30 anni fa con San Giovanni Paolo II, che anche in un clima di conflitti – all’epoca c’era la Guerra Fredda, mentre oggi i conflitti sono spezzettati – gli uomini di religione assieme possono trovare delle vie di pace. Cioè le religioni possono essere o la benzina che innaffia e fa incendiare maggiormente i conflitti oppure l’acqua che li spegne. Io penso che si dimostri che possano essere l’acqua che li spegne.

inizio pagina

Si è spento l'esorcista padre Gabriele Amorth

◊  

Si è spento ieri a Roma padre Gabriele Amorth: aveva 91 anni. Modenese, partigiano cattolico, poi religioso paolino e dal 1986 esorcista nella Diocesi di Roma, padre Amorth ha svolto la sua attività in modo instancabile. Ma riascoltiamo padre Amorth in una intervista rilasciata a Luca Collodi nel 2006: 

R. – Bisogna tenere conto che l’esorcismo è qualcosa in cui si crede perché avvengono fatti che la ragione non può spiegare e che invece la Bibbia ci espone. Aggancio immediatamente la presenza dell’esorcismo con gli insegnamenti della Bibbia, perché la ragione da sola non arriverebbe mai a comprendere certi fenomeni che la ragione non arriva a capire e che solo attraverso la conoscenza rivelata che ci viene dalla Bibbia riusciamo ad approfondire. Teniamo conto che tutti i popoli di tutte le razze, anche i popoli più antichi, hanno sempre avuto la sensibilità all’esistenza di spiriti malefici che ci sono; é solo, però, attraverso la Bibbia che noi abbiamo saputo con certezza chi sono questi spiriti, ossia che sono angeli creati buoni da Dio che si sono ribellati e che per odio a Dio tentano l’uomo al male.

D. – Padre Amorth, molti si chiedono – spesso con una curiosità razionale – che cosa è un esorcismo, come si manifesta il male e come viene allontanato dall’uomo …

R. – L’esorcismo è una preghiera fatta in nome della Chiesa, per cui con una forza maggiore che non la semplice preghiera o le semplici invocazioni private, per liberare le persone colpite dal demonio dalla presenza o dalle influenze malefiche. Tenga presente questa differenza, perché la presenza malefica è molto rara, ossia che ci sia una persona realmente posseduta dal demonio, mentre è più frequente la influenza malefica, ossia una persona che ha dei tormenti causati dal demonio.

D. – Padre Amorth, come si presenta il demonio in una persona?

R. – Il demonio naturalmente è un puro spirito, non è che lo si veda: se ne vedono gli effetti. Quindi, la sofferenza che una persona ha e che i medici non riescono né ad individuare né tantomeno a guarire …

D. – Come si manifesta, all’inizio del terzo millennio, il demonio?

R. – Si manifesta con grande forza, perché non dimentichiamo che quando cala la fede, aumenta la superstizione, per cui le persone, dedicandosi all’occultismo che è in crescita, aprono le vie alle influenze demoniache.

D. – Padre Amorth, la Chiesa che rapporto ha con l’esorcismo e con i sacerdoti esorcisti?

R. – Direi che la Chiesa ha ufficializzato il mandato di Gesù: “Andate, predicate, cacciate i demoni, guarite i malati”.

D. – Possiamo riconoscere la presenza del diavolo anche nella storia, ad esempio nella storia contemporanea?

R. – Sì, perché il diavolo può possedere non solo le singole persone, ma anche i gruppi, anche popolazioni intere. Per esempio, io sono convinto che i nazisti fossero tutti posseduti dal demonio. Se si pensa a quello che hanno compiuto tipi come Stalin, Hitler … certamente erano posseduti dal demonio. Lo si vede dalle loro azioni, dal loro comportamento, dagli orrori che hanno commesso o che hanno fatto commettere, per cui bisogna difendere dal demonio anche la società!

inizio pagina

Il commento di don Sanfilippo al Vangelo della Domenica XXV T.O.

◊  

Nella 25.ma domenica del Tempo ordinario, il Vangelo presenta la parabola dell’amministratore disonesto, in cui Gesù dice:

“Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

“Non potete servire Dio e la ricchezza”. Esiste un criterio sicuro per verificare se serviamo l'uno o l'altro, ovvero: che valore diamo alla persona umana e alla sua dignità rispetto all'acquisizione o all'incremento di ogni forma di ricchezza? La persona umana è il campo di battaglia dove cimentarsi per conoscere la veridicità del nostro servire Dio. Chi sceglie di servire l'uomo si adopera per il rispetto dei suoi diritti, cominciando da quello alla vita, ad avere un padre ed una madre, di ricevere l’annuncio della fede, della vita eterna, di accedere all'istruzione, come il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero e la propria fede, di essere considerato più importante degli animali e quello di morire senza eutanasia; costui sta servendo Dio. Chi, invece, per ottenere un qualsiasi vantaggio economico o il prestigio sociale o un consenso elettorale è disposto a chiudere un occhio per non difendere uno solo di questi diritti, sta servendo una ricchezza definita a giusto titolo "ingiusta". Chi per amore a Cristo avrà difeso l'uomo, avrà persecuzioni e false accuse in terra, ma sarà accolto con molta gioia nella casa del Padre, nelle dimore eterne da coloro che avrà servito. Chi avrà preferito l'iniqua ricchezza, forse, riceverà dal maligno benessere e successo in questo mondo, ma rischia, in seguito, di non avere il cielo, per sempre.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



India: cristiana uccisa a colpi d’ascia da estremisti sikh

◊  

Ancora incerte le ragioni dell'uccisione di una donna di fede cristiana in un villaggio dello Stato indiano occidentale del Punjab. Responsabili dell’efferato assassinio sarebbero estremisti di fede sikh, religione monoteista nota per la tolleranza, i cui templi sono aperti anche a visitatori di fede diversa. Non mancano, tuttavia, soprattutto nelle aree d’origine, appunto il Punjab ma anche i confinanti Stati di Haryana e Delhi, fazioni radicali e militanti. 

La 55enne Balwinder Kaur sarebbe stata “punita” per avere profanato il Guru Granth Sahab, testo che raccoglie gli insegnamenti dei dieci maestri (“guru”) della tradizione sikh. In sé una sintesi di elementi indù e islamici evolutasi dal XV secolo. L’omicidio è avvenuto l’11 settembre nel borgo di Veroke. Gli aggressori che, secondo quanto riportato dall’agenzia AsiaNews, si erano radunati presso l’abitazione della donna, l’avrebbero aggredita, trascinata fuori e colpita più volte alle gambe con un’ascia. Una modalità di aggressione anomala oltre che feroce, che farebbe pensare ad un aspetto punitivo e quasi rituale dell’assassinio. 

La donna, infatti, come riferito da Harkamal Preet Singh Khakh, sovrintendente di polizia della capitale del Punjab, Amritsar, è morta dissanguata per le ferite riportate quattro ore dopo il ricovero in ospedale. La vicenda è resa ancora più drammatica dalle circostanze che l’avrebbero preceduta. Nel 2015, la donna era stata colpita in modo accidentale da una scarica elettrica, che l’aveva privata della piena capacità di comprensione. Successivamente, aveva ricevuto una denuncia da parte della comunità sikh per essere entrata con calzature non ideone in un luogo di culto (gurudwara), da cui era stata cacciata dopo un diverbio. Un precedente che ha sollecitato la polizia a seguire con maggiore determinazione la pista dell’estremismo sikh. 

Il vescovo cattolico di Jalandhar, monsignor Franco Mulakkal, ha spiegato che, contrariamente all’immagine di convivenza e di relativa tolleranza, nello Stato del Punjab – che ha visto l’origine della fede sikh nonché della lotta della comunità per l’indipendenza prima dai musulmani e poi dai britannici – «avvengono persecuzioni ». Se confermata la matrice religiosa, quella di sabato sarebbe un’azione di particolare gravità, non solo per la sua rarità, ma anche perché segnalerebbe la persistenza di focolai di estremismo, alimentati storicamente dall’azione del governo centrale che ha prima diviso amministrativamente la “patria” sikh tra più Stati, e poi ne ha represso con durezza le istanze autonomiste e indipendentiste.

inizio pagina

Bangladesh. Dopo attentato Dacca, a rischio relazioni interreligiose

◊  

La legittima preoccupazione per le misure di sicurezza, disposte dal governo e organizzate dalle comunità cristiane, "sta disturbando le relazioni interreligiose tra persone comuni", dice a Fides il Vescovo ausiliare di Dacca, mons. Shorot Francis Gomes.

Il Vescovo, a Roma per il Seminario di formazione promosso dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, spiega a Fides: "Fino a ieri musulmani, cristiani, indù, specialmente nei villaggi e nelle zone rurali, vivevano fianco a fianco, senza alcun problema. Oggi si è insinuato il sospetto, siamo più cauti: quando una persona sconosciuta si avvicina a una chiesa, gli si chiede chi sia e cosa cerchi".

E' uno degli effetti della paura del terrorismo oggi diffusa nella società bengalese, dopo l'attacco terroristico del 1° luglio a Dacca, in cui sono morte 20 persone in maggioranza stranieri, e che si vive anche tra le minoranze religiose: "Non ci aspettavamo un attentato in quella forma brutale . E’ vero che nei due anni scorsi, gruppi o singoli estremisti avevano dato segni di crescita con minacce o anche omicidi di attivisti e leader religiosi, ma la strage di Dacca è stata uno shock per tutti. Il governo, che forse aveva sottovalutato la minaccia, ora l’ha presa sul serio.

Il governo ha disposto maggiori misure di sicurezza per tutte le comunità religiose, specie per templi, chiese, istituti delle minoranze religiose, anche moschee. Il governo ci ha anche incoraggiati a provvedere noi stessi alla sicurezza, specie nei villaggi, tramite un nostro servizio di vigilanza che in molte parti abbiamo creato” spiega il Vescovo.

In ogni caso, conclude mons. Shorot Gomes, “si tratta di frange minoritarie che vogliono disturbare la convivenza e la stabilità. La Chiesa e la società civile, con tanti musulmani, in una imponente manifestazione pubblica tenutasi a Dacca agli inizi di agosto, hanno fortemente rifiutato il terrorismo e manifestato per la pace e l'armonia, che restano una priorità per la piccola comunità cattolica in Bangladesh”.

inizio pagina

Colombia: vescovi ottimisti sulle trattative di pace con l’Eln

◊  

Nonostante lo “sciopero armato” indetto dall’Esercito di liberazione nazionale (Eln) in sei dipartimenti del Paese – un avvenimento che sta causando il blocco di trasporti, lavoro, scuola e qualche episodio di violenza -  il vescovo di Tibú, in Colombia, mons. Omar Alberto Sánchez Cubillos, esprime ottimismo sulla possibile apertura di trattative di pace anche da parte della seconda formazione della guerriglia colombiana, dopo l’accordo raggiunto tra il governo e le Forze armate rivoluzionarie (Farc).

Le attese del referendum del 2 ottobre
In un’intervista pubblicata sul sito della Conferenza episcopale colombiana (Cec) e ripresa dall’agenzia Sir, mons. Sánchez esprime “la forte speranza che l’Eln si appresti a orientare le sue azioni secondo la direzione che prenderà il Paese”. La Colombia, infatti, si appresta a votare, tramite referendum, l’intesa raggiunta tra l’esecutivo e le Farc. Gli accordi saranno siglati il prossimo 26 settembre, mentre la votazione popolare si terrà il 2 ottobre. “Il Paese si trova di fronte ad una decisione molto importante – sottolinea il presule - per entrare in un nuovo dinamismo” verso una pace piena.

Formazione per i sacerdoti che operano nelle zone di conflitto
Intanto, il Dipartimento di animazione missionaria e la Commissione di riconciliazione nazionale della Cec hanno avviato il primo “Laboratorio di formazione e accompagnamento” per quei sacerdoti, religiosi, religiose, laici ed operatori pastorali che agiscono nelle zone dove, prossimamente, saranno concentrati ed accampati i membri delle Farc in uscita dalla guerriglia, così come richiesto dagli accordi di pace.

Costruire la riconciliazione e la pace
L’iniziativa è stata pensata per fornire strumenti pastorali e nozioni di diritto internazionale e umanitario, ma anche per favorire la crescita di una spiritualità in grado di superare i conflitti. In particolare, si intende rafforzare l’opera di sacerdoti e religiosi come segno della presenza di Cristo, contribuendo così alla costruzione di scenari di riconciliazione e pace. In tal modo, secondo la Commissione organizzatrice del laboratorio, la Chiesa cattolica sarà “garante di pace, in ricerca dell’uguaglianza nel cammino del post-conflitto nel Paese”.

inizio pagina

Migrazioni. Vescovi Usa: non soffocare solidarietà

◊  

I cattolici degli Stati Uniti sono invitati a “superare le divisioni partitiche” sui temi che riguardano i migranti, ricordando il messaggio evangelico e gli insegnamenti sociali della Chiesa, fondati sull’accoglienza dello straniero. Lo afferma mons. Eusebio Elizondo, vescovo ausiliare di Seattle e presidente del Comitato per le migrazioni della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, in una dichiarazione in vista del Summit su rifugiati e migranti che si svolgerà nella sede delle Nazioni Unite a New York lunedì 19 settembre.

Non soffocare la solidarietà e lo spirito di comunità
“Siamo immersi in un contesto sociale che mette in evidenza le divisioni e i disaccordi e soffoca la solidarietà e un autentico spirito di comunità”, afferma il presule, citato dall’agenzia Sir. I vescovi cattolici Usa riconoscono la necessità, per le nazioni, di controllare le proprie frontiere, ma ribadiscono al tempo stesso “il diritto di emigrare per le persone che non riescono a trovare mezzi di sostentamento nel proprio Paese o se costrette a fuggire da persecuzioni e violenza”. “Le nazioni sovrane – si legge nella dichiarazione di mons. Elizondo – devono trovare il modo per rispettare questo diritto”.

Tutti devono poter vivere liberi e con dignità
Non basta, quindi “accogliere i migranti nelle nostre comunità”, prosegue il presule statunitense, perché “i leader politici e religiosi di questa nazione devono lavorare con i leader degli altri Paesi, per creare le condizioni per cui le persone non siano obbligate ad emigrare”. Di qui, l’appello finale della Chiesa Usa a promuovere “il bene comune in ogni luogo”, e costruire un mondo “nel quale tutti possano avere accesso alle opportunità economiche, politiche e sociali che consentono di vivere liberi e con dignità”.

inizio pagina

Francia, Secours catholique: allarme per il Muro di Calais

◊  

“Il muro è l’espressione di una vergogna, quella che nega l’esistenza di questi uomini, donne e bambini da mesi presenti sul territorio e quella che evidenzia la mancanza di una vera e propria politica europea, ma anche internazionale, e la volontà di prendersi carico della crisi migratoria”. È l’opinione di Didier Degrémont, presidente del Secours catholique-Pas de Calais, a proposito del muro che l’Inghilterra ha deciso di costruire sul suolo francese per impedire che i migranti da Calais possano raggiungere le coste britanniche.

Allarme per l’alto numero di morti
Il muro – fa notare il rappresentante del Secours catholique, citato dall’agenzia Sir – che “già da mesi esiste”, mira, a detta dei politici, a “rafforzare la sicurezza e impedire totalmente che i migranti lo possano oltrepassare”. Ma - prosegue Degrémont - è “un non senso”. Il muro – prosegue – non solo “non cambierà nulla”, ma “i tentativi di rafforzare le misure di sicurezza non faranno che spingere all’estremo i tentativi di questi uomini e queste donne di tentare il passaggio nel Regno Unito. 30 giovani sono morti nel giro di un anno e mezzo”.

Europa si svegli ed agisca con coraggio
È una “vergogna” – secondo Secours catholique – anche la quantità di denaro inglese che verrà impiegata per la costruzione del muro. Un’opera  “che un giorno dovrà sparire”. Ricordando l’impegno concreto del Secours catholique sul “campo” a fianco dei migranti,  Degrémont lancia un appello: “È tempo che l’Europa si svegli e che il mondo agisca nella verità. Che si considerino questi uomini, donne e bambini come una ricchezza. Che si cambi l’immagine dei migranti, che i media veicolino la verità e non il sensazionale,  e che i politici agiscano con coraggio”.

inizio pagina

Il cardinale Ravasi consegna premio alla Sagra musicale umbra

◊  

Anche in un mondo dove troppe pietre sono “striate di sangue” c’è speranza per l’umanità, perché gli angeli di Dio hanno dimenticato di ritirare la scala che da tempo immemore unisce la terra al cielo. Il cardinale Gianfranco Ravasi ha suggellato con la citazione del celebre sogno biblico di Giacobbe, secondo la versione ebraica, il concerto tenutosi ieri nella Basilica di San Pietro a Perugia, nell’ambito della 71.ma Sagra Musicale Umbra. La serata, dedicata con commozione alla memoria delle vittime del recente terremoto in Italia centrale, ha visto tra l’altro l’esecuzione dei tre “Kyrie” finalisti al Concorso di composizione di musica sacra “F. Siciliani”. Il testo sacro da mettere in musica era stato scelto anche per questa terza edizione dal presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e il porporato, alla fine delle tre esecuzioni, ha consegnato ex aequo il premio della giuria internazionale al pianista e organista Julian Darius Revie, di origine canadese-lituana, e al compositore milanese Carlo Alessandro Landini. A trasportare dalla carta all’ascolto, emozionante, le tre partiture è stata ancora una volta la maestria vocale del St. Jacob’s Chamber Choir di Stoccolma, formazione più volte acclamata a Perugia e ormai strettamente legata alla Sagra Musicale Umbra. Sotto la direzione di Gary Graden, il St’Jacob’s ha offerto una intensa meditazione in musica sul dolore eseguendo, fra l’altro, il Misericordias Domini di Mozart e il The Deer’s Cry di Arvo Pärt, uno dei più grandi compositori viventi, membro della giuria selezionatrice, seduto in prima fila accanto ai giovani compositori finalisti, immagine plastica del genio sostiene e lancia i nuovi ingegni della musica d’arte. (A cura di Alessandro De Carolis)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 261

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.