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Sommario del 12/09/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: il diavolo vuole dividere la Chiesa alla radice dell'unità, la Messa

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Le divisioni distruggono la Chiesa e il diavolo cerca di attaccare quella che è la radice dell’unità, ovvero la celebrazione eucaristica: lo ha detto Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa fa memoria del Nome di Maria. Il servizio di Sergio Centofanti

Commentando la Lettera di San Paolo ai Corinzi, rimproverati dall’apostolo per i loro litigi, Papa Francesco ha ribadito che “il diavolo ha due armi potentissime per distruggere la Chiesa: le divisioni e i soldi”. E questo è accaduto sin dall’inizio: “divisioni ideologiche, teologiche, che laceravano la Chiesa. Il diavolo semina gelosie, ambizioni, idee, ma per dividere! O semina cupidigia”. E come avviene dopo una guerra “tutto è distrutto. E il diavolo se ne va contento. E noi - ingenui, stiamo al suo gioco”. “E’ una guerra sporca quella delle divisioni – ripete ancora una volta il Papa - è come un terrorismo”, quello delle chiacchiere nelle comunità, quello della lingua che uccide, “butta la bomba, distrugge e rimango”:

“E le divisioni nella Chiesa non lasciano che il Regno di Dio cresca; non lasciano che il Signore si faccia vedere bene, come è Lui. Le divisioni fanno sì che si veda questa parte, quest’altra  contro di questa, contro di… Sempre contro! Non c’è l’olio dell’unità, il balsamo dell’unità. Ma il diavolo va oltre, non solo nella comunità cristiana, va proprio alla radice dell’unità cristiana. E questo che accade qui, nella città di Corinto, ai Corinzi. Paolo li rimprovera perché le divisioni arrivano proprio, proprio alla radice dell’unità, cioè alla celebrazione eucaristica”.

Nel caso dei Corinzi, vengono fatte divisioni tra i ricchi e i poveri proprio durante la celebrazione eucaristica. Gesù – sottolinea il Papa – “ha pregato il Padre per l’unità. Ma il diavolo cerca di distruggere fino a lì”:

“Io vi chiedo di fare tutto il possibile per non distruggere la Chiesa con le divisioni, siano ideologiche, siano di cupidigia e di ambizione, siano di gelosie. E soprattutto di pregare e custodire la fonte, la radice propria dell’unità della Chiesa, che è il Corpo di Cristo; che noi – tutti i giorni – celebriamo il suo sacrificio nell’Eucarestia”.

San Paolo parla delle divisioni tra i Corinzi, 2000 anni fa …

“Questo può dirlo Paolo oggi a tutti noi, alla Chiesa d’oggi. ‘Fratelli, in questo, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio!’. Ma, la Chiesa riunita tutta... Per il peggio, per le divisioni: per il peggio! Per sporcare il Corpo di Cristo nella celebrazione eucaristica! E lo stesso Paolo ci dice, in un altro passo: ‘Chi mangia e beve il Corpo e il Sangue di Cristo indegnamente, mangia e beve la propria condanna’. Chiediamo al Signore l’unità della Chiesa, che non ci siano divisioni. E l’unità anche nella radice della Chiesa, che è proprio il sacrificio di Cristo, che ogni giorno celebriamo”.

Era presente alla celebrazione anche mons. Arturo Antonio Szymanski Ramírez, arcivescovo emerito di San Luis Potosí (Messico), 95 anni il prossimo gennaio. All’inizio dell’omelia il Papa lo ha citato, ricordando che ha partecipato al Concilio Vaticano II e che oggi aiuta in parrocchia. Il Pontefice lo aveva ricevuto in udienza lo scorso 9 settembre.

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Amoris Laetitia. Lettera del Papa ai vescovi di Buenos Aires

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È la carità pastorale che spinge a «uscire per incontrare i lontani e, una volta incontrati, a iniziare un cammino di accoglienza, accompagnamento, discernimento e integrazione nella comunità ecclesiale». Ruota intorno a questa premessa la lettera che Papa Francesco ha inviato ai vescovi della regione pastorale Buenos Aires — indirizzandola al loro delegato, monsignor Sergío Alfredo Fenoy — in risposta al documento «Criterios básicos para la aplicación del capítulo viii de Amoris laetitia» (“Criteri fondamentali per l’applicazione del capitolo viii di Amoris laetitia”). Lo riferisce L'Osservatore Romano.

Esprimendo il suo apprezzamento per il testo elaborato dai presuli, il Pontefice ha sottolineato come esso manifesti nella sua pienezza il senso del capitolo viii dell’esortazione apostolica — quello che tratta di «accompagnare, discernere e integrare la fragilità» — chiarendo che «non ci sono altre interpretazioni». Il documento dei vescovi, ha assicurato il Papa, «farà molto bene», soprattutto per quella «carità pastorale» che lo attraversa interamente.

Il testo elaborato dai pastori della Chiesa argentina è «un vero esempio di accompagnamento ai sacerdoti», ha spiegato il Pontefice, rimarcando quanto sia necessaria la vicinanza «del vescovo al suo clero e del clero al vescovo». Infatti, ha scritto, il «prossimo “più prossimo” del vescovo è il sacerdote e il comandamento di amare il prossimo come se stesso comincia per noi vescovi precisamente con i nostri preti». Naturalmente, la carità pastorale intesa come tensione continua alla ricerca dei lontani è faticosa. Si tratta di una pastorale «corpo a corpo» che non può ridursi a «mediazioni programmatiche, organizzative o legali, sebbene necessarie». Delle quattro «attitudini pastorali» indicate — «accogliere, accompagnare, discernere e integrare» — la meno e praticata, secondo Francesco, è il discernimento.

«Considero urgente — ha affermato — la formazione nel discernimento, personale e comunitario, nei nostri seminari e presbiteri». Infine, il Pontefice ha ricordato che l’Amoris laetitia è stata il «frutto del lavoro e della preghiera di tutta la Chiesa, con la mediazione di due Sinodi e del Papa». Pertanto, ha raccomandato una catechesi completa sull’esortazione, che «certamente aiuterà la crescita, il consolidamento e la santità della famiglia».

Il documento dei vescovi argentini, focalizzandosi appunto sull’VIII capitolo dell’Esortazione apostolica, ricorda che non «conviene parlare di “permesso” per accedere ai sacramenti, ma di un processo di discernimento accompagnato da un pastore». Questo processo deve essere «personale e pastorale». L’accompagnamento è infatti un esercizio della via caritatis, un invito a seguire il cammino di Gesù.

Si tratta di un itinerario, scrivono i vescovi, che richiede la carità pastorale del sacerdote, il quale «accoglie il penitente, lo ascolta attentamente e gli mostra il volto materno della Chiesa, mentre accetta la sua retta intenzione e il suo buon proposito di collocare la vita intera alla luce del Vangelo e di praticare la carità». Questo cammino, avvertono i presuli, non termina necessariamente nei sacramenti, ma può orientarsi in altre forme di maggiore integrazione nella vita della Chiesa: una maggiore presenza nella comunità, la partecipazione a gruppi di preghiera o riflessione, l’impegno in diversi servizi ecclesiali.

«Quando le circostanze concrete di una coppia lo rendano fattibile, specialmente quando entrambi siano cristiani con un cammino di fede — si legge nel documento — si può proporre l’impegno di vivere in continenza». L’Amoris laetitia «non ignora le difficoltà di questa opzione e lascia aperta la possibilità di accedere al sacramento della riconciliazione quando si manchi a questo proposito». In altre circostanze più complesse, e quando non si è potuto «ottenere una dichiarazione di nullità — sottolinea il testo — l’opzione menzionata può non essere di fatto praticabile». È possibile, tuttavia, compiere ugualmente «un cammino di discernimento». E «se si giunge a riconoscere che, in un caso concreto, ci sono limitazioni che attenuano la responsabilità e la colpevolezza, particolarmente quando una persona consideri che cadrebbe in una ulteriore mancanza provocando danno ai figli della nuova unione, Amoris laetitia apre alla possibilità dell’accesso ai sacramenti della riconciliazione e dell’Eucaristia». Questo, a sua volta, dispone la persona a continuare a maturare e a crescere con la forza della grazia.

Il documento sottolinea come occorra evitare di intendere questa possibilità come un «accesso illimitato ai sacramenti, o come se qualsiasi situazione lo giustificasse». Ciò che si propone è piuttosto un discernimento che «distingua adeguatamente ogni caso». Speciale attenzione richiedono alcune situazioni, come quella di una nuova unione che viene da un recente divorzio, oppure quella di chi è più volte venuto meno agli impegni familiari, o ancora di chi attua «una sorta di apologia o di ostentazione della propria situazione, come se fosse parte dell’ideale cristiano». In questi casi più difficili, i sacerdoti devono accompagnare con pazienza cercando qualche cammino di integrazione. È importante, si legge nel testo, «orientare le persone a mettersi con la propria coscienza davanti a Dio, e perciò è utile l’esame di coscienza» che propone l’esortazione apostolica, specialmente in ciò che fa riferimento al comportamento verso i figli o verso il coniuge abbandonato. In ogni caso, quando ci sono «ingiustizie non risolte, l’accesso ai sacramenti è particolarmente scandaloso».

Per questo il documento afferma che «può essere conveniente che un eventuale accesso ai sacramenti si realizzi in maniera riservata, soprattutto quando si prevedono situazioni di conflitto». Allo stesso tempo, però, non si deve tralasciare di accompagnare la comunità perché «cresca in uno spirito di comprensione e di accoglienza, senza che ciò implichi creare confusioni nell’insegnamento della Chiesa riguardo al matrimonio indissolubile». A questo proposito i presuli ricordano che «la comunità è strumento della misericordia che è “immeritata, incondizionata e gratuita”». Soprattutto, ribadiscono che il discernimento «non si chiude, perché è dinamico e deve rimanere sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in maniera più piena».

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Riforma Curia: al via la riunione del Papa con il Consiglio dei Nove

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Ha avuto inizio questa mattina la sedicesima riunione di Papa Francesco con il cosiddetto Consiglio dei Nove Cardinali. I lavori proseguiranno fino a mercoledì 14 settembre. Il Papa ha istituito il Consiglio tre anni fa con il compito di coadiuvarlo nel governo della Chiesa e nel progetto di riforma della Curia Romana.

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Zollner: Papa incontra vittime italiane abusi, si rafforza impegno Chiesa

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Si consolida l’impegno della Chiesa per la protezione dei minori contro ogni forma di abuso. La Plenaria della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori ha concluso ieri una riunione di lavoro tenutasi in Vaticano, iniziata il 5 settembre. Tra i temi forti trattati dai membri dell’organismo voluto da Papa Francesco: l’istituzione di una giornata di preghiera per le vittime, la realizzazione di un modello guida per le Conferenze episcopali e la pubblicazione di un sito web della Commissione. Durante le sessioni di lavoro si è inoltre messo l’accento sull’importanza del documento papale “Come una madre amorevole” che sottolinea la responsabilità dei vescovi, sull’impegno per l’educazione e ancora sui numerosi incontri svoltosi in più parti del mondo da parte di membri della Commissione. Al microfono di Alessandro Gisotti la riflessione di padre Hans Zollner, membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori: 

R. – Penso che abbiamo condiviso tantissime attività, che abbiamo svolto all’interno dei gruppi di lavoro. Io penso che si possa dire che, in questi ultimi mesi, almeno 70-80 incontri si sono svolti nelle parti più diverse del mondo: dall’Europa all’America, sino all’Oceania. Abbiamo visto come ora in molte parti del mondo, in cui finora non si parlava del tema dell’abuso e della sua prevenzione, si stiano muovendo molto persone all’interno della Chiesa e anche fuori; e che la Chiesa in queste zone - a volte - è veramente la parte più attiva e più importante proprio grazie al sistema delle scuole cattoliche, grazie a tutto il sistema educativo e al lavoro con i giovani e le famiglie. Per cui siamo stati molto contenti di poter condividere le tante attività che sono state svolte e che ormai– a mio parere – indicano una certa di presa di coscienza a livello universale.

D. – Sta crescendo la cultura proprio della tutela, di questa presa di coscienza sempre più profonda?

R. – Una delle esperienze e anche delle riflessioni è stata questa: dobbiamo muoverci sui vari livelli e in vari ambiti. Questa volta abbiamo parlato delle linee-guida e di un modello, di un formato, che vogliamo sottoporre all’attenzione del Santo Padre, che potrebbe funzionare come ispirazione per le Conferenze episcopali per migliore ancora di più o per lavorare in alcuni ambiti in cui le loro linee-guida non sono state sviluppate sufficientemente. L’altro ambito è quello della preghiera, dell’attenzione all’assistenza spirituale alle vittime, per coloro che vogliono ricevere questo aiuto o che a volte si aspettano anche questo aiuto. Abbiamo saputo che il Santo Padre ha reagito – dopo la consegna della nostra proposta, avvenuta qualche mese fa – con una giornata di preghiera per le vittime di abuso. E’ stata inviata una lettera alle Conferenze episcopali, dichiarando questa necessità di pensarci e di fare una proposta: quello che è avvenuto, a seguito di questa lettera, è la richiesta che le rispettive Conferenze episcopali si mettano a lavorare, laddove questo non sia stato ancora fatto, in modo da poter proporre una data e anche una forma per quella Chiesa locale per cui sono responsabili. In questa settimana avremo anche la possibilità di incontrare i nuovi vescovi nominati, sia per le terre di missione – e quindi i vescovi che appartengono a Propaganda Fide, alla Congregazione per l’evangelizzazione dei popolisia quelli che sono sotto la giurisdizione della Congregazione per i vescovi. Quindi abbiamo l’opportunità di poter parlare con ai nuovi pastori delle Chiese locali – il cardinale O’Malley, la vittima di abuso Marie Collins ed io – trasmettendo loro un messaggio pensiamo consistente. Siamo molto lieti che per la prima volta siamo stati invitati.

D. – Sappiamo quanto Papa Francesco abbia a cuore la tutela dei minori, proseguendo un lavoro grande iniziato dal suo predecessore in particolare. C’è stata un’occasione di incontro con il Papa in questi giorni?

R. – La Commissione non ha incontrato il Santo Padre, ma ho saputo che due vittime di abuso in Italia hanno avuto un incontro con il Santo Padre, all’interno dell’Udienza per l’Anno Giubilare, sabato scorso, nel corso del quale gli hanno consegnato due libri, che sono stati pubblicati in italiano in questo anno: “Giulia e il lupo” e l’altro “Vorrei risorgere dalle mie ferite”. Il primo è sull’esperienza di una giovane abusata da un sacerdote in Italia: e questo è il primo libro in Italia, in italiano e su una esperienza in Italia. L’altro libro è sulle donne consacrate, che vengono abusate da sacerdoti. Il Papa – da quello che mi hanno detto queste due signore – è stato molto impressionato e ha chiesto di poter seguire anche questa vicenda. Quindi io penso, da quello che abbiamo saputo e visto in questi anni – da quando c’è Papa Francesco, come anche Papa Benedetto – che i Papi hanno una grande attenzione personale, molto empatica e molto vicina, alle persone in grandi difficoltà e anche verso coloro che hanno subito un abuso sessuale da parte di un membro del clero.

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Il saluto del Papa agli atleti delle Paralimpiadi di Rio

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Oggi il Papa ha pubblicato un nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Un saluto a tutte le atlete e gli atleti impegnati nelle Paralimpiadi: lo sport sia occasione di crescita e di amicizia”. Durante l’udienza generale del 26 agosto scorso il Papa aveva incontrato alcuni atleti dei Giochi paralimpici di Rio de Janeiro: l’evento, inaugurato il 7 settembre scorso con una suggestiva cerimonia allo Stadio Maracanà, si concluderà domenica prossima.

In testa al Medagliere sono i cinesi, seguiti da britannici, ucraini, statunitensi e brasiliani. Ieri è arrivata la prima medaglia d’oro per l’Italia: l’ha vinta il nuotatore Federico Morlacchi nei 200 metri misti di categoria S9. Morlacchi aveva già vinto l’argento nei 400.

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Card. Ravasi: finanza bulimica, economia mondiale da rimodellare

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“Verso un’economia più umana e giusta. Un nuovo paradigma economico inclusivo in un contesto di disuguaglianze crescenti”. E’ questo il tema del convegno, che si terrà il prossimo 21 settembre nella sede dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, in collaborazione con il Pontificio Consiglio della Cultura. L’iniziativa è stata presentata, stamani, nella Sala Stampa vaticana. Il servizio di Amedeo Lomonaco

E’ il contesto degli eventi del “Cortile dei gentili” - definito un “open space” dal direttore della Sala Stampa vaticana Greg Burke - il prezioso spazio di dialogo per un confronto sull’economia. Al convegno parteciperanno esperti e docenti, tra cui il Premio Nobel per l’Economia 2015, il prof. Angus Deaton. L’obiettivo è di stimolare una riflessione sulle relazioni tra economia e società.

Il card. Ravasi: finanza sempre più bulimica
L’economia ha subito negli ultimi anni profonde trasformazioni. A destare preoccupazione, in particolare, è il legame tra economia a finanza. Il presidente del Pontificio consiglio per la cultura, card. Gianfranco Ravasi:

“ L’economia, come dice appunto questo termine di origine greca, non significa assolutamente la finanza. La finanza, casomai, è uno strumento. Purtroppo, noi assistiamo ai nostri giorni ad una bulimia degli strumenti e ad una anoressia dei fini. L’economia è sostanzialmente – come diceva ripetutamente Amartya Sen - una scienza umanistica: il suo compito è quello di essere il nomos dell’oikia del mondo, la legge della grande casa in cui noi siamo inseriti. E nella grande casa non ci sono soltanto i banchieri o coloro che occupano posizioni apicali a Wall Street. Ci sono anche persone che vivono al livello della sopravvivenza stessa o che sono nella fame. Tutti fanno parte della 'oikonomia' della gestione di questa casa”.

Il presidente Amato: disuguaglianze in crescita
La società, in tutte le sue componenti, ha relazioni con l’economia. Ma la crisi e l’accresciuta complessità dei modelli economici negli ultimi anni hanno reso tali relazioni sempre più intricate. E le conseguenze più negative hanno interessato, soprattutto, le fasce più povere della società alimentando una forbice sempre più ampia tra ricchi e poveri, tra Nord e Sud del mondo. Giuliano Amato, ex presidente del Consiglio dei ministri e presidente della Fondazione "Cortile dei gentili":

“Nel Cortile io rappresento l’altro versante: quello dei non credenti, che cercano, esattamente come i credenti, in una società che è così cambiata ed è così difficile, il confine tra il giusto e l’ingiusto. Cercano la capacità di cogliere il male dove è il male e il bene dove è il bene. E "verso un’economia più umana e giusta" è uno di quei temi che non hanno bisogno di essere mimetizzati sotto altri. “Nessuno resti indietro”: queste sono le parole di Papa Francesco. E un’economia più umana e giusta serve esattamente a questo. E' sempre accaduto che qualcuno resti indietro, ma è accaduto e sta accadendo in particolare in questi ultimi anni. Il dato più importante, più inquietante, è stata la crescita spaventosa delle diseguaglianze. Questo non è sostenibile”.

L’ambasciatore Mancini: serve un nuovo modello economico
La crescita delle disuguaglianze sta portando allo smantellamento di un paradigma economico che per molti decenni ha orientato le società occidentali. In questo progressivo processo di transizione, la ricerca di un nuovo modello non può prescindere dall’uomo, dalla sua centralità anche nell’ambito economico. L’ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, Daniele Mancini:

“Sta cedendo quel modello che era stato vincente dalle istituzioni di Bretton Woods, cioè dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Quindi sta cedendo il modello di uno Stato sociale inclusivo, di un contratto che legasse insieme le classi sociali verso obiettivi condivisi. Questa idea comincia oggi ad essere rimessa in discussione. Si parla tanto di 'nuovo umanesimo'. Vedremo che cosa ne sarà. Interroghiamoci su una concezione dell’economia che deve essere al servizio dell’uomo, e non il contrario, un’economia in un mondo globale che è dominato, appunto, dalla complessità”.

Tasso di povertà in calo
Il complesso scenario attuale presenta anche dati confortanti. Secondo recenti studi dell’Onu, a livello globale tra il 1990 e il 2005, il tasso di povertà delle famiglie è sceso di oltre due terzi. Il numero di persone che vivono al di sotto della soglia di estrema povertà è sceso inoltre da quasi due miliardi di persone a circa 836 milioni. Il tasso di mortalità infantile si è dimezzato. Oltre due miliardi e mezzo di persone hanno avuto accesso a fonti di acqua potabile.

Società vulnerabili
Ma gli squilibri sono sempre più destabilizzanti. Sempre secondo recenti studi delle Nazioni Unite, quasi 800 milioni di persone nel mondo soffrono la fame e vivono con meno di due dollari al giorno. Circa l’80% della popolazione mondiale ha diritto a solo il 6% delle cure sanitarie disponibili. Più del 50% della ricchezza globale è posseduta dall’1% della popolazione. In tutti i Paesi, sia nelle società ricche sia in quelle povere, le disuguaglianze possono rivelarsi fonti e cause di crisi.

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10 anni fa il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona su fede e ragione

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Dieci anni fa, il 12 settembre 2006, Benedetto XVI, pronunciava un discorso all'Università di Ratisbona dedicato al dialogo tra Fede e ragione. Il fraintendimento di un passaggio di quel testo provocò inizialmente critiche dal mondo musulmano, ma oggi quella 'lectio magistralis' resta di grande attualità dal punto di vista teologico e del dialogo interculturale e interreligioso. Lo conferma mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e coordinatore del Comitato scientifico del 'Cortile dei gentili' al microfono di Fabio Colagrande

R. – Il contenuto, e ciò che il Papa ha affermato, pone veramente grandi problemi, che vanno al di là della contingenza della situazione di quel momento. Lo scenario internazionale ci fa vedere un grande movimento, dal punto di vista ovviamente geopolitico, ma anche la difficoltà ad approcciare la religione e le religioni - non solo quella dell’islam -, e a capire qual è il rapporto tra queste religioni, la politica, la società e, dunque, la pace e il futuro delle nazioni. Questo, dal momento che lui affronta esplicitamente anche la questione islamica - almeno di striscio, in qualche modo, la affronta - oggi si ripropone in una maniera direi attualissima nel dibattito mondiale.

D. – La citazione dell’imperatore Paleologo su Maometto - com’è noto - provocò all’epoca dure critiche, non solo dal mondo musulmano. Ma al di là di quel passaggio, qual era, secondo lei, il messaggio centrale di quella lectio magistralis?

R. – Ecco, naturalmente non era quello il punto principale del discorso, come moltissimi commentatori poi successivamente e serenamente hanno ripreso. Quello è uno dei punti su cui si poteva discutere e si discute ancora oggi, e lui lo ha fatto con coraggio. Ma a mio avviso – e il Papa lo dice esplicitamente – il punto fondamentale era che peso dare alla ragione, al logos, nel rapporto con le religioni e in modo particolare con la religione rivelata e con il cristianesimo, visto che l’esperienza soprattutto europea ha grandissime radici, ha sviluppato a fondo la questione del logos e ha vissuto una profonda esperienza di logos al proprio interno, non solo in ambito di riflessione metafisica, ma in tutte le implicazioni pratiche che questo ha comportato nel corso di millenni. Dall’altra parte, questo logos che rapporto ha con la religione? Il cristianesimo vi si è confrontato fino in fondo ed è quello che lui afferma. Il cristianesimo dei primi secoli, ma anche l’ebraismo della diaspora, poco prima e poco dopo la venuta di Cristo, lo ha vissuto, affrontato. Ed il cristianesimo ha assorbito la lezione del logos a suo modo, modificandola in parte, adattandola e piegandola, in un certo senso, anche alla rivelazione cristiana, alla persona di Gesù. E, dunque, il Papa ritiene che quell’esperienza che il cristianesimo ha fatto di assorbire e interagire con la grande intuizione del logos all’interno della civiltà europea, è un’esperienza fondamentale per il cristianesimo, che non si potrà tralasciare nemmeno per il futuro; per essere chiari, nemmeno quando oggi il cristianesimo si sta impiantando o comunque sta interagendo in continenti che non hanno vissuto quell’esperienza. Penso all’Asia, ma anche all’Africa. Papa Benedetto ritiene – e questo è oggetto di grande discussione – che non si possa dimenticare e mettere tra parentesi tout court l’esperienza, per esempio, patristica o medievale e ricominciare quasi tutto da capo con una Bibbia che si sarebbe de-ellenizzata quasi allo stato puro, che cavalcando duemila anni di cristianesimo si va a confrontare con più o meno culture asiatiche, dell’Estremo Oriente o dell’Africa. Papa Benedetto mette questo in forte discussione e ritiene che ci voglia in qualche modo il passaggio attraverso questa inculturazione del logos nel cristianesimo, che l’esperienza europea del cristianesimo ha operato nei secoli.

D. – Altro punto di quel discorso era il rischio dell’esclusione del divino, del religioso dall’ambito razionale, scientifico. Quanto resta alto oggi questo rischio evocato da Benedetto XVI 10 anni fa?

R. – E’ in discussione. L’esclusione è proprio oggetto di discussione, perché questo è l’altro lato della medaglia di cui Benedetto si è voluto occupare, recuperando l’esperienza del logos. Questa esperienza è maturata anche in Occidente, soprattutto poi nei risvolti della scienza e della tecnica, in senso spesso positivista, escludendo la religione, ma anche altri grandi aspetti della cultura e della vita dell’uomo, mettendoli fuori gioco e arroccandosi soltanto su una ragione che calcola, su una ragione seicentista. Per Papa Benedetto questo è un logos un po’ decurtato, non rende ragione di una pienezza e di un interesse dell’esperienza che del logos hanno fatto i secoli passati. E allora proprio nel dialogo-dibattito con quello che il cristianesimo del logos ha assunto, Papa Benedetto vorrebbe una ripresa - lui dice: “Allargare gli orizzonti della razionalità umana” -: vorrebbe una ripresa più ampia della razionalità umana che riuscisse ad includere questi ampi settori della cultura e della vita dell’uomo, che sono esclusi, e questi lui li vede centrali e fondamentali, perché sono parte integrante della vita dell’uomo, dell’esperienza umana sulla terra.

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Nomina episcopale di Francesco in Australia

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In Australia, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Wagga Wagga, presentata da mons. Gerard Joseph Hanna. È stato nominato Amministratore apostolico “sede vacante” della diocesi di Wagga Wagga mons. Christopher C. Prowse, arcivescovo Metropolita di Canberra-Goulburn.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Pace per il Gabon: all’Angelus il Papa prega per il Paese africano attraversato da una grave crisi politica.

Un articolo di Maria Barbagallo sulle missioni cabriniane in Cina, dal titolo vivere a Kashing.

Matteo Nicolini-Zani: La letteratura monastica occidentale in cinese.

Giovanni Minoli: Quel biglietto per Hanoi. Ricordo di Ettore Bernabei.

Emilio Ranzato: Remake di un remake. Chiusa la settantatreesima Mostra di Venezia.
 

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Oggi in Primo Piano



Siria: attesa per la tregua. Di nuovo accessibile centro di Aleppo

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Attesa carica di speranza in Siria, dove al tramonto scatterà la tregua fra le varie forze in lotta concordata da Stati Uniti e Russia sabato scorso. La sospensione delle ostilità durerà almeno una settimana ed è stata accolta con favore da tutti i principali attori coinvolti nel conflitto: dal governo di Damasco, dall’Iran, dalla Turchia, dalle milizie sciite e dai ribelli sostenuti da Washington. Solo il gruppo Ahrar al-Sham, una delle fazioni armate che combatte ad Aleppo ha rifiutato l'intesa raggiunta. Altro discorso è la lotta contro lo Stato Islamico e i gruppi jihadisti che proseguirà e potrebbe essere coordinata da una cabina di regia russo-americana. E a poche ore dal cessate il fuoco, il Presidente siriano Bashar al-Assad è tornato a farsi vedere in pubblico, recandosi in una moschea in un sobborgo di Damasco riconquistato dalle forze governative. Dal canto suo, il Presidente turco Erdogan ha annunciato l'invio di aiuti umanitari ad Aleppo e in altre località del nord della Siria. E proprio su Aleppo ieri sera si sono registrati nuovi raid russi sui quartieri controllati dall'opposizione, almeno 10 le vittime. Violenze anche in altre zone della Siria: oltre cento i morti dall’annuncio della tregua. Per un commento sull’accordo e un punto sulla situazione umanitaria, Marco Guerra ha sentito il vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria mons. Antoine Audo: 

R. – Tutta la gente, soprattutto ad Aleppo, aspetta questa decisione, questo cambiamento. Speriamo, ma sono sei anni che soffriamo tanto; speriamo che ci siano segni di pace e di riconciliazione. Speriamo.

D. - Ad Aleppo, com’è la situazione umanitaria? Dicono che questa tregua serve anche a far arrivare gli aiuti alle popolazioni assediate dalle violenze, dai combattimenti. Quindi lei si sta organizzando per portare degli aiuti anche con la Caritas?

R. - Insieme alla Caritas il nostro lavoro continua. Nel centro della città le macchine possono di nuovo arrivare; c’è cibo, non come un mese fa, quando ci sono stati dieci giorni continui di combattimento. Ma sembra, ho sentito dire, che i gruppi armati continuano a far cadere bombe al centro della città; penso si tratti forse dei combattenti dell’Is o di al Nursa che non sono contenti di questa decisione. Vedremo come le cose andranno questa sera.

D. - Quindi lei avverte un miglioramento della situazione, ma le riferiscono che ci sono ancora violenze  e combattimenti?

R. - Si continua. Fino a ieri e l’altro ieri cadevano bombe in questa regione. Ho avuto notizie di questo dal mio vicario.

D. - I cristiani, la comunità cristiana come ha accolto invece questa tregua?

R. - Con gioia, ma nello stesso tempo non ci crediamo più. Dopo sei anni di violenze, speriamo; tutti dicono speriamo che non ci siano più violenze e che la gente possa tornare ad Aleppo. Per noi la cosa più importante è assicurare la pace e soprattutto la continuità della presenza cristiana, ad Aleppo in maniera particolare,  ma in tutta la Siria. Questo è quello che vogliamo.

D. - Cosa chiedete adesso alle autorità, al governo di Damasco? Auspicate che si arrivi anche ad un accordo politico?

R. - Si, speriamo; lo abbiamo ripetuto parecchie volte dall’inizio della guerra. Non c’è una soluzione militare; quelli che cercano una soluzione militare vogliono distruggere la Siria. C’è bisogno di una soluzione politica perché la Siria possa continuare a vivere come Stato indipendente in pace, con lavoro e con la possibilità  per tutti di poter vivere insieme.

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Clinton colpita da polmonite. Trump: spero guarisca presto

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Annullati gli imminenti impegni elettorali in California e Nevada, confermata la diagnosi di polmonite. La candidata democratica alle presidenziali dell’8 novembre prossimo negli Stati Uniti, Hillary Clinton, è stata colpita ieri da un malore mentre partecipava alla cerimonia di Ground Zero per il quindicesimo anniversario degli attentati dell'11 settembre. In una intervista al canale televisivo Fox, Donald Trump ha detto: "Spero che stia bene e che torni
in corsa, ma dobbiamo vedere cosa c'è che non va, qualunque cosa sia". Il candidato repubblicano alle presidenziali ha detto che fornirà da parte sua “tutte le informazioni relative alla propria salute”. Ma per la stampa internazionale quanto accaduto a New York getta comunque un’incognita sul voto. Giada Aquilino ne ha parlato con Tiziano Bonazzi, docente emerito di Storia americana all’Università di Bologna: 

R. – Ciò è accaduto in diverse presidenziali durante la storia americana, perché gli Stati Uniti sono la prima potenza mondiale e il Presidente è anche il capo delle forze armate. Di conseguenza, un Presidente che non dimostri di avere - oltre alla forza morale e alla capacità politica - la forza fisica per reggere eventualmente durante uno scontro militare o durante delle guerre è qualcosa che spaventa moltissimo l’opinione pubblica americana.

D. - Quando è successo in precedenza?

R. - Ad esempio è accaduto nel 2002 con Bush. È successo in precedenza quando ci fu l’attentato contro Reagan: dopo l’attentato, non si sapeva se Reagan era ferito seriamente, se poteva mantenere le sue funzioni di Comandante in capo o se queste dovevano essere trasferite al vice Presidente. Insomma per gli Stati Uniti questo è veramente un grosso problema perché, essendoci un regime presidenziale nel Paese, il Presidente è un personaggio anche mediaticamente di grandissima importanza. Ad esempio, il problema non è soltanto la questione della salute della Clinton, ma del fatto - e magari a noi la cosa può sembrare un po’ ridicola - che per 90 minuti i giornalisti non abbiano saputo nulla di quello che stava accadendo. Quell’ora e mezzo di buco ha consentito immediatamente agli avversari della Clinton di saltarle addosso con l’accusa che le viene costantemente fatta di non essere sincera, del fatto che tutto il suo team della campagna elettorale nasconda problemi fiscali, nasconda il problema delle mail, nasconda cosa sia successo fino in fondo con l’attentato all’ambasciata americana in Libia mentre la Clinton era Segretario di Stato. Anche Trump si era sentito male qualche mese fa, ma si era ancora lontani dal cuore della campagna elettorale. Adesso si è a meno di due mesi dalle elezioni e quindi - in una campagna così guidata dalla frenesia dei media e dei giornalisti - la cosa può diventare veramente grave, al di là della reale situazione di salute della Clinton.

D. - Trump userà quanto successo per sostenere che la Clinton non è nelle condizioni di salute per fare il Presidente allora?

R. - Tutta la sua campagna elettorale è stata basata sul fatto che Hillary è “unfit”, cioè non è adatta ad essere Presidente sia per ragioni morali sia per ragioni fisiche e politiche. D’altronde negli ultimi dieci giorni Hillary stava facendo esattamente lo stesso con Trump. Quindi è una campagna elettorale tutta fondata sulla delegittimazione in qualche modo dell’avversario.

D. - La questione delle salute ha dunque un forte impatto. Già si parla di sostituire la Clinton con il vice, Tim Kaine, o con Joe Biden o John Kerry…  È possibile?

R. - Queste per il momento sono semplicemente voci, perché sarebbe un disastro inaudito per il Partito Democratico: non si può “inventare” un candidato a 45 giorni dalle elezioni. Questo significherebbe una sconfitta sicura e salterebbe tutto il sistema delle primarie, che è l’unico sistema politicamente ed eticamente legittimo negli Stati Uniti per stabilire chi è un candidato. In pratica Trump rimarrebbe senza un vero avversario.

D. - Nel caso di una sostituzione del candidato democratico, quale potrebbe essere l’iter?

R. - Evidentemente non si sa, perché non è mai accaduta una cosa simile. Però possiamo ipotizzare, in qualche modo, che il candidato vice Presidente possa sostituire la Clinton in quanto già la Clinton stessa lo aveva scelto come vice, come d’altronde avvenne con l’assassinio di Kennedy, quando il vice Presidente Johnson in base alla Costituzione divenne Presidente.

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Inondazioni in Nord Corea: 130 morti. Allarme per i test nucleari

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In Corea del Nord sarebbero almeno 130 le vittime e oltre 400 i dispersi causati dalle inondazioni che hanno colpito le regioni nordorientali del Paese negli ultimi cinque giorni. Sono più di centomila gli sfollati, 600 mila le persone che hanno bisogno di aiuto. Intanto, sale la tensione nell'area dopo l'ultimo test nucleare compiuto qualche giorno fa dal regime comunista, il quinto dall'inizio dell'anno. La leadership di Pyongyang ha minacciato di accrescere il proprio potenziale nucleare in quantità e qualità ed esige che la comunità internazionale riconosca il Paese come legittimo possessore di armi atomiche. La Corea del Sud, da parte sua, ha minacciato gravi conseguenze in caso di attacco nucleare. Andrea Walton ha parlato con la professoressa Rosella Ideo, storica dell'Asia orientale all'Università di Trieste, dei possibili sviluppi politici della vicenda: 

R. – Al momento c’è una grandissima tensione nell’area, perché c’è questa questione nordcoreana e tra l’altro siamo ad un basso livello nelle relazioni tra gli Stati Uniti e la Cina. Questo sia perché gli Stati Uniti hanno convinto la Corea del Sud a piazzare un sistema anti-missilistico l’anno prossimo – quindi fra poco tempo – nel Paese alleato militare, e sia perché ci sono tutte le questioni territoriali del Mar Cinese Meridionale che hanno avvelenato i rapporti tra i due Paesi.

D. – Il regime di Pyongyang ha già usato in passato la carta nucleare per arrivare a negoziati con la comunità internazionale e ottenere alleggerimenti delle sanzioni o aiuti economici. Anche questa volta potrebbe andare così?

R. – Questa volta ci troviamo di fronte a un nuovo leader, relativamente nuovo, che però non si è mai recato all’estero – lui è il terzo della generazione dei Kim – e ha un atteggiamento molto più provocatorio – direi – del padre. Quindi Kim Jong-un ha voluto lanciare un messaggio interno e uno esterno. Il messaggio interno è che il giovane Kim ha la legittimità a governare di fronte alle minacce, alle sanzioni e al tentativo di strangolamento economico degli Stati Uniti, della comunità internazionale e ovviamente della Corea del Sud, che è il nemico. Al messaggio interno fa eco quello esterno, alla comunità internazionale: “Io – dice la Corea del Nord e Kim Jong-un – rido delle sanzioni”. Kim Jong-un ha detto proprio che le trova “risibili” e “continuerò – ha aggiunto – a sviluppare i miei programmi nucleari”. La comunità internazionale non vuole riconoscere ovviamente lo status di “potenza nucleare” al Paese, ma in questi anni Kim Jong-un vuole dimostrare una padronanza tecnologica, nucleare, notevole. Tra l’altro, stamattina è uscita una notizia secondo la quale ci sarebbe forse la probabilità che a breve venga svolto un altro test nucleare. Quindi diciamo che la tensione è veramente molto alta.

D. – Tornando invece alla Corea del Sud, come potrebbero essere influenzati gli sviluppi politici in questo Paese dai test nucleari di Pyongyang?

R. – Bisognerà vedere nel corso del prossimo anno quali saranno le mosse compiute dal presidente Park che, per quello che riguarda la Corea del Nord, ha indurito tremendamente la sua posizione, proponendo, quasi all’inizio del suo mandato, una sorta di unificazione alla tedesca: cioè a dire per assorbimento. Il partito di opposizione è però abbastanza debole, quindi in quel caso bisognerebbe vedere quali saranno i riassetti interni dei due partiti. Ma questo si vedrà nei prossimi mesi.  

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"Perseguiteranno anche voi", un libro di Aiuto alla Chiesa che Soffre

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Comprendere il fenomeno della persecuzione anticristiana nel mondo, dipingendo un quadro generale. E’ l’intento di “Perseguiteranno anche voi”, il libro di Marta Petrosillo, portavoce di Aiuto alla Chiesa che Soffre in Italia. Il testo, edito da La Nuova Bussola Quotidiana, è stato presentato stamane a Roma e si propone di portare all’attenzione il dramma della persecuzione e discriminazione di milioni di cristiani nel mondo, ancora oggi, all'inizio del Terzo Millennio. A pesare è senz’altro l’identificazione impropria fra cristiani e potenze occidentali, ma non solo. Ce ne parla la stessa Marta Petrosillo, nell’intervista di Debora Donnini

R. – Senza dubbio l’identificazione dei cristiani con l’Occidente in molti Paesi a maggioranza islamica, dove tra l’altro vi sono state recentemente anche guerre da parte di potenze occidentali, che sono viste molto spesso dalle società locali come delle vere e proprie invasioni, è un fattore fondamentale. Ma non vi è soltanto questo perché i cristiani sono minoranza e in molti Paesi. Paradossalmente, poi, i valori cristiani rendono i cristiani maggiormente vulnerabili. Una volta un ragazzo di Baghdad mi ha detto: “Loro sanno precisamente che noi non ci vendicheremo mai e quindi questa nostra disponibilità al perdono ci rende ovviamente più vulnerabili”…

D. – Molte volte Papa Francesco ha parlato della persecuzione dei cristiani, del loro martirio – ha detto – “solo perché cristiani”, sottolineando il silenzio complice di tante potenze. Centrale, invece, costruire società in cui ci sia un sano pluralismo, rispettando gli altri e i loro valori. Quanto pesa l’atteggiamento di alcuni poteri forti del mondo nel far passare sotto silenzio questa persecuzione?

R. – Pesa molto. Il primo passo da compiere per arrestare la persecuzione cristiana, che assume oggi anche nuove forme, è la consapevolezza, perché solamente conoscendo la realtà, poi si può passare ad intraprendere azioni che ovviamente devono essere intraprese dai nostri governi. Alcuni passi in avanti sono stati fatti negli ultimi anni.

D. – Quanto è importante il dialogo interreligioso, non identificare l’Islam con il terrorismo e i gesti di incontro fra i rappresentanti delle religioni promossi da Francesco?

R. – Fondamentali le ripercussioni che le parole del Santo Padre hanno nei Paesi in cui i cristiani vengono perseguitati. Mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi, mi raccontava come il discorso fatto da Papa Francesco, in cui ha esortato a non identificare il terrorismo con l’Islam, sia stato molto apprezzato dalla comunità islamica locale. Molti leader islamici hanno voluto incontrare l’arcivescovo esprimendo la loro riconoscenza e chiedendogli di portare il loro messaggio direttamente a Francesco. Quindi, le parole del Santo Padre sono dei mattoni fondamentali anche nei Paesi dove i cristiani sono perseguitati, per favorire il dialogo interreligioso e fare in modo che sia la comunità islamica stessa locale – che,  ricordiamo, non è da identificare con il terrorismo - a stringersi alla comunità cristiana e a mostrare solidarietà.

D. – Per esempio, in Pakistan persone di fede musulmana per difendere i cristiani sono stati uccisi…

R. – Non mancano esempi di musulmani che, anche a costo della vita, hanno difeso i cristiani. Un esempio per tutti, quello di Salman Taseer, il governatore del Punjab, ucciso nel 2011 a causa del suo impegno per la liberazione di Asia Bibi...

D. – Nel libro lei dedica un capitolo specifico alle donne cristiane nei Paesi a maggioranza islamica, vittime spesso di stupri, rapimenti da parte di estremisti. L’ha colpita molto la situazione delle donne, doppiamente discriminate appunto in quanto donne?

R. – Sì, mi ha colpito molto, perché si ha proprio un panorama di queste donne che sono doppiamente vulnerabili: vulnerabili perché donne e vulnerabili perché minoranza. Vi è il tema degli stupri, delle conversioni forzate, ma anche dell’imposizione dell’abbigliamento islamico per le donne cristiane. Penso ad esempio al Sudan, dove delle donne cristiane sono state frustate solamente perché indossavano una gonna ritenuta troppo corta, anche se non erano tenute a sottostare al codice di abbigliamento islamico.

D. – Nel suo libro vengono descritte violenze agghiaccianti, perpetrate però non solo dal sedicente Stato Islamico - che, tra l’altro, perseguita non solo i cristiani, ma anche le altre minoranze religiose - ma anche da parte di altri estremismi, come quello indù in alcune zone dell’India o da regimi totalitari, come in Corea del Nord, da dove filtrano pochissime notizie e però si pensa che almeno 10 mila fedeli siano in campi di prigionia trattati in modo feroce. Cosa ci può dire in proposito?

R. – Sì, vi sono altri fondamentalismi, ma vi è un altro tipo di persecuzione dei regimi autoritari. Un esempio per tutti è ovviamente la Corea del Nord laddove si può essere uccisi, come è successo ad una donna nel 2009, semplicemente per il possesso di una Bibbia.

Alla conferenza di presentazione del libro di Marta Petrosillo, è intervenuto anche mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi, in Pakistan, che ha ricordato le persecuzioni messe in atto in base alla legge sulla blasfemia. Uno dei casi più tristemente noti è quello di Asia Bibi, la donna tutt’ora in carcere dal 2009. Sono state accolte, intanto, con molta gratitudine da diversi rappresentanti della religione musulmana, le parole del Papa che ha sottolineato come non si possa identificare l’Islam con il terrorismo, come conferma lo stesso mons. Coutts, al microfono di Debora Donnini

“Sono stati molto felici e grati per le parole del Papa, in quanto leader dei cristiani a livello mondiale. Il Papa ha detto che l’Islam come religione non è una religione di terrorismo. Loro hanno detto che è molto importante quando un leader a questo livello dice queste cose. È un passo in avanti verso il dialogo e per creare la pace”.

A colpire anche la testimonianza di padre Rebwar Basa, iracheno, della diocesi di Erbil, che si sofferma sulla situazione dei cristiani a Mosul, dal 2004: 

“Soprattutto per quanto riguarda la città di Mosul, questo capoluogo dell’antica città di Ninive, ci sono stati una serie di attentati, di rapimenti… Possiamo dire una persecuzione sistematica. Hanno cominciato a piccole tappe, fino all’arrivo ufficiale del sedicente Stato islamico quando hanno detto ufficialmente ai cristiani e alle altre minoranze di lasciare tutto o di convertirsi all’Islam. Quindi era una cosa ben pianificata. Basti pensare, ad esempio al vescovo di Mosul, mons. Paulos Faraj Rahho, ucciso nel 2008. Lui aveva ricevuto più di dieci lettere minatorie. Hanno ucciso i suoi sacerdoti, rapito dei fedeli, distrutto delle chiese. Lui diceva: 'Sarò l’ultimo a lasciare la mia città'. Già sentivano di non essere più ben voluti nella loro città di origine”.

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40 milioni i "rifugiati ambientali" senza tutela internazionale

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Cresce il numero dei cosiddetti “rifugiati ambientali”, che fuggono dal loro Paese a causa dei disastri naturali e del cambiamento climatico. Secondo uno studio internazionale sono oltre 40 milioni e per loro non è prevista nessuna tutela, essendo assimilati ai migranti economici. Sul tema si svolgerà a Milano un convegno il prossimo 24 settembre. Tra i relatori ci sarà don Virginio Colmegna, presidente della Casa della carità, intervistato da Michele Raviart

R. – Continuamente anche il Papa, nel recente messaggio per la Giornata di cura dell’ambiente e la terra, richiama al fatto che ci sono persone che fuggono dalla loro terra non semplicemente per guerra, ma anche e proprio per disastri naturali: fame; abbandono, defogliazione e distruzione delle terre; e altro. Questa categoria è evidentemente una categoria quasi sconosciuta, perché nell’ottica nostra si sta dicendo – con grossi problemi – che noi legittimiamo la presenza dei profughi che vengono da situazioni di guerra e tutti gli altri, per noi, sono addirittura irregolari, da restituire al loro territorio.

D. – La questione sarà affrontata a Milano, dove si svolgerà un convegno il prossimo 24 settembre. Da dove nasce l’esigenza di parlare di “rifugiati ambientali”?

R. – Mi lasci dire che è bello che il gruppo che organizza questo convegno è composto da persone di estrazioni diverse, anche culturalmente e anche in modo laico. Sono stati tutti stimolati – e questo è il dato che poi ha prodotto anche questa riflessione della “Laudato si’” – dai dati, che sono evidentemente anche allarmanti: un gran numero di persone ha la domanda rifiutata.  Indagando bene sulle motivazioni, spesso vengono da situazioni in cui la fuga è legata a situazioni anche di carestia. Allora, allargare il concetto di profughi a “profughi ambientali” significa rimettere dentro una attenzione di ospitalità per delle situazioni che altrimenti finirebbero nel terreno dell’irregolarità. E questa rischia di essere una situazione drammatica!

D. – Il tema pone anche l’accento sugli effetti del cambiamento climatico mondiale…

R. - La sollecitazione, la riflessione che si sta facendo – a fronte di un fenomeno che aumenta, anche in termini numerici enormemente nel mondo –  e il riflettere intorno a questo, che ha un aspetto di lettura anche giuridico, ci permetta anche di ragionare – e qui l’intuizione di Papa Francesco – sul fatto di come i disastri ambientali, l’occupazione di terre e il suo utilizzo, produca evidentemente un fenomeno migratorio, che non è certo auspicabile, ma in cui le cause stanno proprio nel degrado ambientale. Quindi la conversione ecologica, che richiama Papa Francesco, ha un effetto molto forte, che va riletto anche nel nostro contesto.

D. – Nella sua esperienza di accoglienza a Milano, si è trovato di fronte a casi di persone che vengono in Italia da “rifugiati ambientali”? Che storie portano dietro?

R. – C’era qui una fila oggi di gente che chiede risposte: vengono dal Gambia, dove c’è evidentemente una situazione di fame, di carestia. Penso anche all’Eritrea, dove non ce la fanno a mangiare e dove addirittura i genitori mandano via i loro figli per motivi di sopravvivenza. Ci sono persone che non hanno più la loro terra, perché è stata presa da multinazionali o da imprese; altre si trovano invece senza prospettive di futuro… Quasi tutte le storie sono storie di persone che non vogliono fuggire dalla terra, ma che non ci possono abitare! Questo è l’altro concetto importante: moltissimi vengono da situazioni di questo genere…

D. - Tranne Svezia e Finlandia, non c’è alcuna tutela per i rifugiati ambientali. A chi rivolgete le vostre richieste?

R. – Certamente all’Unione Europea. Stiamo respingendo un sacco di richieste, che poi fanno appello e diventa quindi protezione umanitaria. Quindi è indirizzata anche al nostro Paese, che deve rivedere la legge: adesso per essere accolti bisogna essere soltanto profughi. Non si fanno più flussi e non si programma più la presenza… E quindi va rivolta anche al nostro Paese dal punto di vista del profilo istituzionale.

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Italia: primo giorno di scuola per 8 milioni di studenti

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Oggi, è il primo giorno di scuola per gli studenti di Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Molise, Piemonte, Umbria, Valle d'Aosta e Veneto. A riprendere le lezioni sono quasi 8 milioni di alunni delle scuole statali e oltre 939 mila di quelle paritarie. Il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini, ha inaugurato l’anno scolastico con un messaggio rivolto agli studenti: "Sarà un anno di sfide importanti e grandi responsabilità". Maria Carnevali ha intervistato Giuseppe Desideri, presidente dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici: 

R. – Sono le sfide di essere attenti ai bisogni dei propri studenti, che sono sempre più complessi da intercettare. Molto spesso la scuola non riesce ad essere adeguata da questo punto di vista, e ci vuole sicuramente un grande senso di responsabilità e corresponsabilità.

D. – Quali sono le necessità dei ragazzi oggi? Come sono cambiati nel tempo?

R. – Abbiamo dei ragazzi a cui bisogna sicuramente far capire il senso dell’impegno scolastico. Mentre prima la scuola era l’unico luogo dove si presentavano la cultura e le conoscenze, oggi i ragazzi vivono “bombardati” da informazioni dal punto di vista formativo. La scuola allora deve essere capace di non essere più soltanto il soggetto che dà le informazioni e le conoscenze, ma che aiuta i ragazzi a fare filtro. Questo significa anche essere una scuola al passo con i tempi, contemporanea dei propri alunni. Non possiamo lasciare il computer, i social o lo smartphone fuori dall’aula; dobbiamo farli entrare, ma con una modalità formativa!

D. – L’inizio dell’anno è stato travolto dalle polemiche riguardanti i trasferimenti, il concorso e le presidenze: qual è il vostro punto di vista?

R. – Noi, sin dall’inizio, quando ci è stato presentato quello che doveva essere lo scenario successivo alla Legge 107 del 2015, avevamo immediatamente evidenziati i rischi che si correvano: il sistema a tre chiamate, diverse da una punto di vista temporale; una serie di situazioni complesse che si volevano gestire in maniera un po’ semplicistica. Si è verificato quello che purtroppo ci si aspettava: l’algoritmo famoso, che è freddo, non conosce le situazioni, è impostato su dei parametri. La vita professionale di un docente è invece un qualcosa di molto più complesso; le cose da valutare sono varie. E il rischio che si sta correndo, di vedere uno spostamento notevole di docenti – quindi famiglie – con una serie di elementi che vanno a compromettere il benessere professionale e lavorativo dei docenti: tutto questo che si sta vedendo e realizzando poteva essere evitato.  

Per domani, invece, è prevista l’apertura delle scuole nelle zone terremotate di Amatrice e Accumoli. Alberto Corsinovi, responsabile dell’area emergenze delle Misericordie, ancora al microfono di Maria Carnevali, racconta come si lavora per permettere agli studenti di ricominciare l’anno scolastico 

R. – Le scuole di Amatrice sono in fase di avanzata realizzazione, ancorché in modo provvisorio, da parte della Protezione Civile del Trentino Alto Adige, che ho visto sta alacremente lavorando per la sistemazione dei primi moduli che – ripeto – a tempo provvisorio ospiteranno i bambini fin dalle primissime ore dall’inizio del prossimo anno scolastico. Per quanto riguarda il nostro movimento, le Misericordie, in questo momento stiamo lavorando per la realizzazione di plessi scolastici ad Acquasanta Terme, a Cittareale e a Gualdo di Macerata, dove anche lì le scuole sono pesantemente lesionate e dove stiamo per l’appunto approntando dei moduli, che però hanno carattere più definitivo, quindi saranno i nuovi plessi in attesa della ricostruzione delle vere e proprie nuove scuole.

D. – Non tutti i ragazzi, però, hanno deciso di rimanere nelle zone colpite…

R. – Sì, infatti anche noi abbiamo indicazioni di ragazzi che si sono spostati e che frequenteranno scuole presso le località dove sono stati accolti o in strutture ricettive messe a disposizione o anche presso strutture che gli stessi hanno autonomamente reperito.

D. – Come aiutare i ragazzi ad affrontare l’anno scolastico?

R. – Standogli accanto, facendogli sentire la vicinanza di chi vuole che loro possano, proprio dai banchi scolastici, riavviarsi ad una vita normale. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Messico: più di un milione in piazza in difesa della famiglia

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Dopo le manifestazioni a favore della famiglia, si sta verificando un risveglio nazionale ed è chiaro che la Chiesa lo appoggia, ha osservato mons. Sigifredo Noriega Barceló, vescovo di Zacatecas. L'agenzia Fides riferisce che il vescovo, parlando ieri dopo la Messa domenicale, ha spiegato che parlare del tema della famiglia non vuole discriminare nessuno: "non è un ritorno al passato, alla famiglia tradizionale, ma difendere l'unione tra uomo e donna, come base per una famiglia".

I vescovi chiedono di non distruggere il matrimonio tra uomo e donna
"Non si tratta di andare contro qualcuno, tanto meno contro le persone omosessuali, si riconoscono i loro diritti, ma senza negare, né distruggere ciò che è il matrimonio" ha aggiunto. "La Chiesa, i vescovi, vedono di buon occhio questo risveglio della popolazione e lo sostengono, ma non ne siamo i promotori" ha sottolineato il vescovo.

La manifestazione per la famiglia in risposta ad una legge del Presidente 
Il "Frente Nacional por la Familia", che raggruppa confessioni religiose diverse e anche realtà non religiose, ha organizzato sabato scorso, la "Marcia per la Famiglia", che si è svolta in 125 città del Paese e ha riunito più di un milione e mezzo di persone, secondo dati raccolti dall'agenzia Fides. La marcia era stata convocata dopo che il Presidente Enrique Peña Nieto aveva deciso di sostenere una proposta di legge sui "matrimonios igualitarios", e dopo le prime reazioni di protesta dei movimenti cattolici. 

In Messico il primo valore è la famiglia
​Più di un leader cattolico ha ripetuto quanto detto alla stampa da mons. Pedro Pablo Elizondo, vescovo della Prelatura di Cancún-Chetumal: "in Messico, per il 75 % dei messicani, il primo valore è la famiglia. Vedere più di un milione di persone scendere in piazza per difenderla, è un messaggio chiaro e forte". (C.E.)

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Tanzania. Terremoto nel Nord-Ovest: 16 morti e 250 feriti

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“Il terremoto non è stato molto forte nella mia diocesi, ma alcune aree hanno subito dei danni. Anche alcune strutture ecclesiastiche hanno subito dei danni, come il seminario minore ed una parrocchia” dice all’agenzia Fides mons. Severine Niwemugizi, vescovo di Rulenge-Ngara, nel nord-ovest della Tanzania, colpita sabato scorso da un terremoto di magnitudine 5,7. “La maggior parte delle vittime sono nella zona di Bukoba” dice mons. Niwemugizi. Secondo notizie di agenzia, il bilancio ufficiale provvisorio conta 16 morti, 253 feriti e 840 edifici distrutti.

Le operazioni di soccorso sono in corso
"Il governo ha reagito velocemente, anche se occorre tempo per raggiungere tutte le aree colpite” dice mons. Niwemugizi. “So per certo che il vescovo di Bukoba, mons. Desiderius Rwoma, sta organizzando le operazioni di aiuto della Chiesa perché alcune parrocchie sono state colpite. Le comunicazioni telefoniche con l’area sono però difficili e al momento non è facile avere informazioni aggiornate” conclude il vescovo. (L.M.)

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Chiesa Usa su immigrati: non dimenticare la storia del Paese

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Anche ieri, in molti luoghi dell’arcidiocesi di Los Angeles si è parlato del tema dell’immigrazione negli Stati Uniti. Secondo quanto riferisce l'agenzia Fides, molti gruppi laici di riflessione, movimenti e parrocchie, hanno ripreso e commentato l’intervento di mons. José Horacio Gómez Velasco, arcivescovo di Los Angeles, che ha pronunciato nei giorni scorsi al Boston college.

Prima dei Padri Pellegrini, l'arrivo di missionari spagnoli e messicani
"Come tutti sappiamo la storia del nostro Paese inizia nel 1600 con i Padri Pellegrini" ha detto mons. Gomez aprendo la conferenza pubblica l’8 settembre. "Ma con tutto il rispetto per i Pellegrini, loro sono arrivati in questo Paese con circa un centinaio di anni di ritardo! Molto prima che gli Stati Uniti avessero un nome, quindi prima di George Washington e le 13 colonie o Plymouth Rock, missionari spagnoli e messicani e anche degli esploratori, si erano stabiliti nei territori che oggi sono Florida, Texas, California e New Mexico. Non solo, gli ispanici non furono gli unici ad arrivare negli Stati Uniti prima dei Pellegrini: i primi furono asiatici, delle Filippine, e questo circa 50 anni prima”.

Recuperare la "storia dimenticata del Paese"
"Su questo dovremmo pensare: la prima lingua non autoctona parlata in questo Paese non fu l'inglese. E' stata lo spagnolo" ha detto mons. Gomez nel suo discorso, sottolineando che pur non volendo dedicare il suo discorso alle radici ispaniche e cattoliche dell'America, aveva comunque intenzione di recuperare la "storia dimenticata del Paese", tema che ha colpito l’opinione pubblica. Mons. Gómez Velasco ha sottolineato poi che "La riforma dell’immigrazione è uno dei grandi problemi del nostro tempo. Più della politica e dell’economia. Si tratta di una lotta per la giustizia, la dignità e i diritti umani. E 'una sfida alla coscienza di ogni individuo". (C.E.)

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Vescovi Perù: aborto non è male minore, ma assoluto

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“Famiglia, vivi la gioia dell’amore”: con questo tema, la Chiesa del Perù ha celebrato ieri, la 22.ma Giornata per la vita. L’evento ha concluso anche la Settimana nazionale della famiglia, iniziata il 4 settembre. “La vita umana è un dono sacro, soprattutto nelle prime fasi del concepimento – scrive la Commissione episcopale per la Vita e la Famiglia, in un messaggio pubblicato sul proprio sito web – Il Signore ci ha amati prima ancora di crearci, nel suo pensiero, e ci ha creati per amarci e per amare”. 

Pillola del giorno dopo è attentato alla vita umana
Ricordando, poi, quanto detto da Papa Francesco nella conferenza stampa sul volo di ritorno dal viaggio apostolico in Messico, lo scorso febbraio, e cioè che “l’aborto non è un male minore, bensì un crimine, è un male assoluto”, i vescovi esortano i fedeli a rifiutare tale pratica. In particolare, la Commissione episcopale lancia l’allarme riguardo alla recente decisione del Tribunale di Lima di avviare la consegna gratuita della così detta “pillola del giorno dopo” nei Centri sanitari del Paese. Ma questo farmaco, spiegano i presuli peruviani, rappresenta “un attentato alla vita umana, soprattutto a quella dei più piccoli ed indifesi, che non hanno voce”. E ciò comporta che “il valore della vita umana venga relativizzato, creando gravi ingiustizie verso i più deboli”.

Senza rispetto per la vita non si può costruire la pace
“Senza il rispetto e la difesa della vita – continua il messaggio – non si può costruire la pace”. Per questo, viene lanciato un richiamo allo Stato, affinché ricordi che “la sua funzione è quella di rispettare e promuovere i diritti umani di tutti i peruviani, senza discriminazioni di alcun genere, tanto meno di età o impossibilità di agire”. Inoltre, i vescovi sottolineano che la tutela della vita, a partire dal concepimento, è citata nell’articolo 2 della Costituzione nazionale.

Facilitare le adozioni per evitare l’aborto
Per evitare le interruzioni volontarie di gravidanza, poi, la Cep richiama quanto scritto da Papa Francesco nell’Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia”, in cui si chiede di “facilitare le procedure per l’adozione, soprattutto nei casi di figli non desiderati, al fine di prevenire l’aborto o l’abbandono” (n.179). Tutti i cattolici, sottolinea la Chiesa del Perù, sono quindi invitati a cercare soluzioni per simili dolorose situazioni, aiutando soprattutto le donne, “accogliendole, accompagnandole ed esigendo che lo Stato offra loro le risposte che gli competono, secondo quanto sancito dalla Costituzione”.

Non cedere a ideologia del presunto “diritto alla salute riproduttiva”
I vescovi peruviani, poi, riaffermano “chiaramente e coraggiosamente il valore della vita umana e denunciano le manipolazioni portate avanti da un’ideologia che cerca di ridefinire concetti come l’inizio della vita, il concepimento e la gravidanza solo per raggiungere gli obiettivi di alcuni presunti ‘diritti alla salute riproduttiva’ che includono l’aborto e la morte del nascituro”. Al contrario, compito dei cattolici – è l’esortazione finale della Cep – sarà quello di “annunciare ogni giorno il valore della vita umana, con la gioia di sapere che siamo tutti figli prediletti di Dio”. (A cura di Isabella Piro)

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India Orissa: lebbrosi e rifugiati in ricordo di Madre Teresa

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C'erano i lebbrosi, i rifugiati, i poveri, i malati ospiti delle strutture di accoglienza gestite dalle Suore di Madre Teresa in Orissa (Stato dell’India orientale) tra i circa duemila fedeli che hanno preso parte alla Giornata di ringraziamento per la canonizzazione di Madre Teresa, organizzata dalla Chiesa cattolica in Orissa.

I poveri presenti alla celebrazione
Come riferisce l'agenzia Fides, alla santa Messa celebrata ieri nella cattedrale di San Vincenzo a Bhubaneswar, capitale dello Stato, vi erano 20 sacerdoti, religiose, le Missionarie della Carità, e fedeli giunti da ogni parte, oltre ai rappresentanti delle autorità civili e a credenti di altre religioni. Sr. Olivet, Superiora regionale delle Missionarie della Carità in Orissa, ha ringraziato la comunità anche da parte di malati, vedove, orfani, moribondi curati nelle strutture delle Missionarie della Carità nello stato. I poveri hanno voluto fortemente essere presenti alla cerimonia di ringraziamento, in quanto “attraverso Madre Teresa ognuno di loro avverte che Dio si prende cura di lui", ha detto.

Santa Madre Teresa ha dato dignità umana con un servizio amorevole
"Santa Madre Teresa è modello per ogni essere umano nell’età moderna. Alle persone abbandonate, emarginate, non curate, non rispettate, non riconosciute, Santa Madre Teresa ha dato dignità umana con un servizio amorevole, una dedizione totale, con fedeltà e spirito di vera fraternità" ha detto l'arcivescovo mons. John Barwa nell'Eucarestia che ha presieduto. "La sua testimonianza di vita e il suo esempio come 'Madre dei poveri' parlano a tutti, credenti e non credenti, ed è chiaramente visibile, come la città collocata sopra un monte citata nel Vangelo" ha aggiunto.

Guardiamo a Madre Teresa come un esempio e una fonte di ispirazione
"Siamo qui per ringraziare Dio per la luce che ha raggiunto ciascuno di noi e il mondo intero attraverso Madre Teresa. Questa grande donna del nostro tempo, questa messaggera del Vangelo, la cui vita è stata profondamente segnata dall'amore, è ora Santa. Guardiamo a lei come un esempio e una fonte di ispirazione" ha concluso Sr. Samuela, Missionaria della Carità in Orissa. (P.A.-S.D.)

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Vescovi Oceano Indiano: messaggio sulla misericordia

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È incentrato sulla misericordia il messaggio della Conferenza episcopale dell’Oceano Indiano (Cedoi), riunitasi in Assemblea Plenaria dal 24 agosto al 2 settembre. L’incontro, svoltosi alle Isole Mauritius, ha visto la partecipazione dei presuli locali, insieme a quelli provenienti da Comore, Seychelles e La Reunion.

Le tante sofferenze patite dalle popolazioni locali
Nel lungo documento conclusivo dei lavori, la Cedoi scatta, in primo luogo, una fotografia amara delle “sofferenze e dei mali” patiti dalle popolazioni locali, colpite dalla “perdita di persone care, disoccupazione, mancanza di abitazioni, malattie gravi, povertà, violenza, solitudine, alcolismo, prostituzione, tossicodipendenza”. Ma il male ha anche forme “più sottili”, sottolineano i vescovi, come ad esempio quello che “si insinua nelle strutture scolastiche per promuovere l’elitarismo e scartare, così, i poveri ed i disabili” o anche quello che “allontana le persone dalla Chiesa e dai sacramenti confinandole nello spirito mondano”.

L’importanza di aiutare il prossimo
Tuttavia, poiché “Dio si prende cura dei suoi figli”, la sua “potente azione nella miseria umana” si trasforma in tante azioni benefiche, come quelle di un sacerdote che consola chi è disperato, degli organismi caritativi che aiutano chi ha perso la casa a causa di un tornado, di una scuola cattolica che sostiene gli studenti poveri ed accoglie i ragazzi disabili, della collaborazione ecumenica di chi aiuta i senza-tetto. Il tutto perché “la misericordia si manifesta attraverso le relazioni umane”.

La forza della preghiera
“La preghiera – ricorda poi la Cedoi – è la forza con cui si resiste agli uragani della vita, con cui si coltiva la fede in Dio e la fiducia in se stessi per continuare a lottare” di fronte alle avversità, perché “la Parola di Dio sostiene immancabilmente le persone”. Ed è proprio in questi casi, continuano i vescovi dell’Oceano Indiano, che si comprende l’importanza della misericordia che “rimuove l’odio annidato nel cuore nell’uomo, lo guarisce internamente per portare la riconciliazione” nel mondo.

Il legame tra la misericordia e la Croce
Poi, i presuli evidenziano il legame tra la misericordia e la Croce di Cristo, perché è grazie a quest’ultima che la morte è stata vinta. “La misericordia di Dio – prosegue il messaggio – si manifesta sulla Croce, in grado di risolvere tutto ciò che è infranto in ognuno di noi”, perché “Dio ci ama così come siamo”. Essenziale, tuttavia – aggiunge la Cedoi – “imparare ad uscire da se stessi, a perseverare nella fede, a mettersi al servizio degli altri”, come Cristo ha fatto con l’uomo.

Sviluppare la misericordia in famiglia
​Di qui, il richiamo conclusivo ai fedeli ad impegnarsi nel “volontariato attivo”, a pregare per il prossimo, “creare luoghi di incontro e di ascolto”, “visitare l’altro”, “trasformare le istituzioni nazionali con decisioni coraggiose”, ed a “sviluppare la misericordia in famiglia”, soprattutto in questo Anno giubilare ad essa dedicato. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 256

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