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Sommario del 21/10/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Pastorale vocazionale non un programma, ma incontro con Gesù

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La pastorale vocazionale non è un progetto, ma consiste nell’imparare lo stile di Gesù. Così, in sintesi, il Papa nel discorso ai partecipanti al Convegno Internazionale di Pastorale vocazionale, in corso da mercoledì scorso in Vaticano, promosso dalla Congregazione per il Clero. Ai circa 255 partecipanti, ricevuti stamani in Sala Clementina, Francesco ha chiesto di “essere pastori in mezzo al popolo”, capaci di ascolto e misericordia. Il servizio di Debora Donnini

La chiamata di Matteo. E’ l’episodio del Vangelo con cui il Papa spiega la pastorale vocazionale: Gesù esce a predicare, poi vede Levi, il pubblicano, seduto al banco delle imposte, quindi lo chiama. “Uscire, vedere, chiamare” sono i tre verbi che incarnano questo dinamismo. Il motto del suo Pontificato,  Miserando atque eligendo, si riferisce proprio alla chiamata di Matteo e costituisce il tema dello stesso Convegno vocazionale. Un motto che fa memoria degli anni giovanili del Papa, quando sentì la chiamata del Signore: non “a seguito di una conferenza”, ricorda, ma “per aver sperimentato l’amore misericordioso di Gesù":

“Dunque, è bello che siate venuti qui, da molte parti del mondo, a riflettere su questo tema, ma, per favore, che non finisca tutto con un bel convegno! La pastorale vocazionale è imparare lo stile di Gesù, che passa nei luoghi della vita quotidiana, si ferma senza fretta e, guardando i fratelli con misericordia, li conduce all’incontro con Dio Padre”.

Bisogna uscire e ascoltare i giovani. Non è un compito da ufficio burocratico
Prima di tutto dunque bisogna “uscire”. Serve una Chiesa in movimento, ricorda Francesco, che non resti chiusa “nel comodo criterio pastorale del ‘si è fatto sempre così’”. Bisogna invece essere “audaci e creativi”, uscire dalle rigidità e “dalle formule standardizzate che spesso risultano anacronistiche”:

“Lo chiedo soprattutto ai pastori della Chiesa, ai vescovi e ai sacerdoti: voi siete i principali responsabili delle vocazioni cristiane e sacerdotali, e questo compito non si può relegare a un ufficio burocratico. Anche voi avete vissuto un incontro che ha cambiato la vostra vita, quando un altro prete – il parroco, il confessore, il direttore spirituale – vi ha fatto sperimentare la bellezza dell’amore di Dio”.

Il Papa esorta quindi i pastori a fare lo stesso: uscire, ascoltare i giovani, aiutarli a discernere. “E' triste - nota - quando un prete vive solo per se stesso, chiudendosi nella fortezza sicura della canonica”:

“Al contrario, siamo chiamati a essere pastori in mezzo al popolo, capaci di animare una pastorale dell’incontro e di spendere tempo per accogliere e ascoltare tutti, specialmente i giovani”.

Il pastore deve avere lo stesso sguardo misericordioso di Gesù, senza fretta e con discernimento
Il secondo asse portante per Francesco è “vedere”: senza farsi prendere dalla fretta o dall’”attivismo organizzato”, bisogna invece trovare il tempo per incontrare le persone. Il termine miserando infatti esprime proprio un abbracciare con gli occhi e col cuore. Così Gesù ha guardato Matteo: e questo pubblicano finalmente non ha percepito uno sguardo di disprezzo, ma d’amore:

“Gesù ha sfidato i pregiudizi e le etichette della gente; ha creato uno spazio aperto, nel quale Matteo ha potuto rivedere la propria vita e iniziare un nuovo cammino”.

Un pastore deve quindi essere “attento, non frettoloso, capace di fermarsi e leggere in profondità”, senza far sentire l’altro giudicato. Deve avere uno sguardo “capace di suscitare stupore per il Vangelo”, “uno sguardo di discernimento, che accompagna le persone, senza né impossessarsi della loro coscienza, né pretendere di controllare la grazia di Dio”. Soprattutto Francesco vuole che ci sia discernimento “senza leggerezze o superficialità”:

“Lo dico in particolare ai fratelli vescovi: vigilanza e prudenza. La Chiesa e il mondo hanno bisogno di sacerdoti maturi ed equilibrati, di pastori intrepidi e generosi, capaci di vicinanza, ascolto e misericordia”.

Gesù non presenta un programma ma suscita il fascino di seguirLo
Il terzo punto è “chiamare”, il verbo tipico della vocazione cristiana:

“Gesù non fa lunghi discorsi, non consegna un programma a cui aderire, non fa proselitismo, né offre risposte preconfezionate. Rivolgendosi a Matteo, si limita a dire: 'Seguimi!'. In questo modo, suscita in lui il fascino di scoprire una nuova mèta, aprendo la sua vita verso un 'luogo' che va oltre il piccolo banco dove sta seduto”.

Il Papa esorta quindi a non ridurre la fede “a un libro di ricette o a un insieme di norme”, ma ad aiutare i giovani a “mettersi in cammino e a scoprire la gioia del Vangelo”. Francesco sa che non è un compito facile e che i risultati possono essere scarsi e produrre scoraggiamento, ma il Signore dona il coraggio di “gettare le reti anche quando siamo stanchi e delusi per non aver pescato nulla”, sottolinea. Ai vescovi e ai sacerdoti Francesco chiede dunque di farsi prossimi, uscire a seminare la Parola con sguardi di misericordia. Chiede di esercitare il discernimento dando impulso alle vocazioni, attraverso l’evangelizzazione. E soprattutto a mostrare, dice, “la vostra testimonianza gioiosa” che è bello donare al Signore la vita per sempre.

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Papa a Fondazione Giovanni Paolo II: formare la gioventù è un investimento

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Papa Francesco ha incontrato stamattina nella Sala del Concistoro, in Vaticano, circa 250 membri della Fondazione Giovanni Paolo II. L’occasione è il 35.mo anniversario di attività dell’organismo, finalizzata a sostenere iniziative di carattere educativo, culturale, religioso e caritativo ispirate alla figura di san Giovanni Paolo II, di cui domani si celebra la memoria liturgica. Il servizio di Adriana Masotti

In un momento, per la Fondazione, di bilancio del lavoro svolto e, insieme, di programmazione per il futuro di nuove mete e nuovi obiettivi, le parole del Papa sono innanzitutto di incoraggiamento: l’organismo opera ormai in diverse nazioni, soprattutto nell’Europa orientale, e numerosi sono gli studenti che sono stati sostenuti per portare a compimento i loro studi.

“Vi incoraggio a continuare nell’impegno di promozione e sostegno a favore delle giovani generazioni, affinché possano affrontare le sfide della vita sempre animate da sensibilità evangelica e spirito di fede. Formare la gioventù è un investimento per il futuro: ai giovani non sia mai rubata la speranza del domani!”

Francesco ricorda come l’Anno giubilare che si avvia alla conclusione, abbia spronato a riflettere sulla grandezza della Misericordia di Dio, in un tempo in cui, afferma, l’uomo tende a sentirsi autosufficiente, come se fosse emancipato da ogni autorità superiore, credendo che tutto dipenda da lui stesso.

“Come cristiani, invece, siamo consapevoli che tutto è dono di Dio e la vera ricchezza non è il denaro, che anzi può rendere schiavi, ma l’amore di Dio, che ci fa liberi.”

Il pensiero del Papa va poi al suo viaggio in Polonia, lo scorso fine luglio, per la Giornata Mondiale della Gioventù. La terra polacca, dice, ha avuto due grandi figli in santa Faustina Kowalska e san Giovanni Paolo II, entrambi apostoli della Divina Misericordia e auspica che il loro esempio possa ispirare l’impegno generoso della Fondazione. Cita poi un brano dell’Enciclica ‘Dives in misericordia’ dove Giovanni Paolo II scriveva: Gesù ha rivelato come nel mondo è presente l’amore, l’amore che si rivolge all’uomo ed abbraccia tutto ciò che forma la sua umanità.

"Tale amore si fa particolarmente notare nel contatto con la sofferenza, l’ingiustizia, la povertà, a contatto con tutta la condizione umana storica, che in vari modi manifesta la limitatezza e la fragilità dell’uomo, sia fisica che morale”

Di santa Faustina, il Papa ricorda l’esortazione a lei rivolta dal Signore e che affida ai membri della Fondazione: ‘Figlia mia, osserva il mio cuore misericordioso e riproduci nel tuo cuore e nelle tue azioni la sua pietà, in modo che tu stessa, che proclami nel mondo la mia misericordia, ne sia infiammata’.

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Papa: cristiani rifiutino lotte, lavorare per l'unità nella Chiesa

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Umiltà, dolcezza, magnanimità. Nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, Papa Francesco ha indicato questi tre punti chiave per costruire l’unità nella Chiesa. Ancora una volta, il Pontefice ha dunque esortato i cristiani a rifiutare le gelosie, le invidie e le lotte. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Pace a voi”. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia sottolineando che il saluto del Signore “crea un vincolo”, un vincolo di pace. Un saluto, ha ripreso, che “ci unisce per fare l’unità dello spirito”. “Se non c’è pace – ha osservato – se non siamo capaci di salutarci nel senso più ampio della parola, avere il cuore aperto con spirito di pace, mai ci sarà l’unità”.

Lo spirito del male semina guerre, i cristiani evitino lotte
E questo, ha precisato Francesco, vale per “l’unità nel mondo, l’unità nelle città, nel quartiere, nella famiglia”:

“Lo spirito del male semina guerre, sempre. Gelosie, invidie, lotte, chiacchiere … sono cose che distruggono la pace e pertanto non può essere l’unità. E come è il comportamento di un cristiano per l’unità, per trovare questa unità? Paolo dice chiaramente: ‘Comportatevi in maniera degna, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità’. Questi tre atteggiamenti. Umiltà: non si può dare la pace senza l’umiltà. Dove c’è la superbia, c’è sempre la guerra, sempre la voglia di vincere sull’altro, di credersi superiore. Senza umiltà non c’è pace e senza pace non c’è unità”.

Riscoprire la dolcezza, il sopportarsi a vicenda
Il Papa ha quindi constatato con amarezza che abbiamo ormai “dimenticato la capacità di parlare con dolcezza, il nostro parlato è sgridarci. O sparlare degli altri … non c’è dolcezza”. La dolcezza, invece, “ha un nocciolo che è la capacità di sopportare gli uni gli altri”: ‘Sopportandovi a vicenda’, dice Paolo. Bisogna avere pazienza, ha ripreso il Papa, “sopportare i difetti degli altri, le cose che non piacciono”:

“Primo: umiltà; secondo: dolcezza, con questo sopportarsi a vicenda; e terzo: magnanimità: cuore grande, cuore largo che ha capacità per tutti e non condanna, non si rimpiccolisce nelle piccolezze, ‘che ha detto questo’, ‘che ho sentito questo’, ‘che …’: no: largo il cuore, c’è posto per tutti. E questo fa il vincolo della pace, questo è il modo degno di comportarci per fare il vincolo della pace che è creatore di unità. Creatore di unità è lo Spirito Santo, ma favorisce, prepara la creazione dell’unità”.

Aiutiamo a costruire l’unità con il vincolo della pace
“Questa – ha detto ancora – è la maniera degna della chiamata del mistero al quale siamo stati chiamati, il mistero della Chiesa”. Il Papa ha così invitato tutti a riprendere il capitolo XIII della Lettera ai Corinzi che ci “insegna come fare lo spazio allo Spirito, con quali atteggiamenti nostri perché Lui faccia l’unità”:

“Il mistero della Chiesa è il mistero del Corpo di Cristo: ‘Una sola fede, un solo Battesimo’, ‘un solo Dio Padre di tutti che è al di sopra di tutti’, opera ‘per mezzo di tutti ed è presente in tutti’: questa è l’unità che Gesù ha chiesto al Padre per noi e che noi dobbiamo aiutare a fare, questa unità, con il vincolo della pace. E il vincolo della pace cresce con l’umiltà, con la dolcezza, con il sopportarsi l’uno con l’altro, e con la magnanimità”.

“Chiediamo che lo Spirito Santo – è stata la sua invocazione – ci dia la grazia non solo di capire, ma di vivere questo mistero della Chiesa, che è un mistero di unità”.

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Francesco riceve il Preposito generale dei Gesuiti, padre Sosa

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Papa Francesco ha ricevuto, ieri sera, in udienza privata il nuovo Preposito Generale della Compagnia di Gesù, padre Arturo Sosa. 68 anni, venezuelano, è stato consultore del padre generale, delegato generale per le case e le opere interprovinciali della Compagnia di Gesù a Roma. Nato nel 1948 a Caracas, padre Sosa è entrato nella Compagnia di Gesù nel 1966 ed è stato ordinato sacerdote nel 1977. Padre Sosa è il 31.mo Superiore generale della Compagnia di Gesù e il primo nato in America Latina.

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Le udienze di Papa Francesco

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Le udienze di Papa Francesco della giornata, nel bollettino della Sala Stampa: Clicca qui 

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Mons. Ayuso in visita ad Al-Azhar: al centro pace e dialogo

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Il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso comunica che mons. Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del dicastero, dopo la sua visita dello scorso mese di luglio, si recherà nei prossimi giorni al Cairo per una riunione presso l’Università di Al-Azhar. Mons. Ayuso assieme a mons. Khaled Akasheh, capo ufficio per l’Islam del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, a mons. Emmanuel Ayad Bishay, vescovo di Luxor, al prof. Joseph Maila, esperto, e a padre Jean Druel, direttore dell’Institut dominicain d’études orientales (Ideo), incontrerà domenica 23 ottobre una delegazione di Al-Azhar, per una riunione preparatoria dell’incontro che si terrà a Roma, probabilmente verso la fine di aprile 2017, e che segna la ripresa ufficiale del dialogo fra il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e Al-Azhar.

La visita sarà anche l’occasione per valutare, assieme a mons. Bruno Musarò, nunzio apostolico in Egitto e al vice del Grand Imam di Al-Azhar, Sheikh Dott. Abbas Shouman, la possibilità di promuovere concrete iniziative di pace.

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Da domani diventa museo l'Appartamento Papale di Castel Gandolfo

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Diventano ancora più accessibili e visitabili le Ville Pontificie di Castel Gandolfo estese su antichi siti romani per 55 ettari di terreno. Infatti dopo l'apertura al pubblico, due anni fa, dei Giardini e dopo l'inaugurazione nel 2015, del museo della Galleria dei Ritratti nel Palazzo Apostolico, da domani si spalancano anche le porte più private della residenza estiva dei Papi. E le sorprese non mancano. Oggi all'anteprima per la stampa, c'era Gabriella Ceraso: 

Non  un giorno storico ma senz’altro simbolico, questo dell’apertura degli appartamenti del Papa al pubblico. Lo dicono tutti a Castel Gandolfo, il parroco, il sindaco e il direttore dei  Musei vaticani Antonio Paolucci, che dando il via alle visite ha ribadito: ”da oggi questa isola sigillata per pochi diventa, con un biglietto da 10 euro, un luogo di condivisione”. Papa Francesco lo vuole così e ne siamo felici.

Ed è veramente straordinario salire al secondo piano del Palazzo che nel ‘600 volle Urbano VIII e attraversare, dopo 4 secoli, la casa dei Papi, almeno dei 15 che qui sono stati. Segnate da marmi policromi, opere pittoriche e busti imponenti, ci sono le sale dell’accoglienza per gli ospiti, il Salone delle fedeli Guardie svizzere, la sala del Trono, dei  Palafrenieri, o gli ambienti più intimi del pranzo come la sala dell’Orologio, il salottino verde. La vista splendida va dai castelli romani ad Anzio, luogo di quello sbarco che nella seconda guerra mondiale portò circa 12mila persone a rifugiarsi qui. Tante donne, all’epoca, partorirono proprio nella camera del Papa. Tutto è rimasto come allora: anche quel letto semplice, cuore del Palazzo, dove si spensero Papa Pacelli e poi Paolo VI e dove passò la convalescenza Giovanni Paolo II dopo l‘attentato. E’ emozionante vedere lo studio privato dove sono nate tante pagine del magistero e soffermarsi davanti al Santissimo nella cappella privata, come hanno fatto Benedetto XVI e Francesco appena eletto e poter vedere dove la preghiera di chi ha guidato la Chiesa per secoli si è levata a Dio.

L’arte avvicina a Dio e agli uomini: è questo lo spirito di questa condivisione per Papa Francesco e anche quello che ha guidato il concerto di musiche popolari cinesi offerto al pubblico al termine della visita. In repertorio anche l’opera Anima mundi, scritta dal maestro Cui Zimo dopo l’incontro con Papa Francesco  a Santa Marta. Incontro di mani, ha detto, che c’è stato tra noi e incontro di cuori: e se il vincolo è l’amore misericordioso, ha concluso, può coinvolgere  tutte le nazioni e tutta la Terra.

Centinaia di migliaia di turisti sono attratti dalla bellezza della natura e delle atmosfere della residenza papale di Castel Gandolfo e ognuno "porta via un ricordo e una emozione particolare". Così al microfono di Gabriella Ceraso parla del nuovo progetto museale, il direttore delle Ville Pontificie, Osvaldo Gianòli

R. – Questo è un progetto che è partito da lontano: è partito nel 2014. Alla fine Papa Francesco ci ha fatto un grande dono decidendo di riaprire anche l’appartamento privato, permettendoci così di poter anche immaginare quella che poteva essere o che è stata la vita dei Pontefici qui dentro, con una condivisione che per noi è un dono. Come già in altri momenti: penso – per esempio – nel ’44, quando durante la guerra il Santo Padre accolse tutti coloro che chiedevano rifugio presso le Ville Pontificie.

D. – Direttore, qual è più o meno il flusso che voi avete calcolato da quando – praticamente sono già un paio di anni – tanti spazi sono stati aperti, dai Giardini alla Galleria dei Ritratti ed ora queste nuove stanze…

R. – L’affluenza è una affluenza che ci riempiedi orgoglio! Nel 2014 ci sono stati circa 10 mila turisti; nel 2015, sono stati circa 26 mila; e nel 2016 arriveremo a quasi 50 mila.

D. – Da cosa sono maggiormente attratti? E quali sono le loro emozioni e commenti?

R. – In generale i Giardini sono molto ben visti dal turista, che ne ammira l’ampiezza, la gestione e l’impianto che è stato realizzato negli anni Trenta da parte dell’architetto Momo, con tutti i giardini all’italiana. Ma non solo, anche la parte agreste, la parte della fattoria, la parte dell’uliveto… Naturalmente anche il Palazzo farà la sua parte, perché è molto apprezzato poter cominciare a vedere dove viveva il Pontefice e dove passava le sue vacanze, dove – diciamo così – esprimeva la sua parte privata. L’attenzione di ogni turista che viene è riportata a quell’immaginario che è un bene unico. E queste sono le impressioni maggiori che rileviamo all’uscita dal percorso.

D. – C’è qualche curiosità che queste mura, che questi spazi raccontano?

R. – Tanti aneddoti e anche tante curiosità. Per esempio, Giovanni XXIII amava molto venire a Castello, perché ritrovava una sua dimensione un po’ – diciamo – privata e qualche volta riusciva anche ad uscire inosservato attraverso il Cancello di Sant’Antonio, riuscendo così a conquistare qualche spazio di libertà, inteso come momento privato; a Papa Benedetto, che amava e che ama molto Castel Gandolfo, piaceva molto soggiornare vicino alla Fontana della Madonnina e dare da mangiare ai pesci… Questo lo ricordiamo con piacere e con affetto. Ma ce ne sono anche tanti altri…

D. – Se dovesse – anche se non ce n’è bisogno – invitare e invogliare, in qualche modo, i nostri ascoltatori a venire a vedere e a curiosare, cosa direbbe?

R. – Ognuno di noi si porterà via un ricordo che rimarrà comunque nel cuore.

Ma come hanno vissuto gli abitanti di Castel Gandolfo questi ultimi tre anni senza la presenza tra loro del Papa? Gabriella Ceraso lo ha chiesto al sindaco, Milvia Monachesi: 

R. – Quello che a noi manca  proprio l’anima: cioè la presenza del Papa era l’anima della nostra vita. Tutto si svolgeva intorno a questo momento: di inverno ci preparavamo per quando poi sarebbe arrivato il Papa. Questo ci manca tantissimo. Ognuno di noi ha dei ricordi, dei momenti, legati alla presenza del Papa. E adesso ci troviamo davvero un po’ sperduti. Però dobbiamo guardare avanti e non indietro. E quindi, siamo con il Papa e rispettiamo le sue scelte.

D. – Sappiamo che lei è stata da Papa Francesco e lo ha incontrato. Com’è stato questo incontro, e cosa vi siete detti?

R. – La battuta che c’è stata è quando sono andata io a San Pietro; e lui mi ha detto: “Ma lei è arrabbiata con me?” Con un sorriso molto, molto simpatico! E io chiaramente gli ho detto: “Assolutamente no, Papa! Noi la amiamo, la seguiamo e continuiamo ad aspettarla”.

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Giubileo delle corali: in 10mila da tutto il mondo

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Saranno circa 10mila le persone, attese a Roma da tutto il mondo, che da oggi a domenica 23 ottobre partecipano al Giubileo delle Corali e degli Animatori Liturgici. L’evento, organizzato da Nova Opera Onlus e dal Coro della diocesi di Roma - riferisce l'agenzia Sir - si è aperto oggi con un Convegno formativo nell'Aula Paolo VI sul tema: “Cantare la Misericordia”. Sono intervenuti nella mattinata mons. Guido Marini e mons. Massimo Palombella, mentre nel pomeriggio sono presenti mons. Vincenzo De Gregorio e il noto artista e teologo padre Marko Ivan Rupnik.

Testimonianze di chi ha fatto della musica uno strumento di evangelizzazione
Non mancheranno – informano i promotori dell’iniziativa – le testimonianze di giovani che hanno fatto della musica uno strumento di evangelizzazione e concreto aiuto ai fratelli, come quella di Adriano, ex lungodegente dell’Ospedale Bambin Gesù che si è diplomato in Conservatorio e oggi porta la musica tra i piccoli ammalati dell’Ospedale o quella di Giovanni il quale, proveniente dalla Turchia e cresciuto in una famiglia di religione islamica, è ora fratello salesiano e attraverso la musica costruisce ponti di speranza. 

Concerto nell'Aula Paolo VI dedicato alla Divina Misericordia e a San Giovanni Paolo II
Domani tutti i partecipanti incontreranno il Papa in occasione dell’Udienza giubilare mentre, alle ore 18, andranno a formare un unico grande Coro per un Concerto nell'Aula Paolo VI dedicato alla Divina Misericordia e a San Giovanni Paolo II nel giorno della sua memoria liturgica. Sul palco dell’Aula mons. Marco Frisina dirigerà l’Orchestra Fideles et Amati, il Coro della diocesi di Roma, le rappresentanze di Corali Diocesane e Parrocchiali e un Coro di voci bianche composto da circa 150 bambini, per un totale di oltre 400 coristi che guideranno il canto delle migliaia di partecipanti. Il Concerto, riservato per motivi di spazio ai soli iscritti al Giubileo, sarà trasmesso integralmente la stessa sera alle ore 22.40 su Tv2000 (canale 28 Dt).

Domenica mattina Messa giubilare nella Basilica di San Pietro
La tre giorni si concluderà domenica 23 ottobre con il Pellegrinaggio alla Porta Santa e la Messa nella Basilica di San Pietro presieduta da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizazione.Prima di tornare alle loro Comunità diocesane e parrocchiali, i presenti riceveranno ancora la benedizione del Santo Padre partecipando alla preghiera dell’Angelus in Piazza San Pietro. (R.P.)

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Governatorato Vaticano: nuova illuminazione in Piazza San Pietro

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Si è svolta ieri sera la cerimonia di accensione del nuovo impianto di illuminazione di gala in Piazza San Pietro. La nuova illuminazione è il risultato di un accurato studio di progettazione durato alcuni mesi e portato avanti dai tecnici della Direzione dei servizi tecnici del Governatorato con la collaborazione della società Osram. “L’obiettivo del progetto – scrive sull’Osservatore Romano, il direttore dei servizi tecnici del Governatorato vaticano, Rafel Garcia de la Serrana Villalobos – è stato quello di creare un impianto in completa sintonia e armonia con l’architettura della piazza che illuminasse senza interferire con i suoi volumi”.

L’apporto di luce in Piazza San Pietro, necessario per le cerimonie pontificie o altri eventi, sinora ottenuto con l’utilizzo di sessantasei fari con lampada a scarica da 1000w, viene ora proposto con centotrenta fari led della potenza di 238w cadauno con un conseguente risparmio energetico di oltre il 50 per cento.

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Oggi in Primo Piano



Consiglio Ue blocca nuove sanzioni a Mosca

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La crisi siriana e la Russia al centro del Consiglio europeo di Bruxelles, dove l’iniziativa italiana ha bloccato l’eventualità di nuove sanzioni contro Mosca. Contrari all’inasprimento delle misure contro la Russia anche Spagna, Grecia, Austria e Cipro. Rimangono comunque lontane l’Ue e il Cremlino sui dossier del Medio Oriente. Francia e Gran Bretagna hanno ribadito che è “vitale che si lavori assieme per continuare a mettere pressione sul Russia”. Tensione sempre alta anche per il passaggio nel canale della Manica, in programma oggi, di una ingente flotta russa, diretta nelle acque al largo della Siria. Per un commento su questi ultimi avvenimenti, Marco Guerra ha intervistato Matteo Villa, analista dell'Ispi esperto di Europa: 

R. – L’Europa si ritrova spaccata davanti a Mosca, abbastanza assertiva e che interviene con decisione sullo scacchiere siriano, e qui tra l’altro si riapre di nuovo il dibattito sulle sanzioni a Mosca. In questo caso, la nota più importante, secondo me fondamentalmente diversa rispetto a tre settimane fa, è che arrivavamo al vertice europeo e pensavamo di arrivarci con un’Europa che stava per ri-discutere le sanzioni alla Russia sull’Ucraina tirandole giù, invece con l’intervento russo così forte ad Aleppo si arriverà a un’Europa che non ridiscute le sanzioni ucraine e anzi pensa di imporne di più. Poi, chiaramente nulla di fatto perché Renzi è arrivato e ha detto: “Da Obama io ho avuto il nullaosta per non imporre nuove sanzioni”, e quindi nei prossimi mesi è tutto da rivedere.

D. – Tuttavia, l’Europa sceglie posizioni che sembrano distanti dagli Stati Uniti che comunque guidano sul terreno tutte le operazioni della coalizione …

R. – E’ assolutamente vero. L’Europa dallo scenario siriano è quasi assente, da mesi ormai non riesce a parlare con una voce unica ; è molto difficile anche solo immaginare una ricomposizione degli interessi perché sappiamo che su quel fronte in Siria intervengono tanti attori, sia regionali, sia da fuori e lo scacchiere si fa sempre più complesso. La Francia aveva provato a riunificarsi quando, dopo gli attentati di Parigi aveva deciso di amplificare il proprio intervento. Però, si tratta di interventi sempre di singoli Paesi ed è sempre difficile immaginare una politica estera unita di fronte a uno scacchiere sempre più complesso nei mesi che vengono.

D. – Un’Europa spaccata allontana una soluzione riguardo al caos siriano?

R. – E’ possibile, però non credo sia questo il problema. In Siria, come abbiamo detto, ci sono tanti attori che intervengono: ciascuno con i propri interessi. Ogni singolo pezzettino della Siria è conteso … Per esempio, Mosca interviene perché vuole sostenere il regime di Assad e lo fa trincerandosi dietro alla lotta al terrorismo. Però è chiaro che invece ci sia un netto sostegno al regime. Gli Stati Uniti cercano invece di tenere il bandolo della matassa e di frenare le rivolte degli Stati arabi che invece tendono a intervenire in maniera più decisa sostenendo sia i ribelli sia le forze islamiste anche più radicali. E allora, in una scacchiera così complessa non è detto che l’Europa possa fare molto: è chiaro che non aiuta quando invece si parla con 28 voci anziché con una sola.

D. – Quali sono gli interessi in campo che portano alcuni Paesi a fare muro contro le sanzioni alla Russia, mentre altri vogliono fare pressione con insistenza su Mosca?

R. – Anzitutto, è chiaro che la geografia e la Storia giochino un ruolo di primo piano. Sappiamo benissimo che i Paesi dell’Est Europa hanno sempre più paura di Mosca: sono stati per 40 anni all’interno del blocco sovietico e in questo momento vedono Mosca più assertiva che interviene in Ucraina, che interviene in Siria come una potenziale minaccia. E quindi chiedono alla nato di intervenire, all’Ue di parlare con una voce sola … diciamo: interessi diversi, minacce diverse. Con Mosca, sappiamo che c’è stato un dialogo ventennale: da quando c’è stato il governo Berlusconi, il nostro riavvicinamento con Mosca si è quasi completato e con Putin altrettanto. Il governo Renzi non vuole giocarsela tutta: sa che ci sono degli interessi che rischia di minare. Per esempio, i nostri interessi economici: il settore agroalimentare è stato molto colpito dalle sanzioni di Mosca e quindi c’è bisogno – secondo il governo italiano – di mantenere una linea più attendista e paritaria che talvolta però risulta – se vogliamo – deficitaria di fronte a Mosca che tende ad agire in maniera molto, molto violenta anziché cercare la via diplomatica. E’ chiaro che ci siano – per esempio – anche la Gran Bretagna di May a favore delle sanzioni, perché godendo delle relazioni speciali con gli Stati Uniti, si tende un po’ ad appiattirsi sulla posizione di Washington. Però si tratta chiaramente di Paesi che invece – quelli che sono contrari alle maggiori sanzioni a Mosca – che sono più lontani, e poi sono anche quelli colpiti maggiormente dalla crisi economica e che non vogliono in questo momento imporre nuove sanzioni e rischiare di creare nuove conseguenze per la propria economia proprio in momenti in cui – per esempio, e lo sappiamo in Italia – la manovra si gioca su percentuali dello zero virgola.

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All'avanzata della coalizione l'Is risponde col terrorismo

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In Siria si continua a combattere nonostante ieri per 11 ore al giorno, fino a lunedì, sia in vigore la tregua umanitaria ad Aleppo. Secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani sono quasi 10 mila le vittime causate dai raid di Damasco. Intanto a Mosul, in Iraq, prosegue l’offensiva della coalizione a guida americana contro il sedicente Stato Islamico, che starebbe utilizzando civili come scudi umani. I jihadisti hanno compiuto vari attentati oggi a Kirkuk, causando decine di vittime. Secondo l'arcivescovo caldeo, mons. Thomas Mirkis, i miliziani avrebbero anche preso numerosi ostaggi nelle moschee. Sulla potenzialità offensiva del Califfato, Giancarlo La Vella ha intervistato Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all'Università di Trento: 

R.  – Se ci fosse una vera convergenza di intenti tra gli Stati Uniti e la Russia la storia dell’Is sarebbe già finita da un pezzo. E’ chiaro che il Califfato, messo sulla difensiva da una offensiva militare a cui non è in grado di resistere, ricorra al terrorismo. Ma questo a me non sembra una questione di potenzialità, ma sembra di debolezza. E quindi il fatto che il Califfato utilizzi l’arma del terrorismo è una dimostrazione proprio del fatto che non è in grado di resistere militarmente. E’ chiaro che il rischio del terrorismo diventerà più forte anche in Europa, però è una tattica senza via di uscita, nel senso che nessuno ha mai vinto le guerre con il terrorismo.

D.  – L’eventualità del terrorismo avviene in un momento in cui Stati Uniti e Russia appaiono molto distanti. Le due potenze su quali aspetti potrebbero trovare un accordo?

R.  – Innanzitutto bisogna vedere chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca. Poi bisognerebbe che entrambe le due grandi potenze accettino di fare un passo indietro rispetto alle loro ambizioni egemoniche. E’ chiaro che la Russia continua ad appoggiare il presidente siriano Assad. Secondo me la vera via di soluzione sarebbe che gli Stati Uniti e la Russia trovino una convergenza nel decidere quale deve essere la sorte di Assad. E naturalmente bisogna trovare una maniera di mediare: magari gli Stati Uniti potrebbero accettare l’idea che Assad non se ne vada o comunque mantenga una sorta di presenza onoraria e la Russia potrebbe accettare l’idea che Assad non sia più veramente il direttore della politica siriana.

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Al via iniziativa Campane per Aleppo, per dire no al massacro

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#bellsforaleppo: si intitola così l’iniziativa partita il 12 ottobre dalla Parrocchia luterana di Kallio, nella capitale finlandese di Helsinki, e che sta coinvolgendo sempre più chiese di tutte le denominazioni e in numerosi Paesi d’Europa e non solo. Ogni giorno, infatti, alle 17.00, le chiese aderenti fanno risuonare le proprie campane a lutto per ricordare la Siria e i suoi morti e chiedere la fine di questo massacro.

Oltre 200 le parrocchie aderenti
“Le campane continueranno a suonare tutti i giorni fino al 24 ottobre, giornata delle Nazioni Unite”, spiega Teemu Laajasalo, vicario della parrocchia di Kallio. “Non ci sono motivi che possano giustificare il bombardamento degli aiuti umanitari o delle chiese – aggiunge - Non ci sono motivi per distruggere la vita dei civili e dei tanti bambini”. L’iniziativa, che due giorni dopo registrava già 200 parrocchie partecipanti, è ora accolta da singole denominazioni e ha ricevuto il sostegno della Conferenza delle Chiese europee, della Federazione luterana mondiale e dal Consiglio Mondiale delle Chiese.

Porre fine alle uccisioni in Siria
“Speriamo – conclude Teemu Laajasalo - che tutte le Chiese, le comunità e i singoli abbiano voglia di aderire e partecipare alla protesta e alla richiesta di porre fine alle uccisioni in Siria”. Sul sito http://bellsforaleppo.org/ è possibile vedere la cartina continuamente aggiornata delle Chiese che aderiscono all’iniziativa. (I.P.)

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Libano: dopo due anni vicina l'elezione del nuovo presidente

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Dopo due anni di attesa sembra probabile che dal 31 ottobre il Libano avrà un nuovo Presidente della Repubblica, che verrà eletto dal Parlamento. Il candidato sarebbe Michel Aoun, cristiano maronita, vicino a Hezbollah. Il Paese, la cui popolazione si ripartisce tra musulmani sciiti, sunniti, cristiani maroniti e molte altre confessioni religiose, ha un complesso sistema politico che prevede la suddivisione delle più alte cariche dello Stato e dei seggi parlamentari su base confessionale. Andrea Walton ha intervistato sull’argomento Camille Eid, giornalista libanese e collaboratore del quotidiano Avvenire, chiedendogli perché ci sono voluti più di due anni per eleggere un nuovo Presidente: 

R. – Dopo il crollo dell’Impero Ottomano è stato trovato un sistema politico di comune accordo tra cristiani e musulmani che rendesse partecipi tutte le componenti della società, senza quindi escludere le cosiddette minoranze o altri gruppi. Una cosa che altri Paesi del Medio Oriente non hanno sperimentato pienamente. Per cui l’appartenenza confessionale è diventata anche cardine perché – malgrado tutti i suoi difetti – hanno diviso il potere, assegnando cariche di primaria importanza a determinate confessioni: la presidenza della Repubblica è tradizionalmente assegnata ad un cristiano maronita, che vuol dire un cattolico; la presidenza del Parlamento ad uno sciita e quella del Consiglio dei ministri ad un sunnita. Lo stesso vale per i seggi del Parlamento, che sono attualmente divisi a metà tra i cristiani e i musulmani. Tutto questo ha un unico scopo, quello cioè di rendere partecipi al governo del Paese tutti i libanesi, senza discriminare alcuna componente.

D. – Ricordiamo la complessa struttura politica del Libano e perché il Paese è senza Presidente da oltre due anni…

R. – Anzitutto per l’impossibilità del Parlamento di raggiungere il quorum previsto per l’elezione presidenziale, che deve essere dei due terzi dei deputati. Molti partiti hanno boicottato l’elezione perché non erano sicuri di riuscire a portare alla presidenza il loro candidato preferito. Finora ci sono state 45 convocazioni, che sono andate tutte a vuoto…

D. – Sembra probabile che Michel Aoun potrà essere eletto Presidente dal Parlamento libanese il prossimo 31 ottobre. Ma come si è arrivati a questo accordo?

R. – C’è stato un lungo processo. Lo scorso gennaio, il suo principale rivale Samir Geagea – anche lui candidato - aveva appoggiato la candidatura di Aoun. E questo ha permesso che - a livello di partiti cristiani - i due maggiori partiti cristiani trovassero un’intesa su un unico nome, quello appunto di Michel Aoun. Mancava, però, l’adesione dei partiti a maggioranza islamica, quindi dei sunniti e degli sciiti. Sappiamo che tra gli sciiti il Partito Hezbollah è sempre stato un sostenitore della candidatura di Aoun, ma non quello del Movimento Amal. Dal punto di vista dei sunniti, invece, c’era una maggiore opposizione: il partito maggiore, quello cioè di Hariri, Saad Hariri, solo ieri ha ritirato l’appoggio ad un altro candidato della Coalizione “8 marzo” – quindi la stessa a cui appartiene Aoun – per girarla e spostarla verso quella di Aoun. Attualmente tutto questo conferisce una maggioranza a livello di numero alla candidatura di Aoun. Adesso si spera che il 31 ottobre si arrivi a raggiungere il quorum di presenti al Parlamento. Di conseguenza viene spianata la strada per l’elezione di Aoun.

D. – Cosa comporterà questo accordo?

R. – Comporterà una divisione - come siamo soliti vedere – del potere: Hariri spera di essere il premier per tutta la durata del mandato presenziale, che è di sei anni. Ieri, nel suo discorso, Hariri ha fatto una importante allusione al fatto che Aoun sia d’accordo sul mantenere una neutralità del Libano riguardo alla guerra in Siria. Cosa che comporta, comunque, una pressione da parte di Aoun sul suo alleato Hezbollah per diminuire o ritirare i suoi miliziani che combattono al fianco del regime di Bashar al-Assad in Siria.

D. – Quale ruolo ricopre attualmente il Libano nella scacchiera mediorientale?

R. – Il Libano – come sappiamo – ha accolto circa un milione e mezzo di profughi siriani. Quindi la stabilità del Libano è importante in questo periodo, proprio perché una qualsiasi minaccia della stabilità libanese vorrebbe dire che questo milione e mezzo di siriani si riverserebbe poi in Europa o in altri Paesi. Ma il Libano è attualmente anche un tassello importante a livello politico, perché riuscire a dimostra che cristiani e musulmani possono ancora trovare una intesa per portare avanti un progetto politico, potrebbe essere un buon esempio per l’edificazione di una Siria, di un nuovo Iraq, in cui le etnie e le religioni sembrano invece essere l’una contro l’altra.

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Card. Sandri a Chiese orientali: camminare insieme ai vescovi latini

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“Anche l’europeo, italiano, spagnolo, francese, tedesco, portoghese, polacco, ungherese è stato migrante. Di questo dobbiamo avere memoria, anche dal punto di vista ecclesiale”. Lo ha affermato ieri pomeriggio il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, aprendo a Lisbona l’incontro dei vescovi delle Chiese orientali cattoliche in Europa. “Siamo qui perché anche noi abbiamo a cuore il futuro e l’identità di questo continente – ha sottolineato Sandri – e vogliamo camminare insieme ai vescovi della Chiesa Latina per manifestare la comunione e la bellezza dell’essere tutti parte della Chiesa universale, che accoglie in sé una varietà di espressioni e tradizioni”. 

Il porporato ha ricordato le sofferenze delle Chiese bizantine sotto il comunismo
Il prefetto - riferisce l'agenzia Sir - ha ricordato che l’Europa “durante alcune crisi economiche ha visto partire milioni dei suoi figli, che si sono stabiliti in gran parte, nel continente americano, a Nord come a Sud”. “Ancor oggi troviamo veri e propri quartieri nelle grandi metropoli”, ha osservato, aggiungendo che “gli abitanti, che sono ben integrati nel luogo dove si trovano ora, ne conoscono i costumi e ne rispettano le leggi, non smarriscono le radici e le tramandano alle nuove generazioni” Nel suo intervento, il card. Sandri ha rievocato anche che nell’Est europeo “le chiese di tradizione bizantina sono nate e si sono sviluppate” ma “negli anni del dominio del socialismo sovietico e di sistemi affini nei Paesi satelliti, le sofferenze e le persecuzioni non sono mancate”. 

La collaborazione tra Chiese orientali cattoliche e Pastori latini
“Sofferenza più recente – ha aggiunto – è quella legata al flusso massiccio di fedeli proveniente dal Medio Oriente, in specie tra i figli della Chiesa melkita, siro-cattolica, caldea e, anche se in misura minore, armena”. “Come Chiese orientali cattoliche siamo qui anzitutto per dire grazie ai confratelli latini per l’ospitalità, l’accoglienza, l’amicizia sincera e i molteplici gesti di solidarietà concreta espressi nel corso degli anni”, ha concluso Sandri, aggiungendo che “per parte nostra, assicuriamo che i gerarchi delle Chiese orientali cattoliche continueranno nell’impegno o nella puntuale verifica, a garantire la piena collaborazione con i Pastori latini”. (R.P.)

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Convegno a Venezia: costruire pace e sicurezza in Europa con il dialogo

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Si è aperto ieri a Venezia il convegno "Costruire la pace e la sicurezza per l'Europa e le popolazioni vicine, promosso dal gruppo del Partito Popolare Europeo per il dialogo interreligioso. Presenti varie personalità istituzionali e rappresentanti dlle comunità religiose. Il servizio di Roberto Piermarini 

Quel che accade da Lesbo a Lampedusa, da Dadaab a Calais, da Mosul a Parigi, da Istanbul a Tel Aviv non può lasciare indifferenti perchè bussa con forza alle porte dell'Europa e scuote le coscienze degli uomini di buona volontà, siano essi impegnati nel campo della religione o della politica. E' quanto emerge dal convegno che affronta il problema dell'immigrazione. "L'Europa, nell'attuale e non facile contesto internazionale - ha detto il patriarca di Venezia Francesco Moraglia al microfono di padre Leszek Gesiak - è chiamata ad un compito epocale a favore delle popolazioni in fuga dai propri Paesi. Se vorrà e saprà onorarlo, ne riceverebbe una forte legittimazione politica nel presente e nel futuro"

“Dobbiamo avere quella lungimiranza politica - e la dobbiamo chiedere ai nostri politici - che declini una magnanimità reale, perché quello sforzo che viene chiesto molte volte all’anello più debole sul territorio deve però essere supportato a monte da una politica nazionale, da una politica europea. E ormai il fenomeno ci fa dire che, essendo interessati parecchi continenti, è anche a livello mondiale. L’accoglienza, il realismo, la lungimiranza: è in gioco la credibilità di un’Europa, che vuol essere Europa dei popoli”.

Dal canto suo il filosofo e storico Rocco Buttiglione, riguardo alla sicurezza europea ed ai rischi del sedicente Stato Islamico in Siria e Iraq, ha lamentato la mancanza di una politica unitaria dell'Europa

“Purtroppo l’Europa non ha avuto una politica: non avendo un’unità vera, non è neanche in grado di esprimere una politica. Perché gli estremisti sperano di poter usare a loro vantaggio le molte ingiustizie che ci sono nel mondo. Noi non abbiamo appoggiato quelli che lottavano contro l’ingiustizia con il metodo della non violenza, con il metodo della testimonianza della verità, con il metodo dell’appello alla coscienza dell’avversario: li abbiamo ignorati, abbiamo lasciato che fossero assassinati, costretti alla fuga, ridotti al silenzio... E il risultato è che gli estremisti hanno guadagnato delle posizioni e pensano di poter strumentalizzare, da un lato la religione, e dall’altro la domanda di giustizia delle masse a proprio vantaggio. Manca una politica dell’Europa”.

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Colombia. Card. Salazar: si arrivi presto a nuovo accordo di pace

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Nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’evento Expocatólica inaugurata ieri nella capitale colombiana, l’arcivescovo di Bogotá e presidente del Celam, card. Rubén Salazar Gómez, ha rivolto un appello perché si giunga quanto prima a un accordo definitivo di pace e ha invitato i protagonisti della trattativa a non rinviare la conclusione di tale processo. 

Arrivare al più presto possibile all’accordo di pace
“Come Chiesa – ha detto – abbiamo dichiarato in modo chiaro che vogliamo e lottiamo perché si arrivi molto presto a un accordo definitivo di pace e perché si firmi la cessazione definitiva delle ostilità e del conflitto armato. Io non posso giudicare il processo che si sta sviluppando in questo momento, però i colombiani e la stessa Chiesa hanno chiaramente manifestato che c’è bisogno di arrivare il più presto possibile all’accordo”. 

Il porporato ha lodato la volontà del governo di migliorare l'accordo
Il card. Salazar - riporta l'agenzia Sir - ha sottolineato l’apertura da parte del Governo per ricevere gli apporti e i suggerimenti fatti da diverse correnti di pensiero, con l’obiettivo di migliorare l’accordo raggiunto con le Farc: “Sono testimone di questa volontà totale di apertura, pur nella consapevolezza che esistono proposte e richieste di diversi gruppi di opinione e orientamenti politici e non è facile trovare la soluzione”, ha proseguito. 

Ottimismo anche per le trattative con l'altro gruppo guerrigliero dell'Eln
L’arcivescovo ha manifestato ottimismo anche a riguardo delle trattative che presto si apriranno con l’altro gruppo della guerriglia, l’Eln: “Penso che si tratti di un passo molto importante”, ha detto, evidenziando l’impegno preso del gruppo di non procedere più con sequestri di persona: “L’hanno detto e siamo tenuti a credere loro”. (R.P.)

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Viaggio della memoria dei medici del Bambin Gesù ad Auschwitz

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Un viaggio della memoria differente, per raccontare la Shoa dal punto di vista medico e capire il ruolo del personale sanitario nei campi di concentramento. Questo è il fine del viaggio ad Auchwitz e Birkenau, che faranno dal 8 al 10 novembre prossimi i medici e ricercatori dell’Ospedale Israelitico e dell’Ospedale pediatrico del Bambin Gesù di Roma, in collaborazione con la Fondazione Museo della Shoah, presentato questa mattina in conferenza stampa a Roma. Il servizio di Marina Tomarro: 

Andare a ripercorrere quelli che furono già luoghi dell’orrore umano e dello sterminio, la parte ancora più dolorosa, quella che si celava dietro ragioni mediche inesistenti e invece operava criminali ricerche scientifiche su bambini e anziani. Sarà questo il percorso che faranno i partecipanti al primo viaggio della memoria di medici e ricercatori, all’interno dei campi di concentramento di Auchwitz e Birkenau, dove visiteranno quei luoghi di morte nei quali si svolgevano queste efferate sperimentazioni. Ascoltiamo Ruth Dureghello presidente della comunità ebraica di Roma:

R. - E’ importante perché è un’esperienza in cui le due entità sanitarie che sono profondamente connotate religiosamente collaborano e si mettono insieme per approfondire un tema come quello del ruolo dei medici durante la Shoah, dei medici nazisti in particolare e lo fanno in un percorso comune. E’ un viaggio quindi che va al di là dell’approfondimento scientifico e formativo su quello che rappresenta ma che impone una riflessione comune delle religioni. Questo è il senso e l’importanza di questo viaggio in questo momento e ciò è il senso e l’importanza che va ben oltre il fatto che si tratti di due ospedali ma invece di un impegno religioso forte, fatto di gesti concreti e della volontà di dialogare!

D. – Cosa succedeva in quei campi?

R. - E’ chiaro che quello che succedeva è qualcosa che non si può rappresentare ma la gravità sta nel fatto che quello che succedeva era che anche la scienza e gli uomini si mettevano al servizio ciecamente di una ideologia che voleva distruggere, voleva cancellare: la scienza al servizio del male dell’uomo.

D. – Perché è importante raccontare alle nuove generazioni?

R. – C’è qualcosa che va oltre il racconto, non è solo importante raccontare. E’ importante trasmettere, questo è il senso di quello che noi facciamo. Perché la Shoah è stato qualcosa di enorme, di infinito, di raccapricciante ma soprattutto di profondo, che ha segnato tutta l’umanità. In questo momento particolare in cui i valori si vanno affievolendo o il tempo si va allontanando, invece è bene tenere sempre presente che il pericolo è dietro l’angolo, i segnali li vediamo dappertutto: l’antisemitismo sta crescendo, le discriminazioni, gli odi, i populismi, le demagogie, i nazionalismi sono segnali evidenti di un passato che si ripresenta. Per questo è importante continuare a ragionare, a emozionare, a formare e a riflettere su ciò che è stato.

Il legame tra il Bambin Gesù e la comunità ebraica di Roma è stato sempre molto stretto. Infatti proprio durante i rastrellamenti dei nazisti nel 1943, all’interno dell’ospedale furono nascoste e salvate diverse famiglie ebree. Ascoltiamo Mariella Enoc, presidente dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù:

R. – Salvò delle persone perché le nostre suore vincenziane che sono ancora presenti oggi, come tanti religiosi, accolsero queste famiglie. Ovviamente dovevano far sì che i bambini fossero ammalati ma che anche i familiari fossero visti come infermieri, come medici, come personale, quindi non come familiari. In questo modo nell’insieme di tutti loro poterono salvare alcune famiglie.

Ma ancora oggi il Bambin Gesù da rifugio a quelle famiglie che scappano dai luoghi di guerra come la Siria e l’Iraq. Ancora Mariella Enoc:

R. – In fondo la storia, anche se in maniera diversa, si ripete. Oggi in modo diverso, ma abbiamo creato un piccolo corridoio umanitario per cui alcune famiglie a rischio vengono portando i loro bambini che certamente hanno alcune patologie ma noi ci vorremmo occupare di tutta la famiglia e nel nostro piccolissimo mondo salvare loro la vita.

E proprio in questi giorni la presidente Enoc si è recata a Bangui in Africa per seguire alcuni importanti progetti umanitari, voluti proprio da papa Francesco. Ascoltiamo la sua testimonianza:

R. – Sono appena tornata dalla Repubblica Centrafricana, da Bangui, dove il Papa mi ha dato veramente il compito di essere molto attenta che si realizzi sia il progetto dell’ospedale ma anche gli altri due progetti che a lui stanno molto a cuore: la costruzione della scuola cristiana musulmana e le case per i profughi di una parrocchia. L’ospedale Bambino Gesù sta già pagando 16 medici perché possano curare i bambini e intanto siamo anche riusciti a far sì che il seminario maggiore non abbia più profughi perché abbiamo costruito le case e quindi il seminario in questo momento ha ripreso a essere un seminario. E’ stata un’esperienza molto forte vedere questi oltre 40 chierici potere fare una vita di studio, di preghiere e di silenzio.

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Morte di una gestante a Catania: obiezione di coscienza non c'entra

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Sono giunti all'ospedale Cannizzato di Catania gli ispettori nominati dal ministro alla Salute Lorenzin per accertare se siano state rispettate tutte le procedure previste nel caso di Valentina Milluzzo, la donna di 32 anni deceduta dopo aver dato alla luce due gemelli senza vita. La Procura ha iscritto nel registro degli indagati 12 medici come atto dovuto. Nell'inchiesta emerge il ruolo di un medico obiettore che, secondo i legali della famiglia della donna, avrebbe impedito l'aborto necessario per salvare la mamma. Ma cosa dice la dottrina della Chiesa in proposito? Sentiamo don Mauro Cozzoli, docente di teologia morale alla Pontificia Università Lateranense, al microfono di Fabio Colagrande

R. – Laddove c’è un problema anzi addirittura un’emergenza terapeutica curativa, il medico deve sempre intervenire. L’obiezione di coscienza non esime mai il medico dalla cura, va subito chiarito. Per cui il medico obiettore di coscienza deve sempre  intervenire per curare. Questo è indubbio.

D. – Ciò significa che se una partoriente sta rischiando la vita, un medico obiettore può praticare l’interruzione di gravidanza?

R. – Allora, l’insegnamento della Chiesa a riguardo dice che l’interruzione di gravidanza deve essere evitata soltanto nei casi in cui è volontaria e soprattutto è diretta, il che vuol dire che si assume come fine dell’atto dell’intervento la soppressione e l’uccisione dei feti; non quando invece l’atto è curativo, terapeutico: cioè ha lo scopo di curare e salvare la partoriente. Può esserci il caso che nell’atto curativo non si riesce a salvare la vita del bambino, del feto. In questo caso l’aborto è indiretto perché non è voluto, né come fine dell’intervento terapeutico, né come mezzo per raggiungere il fine. E’ semplicemente una seconda conseguenza inevitabile, perché se la posso evitare la devo evitare. Nel caso in cui è inevitabile io posso intervenire per salvare la donna accettando la perdita di quella vita fetale, di quel bambino; accettandola perché l’intervento non la procura.

D. – Se, per ipotesi, questo medico obiettore di coscienza non si fosse adoperato per salvare la vita di questa donna sarebbe perciò colpevole anche moralmente?

R. – Esatto, la sua sarebbe un’omissione di cura. Se avesse invocato l’obiezione di coscienza per sottrarsi all’intervento terapeutico, questo medico sarebbe moralmente e legalmente perseguibile. Anche se da quello che ha dichiarato il direttore del nosocomio e dai primi accertamenti della procura di Catania sembra che non sia proprio questo il caso.

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Vescovi italiani: messaggio per la Giornata per la vita

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“Com’è bello sognare con le nuove generazioni una Chiesa e un Paese capaci di apprezzare e sostenere storie di amore esemplari e umanissime, aperte a ogni vita, accolta come dono sacro di Dio anche quando al suo tramonto va incontro ad atroci sofferenze; solchi fecondi e accoglienti verso tutti, residenti e immigrati”. È un passaggio del Messaggio del Consiglio permanente Cei – dal titolo ““Donne e uomini per la vita nel solco di Santa Teresa di Calcutta” – per la 39ª Giornata Nazionale per la vita (5 febbraio 2017). 

Ascoltare il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo
Santa Teresa - ricorda il testo ripreso dall'agenzia Sir - “c’insegna ad accogliere il grido di Gesù in croce: ‘Nel suo ‘Ho sete’ (Gv 19,28) possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace’. Gesù è l’Agnello immolato e vittorioso: da Lui sgorga un ‘fiume di vita’ (Ap 22,1.2), cui attingono le storie di donne e uomini per la vita nel matrimonio, nel sacerdozio o nella vita consacrata religiosa e secolare”.

Il sogno di Dio si realizza nella storia con la cura dei bambini e dei nonni
Il testo del Messaggio cita Papa Francesco quando afferma che “Il sogno di Dio si realizza nella storia con la cura dei bambini e dei nonni. I bambini ‘sono il futuro, sono la forza, quelli che portano avanti. Sono quelli in cui riponiamo la speranza’; i nonni ‘sono la memoria della famiglia. Sono quelli che ci hanno trasmesso la fede’”. “Quando il Papa commenta la Parola di Dio al mattino o quando tiene discorsi nei vari viaggi apostolici, non manca di incoraggiare a sognare in grande”, e pure alle famiglie “ricorda loro che il sogno di Dio “continua a realizzarsi nei sogni di molte coppie che hanno il coraggio di fare della loro vita una famiglia”. 

Facciamo che ogni singolo bambino sia desiderato
Avere cura di nonni e bambini – prosegue il Messaggio – “esige lo sforzo di resistere alle sirene di un’economia irresponsabile, che genera guerra e morte. Educare alla vita significa entrare in una rivoluzione civile che guarisce dalla cultura dello scarto, dalla logica della denatalità, dal crollo demografico, favorendo la difesa di ogni persona umana dallo sbocciare della vita fino al suo termine naturale”, come “ripete ancora oggi Santa Teresa di Calcutta con il famoso discorso pronunciato in occasione del premio Nobel 1979: ‘Facciamo che ogni singolo bambino sia desiderato’”. (R.P.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 295

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.