Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 11/10/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: no a “religione del maquillage”, respingere apparenze

◊  

Gesù ci chiede di fare il bene con umiltà, rifuggendo l’apparire, il “far finta” di fare qualcosa. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, nella memoria di San Giovanni XXIII. Il Pontefice ha dunque messo in guardia da una “religione del maquillage” ribadendo che la via del Signore è la via dell’umiltà. Il servizio di Alessandro Gisotti

La libertà cristiana viene da Gesù, “non dalle nostre opere”. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia muovendo dalla Lettera di San Paolo ai Galati per rivolgere poi l’attenzione al Vangelo odierno laddove Gesù rimprovera un fariseo tutto concentrato sulle apparenze e non sulla sostanza della fede.

Gesù ci chiede di accettare la giustizia che viene da Dio
A quel dottore della legge che aveva criticato Gesù perché non aveva fatto le abluzioni prima del pranzo, ha detto il Papa, il Signore risponde in modo netto:

“‘Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria’. E questo Gesù lo ripete tante volte nel Vangelo a questa gente: ‘Il vostro interno è cattivo, non è giusto, non è libero. Siete schiavi perché non avete accettato la giustizia che viene da Dio, la giustizia che ci ha dato Gesù’”.

In un altro passo del Vangelo, ha proseguito il Papa, Gesù chiede di pregare senza farsi vedere, senza apparire. Alcuni, ha notato, avevano “le facce toste”, “non avevano vergogna”: pregavano e facevano l’elemosina per farsi ammirare. Il Signore, invece, indica la strada dell’umiltà.

No alla “religione del maquillage”, rifuggire dalle apparenze
“Quello che importa, dice Gesù – è la riflessione di Francesco – è la libertà che ci ha dato la redenzione, che ci ha dato l’amore, che ci ha dato la ricreazione del Padre”:

“Quella libertà interna, quella libertà che si fa il bene di nascosto, senza far suonare la tromba perché la strada della vera religione è la stessa strada di Gesù: l’umiltà, l’umiliazione. E Gesù, Paolo lo dice ai Filippesi, umiliò se stesso, svuotò se stesso. E’ l’unica strada per togliere da noi l’egoismo, la cupidigia, la superbia, la vanità, la mondanità. Al contrario questa gente che Gesù rimprovera è gente che segue la religione del maquillage: l’apparenza, l’apparire, fare finta di sembrare ma dentro… Gesù usa per questa gente un’immagine molto forte: ‘Voi siete sepolcri imbiancati, belli al di fuori ma dentro pieni di ossa di morti e marciume’”.

Chiediamo al Signore di respingere la religione dell’apparire
“Gesù – ha ripreso – ci chiama, ci invita a fare il bene con umiltà”. “Tu – ha detto - puoi fare tutto il bene che tu vuoi ma se non lo fai umilmente, come ci insegna Gesù, questo bene non serve, perché un bene che nasce da te stesso, dalla tua sicurezza non dalla redenzione che Gesù ci ha dato”. La redenzione, ha soggiunto, “viene per la strada dell’umiltà e delle umiliazioni perché non si arriva mai all’umiltà senza le umiliazioni. E vediamo Gesù umiliato in croce”:

“Chiediamo al Signore di non stancarci di andare su questa strada, di non stancarci di respingere questa religione dell’apparire, del sembrare, del fare finta di... E andare silenziosamente facendo il bene, gratuitamente come noi gratuitamente abbiamo ricevuto la nostra libertà interiore. E che Lui custodisca questa libertà interiore di tutti noi. Chiediamo questa grazia”.

inizio pagina

Papa autorizza decreto virtù eroiche di due sacerdoti e due religiose

◊  

Papa Francesco ha ricevuto ieri in udienza privata il card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Nel corso dell’udienza il Santo Padre ha autorizzato la Congregazione a promulgare i decreti riguardanti le virtù eroiche del Servo di Dio Luigi Zambrano Blanco, sacerdote diocesano e Fondatore dell’Istituto Secolare Hogar de Nazareth nato il 23 dicembre 1909 e morto il 14 febbraio 1983; le virtù eroiche del Servo di Dio Tiburzio Arnáiz Muñoz, sacerdote professo della Compagnia di Gesù nato l’11 agosto 1865 e morto il 18 luglio 1926; le virtù eroiche della Serva di Dio Maria Teresa Spinelli, Fondatrice della Congregazione delle Suore Agostiniane Serve di Gesù e Maria nata il primo ottobre 1789 e morta il 22 gennaio 1850; le virtù eroiche della Serva di Dio Maria Costanza Panas (al secolo: Agnese Pacifica), Monaca professa delle Clarisse Cappuccine del Monastero della città di Fabriano; nata il 5 gennaio 1896 e morta il 28 maggio 1963.

inizio pagina

Mons. Piat: con i nuovi cardinali, il Papa dà fiducia alle “periferie”

◊  

Papa Francesco, con le nomine dei nuovi cardinali, ha messo ancora una volta l’accento sull’importanza delle “periferie” per la vita della Chiesa. Ne è convinto mons. Maurice Piat, arcivescovo di Port-Louis, nelle Isole Mauritius che – al microfono di Samuel Bleynie – confida tutta la sua sorpresa per la scelta del Pontefice: 

R. – Je suis très touché de la confiance que le Papa me fait…
Sono profondamente colpito dalla fiducia che mi dà il Santo Padre: sono molto, molto lontano dal meritarla! Come sappiamo Papa Francesco ama molto le periferie e quindi ha cercato un cardinale nelle città lontane: e questa è la più lontana che si potesse prendere in considerazione! Sinceramente questo mi sorprende enormemente e, come ho detto, sono riconoscente al Santo Padre per la fiducia che mi dà. Ad ogni modo, sono a completa disposizione del Santo Padre per il servizio che vorrà chiedermi in quanto cardinale.

D. – E’ anche incoraggiamento per il futuro, oltre che un nuovo incarico. Come l’ha appreso?

R. – Vous savez, je suis sous le choc moi-même! Je n’ai pas eu le temp de réflechir…
Sono sotto choc io stesso! Non ho avuto il tempo di rifletterci … non so … Non so. Come ho detto, sono disponibile per quello che il Papa mi chiederà … è tutto quello che posso dire, in questo momento. Dite agli ascoltatori della Radio Vaticana di pregare per me.

inizio pagina

"Uniti per la pace": partita di calcio allo Stadio Olimpico

◊  

“Uniti per la pace”. Questo il tema dell’incontro di calcio, presentato ieri alla stampa, che campioni di ieri e di oggi disputeranno domani sera allo Stadio Olimpico di Roma. Scopo dell’iniziativa, voluta da Papa Francesco e giunta alla seconda edizione, è quello di fornire un aiuto concreto ai terremotati del centro Italia e di diffondere nel mondo la richiesta di pace per tutti i popoli. Tra gli organizzatori dell’evento, Scholas Occurrentes, Fondazione internazionale di Diritto Pontificio, e il Centro Sportivo Italiano (Csi). Proprio il presidente del Csi, Vittorio Bosio, è stato intervistato da Giancarlo La Vella

R. – Siamo fortemente convinti che lo sport sia portatore di pace. In questo caso la dimostrazione è che tanti campioni si prestano a questa partita proprio per portare un messaggio di pace, di gioia e di felicità. Lo sport è questo. Speriamo coinvolga tante persone; speriamo che tante persone vengano a vedere la partita anche per solidarietà.

D. - Lo sport sta cominciando a parlare al mondo di quelli che sono i problemi del mondo …

R. - Parla al mondo e credo che lo sport abbia il dovere di farlo mantenendo le sue radici nel fattore educativo. Lo sport è anche educazione. Le regole dello sport insegnano le regole della vita e credo che chi vive bene l’attività sportiva vivrà in maniera migliore. Credo che lo sport trasmetta, comunque, dei valori che sono uguali per tutti. Pensiamo solo alle regole: una partita di calcio si gioca in tutto il mondo alla stessa maniera con le stesse norme. Credo anche che le attività sportive possano portare pace e serenità in un mondo che fa fatica a trovare la pace, la serenità e un modo per convivere. Credo che oggi ci sia necessità di rendere il mondo vivibile per tutti; chiediamo a tutti la possibilità di vivere nella maniera migliore.

D. - Qual è la frase di Papa Francesco a proposito dello sport che più le rimane impressa e fa quasi da sottotitolo a questa iniziativa?

R. - Papa Francesco ricorda - anche quando lo fa con i professionisti - che lo sport è anche da vivere in maniera gioiosa. Lui lo ricorda dicendo che va vissuto da “amateur”, da amatori. Anche il professionista se non trova comunque nell’attività sportiva un po’ di gioia finisce per viverla male. Va vissuto con gioia, con lo spirito di amatore: credo che sia questa l’indicazione che viene anche dal Pontefice.

D. - Che valore in più, qual è il valore aggiunto che questa iniziativa dà? La presenza di tanti campioni di ieri e di oggi …

R. - Credo che dimostri quanto nei campioni, in gente che pratica sport per professione, ci sia una visione bella legata alla solidarietà e alla festa, alla gioia di fare attività sportiva.

D. - È facile attraverso questa iniziativa parlare a realtà che dal punto di vista politico, diplomatico non si siedano assieme intorno ad un tavolo?

R. - Credo che ci sono stati tanti episodi positivi: ci sono tante nazioni che non si parlano da anni; invece gli atleti delle rispettive nazioni si abbracciano sul podio, sui campi di gara. Cosa vuol dire? Significa che lo sport ha questa potenzialità di mettere insieme i popoli di tutto il mondo.

inizio pagina

La misericordia per Giovanni XXIII era l'architrave della fede

◊  

Oggi ricorre la memoria di San Giovanni XXIII, il Pontefice del Concilio Vaticano II, canonizzato da Papa Francesco il 27 aprile di due anni fa insieme a Giovanni Paolo II. Sulla sua figura, Marina Tomarro ha intervistato il giornalista e scrittore Marco Roncalli, pronipote del “Papa buono”: 

R. – I ricordi sono tanti: certamente sono ricordi mediati, per motivi semplicemente anagrafici, però è chiaro che è una figura di riferimento certamente per tutta la famiglia. Tenendo presente però una cosa: Papa Giovanni, nel momento in cui è stato eletto, il 28 ottobre 1958, ha subito fatto capire anche agli stessi congiunti che da quel momento in poi la sua famiglia era quella del genere umano: era la famiglia di tutto il mondo. Senza mai scordare le sue radici, anche perché, per certi versi, si era sempre sentito anche debitore, per tutta la sua vita, a quell’educazione che lo aveva formato, riconoscendo soprattutto ai suoi genitori di aver imparato molte cose: più da loro che dai libri, i viaggi e gli incontri di tutta la vita.

D. – Cosa l’ha colpita particolarmente della figura di Papa Giovanni XXIII?

R. – Se dovessi dire la prima cosa che veramente mi viene in mente, è di aver imparato a conoscere un uomo che è stato davvero quello che ha capito subito che l’architrave della vita cristiana è la misericordia. Un uomo - cioè - che per tutta la sua vita ha voluto costruire dei ponti, avvicinare le persone; ha voluto mettere non solo i piedi ma anche i cuori nei luoghi dove è stato: direi proprio la capacità di stare accanto agli altri e di dialogare, confrontarsi, ma direi proprio di cercare sempre di riguardare le persone negli occhi, e di mettersi, come diceva lui, vicino al cuore delle persone che conosceva.

D. – Quanto è attuale il magistero di Giovanni XXIII, anche alla luce di quello di Papa Francesco?

R. – Credo che ci siano certamente tante cose comuni tra l’attuale Pontefice e Giovanni XXIII, a cominciare dal rendersi conto del valore fondamentale della misericordia, che è veramente proprio l’architrave della vita cristiana: è veramente il nucleo del Vangelo. E credo che anche quest’Anno Santo della Misericordia, che si sta concludendo, ma che – non dimentichiamo – è iniziato proprio nel segno del ricordo della chiusura del Concilio. Certo, il Concilio, concluso da Paolo VI ma iniziato da Giovanni XXIII, ha in qualche modo proprio saldato questo strumento antico al valore importantissimo, rilevante, che è appunto quello della misericordia. Credo che il tratto comune sia certamente quello. E poi li vedo molto vicini anche nel vivere l’ottimismo cristiano: proprio la gioia dell’incontro continuo con Dio, con gli uomini; e quest’attenzione ai bisogni spirituali e materiali sempre con grande rispetto. Proprio il fatto che nulla di ciò che è umano può essere estraneo alla Chiesa.

D. – Giovanni XXIII era chiamato il “Papa buono”: perché è rimasto così tanto nel cuore della gente?

R. – Perché è riuscito a farsi sentire padre: padre di tutti. Perché la gente lo ha riconosciuto così, ha capito i gesti di andare a trovare i carcerati a Regina Coeli e i bambini all’ospedale Bambino Gesù. Ha capito l’importanza anche degli sguardi internazionali sulla Chiesa; gesti come l’indizione del Concilio ecumenico Vaticano II. Ha capito che cos’era il suo testamento, attraverso un’Enciclica come la “Pacem in Terris”. Un uomo – un Pontefice – che dava questo valore, di questo impegno per la pace, come qualcosa di fondamentale anche dentro il suo tipo di ruolo. Ecco, ha capito tutte queste cose; e gli è stata vicina, addirittura anche negli ultimi giorni, vegliando la sua agonia, l’immagine che avremmo rivisto poi anche con altri Pontefici.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Facce toste: Messa a Santa Marta.

Cordialità e ospitalità: intervista di Maurizio Fontana al cardinale Kurt Kock dopo il viaggio del Papa nel Caucaso.

Scontro aperto sulla Siria.

Un articolo di Carlo Maria Polvani dal titolo “In viaggio verso Serendip”: dai coniugi Curie ai Nobel per la medicina, la fisica e la chimica di quest’anno.

Nel cielo di Dante: Marco Beck sulla prolifica produzione letteraria dedicata al divino poeta.

Gabriele Nicolò sulla via del cotone.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Haiti: da Cei un milione di euro. Caritas: non dimenticare nessuno

◊  

Haiti rischia la carestia dopo la distruzione “apocalittica” dell'uragano Matthew, che secondo le stime avrebbe provocato almeno mille morti, anche se il bilancio ufficiale parla di 372 vittime. A lanciare l'allarme è Jocelerme Privert, Presidente ad interim del Paese caraibico. Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha esortato la comunità internazionale a dare una “risposta massiccia” alla grave situazione di Haiti, con “almeno 1,4 milioni di persone” che necessitano di assistenza, villaggi quasi cancellati dalla carta geografica, riserve di cibo distrutte e almeno 300 scuole danneggiate. L'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sta inviando 1 milione di dosi di vaccino contro il colera: sono infatti già 150 i casi sospetti sulla parte occidentale dell’isola di Hispaniola. Rispondendo all’appello di solidarietà lanciato da Papa Francesco domenica all’Angelus, la presidenza della Cei ha stanziato un milione di euro per l’assistenza alle popolazioni rimaste senza casa e viveri ad Haiti, affidando la gestione della somma a Caritas Italiana (www.caritas.it), presente sul territorio caraibico con propri operatori già a seguito del terremoto del 2010. Giada Aquilino ha intervistato Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas Italiana: 

R. – Quest’uragano, oltre alle mille e forse più vittime, feriti e danni che ha provocato, ha veramente sconvolto un Paese che già usciva a fatica dal terremoto del 2010, dalla successiva emergenza colera e dai disordini interni ricorrenti. Per cui è una fase molto delicata, sia dal punto di vista materiale, sia per una sorta di psicologia collettiva, che a fatica vede speranza e forza di ricostruire. Quindi occorre un forte sostegno, non solo materiale, ma proprio di affiancamento a queste persone.

D. – In questo momento l’emergenza più grande qual è?

R. – La preoccupazione è di nuove pandemie, a partire dal colera. E poi il fatto che le comunità sono parecchio frantumate, come pure i territori agricoli: noi avevamo investito molto nel passato su questo settore. Purtroppo anche molti animali sono morti o le stalle sono state distrutte. Per quanto riguarda i silos, i magazzini, gran parte di questi ha perso almeno la copertura, perché le coperture delle costruzioni sono state molto danneggiate. Ci sono dunque grandi rischi di deperimento di materiali, di stock, di riserve. Occorre veramente un grande sforzo di tutta la comunità internazionale; non può essere sufficiente quello che possiamo fare noi, le Chiese locali, ma serve un grande coinvolgimento di tutta la comunità internazionale. Perché era un Paese che, tutto sommato, poteva veramente incamminarsi verso un futuro di sviluppo e di ricostruzione. Ecco – veramente – che questo non sia il colpo finale per il Paese più povero delle Americhe, ma che possa esserci una comunità internazionale attenta e attiva.

D. – Questo è anche un po’ l’appello dell’Onu, per una risposta internazionale “massiccia”. La Caritas gestisce il milione di euro stanziato dalla presidenza della Cei. Come? Quali sono i progetti?

R. – Noi abbiamo sviluppato in questi anni contatti con tantissime realtà, con le Chiese locali e in senso anche più ampio per coprire un po’ tutto il territorio. Siamo stati molto attivi nelle zone colpite dal terremoto: le dieci diocesi, tutte le parrocchie, le zone anche più lontane e interne le conosciamo bene e c’è un legame – una rete – molto fitto, molto capillare. L’attenzione è quella di non dimenticare nessuno; non concentrarsi solo su Port-au-Prince, sulle grandi città, ma dedicarsi ai villaggi più sfavoriti, più dimenticati.

D. – Quindi avete già una scala di emergenza in base alla quale intervenire?

R. – Sì, Caritas Haiti ha già fatto un primo piano di intervento immediato per dirci i vari bisogni emersi. Stiamo facendo una prima lettura complessiva del territorio. Allocare un milione di euro sarà molto veloce, bisognerà stabilire le priorità.

D. – Ci fa un esempio di queste priorità?

R. – C’è sicuramente la parte sanitaria che va tenuta sotto stretta osservazione e, negli anni, lo abbiamo fatto molte volte, soprattutto dopo il colera del 2011-2012. E poi la priorità è quella di ripristinare i tetti, perché senza il tetto tutto si deperisce. Quindi abbiamo già un elenco di stalle, magazzini, ma anche proprio dei centri comunitari dove si facevano le varie attività: gran parte di questi sono con il tetto danneggiato o addirittura direttamente scoperchiato. Poi c’è la parte agricola, quella delle zone un po’ più remote e dimenticate. Anche lì ci segnalano la perdita di animali: alcuni agricoltori e allevatori sono disperati. E quindi, la priorità è quella di trovare i casi più deboli: ad esempio chi si era già indebitato o aveva già delle difficoltà familiari e sociali pregresse, che sono i casi su cui poi noi concentriamo la nostra attenzione.

inizio pagina

Siria. Ban Ki-moon: Consiglio di sicurezza chieda intervento Cpi

◊  

Ancora nessuna soluzione politica in Siria mentre la violenza continua. Il regime ha lanciato un’offensiva nel distretto meridionale di Aleppo e i ribelli hanno attaccato l’area di Latakia e Daraa, dove almeno 5 bambini sono morti nel bombardamento di una scuola. Intanto se Russia e Stati Uniti si rafforzano militarmente, il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon torna a spingere il Consiglio di Sicurezza perché chieda un'indagine della Corte Penale Internazionale sui crimini commessi in Siria. Con quali prospettive e per quali motivi? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Mauro Politi docente di Diritto internazionale dell'Università di Trento, già giudice della Corte Penale Internazionale e membro del comitato Onu sui diritti umani: 

R. – L’appello di Ban Ki-moon è certamente importante, dal punto di vista politico e dal punto di vista della reiterazione della presa di coscienza della comunità internazionale sul fatto che l’impunità per certi crimini che offendono il genere umano non può più essere tollerata.

D. – Ecco: ma quali sono i riscontri pratici, immediati, che può avere questo accorato appello, visto che già nel 2014 un analogo appello era stato bloccato da Russia e Cina?

R. – Ci sono difficoltà di ordine tecnico, relative alla possibilità per la Corte di intervenire sulla base dei criteri di giurisdizione. Ma c’è una possibilità a cui certo si riferiva l’appello di Ban Ki-moon: quando il Consiglio di Sicurezza rinvia una situazione alla Corte, non ci sono limiti di giurisdizione. E in effetti, il Consiglio di Sicurezza è intervenuto in questo senso già due volte: questo significa che in teoria, almeno, il Consiglio di Sicurezza potrebbe rinviare la situazione siriana alla Corte Penale Internazionale. Certo è evidente che potrebbero esserci dei veti. Ora, aggiungo perché non si pensi che la situazione sia disperata, da questo punto di vista, che potrebbero verificarsi delle condizioni politiche per cui Paesi che al momento sembrano contrari, potrebbero decidere – ad esempio – di astenersi dal voto. Se si astenessero, secondo la prassi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, l’astensione non equivarrebbe a veto e quindi potrebbe passare una risoluzione.

D. – Secondo lei, il Segretario Ban Ki-moon in questo momento ha un ruolo di suggeritore di una maggiore azione politica laddove non c’è?

R. – Certamente svolge il suo ruolo e lo svolge egregiamente,ruolo di stimolo nei confronti degli Stati. Però, poi le Nazioni Unite, nel momento decisionale sono nient’altro che gli Stati e gli Stati più importanti, cioè fondamentalmente i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza che hanno le chiavi del potere. E quindi in una situazione di questo genere, in cui il Consiglio di Sicurezza è l’unico meccanismo possibile di attivazione della Corte, l’appello del Segretario generale è sicuramente molto importante, ma non è decisivo . Ma ripeto: la situazione è difficile, però potrebbero darsi delle condizioni perché ad esempio la soluzione politica non si trova, ma si trova una soluzione che porti quantomeno la comunità internazionale a essere d’accordo sul fatto che i responsabili di atti simili vanno portati davanti a giustizia. E’ ovvio che tutto questo si scontra anche con la questione politica delle responsabilità di certi capi di Stato e di governo e quindi, insomma, è un punto molto delicato anche sotto questo profilo.

D. – Qualora la Corte Penale Internazionale intervenisse, che peso avrebbe in questo contesto?

R. – La Corte non ferma la guerra, ma certamente una certa funzione di deterrenza le si può riconoscere, accanto a una funzione di ristoro dei diritti delle vittime.

D. – Perché si ha la sensazione che veramente gli organismi in difesa dei diritti umani non hanno la possibilità di dire “basta”?

R. – Perché gli Stati non gliel’hanno data, ancora, questa possibilità …

inizio pagina

Gas. La Russia risfida il Tap, Gazprom pronta per Poseidon

◊  

Il colosso energetico russo Gazprom intende riprendere i negoziati con i partner europei sul progetto Poseidon. Gli incontri per l’apertura di un corridoio energetico nel sud Europa potrebbero iniziare “entro la fine dell'anno". Intanto ieri Russia e Turchia hanno siglato l'intesa per l'avvio dei lavori per il gasdotto Turkish Stream. Il progetto sostituisce quello precedente, ovvero il South Stream, naufragato dopo lo scoppio della crisi ucraina. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Riccardo Alcaro responsabile Ricerche dell’Istituto Affari Internazionali: 

R. – Come sempre, con la Russia, l’approvvigionamento energetico non può essere separato dal calcolo geopolitico. Tutte queste manovre che si sono viste negli ultimi anni sono direttamente collegate con la politica estera russa, gli interessi in Europa Orientale, in Ucraina, nel Mar Nero, in Turchia, in Caucaso, nei rapporti con l’Europa; e se vuole anche la Siria, ma molto meno…

D. – Oggi l’annuncio di Gazprom per Poseidon, il cosiddetto gasdotto russo-italiano. Ieri la firma per l’altro collegamento tra Mosca e Ankara…

R. – Poseidon potrebbe avere senso per i russi, se fosse un gasdotto che unisse Grecia e Italia e poi la Grecia alla Turchia portando gas russo. Il senso di tutto questo potrebbe essere, appunto, quello di ricreare l’idea del South Stream, che fu abbandonata dopo la crisi ucraina. Questo potrebbe anche portare a rendere non più economicamente opportuno completare il Trans Adriatic Gas Pipeline,  il cosiddetto Tap, che è un altro progetto di gasdotto, che dovrebbe unire Grecia e Italia - e precisamente la Puglia – e che dovrebbe però portare non gas russo, ma gas azero.

D. – Ma ha senso avere due vie per il gas?

R. – Non ha alcun senso! Dato che non c’è mercato per due gasdotti. Se i russi pensano di poter portare avanti il Poseidon e realizzarlo prima del Tap, si sarebbero guadagnati un’importante fetta di mercato e quindi di influenza.

D. – Centrale diventa il ruolo del governo italiano?

R. –Snam e Edison Italia sono coinvolte - Snam nel Progetto Tap e Edison Italia nel progetto Poseidon - e quindi ha un ruolo strategico la valutazione del governo italiano. Quello che spero è che gli italiani comincino a distinguere le considerazioni di carattere economico-energetiche da quelle di carattere strategico. Lo stato delle relazioni fra Occidente e Russia è al livello più basso dalla fine della Guerra Fredda.

D. – Tutti ricordiamo la carenza di gas in Europa legata alla crisi tra la Russia e l’Ucraina, per questo nascono le due linee alternative per il gas…

R. – La diversificazione degli stati di transito semplicemente corrisponde ad un criterio di buonsenso. Il problema è che non si possono separare queste cose interamente dal contesto geopolitico, soprattutto quando il contesto geopolitico - e cioè le relazioni con la Russia - sono in un tale stato.

D. – In questo contesto che ruolo hanno l’Europa e gli Stati Uniti?

R. - Gli Stati Uniti hanno un ruolo di pressione politica. L’Europa, invece, ha un ruolo molto più importante, perché è l’autorità che regola in parte i mercati energetici interni - South Stream più che ucciso dalla crisi ucraina fu – diciamo – quasi ucciso da una serie di regolamenti della Commissione Ue. Ci furono tutta una serie di misure che servono a rendere più funzionale, più trasparente e più competitivo il mercato dell’energia, che avevano però una diretta implicazioni politica. Ed è uno dei casi in cui l’Unione Europea fu effettivamente molto efficace. Il mio auspicio è che il governo italiano valuti effettivamente quale dei due progetti – fra Tap e Poseidon – sostenere, sulla base non solo della economicità, della profittabilità, ma anche della rilevanza geopolitica.

inizio pagina

Save the Children: i Paesi peggiori dove essere bambina

◊  

Il Niger è il Paese peggiore dove essere bimba. Lo si legge nel rapporto che Save the Children ha presentato in occasione dell’odierna Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze. Francesca Sabatinelli

Matrimoni precoci, scarso accesso a educazione e sanità, esclusione dai processi decisionali: sono gli ostacoli che impediscono a bambine e ragazze, di molti Paesi del mondo, di avere un futuro. Save The Children, nel suo rapporto “Every Last Girl: Free to live, free to learn, free from harm”, stila la drammatica classifica: il Niger è il Paese peggiore per loro dove vivere, la Svezia il migliore. Marco Guadagnino, portavoce Save the Children Italia:

“Ci sono grandissime disparità. Ci sono molti Paesi, soprattutto in Africa subsahariana, che aumentano il divario rispetto ai Paesi del Nord del mondo su indicatori fondamentali, che danno il senso di quanto possa essere facile, o difficile, la vita di bambine e ragazze che nascono in un posto sbagliato e diventare, in qualche modo, parte di quel numero sempre crescente di bambine che sono costrette a sposarsi troppo presto, ad avere bambini troppo presto, in molti casi a morire di parto, escluse dal circuito scolastico di primo grado e, ovviamente, anche di secondo grado. Tutto questo accade in tantissimi Paesi e le statistiche, il nostro indice, il nostro studio, ci dicono che i miglioramenti sono purtroppo ancora troppo lenti”.

Ogni sette secondi una ragazza al di sotto dei 15 anni va in sposa, il più delle volte ad un uomo molto più grande. Ogni anno sono 15 milioni le bambine e ragazze che si sposano ancora minorenni, il numero maggiore è in India, subito dopo Afghanistan, Yemen e Somalia. Spesso hanno meno di 10 anni e spesso sono molto povere: in Nigeria il 40% delle ragazze che si sposa prima dei 15 anni, proviene dalle famiglie meno abbienti, la percentuale precipita per le ragazze ricche e scende al 3%. Il matrimonio precoce, sottolinea Save the Children, impedisce di vivere l’infanzia, costringe all’abbandono scolastico, soprattutto sottopone queste ragazzine al rischio di abusi, di stupri, di violenza domestica e di contrarre malattie come l’Hiv.

Oltre un milione di fanciulle diventa mamma prima di compiere i 15 anni. 70mila giovani, tra i 15 e i 19 anni, ogni anno muoiono per complicazioni legate a gravidanza e parto, più alto è il numero di chi si toglie la vita. Inoltre, i bambini nati da mamme adolescenti hanno il 50% di probabilità in più di morire entro i primi giorni dopo il parto, rispetto ai figli di donne tra i 20 e i 30 anni. A tutto questo va aggiunta la terribile pratica delle mutilazioni genitali, si calcola che nel prossimo decennio 30milioni di giovani in tutto il mondo rischiano di subirle. Altro dato molto importante: l’impossibilità per donne e ragazze di molti Paesi di esprimersi liberamente: solo il 23% dei seggi dei parlamenti nel mondo è occupato da donne.

E’ necessario, è l’appello, che i governi e i donatori facciano il possibile per proteggere bambine e ragazze. Ancora Guadagnino:

“Ovviamente noi stiamo portando avanti, e porteremo, avanti programmi sempre più specifici per le bambine e le ragazze, quelle alle quali facciamo riferimento nel Rapporto, quelle più svantaggiate. Però, chiediamo, alla comunità internazionale e ai governi, tre garanzie: che venga garantita una finanza equa, cioè che i governi a livello locale garantiscano che siano disponibili a tutti i servizi di base come, ad esempio, educazione e salute. E poi ancora: che si garantisca, se non l'eliminazione, almeno un processo che riduca le discriminazioni economiche e sociali delle ragazze. Pensiamo a milioni di ragazze appartenenti a gruppi etnici e religiosi perseguitati. Infine, meccanismi di trasparenza che garantiscano la possibilità a queste ragazze di essere ascoltate, quindi rafforzare la voce di queste ragazze, renderle partecipi, renderle parte attiva dei processi decisionali. Il ruolo delle ragazze e delle bambine dev’essere un ruolo di protagoniste per il cambiamento”.

La richiesta è dunque quella di aiutare le ragazze e le bambine ad avere la possibilità di “costruirsi un futuro ricco di opportunità”.

inizio pagina

Brasile: trovato ucciso un sacerdote vicino Rio de Janeiro

◊  

Padre Francisco Carlos Barbosa Tenorio, 37 anni, è stato trovato morto la mattina di domenica scorsa, lungo la strada RJ-081, a Nova Iguaçu, nella regione di Baixada Fluminense, Stato di Rio de Janeiro. Secondo testimonianze degli amici che hanno riconosciuto il corpo all'Istituto medico-legale, il sacerdote aveva segni da arma da taglio e l’impronta del calcio del fucile sulla testa. Non si è trovata l'auto che guidava in quel momento il sacerdote.

Un buon parroco amato dal suo popolo
L'agenzia Fides riporta le dichiarazioni di mons. Luciano Bergamin, vescovo della diocesi di Nova Iguaçu, secondo il quale padre Francisco era parroco della parrocchia di Nostra Signora di Lourdes, nel quartiere di São Benedito a Nova Iguaçu, dove era amato dai fedeli e non aveva nemici. "E' stato un buon parroco e amato dal suo popolo. Tutto porta a credere che sia stata una rapina conclusa in omicidio. Una pugnalata al lato del cuore ha ucciso il nostro fratello. Purtroppo è un altro segno della violenza che vive la nostra Baixada, macchiata di tanto sangue" ha commentato Mons. Bergamin.

Era andato a visitare una famiglia nel quartiere vicino alla parrocchia di São Simão
"Padre Francisco era andato a visitare una famiglia nel quartiere vicino alla parrocchia di São Simão, ma sembra che non sia mai tornato a casa, infatti non si è presentato a celebrare la Messa della domenica, cosa che non era mai accaduta..." racconta il vescovo nella nota. Padre Francisco era nato a Pernambuco, ma ha vissuto per circa dieci anni a Rio de Janeiro. Ha iniziato a lavorare nella diocesi di Nova Iguaçu nel 2008 ed è stato ordinato sacerdote nel 2011. (C.E.)

inizio pagina

Vescovi Messico: Campagna di preghiera per sacerdoti uccisi

◊  

È un appello “alla conversione ed alla preghiera” quello lanciato da mons. José Trinidad Zapata Ortiz, vescovo di Papantla, in Messico, Paese che ha visto recentemente l’uccisione di alcuni sacerdoti. Invitando i fedeli a pregare per la pace non solo in Messico, ma in tutto il mondo, il presule – in una nota – sottolinea come “la violenza sia peggiorata” nel Paese, anche a causa dell’avidità, della corruzione e dell’impunità “fortemente radicate” nella società.

Rispettare i diritti umani e fare posto a Dio nella società
Di qui, il richiamo a superare “la crisi di moralità” diffusa su tutto il territorio, esortando lo Stato a “combattere la violenza” in modo efficace, perché “se gli esseri umani ed i loro diritti non vengono rispettati e se non si fa posto a Dio all’interno della società, non sarà possibile cambiare la situazione attuale”. “Costruire una società senza Dio e persino contro Dio – è il monito  di mons. Zapata Ortiz – significa andare lungo un percorso di morte e distruzione”.

Recitare il Rosario ogni giorno per invocare la pace
In quest’ottica, il vescovo di Papantla esorta i fedeli a recitare il Rosario “quando possono e dove possono”, per invocare da Maria “il dono della pace”. “Preghiamo il Rosario ogni giorno con questa intenzione, privatamente o comunitariamente – scrive il presule – in cappella, in famiglia, a casa o in gruppi di preghiera”, perché “questa battaglia si può vincere solo in ginocchio”, ovvero pregando. Al contempo, sacerdoti e vescovi vengono invitati a “testimoniare con la propria vita” gli insegnamenti evangelici per rendere i fedeli “tutti discepoli e missionari”.

Parrocchie e famiglie siano “scuole di preghiera e comunione”
Anche le parrocchie e le famiglie, inoltre, vengono incoraggiate a diventare “scuole di comunione e di preghiera” in cui si possa trasmettere ai giovani “un esempio di vita basato su valori umani e cristiani”. Infine, mons. Zapata Ortiz invoca l’intercessione di numerosi Santi, tra cui San Giovanni Paolo II “che ha avuto un amore speciale per il Messico”, affinché i cattolici messicani abbiamo “il coraggio di vivere la loro fede in tempi difficili”.

Il cordoglio del Papa
Nel Paese, infatti, solo alla fine di settembre sono stati uccisi tre sacerdoti:  i primi due, Alejo Naborì e José Alfredo Jimenez, sono stati sequestrati ed assassinati a Poza Rica, nello Stato orientale di Veracruz, mentre l’omicidio del terzo, José Alfredo Lopez Guillen, è stato perpetrato nello Stato di Michoacan. Profondo cordoglio è stato espresso da Papa Francesco che, sia in un telegramma, sia all’Angelus del 25 settembre, ha lanciato un appello a fermare simili violenze. (A cura di Isabella Piro)

inizio pagina

Vescovi Kenya: appello alla pace in vista delle elezioni

◊  

Pregare per la pace e la tranquillità del Kenya, in vista delle prossime elezioni generali che si terranno nell’agosto del 2017: questo l’appello che arriva da mons. Peter Kairo, arcivescovo di Nyeri, mentre nel Paese si registrano timori che l’imminente campagna elettorale possa sfociare in violenze. 

Elezioni siano libere e regolari, no alle divisioni tribali
L’8 ottobre, celebrando la “Giornata nazionale di preghiera” presso il Santuario mariano di Subukia, a Nakuru, mons. Kairo ha ammonito i fedeli a non ripetere gli errori del passato, ovvero le violenze che insanguinarono le elezioni del 2007-2008; al contempo, il presule ha incoraggiato la popolazione locale a pregare per votazioni generali “libere e regolari”, esortando i candidati ed i leader politici a “non dividere il Paese secondo i gruppi tribali” durante la campagna elettorale.

Educare la popolazione al processo elettorale
​Di qui anche il richiamo dell’arcivescovo di Nyeri a tutte le diocesi cattoliche del Kenya affinché educhino la popolazione al processo elettorale, mettendola così in condizione di scegliere le persone giuste, senza compromessi e senza cedere alla compravendita dei voti. Infine, nel contesto del Giubileo straordinario della misericordia, indetto da Papa Francesco ed in corso fino al prossimo 20 novembre, mons. Kairo ha lanciato un appello a tutti i cristiani affinché pratichino le opere di misericordia corporali e spirituali così da “essere strumenti di pace in famiglia e nell’intera nazione”. (I.P.)

inizio pagina

Post-sisma. Dominici: più voce a enti locali, seguire "modello Friuli"

◊  

Il Consiglio dei Ministri ha approvato, stamattina, il decreto legge contenente misure urgenti per la ricostruzione delle zone colpite dal sisma del 24 agosto scorso. “Avevamo promesso: non vi lasceremo soli". Il commento in un tweet del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che oggi è in visita ad Amatrice, Accumoli e Arquata, i paesi maggiormente colpiti. Tra gli interventi di sostegno previsti, il risarcimento integrale anche per le seconde case danneggiate, il prestito d'onore per la ripresa delle attività produttive e il rinvio delle tasse per quanti ne hanno bisogno. La cifra della governance sarà il raccordo tra governo centrale e territori interessati. Il Commissario straordinario, Vasco Errani, sarà infatti affiancato dai presidenti delle Regioni interessate. In tema di ricostruzione viene spesso citato il “modello Friuli”, mai però in seguito replicato. Si può dire che in questo caso il Friuli sta facendo scuola? Adriana Masotti lo ha chiesto a Roberto Dominici, assessore regionale alla ricostruzione in Friuli dopo il terremoto del 1976: 

R. – Il modello Friuli è un modello composto da tutta una serie di scelte, collegate ovviamente l’una con l’altra, che però sostanzialmente tutte discendono da una scelta di fondo: la decisione dello Stato di delegare l’opera di ricostruzione alla Regione Friuli Venezia Giulia e lo Stato – addirittura – ha aggiunto che la Regione, con le sue leggi, avrebbe potuto derogare in termini di modalità di interventi, a tutta la normativa, anche nazionale, in quel momento esistente. Quindi c’è stata un’ampia, amplissima delega alla Regione e la Regione si è avvalsa dell’opera dei Comuni. La trasparenza, nel nostro caso, è stata abbastanza automatica, perché c’era un controllo politico popolare su tutte le operazioni. I sindaci potevano decidere soltanto in relazione al parere di una commissione consiliare comunale, nella quale c’era obbligatoriamente la presenza della minoranza. E tutti i contributi concessi ai vari soggetti interessati venivano automaticamente pubblicati. Quello che vedo nell’Italia centrale è che non c’è stata una delega alle Regioni, ma si è nominato un commissario che si avvale, sì, dell’apporto e della consulenza dei presidenti delle Regioni, ma la Regione in sé non è stata investita come qui. Qui si è reciso tutto con leggi regionali, quindi con il confronto politico in Aula.

D. – Secondo lei, quali sono i rischi del commissariamento di aver cioè affidato la ricostruzione a un commissario straordinario?

R. – Il rischio è che il commissario accentri in sé le decisioni, pur sentendo i presidenti delle Regioni. Cioè, è tagliato fuori il Consiglio regionale, sono tagliati fuori i Consigli comunali.

D. – In Friuli, poi, si era data precedenza alla ripartenza delle attività lavorative, prima ancora della ricostruzione delle case. Anche adesso, mi pare che ci si orienti a questo …

R. – Da noi, una delle scelte proprio di partenza nella ricostruzione è stata quella di dire: prima le fabbriche, poi le case. Perché, “prima le fabbriche”? Perché il Friuli aveva da poco smesso il fenomeno migratorio, però si temeva che, perduta la casa e perduto il posto di lavoro, si rideterminasse un nuovo flusso di emigrazione e quindi si è intervenuti sulle fabbriche. La scelta di intervenire prima sui settori produttivi è stata una scelta positiva, che mi pare – a quanto vedo – venga replicata anche nel caso dell’Italia centrale.

D. – Quali altri cardini della ricostruzione di allora, in Friuli, potrebbero essere replicati?

R. – A parte la scelta di fondo che, come ho detto,  è diversa, poi nei vari contenuti specifici devo rilevare che è positivo anche il rifiuto che viene opposto, attualmente, alle cosiddette “new town”. Il problema si era posto anche qui, e noi l’abbiamo scartato perché se realizzato, avrebbe significato praticamente far cambiare connotati a larga parte del Friuli. Quindi, ricostruire dove era e come era, cioè mantenere l’identità complessiva della comunità locale. Perché noi abbiamo scoperto che nel momento del terremoto, i valori storici, le tradizioni sono riemersi, sono stati – come dire – rivitalizzati e hanno costituito il tessuto e quindi il coagulo dell’unità dei vari paesi e delle realtà locali. Io mi auguro che altrettanto avvenga laggiù e da quanto si sente pare che questa scelta sia proprio una scelta che viene totalmente sposata anche per questa nuova realtà.

D. – Tanti i soldi che servono per la rinascita, dopo un terremoto. Ma che altro occorre?

R. – Eh … servono tante cose! Servono i soldi, certamente; ma serve creare un tessuto di unità operativa tra tutti e intendo quindi le forze produttive, le forze sociali, le forze economiche, intendo la Chiesa … cioè tutto ciò che può essere utile nel dare una mano, perché solo con una grande unità di popolo si superano momenti straordinari e difficili come sono quelli della ricostruzione. In fondo, tutti devono rendersi conto che, ricostruendo dopo un terremoto, si va a definire quello che sarà il volto delle singole comunità per il futuro. Ed è giusto che la gente partecipi alle decisioni: certamente, chi deve decidere deve decidere, ma mai sopra la testa della gente!

inizio pagina
Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 285

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.