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Sommario del 06/10/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco agli anglicani: ecumenismo è sempre una ricchezza

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Preghiera, testimonianza, missione. Sono i tre punti chiave del discorso rivolto dal Papa Francesco ai Primati delle Provincie Anglicane guidati dall’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, ricevuti stamani in Vaticano dopo aver celebrato insieme i Vespri, ieri sera nella Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Celio, preceduti dalla firma di una Dichiarazione comune. Il Pontefice ha messo l’accento sui frutti raccolti con il dialogo ecumenico che, ha detto, non è mai un impoverimento ma sempre una ricchezza. Dal canto suo, il primate anglicano ha esortato a portare assieme il Vangelo a tutti, specie a quanti soffrono. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Non stanchiamoci di chiedere insieme insistentemente al Signore il dono dell’unità”. E’ quanto affermato da Papa Francesco incontrando i primati delle Province anglicane. Il Papa ha svolto il suo intervento su tre punti: preghiera, testimonianza e missione.

Ecumenismo è sempre ricchezza, mai impoverimento
Francesco ha innanzitutto sottolineato i tanti frutti raccolti negli ultimi 50 anni dopo lo storico incontro tra il Beato Paolo VI e l’Arcivescovo Michael Ramsey:

“È cresciuta la convinzione che l’ecumenismo non è mai un impoverimento, ma una ricchezza; è maturata la certezza che quanto lo Spirito ha seminato nell’altro produce un raccolto comune”.

Cattolici e anglicani diano assieme testimonianza del Vangelo
“Facciamo tesoro – ha ripreso – di questa eredità e sentiamoci ogni giorno chiamati a donare al mondo, come chiesto da Gesù, la testimonianza dell’amore e dell’unità tra noi”. Quindi, ha rivolto il pensiero alla missione comune che attende cattolici e anglicani:

“C’è un tempo per ogni cosa (cfr Qo 3,1) e questo è il tempo in cui il Signore ci interpella, in modo particolare, a uscire da noi stessi e dai nostri ambienti, per portare il suo amore misericordioso a un mondo assetato di pace. Aiutiamoci gli uni gli altri a mettere al centro le esigenze del Vangelo e a spenderci concretamente in questa missione”.

Primate Welby: camminiamo più vicini con nuova energia
Francesco ha così chiesto di pregare assieme il Padre Nostro come segno “per chiedere la grazia di crescere in preghiera, di dare testimonianza e andare in missione”. Dal canto suo il primate anglicano Welby ha riconosciuto il ruolo di “guida” ed “esempio” di Papa Francesco attraverso il suo Magistero e i suoi gesti. “Sua Santità – ha affermato l’arcivescovo di Canterbury – io prego che, malgrado le cose che dividono, noi possiamo essere pubblicamente determinati a spingere in avanti laddove riusciamo, insieme a tutti gli altri cristiani, specialmente quelli che soffrono, nel mondo ortodosso e in quello orientale”. Gesù, ha detto ancora l’arcivescovo Welby, “è andato davanti a noi. Ci chiama ad essere coraggiosi. Camminiamo insieme più vicini, così che il mondo veda nuova vita ed energia, determinazione, gioia e speranza nell’adorazione, missione e testimonianza”.

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Papa ai Vespri con l'Arcivescovo di Canterbury: cercare nuove vie di unità

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Celebrazione dei Vespri nella Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Celio a 50 anni dall’incontro tra il Beato Paolo VI e il primo arcivescovo di Canterbury, Michael Ramsey, e dall’avvio dialogo teologico e dell’azione di evangelizzazione comune. Prima di inviare 19 coppie di vescovi nel mondo, Papa Francesco e il primate della Comunione anglicana Justin Welby, hanno ribadito la certezza che Dio è il buon Pastore che esorta all’unità e alla predicazione del Suo amore. Nella Dichiarazione congiunta la volontà comune di superare gli ostacoli dottrinali ancora esistenti e di proseguire in un ecumenismo concreto su tematiche condivise. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Papa Francesco: “Millequattrocento anni fa, da questo luogo santo Papa Gregorio inviò il servo di Dio, Agostino, primo Arcivescovo di Canterbury, ed i suoi compagni ad annunciare il lieto messaggio della Parola di Dio. Oggi inviamo voi, cari fratelli, servi di Dio, ad annunciare lo stesso messaggio gioioso del suo regno eterno”.

Sono le parole del Papa nel momento culmine della cerimonia, il mandato missionario doppio :19 coppie di vescovi un cattolico e un anglicano, partono per i loro continenti uniti con le parole e i fatti a servizio dei più deboli, predicando il Vangelo.

"May the ecumenical spirit in which ...
“Che lo spirito ecumenico nel quale testimoniate questo Vangelo" - dice nell'invio l'Arcivescovo Welby - "sia segno di trasformazione per le nostre comunità”.

Dio vuole l'unità del suo popolo, confidiamo nella sua grazia
"Essere pecore e pastori buoni e non introversi": questo sottolinea poi nel suo discorso, Justin Welby, e così Francesco nell'omelia, ispirandosi alle Letture, ribadisce che Dio come Pastore vuole "l’unità per il suo popolo" e che le divisioni nascono quando "perdiamo di vista il fratello" e i suoi doni. Ma il Papa dà anche una certezza:

“Rimaniamo fiduciosi, perché in noi, che pure siamo fragili vasi di creta (cfr 2 Cor 4,7), Dio ama riversare la sua grazia. Egli è convinto che possiamo passare dalla caligine alla luce, dalla dispersione all’unità, dalla mancanza alla pienezza”.

Siate promotori di un ecumenismo audace e reale
"Essere strumenti di comunione sempre e ovunque", vincendo le tentazioni di chiusure e isolamenti è una "grande chiamata", prosegue il Papa, che ci "permette di promuovere l’unità nella famiglia umana" oltre che in quella "cristiana". “Siate dunque promotori di un ecumenismo audace e reale" è il suo invito "sempre alla ricerca di nuovi sentieri". Poi guardando al pastorale di S. Gregorio, che nella parte ricurva mostra l’Agnello Risorto, il Papa indica il senso del cammino condiviso a partire dal contenuto centrale dell’annuncio da portare insieme:

“L’amore dell’Agnello vittorioso sul peccato e sulla morte è il vero messaggio innovativo da portare insieme agli smarriti di oggi e a quanti ancora non hanno la gioia di conoscere il volto compassionevole e l’abbraccio misericordioso del Buon Pastore. Il nostro ministero consiste nell’illuminare le tenebre con questa luce gentile, con la forza inerme dell’amore che vince il peccato e supera la morte”.

Illuminare le tenebre con l'amore di Dio, sempre in uscita
Ma il Pastorale di S. Gregorio, che inviò Agostino ad evangelizzare gli anglosassoni, osserva il Papa, ha anche una punta al suo estremo, dunque non è solo simbolo della "chiamata a condurre le pecore e a radunarle in nome del Crocifisso Risorto", ma anche della missione dei Pastori, “pungolare le pecore che tendono a stare troppo vicine e chiuse”:

“La missione dei Pastori è quella di aiutare il gregge loro affidato, perché sia in uscita, in movimento nell’annunciare la gioia del Vangelo; non chiuso in circoli ristretti, in 'microclimi' ecclesiali che ci riporterebbero ai giorni di nuvole e caligine”.

Ecumenismo dei fatti
Nella Dichiarazione comune firmata prima della cerimonia, il Papa e l’Arcivescovo Welby ribadiscono la volontà di andare oltre gli ostacoli esistenti tuttora alla piena unità e il desiderio di un cammino ecumenico che non sia solo teologico, ma nei fatti, nelle azioni concrete su temi comuni come la cura del creato, la carità e la pace.

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Papa: dottrine e ideologie incantano, ma è lo Spirito che fa andare avanti

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La vera dottrina non è rigido attaccamento alla Legge che incanta come le ideologie, ma è la rivelazione di Dio che si lascia trovare ogni giorno di più da quanti sono aperti allo Spirito Santo: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti: 

Nelle letture del giorno si parla dello Spirito Santo: è “il grande dono del Padre” - afferma Papa Francesco - è la forza che fa uscire la Chiesa con coraggio perché arrivi alla fine del mondo. Lo Spirito è “il protagonista di questo andare avanti della Chiesa”. Senza di Lui, c’è “chiusura, paura”. Il Papa indica tre atteggiamenti che possiamo avere con lo Spirito. Il primo è quello che San Paolo rimprovera ai Galati: il credere di essere giustificati dalla Legge e non da Gesù “che dà senso alla Legge”. E così erano “troppo rigidi”. Sono gli stessi che attaccavano Gesù e che il Signore chiamava “ipocriti”:

“E questo attaccamento alla Legge fa ignorare lo Spirito Santo. Non lascia che la forza della redenzione di Cristo venga avanti con lo Spirito Santo. Ignora; solo la Legge.  E’ vero ci sono i Comandamenti e noi dobbiamo seguire i Comandamenti; ma sempre dalla grazia di questo dono grande che ci ha dato il Padre, suo Figlio, è il dono dello Spirito Santo. E così si capisce la Legge. Ma non ridurre lo Spirito e il Figlio alla Legge. Questo era il problema di questa gente: ignoravano lo Spirito Santo e non sapevano andare avanti. Chiusi, chiusi nelle prescrizioni: si deve fare questo, si deve fare quell’altro. Alle volte, a noi, può succedere di cadere in questa tentazione”.

I Dottori della Legge – afferma il Papa – “incantano con le idee”:

“Perché le ideologie incantano; e così Paolo incomincia, qui: ‘Stolti Galati, chi vi ha incantati?’. Quelli che predicano con ideologie:  è tutto giusto! Incantano: tutto chiaro! Ma guarda la rivelazione di Dio non è chiara, eh? La rivelazione di Dio la si trova ogni giorno in più, in più; in cammino sempre. E’ chiara? Sì! Chiarissima! E’ Lui, ma noi dobbiamo trovarla in cammino. E quelli che credono che hanno tutta la verità in mano non sono ignoranti, Paolo dice di più: ‘Stolti!’. Che si sono lasciati incantare”.

Il secondo atteggiamento è rattristare lo Spirito Santo: accade “quando non lasciamo che Lui ci ispiri, ci porti avanti nella vita cristiana”, quando “non lasciamo che Lui ci dica, non con la teologia della Legge, ma con la libertà dello Spirito, cosa dobbiamo fare”. Così – spiega il Papa – “diventiamo tiepidi”, cadiamo nella “mediocrità cristiana” perché lo Spirito Santo “non può fare la grande opera in noi”.

Il terzo atteggiamento, invece, “è aprirsi allo Spirito Santo e lasciare che lo Spirito ci porti avanti. E’ quello che hanno fatto gli Apostoli: il coraggio del giorno di Pentecoste. Hanno perso la paura e si sono aperti allo Spirito Santo”. “Per capire, per accogliere le parole di Gesù – afferma il Papa - è necessario aprirsi alla forza dello Spirito Santo. E quando un uomo, una donna, si apre allo Spirito Santo è come una barca a vela che si lascia trascinare dal vento e va avanti, avanti, avanti e non si ferma più”. Ma occorre “pregare per aprirsi allo Spirito Santo”:

“Noi ci possiamo domandare oggi, in un momento della giornata, io ignoro lo Spirito Santo? E so che se vado a Messa la domenica, se faccio questo, se faccio questo è sufficiente? Secondo: la mia vita è una vita a metà, tiepida, che rattrista lo Spirito Santo e non lascia in me la forza di andare avanti, di aprirmi o finalmente la mia vita è una preghiera continua per aprirsi allo Spirito Santo, perché Lui mi porti avanti con la gioia del Vangelo e mi faccia capire la dottrina di Gesù, la vera dottrina, quella che non incanta, quella che non ci fa stolti, ma la vera? E ci faccia capire dove c’è la nostra debolezza, quella che rattrista Lui; e ci porti avanti, portando avanti anche il nome di Gesù agli altri e insegnando la strada della salvezza. Che il Signore ci dia questa grazia: aprirci allo Spirito Santo per non diventare stolti, incantati né uomini e donne che rattristano lo Spirito”. 

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Il Papa: sradicare cancro corruzione, sport è genuinità

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Lo sport va protetto da “manipolazioni” e “sfruttamento commerciale”, sradicando il “cancro della corruzione”, ma puntando a mantenerne soltanto la “genuinità”. Così il Papa incontrando in Aula Paolo VI i partecipanti all’incontro su sport e fede promosso fino a venerdì in Vaticano dal Pontificio Consiglio della Cultura e dedicato al tema: “Lo sport al servizio dell’umanità”. Presenti il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero vaticano organizzatore dell’evento assieme ad Allianz, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, il presidente del Comitato olimpico internazionale, Thomas Bach, ed esponenti delle religioni di tutto il mondo, tra cui l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby. Al suo arrivo, il Pontefice ha salutato le numerose personalità presenti, tra cui il sindaco di Roma, Virginia Raggi. Il servizio di Giada Aquilino

Mantenere la “genuinità” dello sport, proteggendolo da “manipolazioni” e “sfruttamento commerciale”. Il Papa parla ai 7 mila presenti in Aula Paolo VI, dopo l’esibizione di sportivi di varie discipline: sei di loro hanno esposto le lampade degli incontri interreligiosi di pace svoltisi ad Assisi ed hanno enunciato i principi etici dello sport, accompagnati dal pianista cinese Lang Lang. Ai rappresentanti dello sport e delle aziende che sponsorizzano i relativi eventi, Francesco ricorda un “compito” e insieme una “sfida”:

“Sarebbe triste, per lo sport e per l’umanità, se la gente non riuscisse più a confidare nella verità dei risultati sportivi, o se il cinismo e il disincanto prendessero il sopravvento sull’entusiasmo e sulla partecipazione gioiosa e disinteressata. Nello sport, come nella vita, è importante lottare per il risultato, ma giocare bene e con lealtà è ancora più importante. Non dimenticatevi, tutti non dobbiamo dimenticare, quella bella parola che si dice del vero sport: 'sport amateur'”.

Il Pontefice ringrazia per gli sforzi nello “sradicare” ogni forma di corruzione e manipolazione, ricordando la campagna guidata dalle Nazioni Unite per lottare contro il “cancro della corruzione” in tutti gli ambiti della società:

“Quando le persone lottano per creare una società più giusta e trasparente, collaborano con l’opera di Dio. Anche noi, responsabili di diverse comunità religiose, vogliamo offrire il nostro contributo a tale impegno. Per quanto riguarda la Chiesa Cattolica, essa è impegnata nel mondo dello sport per portare la gioia del Vangelo, l’amore inclusivo e incondizionato di Dio per tutti gli esseri umani”.

Le nostre tradizioni religiose, osserva il Papa, “condividono” l’impegno per assicurare il rispetto “della dignità di ogni essere umano”. D’altra parte lo sport - mette in luce - è un’attività umana di “grande valore”, capace di “arricchire” la vita delle persone, di cui possono fruire e gioire “uomini e donne di ogni nazione, etnia e appartenenza religiosa”. Inoltre “non è riservato agli atleti di grandi prestazioni”.

“C’è anche uno sport dilettantistico, amatoriale, ricreativo, non finalizzato alla competizione, ma che consente a tutti di migliorare la salute e il benessere, di imparare a lavorare in squadra, a saper vincere e anche a saper perdere”.

Francesco si compiace che le istituzioni mondiali abbiano preso a cuore “così coraggiosamente” il valore dell’inclusione, affinché i benefici siano veramente accessibili a tutti:

“Per questo è importante che tutti possano partecipare alle attività sportive, e sono contento che al centro della vostra attenzione in questi giorni ci sia l’impegno per assicurare che lo sport diventi sempre più inclusivo e che i suoi benefici siano veramente accessibili a tutti”.

Il Papa cita i recenti Giochi Olimpici e Paralimpici in Brasile, ricorda il movimento paralimpico e altre associazioni sportive “a sostegno delle persone con disabilità”, come Special Olympics, che hanno avuto un “ruolo decisivo” nell’aiutare il pubblico a riconoscere e ammirare le “straordinarie prestazioni” di atleti con diverse abilità e capacità. Questi eventi, sottolinea, regalano esperienze in cui risaltano in modo mirabile “la grandezza e la purezza del gesto sportivo”. Il pensiero di Francesco va anche ai “tanti bambini e ragazzi che vivono ai margini della società”, al loro “entusiasmo” quando giocano anche “con una palla sgonfia o fatta di stracci” alle periferie delle grandi città o nei piccoli paesi:

“Vorrei incoraggiare tutti – istituzioni, società sportive, realtà educative e sociali, comunità religiose – a lavorare insieme affinché questi bambini possano accedere allo sport in condizioni dignitose, specialmente quelli che ne sono esclusi a causa della povertà”.

Per questo saluta i fondatori della Homeless Cup e altre realtà che, attraverso lo sport, offrono ai più svantaggiati “una possibilità di sviluppo umano integrale”. Quindi l’auspicio finale è di “meglio esplorare” il bene che lo sport e la fede possono portare nelle nostre società, augurando a tutti di andare avanti, verso “un grande successo”. Così come, in apertura dell’evento, aveva ricordato anche il cardinale Gianfranco Ravasi:

“E’ possibile vedere negli atleti, liberi dalla degenerazione della corruzione, della prevaricazione illecita, dalle manipolazioni, anche un simbolo, un emblema dell’impegno di ogni persona, soprattutto per la platea immensa di ragazzi e ragazze, di giovani e di adulti che non solo seguono le imprese atletiche, ma si dedicano loro stessi all’attività sportiva. Gli sportivi, tutti, devono perciò diventare un modello per creare ponti sulle valli delle divisioni etniche, delle separazioni socio-culturali, delle opposizioni ideologiche”.

Concetti ripresi anche dall’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby:

“Sport brings us together, to meet one another across borders…
Lo sport ci fa incontrare, ci fa incontrare oltre le frontiere, ci insegna a competere tra amici, a rispettarci gli uni gli altri, anche quando viviamo una competizione. Molti non possono praticare lo sport perché non ne hanno la possibilità o a causa di pregiudizi o interessi. Ma noi tutti abbiamo la responsabilità di contribuire affinché i benefici dello sport possano essere condivisi”.

Il presidente del Comitato olimpico internazionale, Thomas Bach, aveva parlato tra l’altro dell’esperienza della squadra dei rifugiati ai Giochi olimpici, come esempio di inclusione. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, affermando di apprezzare la “leadership morale” e l'“impegno umanitario” del Pontefice, aveva messo in luce la forza della fede e dello sport “per il bene del mondo”, evocando il loro contributo per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo dell’agenda 2020:

“Sports and faith can help us achieve…
Lo sport e la fede possono aiutarci a raggiungere queste finalità sostenendo i cambiamenti sociali e promuovendo la tolleranza, la comprensione e la pace”.

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Ban Ki-moon a Radio Vaticana: Francesco uomo di pace e grande visione

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Le Nazioni Unite e la Santa Sede possono fare molto assieme per il bene dell'umanità. Ne è convinto il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, che dopo l'incontro con Papa Francesco - in occasione della Conferenza in Vaticano sullo sport al servizio dell'umanità - ha rilasciato un'intervista esclusiva alla Radio Vaticana al microfono di Alessandro Gisotti: 

R. – I’m grateful to His Holiness Pope Francis and to the Vatican and also to the International …
Sono grato a Sua Santità Papa Francesco e al Vaticano e anche al Comitato olimpico internazionale per aver organizzato questo evento, davvero significativo, che può ispirare le persone a promuovere la pace e lo sviluppo attraverso lo sport. Lo sport è un linguaggio universale, trascende ogni barriera nazionale, trascende ogni etnicità e ogni nazionalismo e qualsiasi differenza possa esserci. Esso ha il potere di mobilitare istantaneamente le energie dei popoli e l’impegno per lo sviluppo. Attraverso lo sport si può ottenere facilmente il fatto di essere insieme e uniti e, in questo ambito, le Nazioni Unite sono molto impegnate. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha indicato nel 6 aprile di ogni anno la data della Giornata internazionale dello sport per lo sviluppo e la pace ed io ho nominato un inviato speciale per promuovere appunto pace e sviluppo tramite lo sport. Le Nazioni Unite hanno realizzato una forte collaborazione alla quale si sta unendo anche il Vaticano, la Santa Sede. Sono convinto che le Nazioni Unite possano mettere in campo una grande forza motrice per la promozione della pace e dello sviluppo.

D. – Quale importanza, secondo lei, riveste il ruolo di Papa Francesco nella promozione della pace e della riconciliazione?

R. – His Holiness Pope Francis is a man of peace, a man of vision; he is a man or a moral voice …
Papa Francesco è un uomo di pace, un uomo con una visione, è un uomo la cui voce ha un peso! E’ stato per me un grande privilegio e onore lavorare con lui. Quando ad esempio i leader mondiali hanno adottato l’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, il Papa ha rivolto un pressante appello a tutti i leader mondiali, nel quale ha chiesto a tutti di avere un impegno più forte e più in prospettiva nei riguardi del mondo, delle persone e del pianeta stesso, affinché si possa vivere in pace e prosperità attraverso la collaborazione. E’ stato il Santo Padre che, attraverso la sua Enciclica sui cambiamenti climatici - sulla “casa comune” – ha detto che il nostro pianeta è la nostra “casa comune”, di noi tutti 7 miliardi di persone, e di tutte le creature che devono convivere: questa è stata una grande ispirazione per molti. Una voce forte, che ha facilitato l’adozione gli Accordi sui cambiamenti climatici di Parigi, l’anno scorso. Nell’udienza che mi ha concesso [oggi], ho manifestato a Sua Santità la mia più profonda ammirazione e gratitudine.

D. – Oggi, lo sport è un esempio molto eloquente della possibilità e dell’opportunità, per la Santa Sede e per le Nazioni Unite, di ricoprire un ruolo insieme. Pensa che anche nell’edificazione di una società più umana, della pace, della riconciliazione, del rispetto della dignità umana la Santa Sede e le Nazioni Unite, la Chiesa e le Nazioni Unite, possano lavorare insieme?

R. – The Holy See, the Vatican and Christianity and other religions, they share common goals and visions …
La Santa Sede, il Vaticano, il Cristianesimo e altre religioni hanno finalità comuni, punti di vista comuni e valori in comune, come quelli della Carta delle Nazioni Unite:  la pace, il rispetto della dignità umana e dei diritti umani. Anche attraverso lo sport possiamo promuovere lo sviluppo sostenibile. In questo ambito è molto importante che le Nazioni Unite abbiano avuto una stretta collaborazione con la Santa Sede e anche con il Comitato Olimpico Internazionale (Cio). L’idea di questa manifestazione di “Fede e sport per lo sviluppo” è da attribuire tutta al Santo Padre, alle Nazioni Unite e al Cio. Questa collaborazione tra il segretario generale delle Nazioni Unite, il Comitato olimpico  e la Santa Sede per il bene comune dell’umanità è un caso senza precedenti!

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Sinodo del 2018 su giovani, fede e discernimento vocazionale

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Papa Francesco, dopo aver consultato, come è consuetudine, le Conferenze Episcopali, le Chiese Orientali Cattoliche sui iuris e l’Unione dei Superiori Generali, nonché aver ascoltato i suggerimenti dei Padri della scorsa Assemblea sinodale e il parere del XIV Consiglio Ordinario, ha stabilito che nell’ottobre del 2018 si terrà la XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.

Il tema – riferisce una nota - è “espressione della sollecitudine pastorale della Chiesa verso i giovani” ed “è in continuità con quanto emerso dalle recenti Assemblee sinodali sulla famiglia e con i contenuti dell’Esortazione Apostolica post-sinodale Amoris Laetitia. Esso intende accompagnare i giovani nel loro cammino esistenziale verso la maturità affinché, attraverso un processo di discernimento, possano scoprire il loro progetto di vita e realizzarlo con gioia, aprendosi all'incontro con Dio e con gli uomini e partecipando attivamente all'edificazione della Chiesa e della società”.

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Altre udienze di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza mons. Ettore Balestrero, Arcivescovo tit. di Vittoriana, Nunzio Apostolico in Colombia; mons. Joseph Edward Kurtz, Arcivescovo di Louisville (Stati Uniti d’America), presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, con Mons. Brian Bransfield, Segretario Generale, e con Mons. Jeffrey Burrill, Segretario Generale Aggiunto; il gruppo del Movimento Ecumenico “Vineyard”.

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Oggi in Primo Piano



Aleppo: l'arcivescovo maronita, città divisa è una nuova Berlino

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Parte dai bambini il nuovo appello di pace per la Siria. Si tratta di una petizione che i giovani siriani stanno sottoscrivendo nelle scuole per poi inviare all’Unione Europea e all'Onu. L’iniziativa, il cui slogan è “Peace for Children”, fa parte di una campagna che coinvolge i cristiani cattolici e ortodossi del Paese: domani è prevista inoltre una giornata di danze, canti, rappresentazioni e preghiere per la riconciliazione, nel quadro delle iniziative promosse da Aiuto alla Chiesa che Soffre, nonostante la violenza non dia tregua alla Siria. Il sedicente Stato islamico ha rivendicato l’attentato suicida compiuto oggi nel nord-ovest del Paese, al confine con la Turchia, che ha provocato almeno 20 morti e altrettanti feriti. Sempre più critica la situazione anche ad Aleppo. Al microfono di Giada Aquilino, ce ne parla l’arcivescovo maronita della città, mons. Joseph Tobji, in questi giorni a Roma dopo aver partecipato al recente corso di formazione per i nuovi vescovi: 

R. – Praticamente la gente vive con la morte: c’è mancanza di sicurezza e non si sa mai quando si sarà colpiti da un mortaio, da una pallottola, da un colpo di cannone. Ciò avviene in tutte e due le parti, perché Aleppo è divisa in due: è purtroppo una nuova Berlino. La parte orientale è controllata dai terroristi e la parte occidentale è controllata dal governo. La maggior parte della gente, un milione e mezzo di abitanti, vive nella parte occidentale, anche tutti noi cristiani. Nella parte orientale, invece, vivono attorno a 250 - 300 mila persone. Questa divisione della città comporta sparatorie e bombardamenti ovunque. La gente, i civili sono i primi a pagarne il prezzo. Ultimamente l’università statale è stata colpita da razzi e parecchi studenti e persone che stavano lì sono morti. Una delle chiese armeno-cattoliche è stata colpita, mentre noi maroniti non abbiamo più chiese maronite. E’ insomma questa mancanza di sicurezza che poi porta il terrore.

D. – Chi combatte contro chi ad Aleppo?

R. – Voi in Occidente parlate di “ribelli”, ma per noi, che nella parte occidentale moriamo a causa dei loro lanci, sono terroristi. Ogni giorno noi facciamo almeno dieci funerali.

D. – Quando lei parla di terroristi a chi si riferisce: Daesh, al Nusra?

R. – A tutti quanti. Ci sono mille denominazioni. Tutti, però, hanno la stessa ideologia.

D. – Qual è?

R. – L’estremo fanatismo che rifiuta tutti gli altri e che vuole istituire l’Impero, lo Stato Islamico, il Califfato, che poi è esclusivo: o noi o niente. Ma la maggior parte dei nostri musulmani siriani non accetta questa ideologia, sia i sunniti sia gli sciiti, tutti quanti. Quindi è una cosa che ci è estranea.

D. – C’è oggi una collaborazione tra cristiani e musulmani per la pace?

R. – Io ed altri vescovi in città ci incontriamo con gli imam, i muftì e siamo d’accordo per la pace, per l’uomo, per il benessere dei civili. Anche loro rifiutano questa ideologia. Qualche volta, agli incontri con i giovani, con i nostri parrocchiani, invitiamo uno sceicco e qualche volta andiamo noi. Ci conosciamo l’uno con l’altro.

D. – In queste ore c’è una preghiera per la pace dei bambini nelle scuole, una preghiera speciale. In generale, cosa chiede la Siria?

R. – Di avere la pace, prima di tutto; di essere considerata come un Paese sovrano, come tutti gli altri Paesi, e quindi di vedere rispettata la libertà di risolvere i nostri problemi. Non vogliamo essere come giocattoli nelle mani delle grandi forze. Non siamo come pezzi degli scacchi, per cui questo muove questo, quello muove quell’altro…

D. – Cosa pensa, che responsabilità internazionali ci sono in questa guerra?

R. – Da siriano, vedo chiaro e con molta evidenza che la pianificazione di questa guerra è stata fatta molto prima del 2011: tutto era studiato. Quindi, la Siria è nel mirino delle grandi forze ed è come una torta da dividere. Perché questa guerra serve agli interessi economici dell’Occidente.

D. – Lei in questi giorni ha incontrato Papa Francesco: che ritratto ha fatto del suo Paese col Pontefice?

R. – Alla fine del corso per i nuovi vescovi, dopo l’udienza con il Santo Padre, ci siamo messi in fila per salutarlo. Avevo con me due simboli, fatti dai giovani siriani, in occasione della Gmg aleppina, celebrata a livello locale, non potendo uscire: la bandiera siriana firmata dai mille giovani presenti all’incontro e un album di foto dei loro compagni morti, caduti, martiri del Paese. Quando li ho mostrati al Santo Padre, lui ha girato la prima pagina e ha visto la prima foto, poi la seconda pagina, la terza e ha cominciato a lacrimare, quasi a piangere. Anch’io ho pianto e così il cardinale che mi stava accanto. Non abbiamo detto niente. Solo un forte, grande abbraccio, non per me, ma per tutti i giovani, tutti i siriani.

D. -  Il Papa più volte ha rivolto degli appelli a favore della pace in Siria: come sono stati accolti nel Paese?

R. – Molto bene, come sempre quando parla il Santo Padre della Siria, quando dice: “La mia amata Siria”. Questa è una consolazione: che si preghi per noi; che non siamo lasciati soli.

D. – Qual è il suo appello?

R. – Che si continui a pregare per noi. Davanti a me c’è quella bella immagine del tunnel con la luce alla fine, che è speranza per la pace.

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Yemen. Dramma umanitario: bambini ridotti alla fame

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Accanto al dramma di Aleppo e della Siria intera, si sta consumando un’altra tragedia umanitaria: quella dei civili nello Yemen. Nel Paese arabo, da quasi due anni alle prese con un sanguinoso conflitto tra ribelli Houthi e coalizione a guida saudita, la sofferenza maggiore è quella dei bambini. L’Unicef denuncia lo stato di gravissima denutrizione dei minori e il fatto che centinaia di piccoli siano stati reclutati per combattere. Forte l’appello a risparmiare le scuole dai bombardamenti. Sulla situazione, Giancarlo La Vella ha intervistato Eleonora Ardemagni, analista geopolitica dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi): 

R. – Lo Yemen già prima dell’inizio del conflitto, iniziato nel 2015, era il Paese più povero del Medio Oriente. Aveva già una situazione di malnutrizione, in alcuni casi cronica, per ampie fasce della popolazione. Oggi l’Onu stima in 3 milioni le persone che hanno bisogno di aiuto alimentare e, per di più, lo Yemen è un Paese dipendente dall’importazione alimentare. Quindi il conflitto, ma non solo i bombardamenti, anche lo stesso embargo che la coalizione, a guida saudita, ha imposto per evitare l’arrivo di armi, specialmente dall’Iran, a sostegno dei ribelli, e questo embargo, che è sia di terra che navale, rendono ancora più difficoltoso, se non impossibile in certi casi, l’arrivo degli aiuti umanitari. Vero è che anche nelle città sotto il controllo militare dei ribelli Houthi si registrano grossi problemi di malnutrizione.

D. – E’ un po’ una crisi blindata, quella dello Yemen, di fronte alla quale la comunità internazionale ha difficoltà a intervenire direttamente. Non resta, forse, altro - per adesso - che rimanere a guardare?

R. – Da subito lo Yemen è stato guardato come un conflitto secondario. In particolare il ruolo dell’Arabia Saudita ha fatto sì che gli Stati Uniti cercassero di lasciare, appunto, all’alleato di Riad la gestione di una crisi, nella quale i sauditi sono direttamente coinvolti. E questo ha diminuito anche la capacità degli Stati Uniti di agire diplomaticamente in questo conflitto. Oltretutto, già è difficile portare le parti in conflitto allo stesso tavolo per farle negoziare, poi c’è la debolezza politica dell’ultimo scorcio di presidenza americana, che rende ancora più arduo, in questo momento, trovare il filo del dialogo.

D. – Almeno per quanto riguarda la crisi umanitaria, c’è la possibilità di intervenire, in qualche modo, da parte delle organizzazioni umanitarie?

R. – Il problema è che, in questo momento, nessuna area dello Yemen è sicura. I bombardamenti sono ripresi anche lungo il confine con l’Arabia Saudita, che era invece stato parzialmente stabilizzato fino a qualche settimana fa… Quindi, in una situazione così frammentata e di grande pericolosità, diventa anche difficile per le organizzazione umanitarie chiedere a un’autorità che non c’è, avere la parziale tranquillità di poter entrare in un territorio che è comunque terra di nessuno. 

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Elezioni in Marocco: sfida tra islamisti e filomonarchici

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In Marocco 16 milioni di cittadini voteranno domani per eleggere i 395 deputati del Parlamento nazionale. Favoriti il “Partito di Giustizia e Sviluppo”, al governo dal 2011 e di ispirazione islamista e il Partito Autenticità e Modernità”, legato al re Mohammed VI. La campagna elettorale è stata contraddista da un ampio dibattito politico, per un Paese che sta cercando la sua via alla democrazia, come spiega al microfono di Michele Raviart il giornalista marocchino Zouhir Louassini, esperto di mondo arabo: 

R. – Noi sappiamo che il Marocco non è una democrazia completa: è comunque una democrazia sotto controllo; e sappiamo che i diritti umani alcune volte non vengono ben rispettati. Durante la campagna elettorale, la libertà nel dibattito che ho sentito questa volta probabilmente non l’avevo mai sentita prima. E questo mi porta ad essere molto, molto ottimista per il futuro del Marocco.

D. – Il partito Giustizia e Sviluppo è l’unico partito islamista rimasto al potere dopo l’ondata delle cosiddette “Primavere Arabe”. Qual è stato il bilancio del suo governo e ci sono delle aspettative per una sua eventuale riconferma?

R. – Probabilmente è il partito che avrà più voti. Se arriverà al governo non lo so, perché avrà sempre bisogno di altri partiti per governare. Questo partito ha fatto cose molto coraggiose: per esempio, a livello economico, ha cercato di prendere delle decisioni che non sono molto popolari, ma le ha prese e sono state utili per il Marocco, come per la questione delle pensioni o per alcune questioni di sovvenzioni. Ha cercato di dare una mano alla classe più povera: hanno fatto qualche cosa che – devo dire – non è negativa. Però, allo stesso tempo, è un partito che comunque ha un discorso religioso, e questo – secondo me – è il suo punto di debolezza. Loro dicono sempre che non sono come i Fratelli Musulmani: lo stesso primo ministro, Abdelillah Benkirane, molte volte ha ripetuto che la gente quando li sceglie lo fa per gestire le cose economiche e il Paese, e non per insegnare loro come devono essere vestiti o cosa devono mangiare. Però, in fondo, con l’islam politico non si sa mai…

D. – Dall’altra parte, c’è il partito Autenticità e Modernità che è legato alla monarchia: ecco, qual è il ruolo del re in questa fase?

R. – Il re ha ripetuto varie volte che lui non c’entra niente; ma questo partito comunque è nato con l’aiuto di amici del re del Marocco, e questo ha messo comunque un po’ di dubbio. Però il dibattito c’è stato e c’è: in questo momento, in Marocco, il dibattito più importante è relativo a questo. La monarchia sta giocando un ruolo politico: anche se dopo l’adozione della Costituzione del 2011 il re è stato un po’ limitato nei suoi ruoli, non riesce però ad uscire dalla scena politica. Non dimentichiamo mai che in Marocco e il re è anche emiro, “principe dei credenti”, e ha anche un ruolo religioso, e questo probabilmente è stato un elemento molto positivo per il Marocco.

D. – Per l’Europa, quanto sono importanti queste elezioni: e penso ai fenomeni legati all’immigrazione, alle exclave spagnole in territorio marocchino di Ceuta e Melilla…

R. – È un momento dove ci sono altri Paesi arabi e musulmani, guerre e conflitti. Il Marocco è rimasto – diciamo – un Paese stabile, e questo in sé è già molto importante anche per noi in Europa. Perché, in un Paese che sta così vicino all’Europa, c’è bisogno che ci sia stabilità e anche ricchezze. In questo momento ciò sta avvenendo in Marocco: c’è meno gente che cerca di migrare. Per l’Europa è molto importante che questo processo continui, ma che continui sul serio. Noi sappiamo che il Marocco non è una democrazia completa: è comunque una democrazia sotto controllo; e sappiamo che i diritti umani alcune volte non vengono ben rispettati. Durante la campagna elettorale, la libertà nel dibattito che ho sentito questa volta probabilmente non l’avevo mai sentita prima. E questo mi porta ad essere molto, molto ottimista per il futuro del Marocco.

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Onu: i diritti negati dei bambini migranti e internauti

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Riunito a Ginevra il Comitato Onu sui diritti dell’infanzia, cui partecipano esperti indipendenti di 18 Paesi, scelti a rotazione tra i 193 Stati membri delle Nazioni Unite. Tra gli argomenti emergenti all’attenzione del Comitato - che viene convocato 4 volte l’anno - è quello dei minori migranti non accompagnati: nel 2015 ne sono arrivati poco meno di 90 mila nell’Unione Europea, di cui oltre 10 mila sono scomparsi nel nulla. Roberta Gisotti ha intervistato, tra gli esperti del Comitato, Maria Rita Parsi, psicoterapeuta, presidente onorario della Fabbrica della Pace Movimento Bambino: 

R. - Come diceva Nelson Mandela, l’anima di un Paese si vede da come tratta i bambini e purtroppo i bambini in tutti i Paesi del mondo, anche nei più ricchi e  più evoluti non sono trattati bene. I bambini migranti fuggono da situazioni di malessere assoluto dove il problema è farcela a vivere e farcela a non morire. Arrivano molti bambini non accompagnati proprio perché l’intenzione dei parenti è affidarli alla possibilità che arrivino in Paesi dove possano essere accolti e possano essere curati, possano essere aiutati. Tra i pericoli a cui possono essere esposti c’è quello di cadere in mano alla malavita, alla prostituzione, ai trafficanti di organi… Sono tutte situazioni assolutamente illecite ai danni dei minori verso i quali bisogna fare assolutamente accoglienza e poi prevenzione. Questi ragazzini devono poter trovare subito un supporto, un aiuto, punti di riferimento scolastici, un’accoglienza immediata che partendo dalla lingua che usano e da quello che raccontano, dalle testimonianze che danno, li metta in condizione di fidarsi degli adulti.

D. – Non possiamo dunque girare la faccia dall’altra parte e soprattutto non possono farlo le autorità competenti…

R. - Io direi che non possiamo farlo tutti come cittadini, perché ci vuole un collegamento stretto tra le istituzioni e il territorio, tra i Comuni e i poteri centrali; ci vuole una prevenzione che metta in moto le famiglie che possono accogliere, le organizzazioni non governative, i centri di accoglienza … In modo che ci sia una mappa territoriale dei luoghi dove questi bambini possano trovare appoggio, accoglienza ed ascolto per sapere da dove provengono, le vicissitudini che hanno avuto, le esperienze che hanno fatto… Con quell’ascolto, se gli viene dato, è possibile che non scappino o non si espongano a questi pericoli. Ci vuole un tessuto di prevenzione organizzato in maniera sistematica perché questo è un fenomeno che non si fermerà; è una migrazione epocale che porterà tantissimi bambini, adolescenti, nei nostri Paesi.

D. – C’è un altro tema davvero urgente: la tutela dei bambini nel mondo digitale…

R. – Quella del mondo digitale è un’emergenza assoluta, nel senso che ormai tutti i bambini sono nativi digitali. Il mondo virtuale fa parte dell’esperienza quotidiana dei bambini e purtroppo ancora esiste un gap generazionale che mette i bambini in condizione di avere più esperienza del mondo virtuale di quella degli adulti. E’ un mondo in cui i bambini possono insegnare agli adulti come si fa ad essere internauti, come si fa ad essere hacker, pirati… Il mondo virtuale, che non ha regole, che non ha leggi, bisogna sia seguito costantemente dagli adulti, perché questi possano controllare i passaggi in rete che i bambini fanno, impedire la possibilità che vedano certe cose o stabiliscano certi contatti… Quindi ci vuole un controllo che richiede una competenza.

D. – Ma non è un po’ un’utopia pensare che gli adulti possano sostituirsi a regole che esistono in ogni altro ambito della vita organizzata dell’umanità?

R. – Parliamoci chiaro: il discorso deve partire dai gestori e da leggi che devono esserci sul web come ci sono nel mondo reale. Il mondo virtuale è tutto sregolato, un territorio dove i più forti, i più prepotenti, i più esperti fanno quello che vogliono. Per cui si vede qualunque cosa, si assiste a qualunque cosa, si fa esperienza di qualunque cosa, anche in età, in condizioni che non sono ammissibili.

D.  – L’attenzione all’infanzia, non può essere quello che ci impone di trovare modalità di prevenzione, di controllo e anche di punizione di quello che nel mondo reale è considerato un crimine?

R.  – Assolutamente sì. Tutto questo se non va regolamentato, se è fuori regola in nome di una sedicente libertà diventa veramente il contrario della libertà, diventa l’oppressione per quelli che lo sanno usare poco o lo usano male… Il mondo virtuale è esattamente l’espressione di tutto il mondo reale, ma senza regole, con l’emergenza di tutti quelli che sono anche gli istinti e le forme più depravate, aggressive, distruttive dell’esser umano. Ci sono video di decapitazioni, di violenze sessuali, di abusi di bambini… C’è un mare magnum di orrore, proprio perché fa parte della storia del genere umano,  che emerge nel virtuale dove c’è di tutto: cose meravigliose, collegamenti incredibili, possibilità e soluzioni di vita, ricerche, come c’è tutto il resto di negativo di persecutorio, doloroso violento, indegno, illegale che gli esseri umani hanno fatto.

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Haiti: morti e più di 14mila sfollati per l’uragano Matthew

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 Martedì scorso l'uragano Matthew ha colpito in pieno Haiti, seminando desolazione e morte. Il Paese più povero e vulnerabile delle Americhe che ancora sta cercando faticosamente di riprendersi dal terremoto del 2010, ha dovuto fare i conti con venti che hanno raggiunto 230 chilometri all'ora, piogge torrenziali che hanno causato inondazioni, frane, distruzione delle infrastrutture e perdita del bestiame.

Oltre a morti e sfollati, oltre 1800 case sono state allagate
Secondo un primo rapporto del giorno dopo, 5 ottobre, ci sono stati cinque morti ad Haiti. Matthew è considerato la peggiore tempesta degli ultimi decenni e la sua violenza ha lasciato, oltre ai morti, circa 14.500 persone sfollate, costrette a lasciare le loro case. Si calcola che 1.855 case sono state allagate. L’interruzione delle linee elettriche e delle comunicazioni rendono molto difficile quantificare l'entità esatta dei danni.

Colpiti anche i programmi di Caritas Internationalis
Martine Haentjens, responsabile della Caritas Internazionalis ad Haiti, sul posto al momento del passaggio dell’uragano, ha detto in una nota ripresa dall'agenzia Fides: "Ho preso contatto con i nostri responsabili nelle diverse regioni del Paese. I nostri programmi sono stati colpiti, in particolare a Les Cayes, dove quasi tutto è stato distrutto. Qui tutte le case sono state scoperchiate. Non abbiamo alcuna notizia del Comune di Jérémie, ma è probabile che, dato come si muove il ciclone, anche questa regione sia stata gravemente colpita. 

Impraticabili le strade del Paese; distrutti anche i ponti
Per quanto riguarda Port-au-Prince, la situazione è sotto controllo, il danno è limitato. Ma le strade del Paese sono impraticabili, anche i ponti distrutti". La Caritas Internationalis è attiva sul Paese con progetti di sicurezza alimentare dal terremoto del 2010, ed ha già stanziato un budget di 50.000 euro per sostenere Caritas Haiti. (C.E.) 

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Indonesia: conclusa la Giornata della gioventù indonesiana

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Si è conclusa oggi a Manado, capitale della provincia delle Sulawesi del nord, la Giornata della gioventù indonesiana dal tema “La gioia del Vangelo nella società plurale indonesiana”. Vi hanno preso parte giovani provenienti da ogni angolo del Paese, con la presenza di due delegazioni malesi e di Timor Est. A loro si sono aggiunti più di 15mila abitanti locali. Oggi si è tenuta anche la Messa conclusiva celebrata da 18 vescovi indonesiani. Andrea Walton ha intervistato Padre Alfonsus Widhiwirjawan, missionario saveriano presente nel Paese, sui contenuti di questo evento: 

R. – Il tema del nostro convegno è la gioia del Vangelo in mezzo alle diversità nel contesto dell’Indonesia. Siamo partiti dalle varie etnie e dalle varie tribù, dalle varie religioni, e il contesto indonesiano è proprio al centro di questo incontro.

D. – Quanti giovani hanno partecipato alla Giornata della gioventù indonesiana?

R. – Sono circa tremila i giovani che hanno partecipato a questo incontro. Vengono da fuori, dalla diocesi di Manado e il resto viene dalla diocesi stessa. Inoltre ci sono più di 200 preti che accompagnano il cammino di questi giovani nelle loro parrocchie e nelle loro diocesi.

D. - Quali attività sono state svolte?

R. – Il primo scopo è quello di conoscere la gioia e la fatica nella sfida attuale della gente locale. Il secondo è cercare di condividere la nostra fatica. I primi tre giorni siamo stati ospitati dai musulmani, dai protestanti, dai cattolici; ci hanno accolto tremila famiglie. Un altro scopo è quello di far incontrare i giovani affinché possano crescere nella solidarietà, nello stare insieme, nel vivere insieme anche per il cammino del dialogo interreligioso o qui nella diocesi il cammino dell’ecumenismo, proviamo a condividere la nostra fatica e la nostra gioia perché quando saremo tornati nella nostra casa possiamo vivere meglio il nostro essere testimoni del Vangelo in mezzo alle diversità.

D. – Può dirci qualcosa della Giornata della Gioventù asiatica del 2017?

R. – Per quanto riguarda la Giornata dell’anno prossimo la diocesi e il governo si stanno preparando per creare questa Giornata vivendo anche la speranza perché la sfida della multiculturalità e della interreligiosità è la sfida attuale da affrontare. Infatti, il messaggio che vogliamo trasmettere attraverso questo incontro è come vivere la gioia oppure la fatica nella sfida attuale, cioè nel contesto della diversità: la diversità non è qualcosa che separa ma è un dono di Dio e anche il governo, il ministro delle religioni, ha detto che la nostra diversità è il dono di Dio da custodire affinché possiamo stare meglio.

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Nicaragua: preghiera e digiuno per presente e futuro del Paese

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Da oggi, dietro invito della Conferenza episcopale del Nicaragua, ogni parrocchia della nazione organizzerà una “Giornata di Preghiera e Digiuno per il presente e il futuro del Nicaragua”.

Preoccupazione dei vescovi per la democrazia in Nicaragua
Il 6 novembre, 3,4 milioni di cittadini nicaraguensi saranno chiamati alle urne per eleggere il Presidente della Repubblica e 90 deputati dell’Assemblea nazionale. La situazione nel Paese è ancora tesa a causa dalla terza candidatura consecutiva del Presidente Daniel Ortega, non prevista dalla Costituzione, e dalla discussione in corso sulla presenza di osservatori internazionali che garantiscano elezioni libere e trasparenti. I vescovi mons. Silvio José Báez (ausiliare di Managua), mons. Rolando Alvarez Lagos (vescovo di Matagalpa) e mons. Juan Abelardo Mata (vescovo di Estelí) hanno già espresso, a titolo personale, la loro preoccupazione per il futuro della democrazia in Nicaragua.

Affrontare processo elettorale secondo coscienza e senza coercizioni
​"Vogliamo illuminare dalla nostra fede, come Pastori della Chiesa, questo momento storico. Invitiamo tutti i cittadini ad affrontare questo processo elettorale con decisione e ad agire secondo la propria coscienza, liberamente e senza timore di alcuna coercizione esterna" si legge nel comunicato dei vescovi pubblicato il 22 agosto e rilanciato in questi giorni. "In tempi di crisi e di tensione è facile cedere alla tentazione della violenza, ma questa non risolve mai i conflitti. Chiamiamo tutti i nicaraguensi ad agire pacificamente, nel rispetto delle legittime scelte di ogni persona e ad evitare tutto ciò che minaccia l'integrità fisica e morale degli altri. La pace è un dono di Dio, ma è anche il frutto della giustizia e dell’impegno umano" sottolineano i vescovi. (C.E.) 

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Argentina: trovato morto un parroco impegnato contro il narcotraffico

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"La Conferenza episcopale Argentina esprime il suo dolore e il suo sgomento per la morte di padre Juan Heraldo Viroche, parroco della parrocchia di Ntra. Sra. Del Valle de La Florida, a Tucuman. Ci uniamo alla richiesta dell'arcivescovo locale al fine di un chiarimento veloce dei fatti e siamo vicini alla famiglia di padre Viroche, ai fedeli della parrocchia e della Chiesa di Tucuman": è il testo del comunicato della Conferenza episcopale Argentina ripreso dall'agenzia Fides, sulla morte del sacerdote.

P. Juan era impegnato nella lotta la narcotraffico
Ieri, padre Juan Heraldo Viroche è stato trovato morto nella sua abitazione, a Tucuman, circa 70 km dalla capitale. Il sacerdote era molto conosciuto nella zona per la sua lotta contro il narcotraffico. Era una persona molto positiva e dinamica, riferiscono testimonianze di chi lo conosceva nella sua parrocchia, dove era molto impegnato anche con le famiglie della zona.

Il sacerdote aveva ricevuto minacce dalle mafie della droga
La Commissione episcopale per la pastorale per la droga-dipendenza ha pubblicato un breve comunicato dove si legge: "Padre Juan era conosciuto perché spendeva la vita contro il traffico di droga, ha parlato chiaramente all'interno e all'esterno della sua comunità, per difendere la vita in pericolo". La Commissione ha anche fatto notare che “padre Viroche, ai suoi più stretti collaboratori, aveva espresso profondo dolore per le minacce ricevute dalle mafie della droga”.

Manifestazione dei suoi parrocchiani per chiarire sulle cause della morte
Un primo rapporto delle autorità, secondo quanto diffuso dalla stampa locale, sembra orientare verso un suicidio, perché non c’erano segni di violenza esterna sul corpo ed è stato trovato in una stanza chiusa dall’interno. Ma la comunità resta incredula di fronte a questa versione dei fatti e nella stessa giornata di ieri ha organizzato una manifestazione davanti alla parrocchia per chiedere un chiarimento dei fatti. La stampa argentina ricorda le espressioni del Papa il quale ha affermato che "l'Argentina rischia la messicanizzazione". (C.E.) 

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Via Francigena: "Tutti i cammini portano a Roma"

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“Tutti i cammini portano a Roma” è l’iniziativa – nella sua prima edizione – organizzata da Earth Day Italia e dal Festival Europeo della Via Francigena, insieme alla Regione Lazio. L’invito è ai camminatori per convergere a Roma in occasione della “Giornata del Camminare”, quest’anno collegata al Giubileo della Misericordia. La manifestazione, iniziata il 4 ottobre, festa di Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, termina il 9 ottobre a Piazza San Pietro con la partecipazione all’Angelus di Papa Francesco. Roberta Cafarotti, di Earth Day Italia, spiega l’iniziativa al microfono di Marcello Storgato

R. – E’ un’iniziativa che rientra nel Giubileo e ha il desiderio di rilanciare Roma come meta naturale dei pellegrinaggi, e a rivitalizzare queste tre grandi vie: la Via Francigena nel Sud e nel Nord, il Cammino di Francesco e il Cammino di Benedetto; e per questo abbiamo invitato tutti i camminatori italiani, e in particolare del Lazio, a camminare lungo queste vie. Si arriverà il 9 a San Pietro a portare il nostro messaggio di solidarietà, di pace, a Papa Francesco. Il 9 è anche la Giornata del Camminare, organizzata da tanti anni insieme a FederTrek: camminare è una nuova modalità di sviluppo della propria spiritualità, ma anche un attraversare territori meravigliosi facendolo non nella logica del turismo consueto, ma facendolo essendo ospitati come pellegrini, condividendo con le persone che vivono lungo queste grandi vie il cibo, l’acqua, amicizia …

D. – Insomma, è un bell’insieme di sport, turismo e spiritualità?

R. – Sì. La spiritualità la mettiamo in testa: ognuno con la propria sensibilità. Sull’aspetto della condivisione, della convivialità, dello stare insieme, e infine anche quello dello sviluppo di un turismo amico dell’uomo e della natura.

D. – La possiamo considerare un percorso interreligioso tra persone con diversa sensibilità e con il desiderio di convivere e camminare insieme?

R. – Tutto lo spirito della manifestazione è uno spirito di partecipazione libera. Abbiamo chiamato tantissime associazioni di camminatori che operano nel Lazio e ognuna ha donato le proprie competenze per la buona riuscita di questa manifestazione. Hanno aderito tantissime associazioni; ci saranno tanti camminatori lungo queste tratte … Insieme, poi, ci riuniremo l’8 a San Paolo – pellegrino per eccellenza, il pellegrino del Vangelo – e sarà un momento, quindi, di incontro tra tante associazioni che fino a quel giorno non si erano conosciute. E il giorno dopo, da San Paolo fino a San Pietro, cammineremo di nuovo, portando il nostro grazie a Papa Francesco.

D. – Anche Papa Francesco è un grande “camminatore” …

R. – Certamente! Ci ha sempre tenuto a raccontarci come la vita sia un grande cammino, e quindi siamo dei pellegrini, in questo senso … Però, questo è uno spirito che può essere interpretato anche in chiave interreligiosa. Porteremo il tema dei rifugiati: un cammino, ad esempio, partirà da un Centro di rifugiati per arrivare a San Pietro, proprio perché il messaggio di pace è un messaggio di cui il Papa si è fatto portatore in ogni momento.

D. – Tre percorsi con caratteristiche distinte …

R. – C’è una Grande Via, che è la Via Francigena che univa Canterbury con Gerusalemme, e quindi la manifestazione cerca di riportare Roma come meta intermedia tra le due grandi mete di pellegrinaggio che erano, appunto, Roma e Gerusalemme. La Francigena quindi verrà percorsa da Viterbo, mentre dal Sud parte dall’Abbazia di Fossanova nel comune di Piverno; compiranno tutti 100 km per arrivare a Roma. Un’altra via importante è il Cammino di Francesco, che partirà da Rieti e arriverà a Roma e un altro, il Cammino di Benedetto, che non arriva a Roma ma che in forma simbolica verrà percorso per un tratto e poi con un pullman i pellegrini arriveranno a Roma. C’è anche la possibilità di realizzare una tappa e c’è già un mondo di camminatori che si è mosso, nella Regione; ci saranno anche delle scolaresche che percorreranno un tratto del loro cammino … Cerchiamo anche di creare una sorta di ponte intergenerazionale; abbiamo l’idea anche di affiancarle a dei giovani: ci sembrava un buon messaggio …

D. – Quante persone prevedete aderiscano all’iniziativa?

R. – Il camminatore è libero, quindi comincia e termina quando meglio crede. Sicuramente ci sono dei gruppi organizzati che sono partiti – appunto – il 4 ottobre e sono più o meno di 300-400 camminatori; ma se ne uniscono altri via via. E poi, anche sul percorso cittadino che coincide con la Giornata del Camminare, il 9 ottobre, ne arriveranno altri 600 che faranno San Paolo e San Pietro. C’è stato anche tanto movimento all’interno dei Comuni: il messaggio che è stato trasmesso con la manifestazione ha riguardato tantissime altre realtà. Ad esempio, a Viterbo viandanti e pellegrini verranno accolti dal sindaco; l’Abbazia di Fossanova ha inaugurato una stele che misura i 100 km da Roma … quindi anche tanta partecipazione all’interno dei Comuni. Abbiamo avuto una risposta molto calda.

D. – Come seguire questi cammini?

R. – Noi abbiamo un sito – www.camminidiroma.it – una pagina facebook – cammini di Roma – la possibilità quindi di prendere informazioni; ci sono anche tracce gps, mappe, guide … è facile ritrovare. Daremo anche la bisaccia del pellegrino che contiene tanti prodotti locali, con questa capacità di stare insieme, camminando.

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Vaticano: sinfonia di Kiko Argüello "La sofferenza degli innocenti"

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“La sofferenza della Vergine Maria nel vedere come uccidono suo figlio, un dolore così grande che le trafigge l’anima, una spada, una sofferenza assimilata a quella che ogni madre sente davanti alla morte dei propri figli, vittime innocenti di violenze inaudite, nella lunga storia priva di misericordia di massacri perpetrati fino ad oggi”. Questo il tema della sinfonia “La sofferenza degli innocenti” composta dall’iniziatore e responsabile internazionale del Cammino Neocatecumenale, Kiko Argüello, che sarà eseguita domani, venerdì 7 ottobre nell’Aula Paolo VI in Vaticano alle ore 16,30. 

Per tutte le vittime innocenti di disastri, violenze e conflitti
Presente il compositore dell’opera, l’orchestra sarà diretta da Tomáš Hanus, riconosciuto direttore internazionale, invece il maestro del coro sarà Saray Prados. “Quanta sofferenza nel mondo di oggi, quante vittime innocenti di disastri come il terremoto che ha colpito l’Italia centrale! Una linea rossa di violenza che provoca terrore e morte, le guerre, la tragedia dei profughi, vite spezzate di uomini e donne e soprattutto bambini”, sottolinea la nota che accompagna l’annuncio dell’esecuzione di questa sinfonia.

La sinfonia nel contesto del Giubileo Mariano
L’esecuzione fa parte del programma delle attività del Giubileo della Misericordia e, in particolare, del Giubileo Mariano che si terrà da venerdì 7 a domenica 9 ottobre, e ha ricevuto il sostegno di Papa Francesco. All’evento assisteranno numerosi cardinali, vescovi e autorità civili, così come membri del Cammino Neocatecumenale dall’Italia e da altri Paesi. La celebrazione inizierà con un saluto, una preghiera di apertura, e un’introduzione. Poi l’orchestra e il coro interpreteranno la Sinfonia, che è divisa in cinque movimenti: Getsemani, Lamento, Perdonali, Spada e Resurrexit. Al termine interverrà il presidente dell’assemblea.

“La sofferenza degli innocenti” è già stata eseguita in molti Paesi 
Pochi mesi fa l’Orchestra del Cammino si è recata in Giappone per le celebrazioni sinfoniche a Tokyo e Fukushima. Inoltre, Gerusalemme, il Lincoln Center di New York, il Chicago Symphony Hall, il teatro dell’Opera di Budapest e Auschwitz sono stati altri luoghi in cui ha risuonato quest'opera musicale. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 280

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.