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Sommario del 30/11/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa all'udienza generale: imprenditore che prega per dipendenti è bravo cristiano

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Pregare per i vivi e per i defunti e seppellire i morti: la catechesi di Francesco all’udienza generale di stamani in Aula Paolo VI ruota attorno alle ultime opere di misericordia, l’una spirituale e l’altra corporale. Si conclude dunque il ciclo di catechesi dedicato alla misericordia. Nei saluti finali Francesco lancia anche un appello in merito alla Giornata Mondiale dell’Aids, che ricorre domani: chiede che anche i più poveri possano beneficiare di cure adeguate. Il servizio di Debora Donnini

Le catechesi finiscono “ma la misericordia deve continuare”. Così Papa Francesco conclude le catechesi dedicate alla misericordia. Un percorso fatto di 14 opere e ora, sottolinea, la misericordia “dobbiamo esercitarla in questi 14 modi”. Il suo discorso si sofferma sulle ultime due.

L'imprenditore che piange e prega per i suoi dipendenti
Pregare per i vivi e per i defunti è un’opera di misericordia che rimanda alla comunione dei Santi: “Tutti, vivi e defunti, siamo nella comunione”. Per questo preghiamo gli uni per gli altri. E Francesco fa degli esempi concreti di cosa significhi pregare per il prossimo, dalla preghiera per i figli a quella per i malati:

“Penso in modo particolare alle mamme e ai papà che benedicono i loro figli al mattino e alla sera. Ancora c’è questa abitudine in alcune famiglie: benedire il figlio è una preghiera; penso alla preghiera per le persone malate, quando andiamo a trovarli e preghiamo per loro; all’intercessione silenziosa, a volte con le lacrime, in tante situazioni difficili per cui pregare”.

Quindi il Papa racconta che ieri, alla Messa mattutina a Casa Santa Marta, ha incontrato un giovane imprenditore: doveva chiudere la sua fabbrica perché non ce la faceva, lasciando senza lavoro più di 50 famiglie. ”Potrei dichiarare il fallimento d’impresa” e “me ne vado a casa con i miei soldi, ma il mio cuore piangerà tutta la vita per queste 50 famiglie”, diceva fra le lacrime quell’uomo, ricorda Papa Francesco:

“Ecco un bravo cristiano che prega con le opere: è venuto a Messa a pregare perché il Signore gli dia una via di uscita, non solo per lui, ma per le 50 famiglie. Questo è un uomo che sa pregare, col cuore e con i fatti, sa pregare per il prossimo. E’ in una situazione difficile. E non cerca la via di uscita più facile: “Che si arrangino loro”. Questo è un cristiano. Mi ha fatto tanto bene sentirlo! E magari ce ne sono tanti così, oggi, in questo momento in cui tanta gente soffre per la mancanza di lavoro”.

Pregare per gli altri significa anche ringraziare il Signore per le belle notizie che riguardano parenti, colleghi, amici, cioè ringraziare quando le cose vanno bene.

Pregare che si faccia la volontà di Dio, con il cuore aperto allo Spirito Santo
Il Papa ricorda però che è lo Spirito Santo a pregare dentro di noi ed esorta quindi a chiedere sempre “che si faccia la volontà di Dio”, che è “il bene di un Padre che non ci abbandona mai”:

“Pregare e lasciare che lo Spirito Santo preghi in noi. E questo è bello nella vita: prega ringraziando, lodando Dio, chiedendo qualcosa, piangendo quando c’è qualche difficoltà, come quell’uomo. Ma il cuore sia sempre aperto allo Spirito perché preghi in noi, con noi e per noi”.

Pregare per i defunti con la speranza cristiana del paradiso
Pregare per i defunti è poi un segno di riconoscenza “per la testimonianza che ci hanno lasciato”. Si prega con la speranza cristiana che siano con Dio in paradiso, “nell’attesa di ritrovarci insieme in quel mistero d’amore che non comprendiamo, ma che sappiamo essere vero perché è una promessa che Gesù ha fatto”. “Tutti risusciteremo e tutti rimarremo per sempre con Gesù”, dice Francesco.

Anche oggi si rischia la vita per seppellire i morti
C’è poi l’ultima opera di misericordia corporale, che esorta a seppellire i morti. Può sembrare una richiesta strana ma, nota Francesco, in alcune zone del mondo che vivono sotto il flagello della guerra, con bombardamenti di notte e di giorno, “questa opera di misericordia è tristemente attuale”. Basti pensare al personaggio biblico di Tobi che seppelliva i morti a rischio della propria vita, nonostante il divieto del re:

“Anche oggi c’è chi rischia la vita per dare sepoltura alle povere vittime delle guerre. Dunque, questa opera di misericordia corporale non è lontana dalla nostra esistenza quotidiana”.

Questo fa pensare anche a quanto avvenuto con la morte di Gesù: quando Giuseppe di Arimatea offrì per lui un sepolcro nuovo, andando personalmente da Pilato a chiedere il corpo di Gesù. Si tratta di un’opera di misericordia fatta “con grande coraggio”, sottolinea il Papa. “Per i cristiani - prosegue Francesco - la sepoltura è un atto di pietà, ma anche un atto di grande fede”. Un atto che rimane molto “sentito nel nostro popolo”: si depone nella tomba il corpo dei propri cari con la speranza della loro risurrezione.

Francesco conclude dunque queste catechesi sulla misericordia tornando a chiedere che “le opere di misericordia corporale e spirituale diventino sempre più lo stile della nostra vita”.

Gli appelli del Papa per la Giornata Mondiale dell'Aids e per la protezione del patrimonio nelle zone di conflitto
Nei saluti finali il Papa ricorda che domani ricorre la Giornata Mondiale contro l’Aids, promossa dall’Onu. E lancia un appello sottolineando che milioni di persone convivono con questa malattia ma solo la metà ha accesso a terapie salvavita:

“Invito a pregare per loro e per i loro cari e a promuovere la solidarietà perché anche i più poveri possano beneficiare di diagnosi e cure adeguate. Faccio appello infine affinché tutti adottino comportamenti responsabili per prevenire un’ulteriore diffusione di questa malattia”.

Quindi ricorda che il 2 e 3 dicembre prossimi si terrà ad Abu Dhabi, su iniziativa della Francia e degli Emirati Arabi Uniti con la collaborazione dell’Unesco, una Conferenza internazionale sulla protezione del patrimonio nelle zone di conflitto: un tema drammaticamente attuale. Il Papa auspica che “questo evento segni una nuova tappa nel processo di attuazione dei diritti umani”, nella convinzione che la tutela delle ricchezze culturali costituisce una dimensione essenziale della difesa dell’essere umano.

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Il cordoglio del Papa per le vittime dell'incidente aereo in Colombia

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Al termine dell’udienza generale, salutando i pellegrini di lingua portoghese, il Papa è tornato col pensiero al dolore del popolo brasiliano per la tragedia che, tra lunedì e martedì, ha coinvolto un volo di linea diretto in Colombia. 71 i morti, inclusa la squadra di serie A della Chapecoense. Cordoglio e preghiera Francesco li aveva assicurati pure in due telegrammi. Il servizio di Gabriella Ceraso

“In questo inizio di Avvento”, dice il Papa, “siamo invitati ad andare incontro a Gesù che ci aspetta in tutti i bisognosi a cui possiamo portare aiuto con le opere di misericordia”. “Anche io”, aggiunge, “vorrei ricordare oggi il dolore del popolo brasiliano per la tragedia della squadra di calcio e pregare per i giocatori defunti e per le loro famiglie”. Francesco accosta quindi a quanto accaduto un altro doloroso episodio. In Italia, dice,"capiamo bene cosa significa questo perché ricordiamo l’incidente aereo di Superga del ’49. Sono tragedie dure. Preghiamo per loro”. Il 4 maggio di 67 anni fa, infatti, sul terrapieno della Basilica piemontese, in uno schianto aereo, scompariva, di ritorno da Lisbona, la squadra del Grande Torino: 31 allora le vittime. Già nelle scorse ore con due telegrammi, inviati rispettivamente al cardinale Sérgio da Rocha, arcivescovo di Brasilia, e a mons. Fidel León Cadavid Marín, vescovo di Sonsón-Rionegroalle in Colombia, Francesco aveva espresso il proprio cordoglio invocando da Dio il coraggio e la consolazione della speranza cristiana. Intanto il Brasile in lutto piange 71 morti; 6 i superstiti, tra cui 3 giocatori. Per loro ieri nella chiesa di Chapeco si è tenuta una Messa con la partecipazione di migliaia di persone che poi hanno marciato verso l'Arena Conda, per rendere omaggio al club. Un guasto elettrico o l'assenza di carburante tra le cause possibili della tragedia.

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Papa a politici francesi: diversità diventino opportunità

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I valori di “libertà, uguaglianza e fraternità” non vengano “sbandierati in maniera illusoria”, ma siano considerati in relazione al loro fondamento “trascendente”: le diversità diventino dunque opportunità. Così Papa Francesco ricevendo in Sala Clementina i 260 partecipanti al pellegrinaggio dei politici francesi eletti nella Regione di Rhône – Alpes, accompagnati in Vaticano dal cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, e dai vescovi della medesima provincia. Un’occasione – ha detto il Papa – che “prolunga il Giubileo della Misericordia”. Il servizio di Giada Aquilino

“Cercare e sviluppare” il senso del bene comune e dell’interesse generale. Papa Francesco parla ai politici francesi e guarda all’attuale contesto internazionale, segnato - osserva - da “frustrazioni e paure”, intensificate dagli attentati e dalla “cieca violenza” che hanno così profondamente straziato la Francia. Il Pontefice ricorda la recente lettera dei vescovi locali, dal titolo: “In un mondo che cambia, ritrovare il senso della politica”, e ne fa suo l’invito, parlando di “necessità”. Rammenta pure un analogo documento dei presuli francesi di 20 anni fa, “Réhabiliter la politique”: allora, spiega, quel testo fece “tanto bene”, esattamente come “quest’altro”, auspica:

“Innegabilmente, la società francese è ricca di potenzialità, di diversità che sono chiamate a diventare opportunità, a condizione che i valori repubblicani di libertà, uguaglianza e fraternità non siano solamente sbandierati in maniera illusoria, ma siano approfonditi e compresi in relazione al loro vero fondamento, che è trascendente”.

È “pienamente” in gioco, nota Francesco, un vero dibattito su “valori e orientamenti riconosciuti comuni a tutti”:

“A tale dibattito i cristiani sono chiamati a partecipare con i credenti di ogni religione e tutti gli uomini di buona volontà, anche non credenti, in ordine a promuovere la crescita di un mondo migliore”.

Nell’esercizio delle responsabilità politiche, l’esortazione è a “contribuire” all’edificazione di una società “più giusta e più umana”, “accogliente e fraterna”:

“In questo senso, la ricerca del bene comune che vi anima vi conduca ad ascoltare con particolare attenzione tutte le persone in condizione di precarietà, senza dimenticare i migranti che sono fuggiti dai loro Paesi a causa della guerra, della miseria, della violenza”.

La preghiera finale affida il percorso dei politici a Cristo, “sorgente della nostra speranza e del nostro impegno” al servizio del bene comune.

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Francesco a Bartolomeo I: le nostre Chiese unite da legami profondi

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Nell’odierna festa di Sant’Andrea, il Papa ha voluto, nei saluti dopo l’udienza, ricordare la figura dell’apostolo, la forza nell’affrontarne il martirio e la sua appassionata sequela del Salvatore, quale esempio per i giovani di una vita “in pellegrinaggio verso la Casa del Padre”, per gli ammalati, di fronte alla insopportabile sofferenza, e per gli sposi novelli, affinché colgano “l’importanza dell’amore” nella nuova famiglia. Francesco ha poi rivolto il pensiero al Patriarcato Ecumenico che oggi celebra Andrea quale Patrono della Chiesa di Costantinopoli. Il Papa ha inoltre inviato un messaggio a Bartolomeo I, nominandolo pure nel tweet sull'account @Pontifex: "Oggi è la festa dell’apostolo Andrea - si legge - con affetto fraterno sono vicino al Patriarca Bartolomeo e prego per lui e la Chiesa a lui affidata". Francesca Sabatinelli

"Nella ricorrenza dell’apostolo Andrea, vorrei salutare anche la Chiesa di Costantinopoli e l’amato Patriarca Bartolomeo e unirmi a lui e alla Chiesa di Costantinopoli, in questa festa - a quella Chiesa sorella nel nome di Pietro e Andrea, tutti insieme - e augurarle tutto il bene possibile, tutte le benedizioni del Signore e un abbraccio grande".

Francesco guarda a Istanbul, alla Cattedrale di San Giorgio al Fanar, e si rivolge al fratello Bartolomeo I che, con tutto il Patriarcato, oggi celebra sant’Andrea apostolo. Come ogni anno, anche in questa occasione, in Turchia si è recata una delegazione della Santa Sede, guidata dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Una visita che il Patriarcato ricambia ogni 29 giugno inviando a Roma una delegazione in occasione della festa dei Santi patroni Pietro e Paolo. Ed è nel messaggio trasmesso al Patriarca ecumenico che Francesco ricorda l’importanza di questo scambio di delegazioni perché “segno visibile dei legami profondi” che già uniscono le due Chiese.

Nel testo, il Papa, come del resto già in passato, esprime il condiviso “desiderio di comunione sempre più profonda” e la speranza di poter testimoniare il reciproco amore “condividendo la stessa mensa eucaristica”. Nel cammino verso tale traguardo, Francesco sottolinea il sostegno dell’intercessione dei Santi patroni, così come dei martiri di ogni epoca. Fa riferimento poi al messaggio di impegno per il raggiungimento dell’unità scaturito dal Santo e Grande Concilio della Chiesa ortodossa, del giugno scorso a Creta, e lo definisce “fonte di vero incoraggiamento” per i cattolici. Si rivolge poi a Bartolomeo per lodarne le iniziative a favore dell’incontro e del dialogo, pur consapevole delle difficoltà nel cammino verso l’unità.

Nel ripercorrere la storia delle relazioni tra cristiani, segnata dai conflitti che ancora oggi toccano alcuni che “si aggrappano ad atteggiamenti del passato”,  Francesco invita alla preghiera, alle comuni opere buone, al dialogo, per superare le divisioni e avvicinarsi. Il dialogo degli ultimi decenni – si legge ancora – ha permesso che cattolici e ortodossi cominciassero “a riconoscersi l'un l'altro come fratelli e sorelle” e di qui ad annunciare il Vangelo, a servire l’umanità e la causa della pace. Una comprensione reciproca alla quale ha contribuito, aggiunge Francesco, il dialogo teologico intrapreso dalla Commissione mista internazionale, nonché il documento prodotto: “Sinodalità e Primato nel Primo Millennio. Verso una comune comprensione nel servizio all’unità della Chiesa”. Restano le domande, il Papa non lo tace, tuttavia la “riflessione condivisa sul rapporto tra sinodalità e primato nel primo millennio” potrà essere buona ispirazione per discernere il modo in cui il primato può essere esercitato “nella Chiesa, quando tutti i cristiani d'Oriente e d'Occidente saranno finalmente riconciliati”.

In conclusione, Francesco rievoca l’appuntamento del settembre scorso ad Assisi con altri cristiani e altre religioni, per lanciare un appello comune alla pace, perché fu “occasione gioiosa” per approfondire l’amicizia “che trova espressione in una visione condivisa per quanto riguarda le grandi questioni che toccano la vita della Chiesa e di tutta la società”. 

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Francesco incoraggia nuove vocazioni: uscire da sé stessi

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E’ stato reso noto oggi il Messaggio di Papa Francesco per la 54.ma Giornata mondiale di Preghiera per le vocazioni, che ricorrerà il 7 maggio prossimo. Nel documento il Santo Padre si sofferma sugli aspetti che caratterizzano la chiamata del Signore. Il servizio di Giancarlo La Vella

Che cosa caratterizza la vocazione cristiana? Papa Francesco chiarisce questo punto già all’inizio del documento. E’ l’invito a “uscire da sé stessi” per mettersi in ascolto, guidati dallo Spirito Santo, della voce del Signore, vivendo l’esperienza della comunità ecclesiale, come luogo privilegiato in cui la chiamata di Dio nasce, si alimenta e si esprime. Chi si è lasciato attrarre dalla voce di Dio e si è messo alla sequela di Gesù – scrive il Pontefice – scopre ben presto, dentro di sé, l’insopprimibile desiderio di portare la Buona Notizia ai fratelli, attraverso l’evangelizzazione e il servizio nella carità. In pratica è l’atteggiamento dell’essere e sentirsi missionari, di chi è amato da Dio e non può trattenere questa esperienza solo per sé. “La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli – scrive ancora riprendendo l’Esortazione Apostolica ‘Evangelii Gaudium’ – è una gioia missionaria”. E’ proprio la relazione col Signore – continua – che implica l’essere mandati nel mondo come profeti della sua parola e testimoni del suo amore. Ed è Dio che ci aiuta a fronteggiare, in questo cammino, fragilità, senso di inadeguatezza, pessimismo, per riaffermare che, in virtù del Battesimo, ogni cristiano è colui che porta Cristo ai fratelli. E ciò – sottolinea il Papa – vale in modo particolare per coloro che sono chiamati a una vita di speciale consacrazione e anche per i sacerdoti, che generosamente, con fiducia e serenità, hanno risposto: “Eccomi, Signore, manda me!”.

Prendendo spunto da tre passi evangelici, Francesco spiega cosa vuol dire essere discepolo missionario. Per prima cosa, come Cristo, essere unti dallo Spirito e andare verso i fratelli ad annunciare la Parola, diventando per essi uno strumento di salvezza. Poi, sentire la presenza viva di Gesù, che continua a camminarci al fianco come ai discepoli di Emmaus, che condivide l’impegno della missione, rendendo più lievi i momenti di scoramento. Infine – ricorda Francesco – guardare con fiducia al Signore, che supera le nostre aspettative e ci sorprende con la sua generosità, facendo germogliare i frutti del nostro lavoro oltre i calcoli dell’efficienza umana. Non deve poi mancare la preghiera, assidua, contemplativa, l’ascolto della Parola di Dio e la cura della relazione personale con il Signore nell’adorazione eucaristica.

Il Papa incoraggia ad essere amici intimi del Signore e implora dall’alto nuove vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Il Popolo di Dio ha bisogno di essere guidato da pastori che spendono la loro vita a servizio del Vangelo, innamorati del Vangelo, segno vivo dell’amore misericordioso di Dio. Infine, nel messaggio, il riferimento del Pontefice ai giovani: “Dinanzi alla diffusa sensazione di una fede stanca, i nostri giovani hanno il desiderio di scoprire il fascino sempre attuale della figura di Gesù, di lasciarsi interrogare e provocare dalle sue parole e dai suoi gesti e di sognare una vita pienamente umana, lieta di spendersi nell’amore.

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Il Papa riceve Martin Scorsese, dopo la presentazione del film "Silenzio"

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Questa mattina, nel Palazzo Apostolico, Papa Francesco ha ricevuto il regista Martin Scorsese, con la famiglia, insieme al produttore del film “Silenzio” e sua moglie. Lo rende noto un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede. Gli ospiti erano accompagnati da mons. Dario Edoardo Viganò, Prefetto della Segreteria per la Comunicazione. L’incontro - si legge -  è stato “molto cordiale” ed è durato circa quindici minuti. Il Papa ha raccontato ai presenti di aver letto “Silenzio”, il libro che ha ispirato l’ultimo film del regista, e ha quindi parlato della “semina” dei gesuiti in Giappone e del “Museo dei 26 Martiri”. Il regista ha donato al Santo Padre due quadri legati al tema dei “cristiani nascosti”: uno di questi raffigura un’immagine molto venerata della Madonna, opera di un artista giapponese del settecento. Il Pontefice ha offerto agli ospiti alcuni rosari.

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Chiusura Porta Santa in San Pietro: realizzata muratura interna

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La Sala Stampa Vaticana informa che ieri sera, alle 18:00, c'è stata la muratura interna della Porta Santa della Basilica di San Pietro, chiusa dal Papa alla fine dell'Anno Giubilare della Misericordia. 

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Le nomine del Papa

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Per le nomine di Papa Francesco, consultare il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Oggi in Primo Piano



Francia: Chiesa contro legge bavaglio ai siti che difendono la vita

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Il presidente dei vescovi francesi, mons. Georges Pontier, ha inviato una lettera al Presidente della Repubblica François Hollande per esprimergli la sua “grande preoccupazione” per il disegno di legge presentato dal Governo che mira ad estendere “il reato di 'ostacolo' all’interruzione volontaria di gravidanza” introdotto nel 1993 per rispondere ai movimenti pro-life che attaccavano i servizi ospedalieri che praticavano l’aborto, ed è punito con due anni di prigione e 30 mila euro di ammenda. La proposta, che sarà dibattuta domani dall’Assemblea Nazionale, ha come obiettivo quello di rendere penalmente perseguibili i siti francesi delle associazioni che, attraverso Internet, si dedicano all’ascolto delle donne che si trovano di fronte alla difficile scelta se abortire o meno. Sul no della Chiesa francese al disegno di legge, Hélène Destombes ha intervistato mons. Pontier 

R. – Depuis la lois vieille, tout ce qui avait été prévu pour laisser du temps à la femme enceinte …

E’ stato soppresso, rispetto alla vecchia legge, tutto quello che era previsto per lasciare del tempo alla donna incinta che si interrogava se tenere il bambino o abortire, e in un passo successivo c’è un forte incoraggiamento – tra virgolette – se non proprio l’obbligo all’aborto nella maggior parte delle situazioni che si presentino. I siti internet che si sono formati e che sono luoghi nei quali le persone possono ritrovarsi per dialogare, discutere delle loro domande, sono suscettibili di essere accusati di ostacolo all’aborto; mentre il fatto stesso che vi siano stati degli appelli rivolti a questi siti dimostra che vi siano persone a disagio, che non hanno più un posto nel quale confrontarsi e che si rivolgono quindi a questi “luoghi” nei quali trovano risposte alle loro domande, alle loro angosce. Questo è il primo punto: la banalizzazione dell’aborto nella cultura dei nostri giorni è inaccettabile, perché noi vediamo che non è un atto banale perché lascia segni profondi.

D. – Lei ha la sensazione che negli ultimi anni l’accento sia stato posto sul diritto all’aborto, che vi sia un atteggiamento più “militante”?

R. – Oui, c’est ça. Il y a une posture militante, et si on pose une interrogation  …

Sì, è così, c’è un atteggiamento “militante”. E se si solleva la domanda sullo status dell’embrione, sulla vita fin dal suo inizio, si viene subito accusati di essere contrari alla legge, contrari la libertà di abortire e via dicendo. C’è un irrigidimento …

D. – Come legge questa evoluzione e questo allontanamento dalla vecchia legge? Cosa ci dice della nostra società?

R. – Je pense que ça nous dit de notre société qu’il y a un éclatement …

Credo che ci dica, della nostra società che è in atto la distruzione dei concetti antropologici e quindi in modo particolare del rispetto della dignità della persona umana; inoltre ci dice che il cammino dell’individualismo, del ciascuno-fa-come-gli-pare-e-come-vuole è ormai totale, e così si evidenzia “il diritto della donna a gestire il proprio corpo come vuole”; non c’è più nulla che difenda il più debole, in questo caso il bambino che sta iniziando la sua vita …

D. – Un altro punto che lei tratta nella sua lettera riguarda la limitazione della libertà d’espressione. In che modo questa misura rappresenterebbe una vera minaccia, un attacco allo stesso principio di democrazia? Questo lei afferma nella lettera …

R. – On voit bien qu’on a eu dans notre Pays des grandes discussions légitimes au moment des attentats …

Sappiamo tutti che nel nostro Paese ci sono state discussioni – legittime – quando ci sono stati gli attentati di Charlie Hebdo sul diritto e sulla libertà d’espressione. In ogni ambito, nella nostra società è un fondamento, se non uno dei fondamenti e comunque una delle manifestazioni dell’esistenza della democrazia e del diritto di esprimersi in maniera libera. E in questo caso, abbiamo l’impressione che per ragioni “militanti” o ideologiche, ci sia una restrizione del diritto alla libertà d’espressione in internet e una definizione dell’espressione di difesa della vita come inaccettabile in seno alla nostra società.

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Comunità Giovanni XXIII all’Ue: creare in Siria zone umanitarie

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In Siria infuria la battaglia per la riconquista di Aleppo. L’Onu definisce ormai “spaventosa” la situazione nella città, con 20 mila civili in fuga dai combattimenti tra cui due bambini. Dovrebbe tenersi oggi stesso intanto, la seduta straordinaria del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, della quale la Francia ha chiesto la convocazione "immediata" per discutere del "disastro umanitario" in atto ad Aleppo. E ieri è stata resa nota una proposta dai siriani per la Siria: creazione di zone umanitarie, cessazione della guerra e creazione di un governo di consenso nazionale che rappresenti tutti i siriani. Questi alcuni dei punti salienti della richiesta inviata alla Commissione Europea da parte del popolo siriano stanziato nei campi profughi del nord del Libano. Promossa da Operazione Colomba, Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, l’istanza è stata accolta dal vicepresidente Ue Frans Timmermans, il quale ha ricevuto una delegazione di volontari della Comunità nella giornata di lunedì. Alberto Capannini, volontario di Operazione Colomba, ha spiegato a Sabrina Spagnoli in cosa consiste la petizione: 

R. – Noi abbiamo vissuto per tre anni e stiamo tuttora vivendo in un campo profughi del nord del Libano con dei profughi siriani e queste persone hanno sperimentato che non hanno nessuna possibilità di futuro nei campi profughi del Libano. Né possono tornare nella Siria, in cui abitavano perché le loro città sono ancora sotto bombardamento e il governo nel caso vincesse la guerra, non garantirebbe loro nessuna sicurezza, visto che sono stati già incarcerati, torturati, tanti di loro uccisi. Quindi loro dicono: noi, sul modello delle zone umanitarie in Colombia, vorremmo poter tornare in Siria, nel nostro Paese, con la protezione internazionale vorremmo non dare appoggio a nessuno dei gruppi armati che si stanno combattendo e chiediamo solamente di vivere.

D. –Qual è adesso la situazione sul territorio, cosa viene fatto per i siriani che si trovano nel nord del Libano, stanziati come profughi?

R. – Nel nord del Libano per questi siriani la situazione è durissima perché il Libano non ha firmato la Convenzione di Ginevra che riconosce diritti ai profughi, quindi non hanno neanche lo status di profughi. Non possono fare altri lavori che quelli legati all’agricoltura, oppure come manovali nella costruzione di case. Non possono avere documenti perché i documenti sono a pagamento e loro non possono permetterseli. Quei pochi che lavorano, lavorano alla giornata, per qualche dollaro al giorno. Una grande percentuale di bambini non va a scuola. Le scuole ci sono ma il trasporto è costoso. L’accesso alla sanità è complicatissimo perché c’è una specie di sanità garantita dalle Nazioni Unite ma copre solo alcuni tipi di operazioni. E comunque una parte della spesa va pagata dalla persona. E non c’è futuro.

D. – Lunedì siete stati ricevuti in Commissione europea, come è andato l’incontro con il vicepresidente Timmermans? Ha accolto questa vostra istanza?

R. – Ha accolto con molta simpatia e con molto impegno questa nostra istanza dicendo che suo figlio piccolo di 12 anni chiede sempre: “Tu, papà, che cosa stai facendo per la Siria?”. Lui dice: noi come Unione Europea dobbiamo fare una proposta che sia alternativa a quella della guerra. La nostra proposta nasceva da quello. Noi dicevamo: ma se noi volessimo fare una proposta alternativa alla guerra, che partisse dai profughi e non da chi sta facendo la guerra? Quindi ci ha accolto con molta buona disposizione. Gli abbiamo chiesto alcuni passi concreti per fare lanciare queste proposte e lui ce li ha concessi. La possibilità di far arrivare questa proposta anche allo staff di De Mistura e i delegati speciali dell’Onu per la Siria. Direi veramente in maniera positiva.

D. – Parlando adesso in generale, che tipo di sensibilità ha mostrato l’Europa nei confronti della Siria? Sono stati inviati aiuti?

R. – L’Europa sicuramente ha contribuito a sostenere l’Unhcr, le Nazioni Unite, per fare arrivare aiuti. Il problema è che se vogliamo ascoltare attentamente quello che ci chiedono questi profughi, chiedono una cosa molto grande e allo stesso tempo giusta, ed è questa: ci dicono che come Europa e noi come mondo non possiamo più permetterci delle guerre, non possiamo più pensare che le guerre rimangono confinate dove scoppiano. Penso che questi profughi ci chiedano un cambiamento molto forte, se vogliamo ascoltarli. Noi vorremmo provare a far questo. Vorremmo non tanto pensare a come risolvere il problema dei profughi ma ascoltare veramente cosa chiedono.

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Strasburgo: Corte Europea su caso della parrocchia romena di Lupeni

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Si arricchisce di una nuova sentenza la lunga controversia giudiziaria che da 15 anni vede la parrocchia greco-cattolica di Lupeni, in Romania, alle prese con un’azione legale, intentata nel 2001 al fine di rientrare in possesso di alcuni luoghi di culto che il regime comunista aveva assegnato alla Chiesa ortodossa romena. Ieri pomeriggio, la Grande Chambre della Corte Europea per i diritti dell'uomo di Strasburgo, pur non pronunciandosi direttamente sul diritto di proprietà dell’edificio sacro, ha preso posizione sul diritto a un equo processo da parte dei richiedenti (in base all’art. 6 della Convenzione Europea per i diritti dell’uomo), diritto del quale gli stessi richiedenti sostenevano la violazione.

Mons. Rudelli: sentenza “complessa” e bisognosa di una "lettura dettagliata"
In una nota, mons. Paolo Rudelli, osservatore permanente della Santa Sede al Consiglio d’Europa, riassume i punti centrali di una sentenza che definisce “complessa” e bisognosa di una “lettura dettagliata”. “La Corte – sottolinea – ha stabilito all’unanimità che vi è stata violazione dell’art. 6 in ragione del venir meno del principio della certezza del diritto (la Corte Suprema in Romania ha avuto una giurisprudenza contraddittoria nel corso degli anni) e in ragione dell’eccessiva durata del procedimento”. Al contrario, rimarca ancora, i giudici di Strasburgo hanno stabilito “con 12 voti contro 5 che non vi è stata violazione dell’art. 6 in ragione del diritto di accesso ad un tribunale e che nel godimento di tale diritto non vi è stata discriminazione della parrocchia greco-cattolica rispetto a quella ortodossa”. In particolare, la Corte ha ritenuto che la disposizione della legge del 1990 che chiede di tenere in conto il criterio della maggioranza dei fedeli per l’aggiudicazione delle proprietà non sia di per sé causa di discriminazione nel procedimento legale.

La sentenza limita le possibilità per la Chiesa greco-ortodossa di far valere per via giudiziaria le proprie ragioni
Proprio la disposizione del ’90 era stata valutata in modo contrastante dai tribunali rumeni nei 10 anni, dal 2001 al 2011, in cui si era sviluppata la causa finché la locale Corte di cassazione l’aveva fatta prevalere nella sua sentenza definitiva. Essendo la maggioranza dei fedeli ortodossi – e dunque sentendosi discriminata nelle sue possibilità di ottenere un giusto giudizio - la parrocchia di Lupeni si era rivolta alla Corte Europea, che però nel 2015 non aveva in sostanza riconosciuto la fondatezza del reclamo. Ora che anche il pronunciamento della Grande Chambre ritiene non discriminatorio il contenuto della disposizione, tutto ciò – osserva mons. Rudelli – limita “fortemente le possibilità per la Chiesa greco-cattolica di far valere per via giudiziaria le proprie ragioni di fronte ai tribunali rumeni”. Va comunque registrato, conclude il presule, “l’opinione minoritaria” sottoscritta da alcuni giudici di Strasburgo, che ritengono invece il sistema legislativo vigente “causa di discriminazione per la minoranza greco cattolica”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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Vescovi Sudafrica: triduo di preghiera per vittime di abusi sessuali

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“Chiediamo perdono per noi stessi e per il nostro clero per non avere fatto abbastanza nel riconoscere il dolore e il trauma fisico, emotivo e psicologico sofferto dalle tante vittime di abusi sessuali per mano di membri della famiglia, della società in generale e all'interno della nostra Chiesa” scrivono i vescovi della Southern African Catholic Bishops’ Conference (Sacbc) nel loro messaggio in risposta all’appello lanciato da Papa Francesco di pregare per le vittime degli abusi sessuali. Nel messaggio si comunica l’indizione di un triduo di preghiera e di digiuno che inizierà la sera di venerdì 2 dicembre e si concluderà con la celebrazione della Messa della II domenica di Avvento, il 4 dicembre.

Creare un ambiente sicuro per i bambini e le persone vulnerabili
I vescovi riconoscono “i propri errori sulle questioni degli abusi sessuali, soprattutto quando non siamo riusciti ad ascoltare il grido di coloro che hanno subito soprusi all'interno delle strutture della Chiesa e per la nostra incapacità di entrare in empatia con il loro dolore”. “Vogliamo lavorare - prosegue il comunicato - con tutte le strutture della società e soprattutto con i nostri sacerdoti, il personale e gli operatori ecclesiali, nella creazione di un ambiente sicuro per i bambini e le persone vulnerabili e nel soddisfare le esigenze della giustizia nel correggere i crimini e gli errori del passato in materia di abusi sessuali”.

Rispetto dei protocolli ecclesiali e delle leggi del Paese
“Ci impegniamo a seguire le disposizioni dei nostri protocolli ecclesiali in caso d’indagine di abuso sessuale all'interno delle nostre strutture e di attenerci alla legge del Paese in cui sono stati commessi i crimini” concludono i vescovi. (L.M.)

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Hong Kong. Card. Tong: matrimonio e famiglia pilastri della società

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“Insieme facciamo sì che la famiglia e il matrimonio cristiano siano il punto di partenza per l’esercizio di una carità operosa” esorta il card. John Tong Hon, vescovo della diocesi di Hong Kong, nella sua lettera pastorale per l’Avvento 2016 firmata il 20 novembre, solennità di Cristo Re.

Promuovere la preghiera e l’educazione dei figli
Il cardinale invita a dare più tempo, più amore, più misericordia e perdono alla famiglia, promuovendo la preghiera e l’educazione dei figli per affrontare le sfide sociali di oggi, come il divario tra ricchi e poveri, i conflitti e le contraddizioni, il peso della vita stessa, perché tutti possano godere della vita familiare, dove crescere mentalmente, spiritualmente e fisicamente. “Così saremo degni dell’arrivo del Salvatore!” ricorda il vescovo di Hong Kong.

Celebrazioni per l'Anno Santo dedicate a famiglia, matrimonio e difesa della vita
Nella lettera, riferisce l’agenzia Fides, il cardinale ripercorre l’Anno Santo della Misericordia appena trascorso, elencando le celebrazioni e le tante iniziative ad Hong Kong. Gran parte della pastorale diocesana è stata dedicata soprattutto alla famiglia, al matrimonio cristiano, alla difesa della vita, alla vita nel grembo materno.

Particolare attenzione ai divorziati, accompagnati con misericordia nel loro cammino di fede
“Negli ultimi 20 anni – scrive il cardinale - i fedeli della nostra diocesi si sono resi conto dell’importanza della vita familiare. Io stesso ho condiviso la nostra pastorale matrimoniale e familiare durante il Sinodo speciale dei vescovi”. Sono stati creati diversi gruppi, ognuno con un tipo specifico di pastorale: per i giovani, per i fidanzati, per le famiglie, “mobilitando le coppie dei fedeli con una solida esperienza di vita matrimoniale”. Dopo la celebrazione del Sinodo sulla famiglia, nella pastorale diocesana è stata data particolare attenzione ai divorziati, accompagnandoli con misericordia nel loro cammino di fede.
Il vescovo di Hong Kong sottolinea ripetutamente nella sua lettera che “la famiglia e il matrimonio sono il fondamento della società”, e la fede aiuta la famiglia ad affrontare le sfide, mentre “l’approfondimento della fede fortifica il legame tra famiglia e matrimonio”. (N.Z.)

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Arquata del Tronto: inaugurata nuova scuola prefabbricata

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“Sarà un Natale difficile” per chi vive nei comuni del Centro Italia colpiti dal sisma, ma non smettiamo un attimo di lavorare. Lo ha detto il capo del Dipartimento della Protezione civile, Fabrizio Curcio, durante il Forum Agi 'Viva l'Italia', annunciando l’arrivo ad Amatrice di 25 casette entro dicembre. Il percorso di ricostruzione - ha aggiunto - c'è, ma è lungo e “ognuno deve fare la sua parte".

Ad oggi sono circa 17.500 le persone assistite dalla Protezione civile in seguito alle forti scosse del 24 agosto, del 26 ottobre e del 30 ottobre. Finora, tramite sms al numero solidale 45500, sono stati donati quasi 19 milioni e mezzo di euro. Nel pomeriggio il premier Matteo Renzi sarà a Macerata e ad Ancona per incontrare i sindaci e gli amministratori locali dei comuni colpiti.

Intanto il terremoto non dà tregua all'Italia: la scossa più forte, di magnitudo 4.4 ieri pomeriggio nell'aquilano, ma un’altra di 3.6 era stata registrata nella notte precedente tra Marche, Lazio e Umbria con epicentro a 5 chilometri da Arquata del Tronto. Inoltre una scossa di magnitudo 3.7 è stata registrata dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia in provincia di Reggio Emilia alle 6:52 di oggi.

La prima neve non ha intanto fermato ieri ad Arquata la festa di inaugurazione di una scuola prefabbricata, capace di accogliere cento alunni, donata dalla Fondazione Rava di Torino e da diverse altre organizzazioni. Adriana Masotti ha sentito Michele Franchi, vicesindaco della località marchigiana: 

R. - È stata un’inaugurazione immersa nella coltre bianca della neve che scendeva piano piano; è stato un segnale di speranza per la nostra popolazione, per i nostri bambini e per le nostre famiglie che in futuro torneranno ad Arquata del Tronto. Il terremoto del 30 ottobre è stato quello che purtroppo ha fatto trasferire tutti quanti sulla costa, perché dopo il 30 abbiamo dovuto evacuare tutte le frazioni anche quelle che erano parzialmente agibili. Abbiamo completato la scuola in tempi brevissimi: il 15 novembre era pronta, ma l’abbiamo inaugurata senza fretta perché i bambini, purtroppo, in questo momento sono a San Benedetto a studiare. Però è un segno di speranza il fatto che questa scuola ora è disponibile, è pronta, è accogliente.

D. - Quindi è un locale che verrà utilizzato quando le famiglie con i bambini torneranno ad Arquata …

R. - Sì, ma questo è un “piccolo incidente” di percorso. Noi vogliamo comunque continuare a sperare. Voglio ricordare una cosa, visto che sto parlando con voi: l’incontro che abbiamo avuto il 4 ottobre con Sua Santità che è venuto a trovarci sotto la tensostruttura e ci aveva dato coraggio e portato un messaggio di forza per le popolazioni colpite, per le nostre vittime e ci aveva detto di andare avanti nonostante tutto. Noi  teniamo presente il messaggio anche oggi; lo portiamo sempre nel nostro cuore, perché la scuola di oggi è un segnale per il futuro. Se i bambini inizieranno a frequentarla a maggio, a giugno o a inizio anno non importa: la cosa importante è che ci andranno. Ora c’è un velo di tristezza, perché i bambini sono venuti a di inaugurarla però torneranno a scuola a San Benedetto non sappiamo fino a quando. Però è anche un segnale forte per dire che in futuro ci siamo e ci saremo.

D. - Quali piani si stanno facendo per permettere il rientro il prima possibile delle famiglie?

R. - I piani per far sì che le famiglie tornino ad Arquata del Tronto sono questi: prima di tutto iniziare con le nuove verifiche di agibilità delle case, degli edifici che, durante il primo terremoto, sono stati classificati come “agibili” e “parzialmente agibili”, così da vedere la quantità di casette effettive di cui abbiamo bisogno. Le aree sono già state individuate e sono state ampliate in attesa di queste nuove strutture; poi ripartiremo dalle case che sono agibili. Dobbiamo fare il possibile per mettere in sicurezza le case inagibili, che rendono "inagibilità indotta" a quelle abitazioni che sono ancora abitabili; speriamo che a primavera potremo avere casette e case agibili ad Arquata. Ripartiamo piano piano, ma siamo sicuri che a primavera o inizio estate ad Arquata ci saremo, anche durante la notte.

D. - Quante casette pensate di allestire? E quando dice “casette”, cosa intende?

R. - Le casette sono i moduli abitativi provvisori. Sono casette in legno, alcune in acciaio. Qui ad Arquata è stata scelta la struttura in legno. Diciamo che qui, prima della scossa del 30 ottobre, avevamo bisogno di circa 150 casette. Adesso il numero è aumentato, però stiamo anche valutando altre opzioni, perché molte persone hanno deciso di aspettare la ricostruzione della casa. Comunque il numero si attesta intorno alle 220 casette. Noi abbiamo speranza e non molliamo: vogliamo essere fiduciosi, speranzosi di poter tornare nel nostro territorio. Sconfiggeremo anche questo "mostro"… piano, piano.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 335

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