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Sommario del 25/11/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: dannazione eterna non è sala di tortura ma lontananza da Dio

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Scegliere di allontanarsi per sempre dal Signore è la dannazione eterna. Lo ha detto il Papa nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Francesco ha ammonito a non dialogare mai col diavolo, seduttore e truffatore, ma ad accostarsi all’ultimo incontro col Signore, nel giorno del Giudizio, con cuore umile. Il servizio di Gabriella Ceraso

In questi due ultimi giorni dell’Anno Liturgico, la Chiesa porta a compimento la riflessione sulla fine del mondo e il Papa ne parla ripercorrendo la prima Lettura dall’Apocalisse di San Giovanni. Come sarà il Giudizio universale, si chiede, e l’incontro finale con Gesù?

Diavolo, seduttore che rovina la vita, mai dialogare con lui
Il primo ad essere giudicato è il “drago, il serpente antico, che è il diavolo”, e che l’angelo sceso dal cielo getta nell’Abisso, incatenato perché questi "non seducesse più le nazioni: perché lui è il seduttore”, sottolinea Francesco:

“Lui è un bugiardo, di più: è il padre della menzogna, lui genera menzogne, è un truffatore. Ti fa credere che se mangi questa mela sarai come un Dio. Te la vende così e tu la compri e alla fine ti truffa, ti inganna, ti rovina la vita. ‘Ma, padre, come possiamo fare noi per non lasciarci ingannare dal diavolo?’. Gesù ci insegna: mai dialogare col diavolo. Col diavolo non si dialoga. Cosa ha fatto Gesù col diavolo? Lo cacciava via, gli domandava il nome ma non il dialogo”.

Anche nel deserto, infatti, soggiunge il Papa, Gesù non ha “mai usato una parola propria perché era ben consapevole del pericolo”. “Nelle tre risposte che ha dato al diavolo, si è difeso con la Parola di Dio”, la “Parola della Bibbia”. Mai dunque, dialogare con questo “bugiardo” e “truffatore”, sottolinea ancora il Papa, “che cerca la nostra rovina” e che “per questo sarà gettato nell’abisso”.

Nella pagina dell’Apocalisse appaiono poi le anime dei martiri, gli “umili” osserva il Papa, che hanno testimoniato Gesù Cristo e non hanno adorato il diavolo e i suoi seguaci, “il denaro, la mondanità, la vanità”, dando la vita per questo.

Dannazione è lontananza da Dio, non sala di tortura
Il Signore giudicherà "grandi e piccoli" per le loro opere, si legge ancora nell’Apocalisse, e i dannati saranno gettati nello “stagno di fuoco”. E’ questa “seconda morte" su cui Francesco si sofferma:

“La dannazione eterna non è una sala di tortura, questa è una descrizione di questa seconda morte: è una morte. E quelli che non saranno ricevuti nel Regno di Dio è perché non si sono avvicinati al Signore. Sono quelli che sempre sono andati per la loro strada, allontanandosi dal Signore e passano davanti al Signore e si allontanano da soli. E’ la dannazione eterna è questo allontanarsi continuamente da Dio".

Lontananza per sempre dal “Dio che dà la felicità”, dal “Dio che ci vuole tanto bene”, questo è il “fuoco”, ribadisce il Papa, questa ”la strada della dannazione eterna”. Ma l’ultima immagine dell’Apocalisse si apre alla speranza e anche Francesco lo fa.

Aprire il cuore a Gesù con umiltà, dà la salvezza
Se “apriamo i nostri cuori”, come ci chiede Gesù, e non andiamo per la nostra strada, avremo “la gioia e la salvezza”, “Cielo e terra nuovi” di cui si narra nella Prima Lettura. Lasciarsi dunque “carezzare” e “perdonare” da Gesù, senza orgoglio, ma con speranza, è l’invito finale:

“La speranza che apre i cuori all’incontro con Gesù. Questo ci aspetta: l’incontro con Gesù. E’ bello, è molto bello! E Lui ci chiede di essere umili e di dire: ‘Signore’. Basterà quella parola e Lui farà il resto”.

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Papa: cultura degli aborigeni non dev'essere lasciata scomparire

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La cultura degli aborigeni australiani “non dev’essere lasciata scomparire”: è quanto afferma Papa Francesco in un Messaggio in occasione del 30.mo anniversario della storica visita compiuta da San Giovanni Paolo II il 29 novembre 1986 ad Alice Spring, quando incontrò gli aborigeni e gli isolani dello Stretto di Torres, in Australia.  Il Messaggio è stato inviato dal  nunzio apostolico a Canberra, mons. Adolfo Tito Yllana, al presidente del Consiglio cattolico degli aborigeni e degli isolani dello Stretto di Torres, John Lochowiak. Il servizio di Sergio Centofanti

Papa Francesco esprime la sua “spirituale vicinanza” agli aborigeni australiani e la sua “profonda stima” per il loro “antico patrimonio culturale” che manifesta “la genialità e la dignità” di questo popolo.  Ricorda le parole di Giovanni Paolo II, pronunciate 30 anni fa: “Non crediate che i vostri doni valgano così poco da non dovervi più preoccuparvi di conservarli. Condivideteli tra di voi e insegnateli ai vostri figli. I vostri canti, le vostre storie, le vostre pitture, le vostre danze, le vostre lingue, non devono mai andare perdute”.

“Quando condividete le nobili tradizioni della vostra comunità - scrive Francesco - voi testimoniate anche il potere del Vangelo di perfezionare e purificare ogni società e in questo modo si compie la santa volontà di Dio”.

Già nel suo storico discorso, Giovanni Paolo II aveva ricordato che il Vangelo “parla tutte le lingue. Apprezza e abbraccia tutte le culture. Le sostiene in tutte le cose umane e, se necessario, le purifica”. Papa Wojtyla aveva denunciato gli abusi compiuti dai colonizzatori europei che hanno espropriato i territori abitati da sempre dagli aborigeni, considerandoli “terra di nessuno”.

Nel 1992 l’Alta Corte australiana ha emesso una storica sentenza stabilendo il declino del principio di “terra nullius”. Il 21 giugno scorso, dopo una battaglia durata quasi 40 anni, il popolo aborigeno australiano dei Larrakia ha finalmente riottenuto le sue terre ancestrali: 52mila ettari nel Territorio del Nord, nei pressi di Darwin.

Parlando con i Gesuiti il 24 ottobre scorso, Papa Francesco è ritornato sulla questione dei popoli indigeni, sottolineando che oggi la globalizzazione uniformante e distruttiva li vuole annullare. Invece, le loro culture “vanno recuperate”.  In campo ecclesiale, riferendosi all’epoca coloniale, ha affermato che l’ermeneutica di quel tempo “consisteva nel cercare la conversione dei popoli”: era “un’ermeneutica di tipo centralista, dove l’impero dominatore in qualche modo imponeva la sua fede e la sua cultura. È comprensibile che a quell’epoca si pensasse così, ma oggi è assolutamente necessaria un’ermeneutica radicalmente differente” che valorizzi “ogni popolo, la sua cultura, la sua lingua”. Il Papa si riferisce alla positiva esperienza di inculturazione tentata dai missionari gesuiti Matteo Ricci in Cina e Roberto de Nobili in India: “Essi furono pionieri, ma una concezione egemonica del centralismo romano frenò quell’esperienza, la interruppe. Impedì un dialogo in cui le culture si rispettassero”. 

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Papa: quando comandano in pochi e i soldi, la gente sta male

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Siamo fatti per stare con gli altri, la possibilità di farci male “non sta nell’incontro ma nella chiusura e nel rifiuto” di un malato, di un immigrato, di un povero. Così il Papa nel videomessaggio per la sesta edizione del Festival della Dottrina sociale della Chiesa, in corso fino a domenica a Verona e dedicato al tema: “In mezzo alla gente”. Il Pontefice spiega che solo stando col prossimo, partendo “dal basso”, si possono aiutare gli ultimi, comprendendo che il bene è più forte del male. Il servizio di Giada Aquilino

Siamo fatti per vivere con gli altri
Stare con gli altri, in “qualsiasi situazione” essi si trovino, diventando “capaci di non escludere nessuno”. È l’auspicio di Papa Francesco ai partecipanti al Festival della Dottrina sociale della Chiesa, in cui il Pontefice riflette sullo stare insieme, chiarendo che “i ruoli che ognuno svolge all’interno delle dinamiche sociali non possono mai essere isolati o assolutizzati” perché “siamo fatti per stare con gli altri”:

“Quando il popolo è separato da chi comanda, quando si fanno scelte in forza del potere e non della condivisione popolare, quando chi comanda è più importante del popolo e le decisioni sono prese da pochi, o sono anonime, o sono dettate sempre da emergenze vere o presunte, allora l’armonia sociale è messa in pericolo con gravi conseguenze per la gente: aumenta la povertà, è messa a repentaglio la pace, comandano i soldi e la gente sta male. Stare in mezzo alla gente quindi fa bene non solo alla vita dei singoli ma è un bene per tutti”.

Ci facciamo male se scegliamo isolamento e chiusura
Ognuno di noi, ricorda Francesco, è “parte di un popolo”: la vita concreta è possibile perché non è la “somma di tante individualità” bensì “l’articolazione di tante persone che concorrono alla costituzione del bene comune”. Essere insieme quindi aiuta a “vedere l’insieme”:

"E’ l’isolamento che fa male non la condivisione. L’isolamento sviluppa paura e diffidenza e impedisce di godere della fraternità. Bisogna proprio dirci che si corrono più rischi quando ci isoliamo di quando ci apriamo all’altro: la possibilità di farci male non sta nell’incontro ma nella chiusura e nel rifiuto”.

Farsi carico di poveri, malati, migranti
Quando - prosegue - ci prendiamo cura dell’altro, facendocene “carico” nel caso di un ammalato, un anziano, un immigrato, un povero, un disoccupato, “ci complichiamo meno la vita di quando siamo concentrati solo su noi stessi”. Lo stare in mezzo alla gente, aggiunge il Papa, significa anche lasciarci incontrare, perché “abbiamo bisogno di essere guardati, chiamati, toccati, interpellati” dagli altri per poter essere “resi partecipi” di tutto ciò che “solo” il prossimo può darci:

“La relazione chiede questo scambio tra persone: l’esperienza ci dice che di solito dagli altri riceviamo di più di quanto diamo. Tra la nostra gente c’è un’autentica ricchezza umana. Sono innumerevoli le storie di solidarietà, di aiuto, di sostegno che si vivono nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità”.

Il bene è più forte del male
È impressionante, osserva ancora il Pontefice, come alcune persone vivano “con dignità la ristrettezza economica, il dolore, il lavoro duro, la prova”:

“Incontrando queste persone tocchi con mano la loro grandezza e ricevi quasi una luce per cui diventa chiaro che si può coltivare una speranza per il futuro; si può credere che il bene è più forte del male perché ci sono loro”.

Partire dal basso e ascoltare gli ultimi
Stare in mezzo alla gente, mette in luce Francesco, evidenzia la “pluralità di colori, culture, razze e religioni”, perché è la gente che fa “toccare con mano” la ricchezza e la bellezza della diversità.

“Solo con una grande violenza si potrebbe ridurre la varietà e uniformità, la pluralità di pensieri e di azioni ad un unico modo di fare e di pensare. Quando si sta con la gente si tocca l’umanità: non c’è mai solo la testa, c’è sempre anche il cuore, c’è più concretezza e meno ideologia. Per risolvere i problemi della gente bisogna partire dal basso, sporcarci la mani, avere coraggio, ascoltare gli ultimi”.

L’insegnamento dei fatti
È solo stando in mezzo alla gente, poi, che si ha accesso “all’insegnamento dei fatti”, spiega Francesco raccontando della morte di una ragazza di 19 anni. Ai funerali, c’era un dolore immenso, ma non disperazione: c’era la percezione di una certa “serenità” nei presenti, soprattutto nella madre, certa di aver ricevuto la “grazia” di tale serenità:

“La vita quotidiana è intessuta di questi fatti che segnano la nostra esistenza: essi non perdono mai efficacia anche se non entrano a far parte dei titoli dei quotidiani. Succede proprio così: senza discorsi o spiegazioni si capisce cosa nella vita vale o non vale”.

L’esempio della Vergine Maria
L’invito conclusivo è a guardare Maria per trovare il modo migliore di stare in mezzo alla gente: la Vergine nella sua umiltà “non è mai al centro della scena ma è una presenza costante” e, grazie a Lei, possiamo percorrere “tutti i sentieri dell’umano senza paure e pregiudizi”.

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Udienze del Papa

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Per le udienze del Papa consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Papa: quante donne sopraffatte dalla violenza! Dio le vuole libere

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Oggi il mondo celebra la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne: sono vittime dei mariti, dei fidanzati, dei compagni, dei familiari, ma sono vittime anche della guerra, dei conflitti e degli esodi forzati. Tanti gli appelli a non lasciarle sole. Proprio oggi Papa Francesco ha pubblicato un tweet: “Quante donne sopraffatte dal peso della vita e dal dramma della violenza! Il Signore le vuole libere e in piena dignità”. Il servizio di Francesca Sabatinelli

I numeri della violenza sulle donne continuano a restare alti in tutto il mondo, nonostante nel tempo si sia cercato di sensibilizzare affinché si mettesse fine a questo turpe e drammatico fenomeno. Ovunque l’essere donna espone al rischio di subire violenza, che sia familiare, casalinga o perpetrata in teatri di conflitto. Da sempre, sul corpo delle donne, si combattono anche le guerre, prova ne è stata nei decenni lo stupro utilizzato come arma. Sempre più donne e ragazzine vanno incontro al rischio di violenza durante le crisi umanitarie. Brunella Pacia, della onlus Plan International Italia:

R. – Le bambine, le adolescenti, le giovani madri, il cui capofamiglia ha dovuto lasciare il villaggio in cerca di fortuna, si ritrovano a vivere in un cespuglio perché è l’unica loro protezione durante un conflitto, o una crisi che può anche essere dovuta ad una calamità. Sono sempre più a rischio violenza, perché basta allontanarsi da questa minima protezione per andare a raccogliere acqua o legna per il fuoco o andare in bagno, per rischiare di essere violentate dai soldati, dalle milizie, ma anche dalle persone che vivono nello stesso villaggio, quindi famigliari, soldati della propria parte.

D. - Nella Giornata contro la violenza sulle donne Plan International pone un interrogativo molto forte, molto importante: chi si ricorda delle bambine esuli?

R. – Spesso sono bambine senza genitori che hanno come unica soluzione quella di lasciare il proprio villaggio e vagare, sono anche le bambine, le adolescenti che, con la madre, cercano di raggiungere il proprio famigliare che si è allontanato in cerca di fortuna. Nel viaggio, ovviamente, sono alla mercé di qualunque cosa, di qualunque persona, quindi possono essere coinvolte in traffico umano, e poi le violenze fisiche e psicologiche sono innumerevoli. Quando poi magari riescono a raggiungere un campo umanitario, un campo di accoglienza, non è detto che trovino protezione perché si tende a dare loro cibo, acqua, ma manca proprio quello di cui loro hanno più bisogno: la protezione. Infatti, in un’indagine svolta in un campo profughi della Liberia, è emerso che l’abuso sui bambini, ma specialmente sulle bambine sotto i 15 anni, era una cosa normalissima e perpetrata dagli stessi ufficiali del campo, dagli insegnanti e dagli impiegati governativi.

D. - Sottolineate anche un altro esempio: quello della Tanzania, dove ci sono le donne del Burundi …

R. – Sì, nel campo di Knembwa il 26% delle donne e delle bambine del Burundi tra i 12 e 49 anni, che avevano già subito una violenza fisica per ragioni di etnia, sono state ulteriormente violentate come rifugiate.

D. - Senza considerare poi che una volta arrivate, ad esempio in Europa, queste giovani donne, queste ragazzine, inevitabilmente finiscono nella rete dello sfruttamento della prostituzione …

R. - Assolutamente, cosa che succede anche nel loro villaggio, anche durante il viaggio. Entrano in questa rete che lascerà delle profondissime ferite su di loro che non potranno mai dimenticare. Loro sono le vittime silenziose e invisibili del nostro mondo, purtroppo.

D. - Un altro dato estremamente drammatico è quello dei matrimoni prematuri …

R. - Sì, nel mondo 15 milioni di bambine si sposano ogni anno. Questo vuol dire una ogni due secondi. Purtroppo, in caso di crisi umanitaria si è visto che i matrimoni prematuri aumentano sempre, perché i genitori, in un certo senso, vogliono quasi mettere al sicuro la propria figlia dandola sposa ad uno sconosciuto, molto più grande, il quale darà in cambio qualche genere alimentare, una capra: la bambina viene utilizzata come una merce, purtroppo. E questo si vede ulteriormente quando le bambine, le adolescenti perdono i loro genitori e vengono affidate a qualche famigliare, o a qualcuno del villaggio, il quale, per prima cosa, cerca di liberarsene in quanto un peso, purtroppo, dandola in sposa.

D. - Perché questa Giornata contro la violenza sulle donne non abbia soltanto un valore simbolico, che appello lancia Plan International?

R. - Plan International lancia la sua campagna “Because I’m a girl” con cui Plan International Italia ha sviluppato due progetti: uno in Etiopia e l’altro in Sierra Leone, con l’obiettivo di frenare i matrimoni prematuri istruendo le bambine, formandole, dando loro un lavoro, in modo tale che siano economicamente indipendenti e possano ritardare il matrimonio.

In Italia, ogni tre giorni, viene uccisa una donna, perlopiù in ambito familiare. Nei primi mesi del 2016, le vittime di femminicidio sono state 116, e si è registrata una diminuzione del solo 3,3% rispetto allo scorso anno. Le cifre sono state fornite dall’indagine di Eures, l’Istituto di ricerche economiche e sociali, dedicata al drammatico fenomeno che rileva come sia l’età media delle vittime sia piuttosto elevata e come il nord del Paese si confermi l’area a più alto rischio femminicidio. “La violenza contro le donne è  inaccettabile, è una ferita all'intera società” ha detto il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, per il quale l’eliminazione di tale “piaga ancora aperta” è “obiettivo che ogni Paese civile deve perseguire con decisione”. L’avvocato Paola Lattes è la vicepresidente di Telefono Rosa:

R. – Siamo in una situazione allucinante. Nella gente non c’è la percezione della violenza e del tipo di violenza che viene perpetrata nei confronti delle donne. Purtroppo il pericolo è veramente in agguato per tutti. Il dispregio, essere sempre caricata di insulti, è già violenza. Questo non viene percepito.

D. – La ricerca di Eures ci indica che la percentuale più alta di femminicidio si compie al Nord Italia. Confermate?

R. – Noi confermiamo che dalla Lombardia ci giungono molte telefonate relative alla violenza subita. Però io direi che nelle altre regioni d’Italia forse c’è meno percezione.

D. - Qual è il tipo di violenza maggiormente esercitata sulle donne?

R. - Sicuramente la violenza di tipo piscologico. È in lieve calo la violenza fisica ed è in crescita quella economica. Quindi direi che la violenza in tutte le sue sfaccettature c’è sempre ed è sempre tanta. È importantissimo che le donne siano educate a riconoscere la violenza, perché non è possibile pensare che le donne, ancora oggi, subiscano in quanto pensano che ciò sia dovuto. Non è possibile!

D. – Ci sono dei tratti in comune tra chi subisce e chi violenta?

R. – Nel fare le schede facciamo sempre delle domande relative alla famiglia di origine della persona che denuncia la violenza subita e della persona che agisce violentemente. Abbiamo notato che, spesso, sia l’uno che l’altro provengono da famiglie violente. È come se la donna che subisce la violenza abbia davanti a sé l’esempio di una madre che ha subito violenza e l’uomo che agisce violentemente abbia davanti a sé l’esempio di un padre che si è comportato così con la madre. Per questo motivo sostengo che bisogna intervenire sui bambini, perché solo educandoli e seguendoli nel loro percorso scolastico è possibile far cambiare la mentalità.

D. – Viene spontaneo chiedersi, da spettatori di tragiche notizie che si ripetono, come mai queste donne spesso vadano, quasi consapevolmente, incontro alla morte, ad esempio accettando di incontrare, in situazioni abbastanza isolare, persone che già si sono macchiate di violenza nei loro confronti …

R. – Perché, come donne abbiamo “L’io ti salverò”. Questo aspetto della psicologia femminile esiste ancora.

D. – Si può fare un identikit culturale o si appartiene a tutte le fasce sociali e culturali?

R. – Chi chiama normalmente appartiene ad una fascia culturale abbastanza alta. Quasi tutte hanno la licenza di scuola media superiore, se non la laurea. Sono quelle che finalmente riescono a percepire la violenza come tale; mentre nelle fasce con minor cultura la violenza  è considerata un fatto cui non ci si può opporre.

D. – Quali sono secondo lei gli strumenti più importanti che in questo momento sono allo studio per aiutare le donne?

R. – Sicuramente quello che si sta facendo e studiando adesso presso i pronto soccorso degli ospedali, cioè il fatto che la persona che si presenta al pronto soccorso possa essere individuata come vittima di una violenza di genere, perché la persona che ha subito violenza in famiglia arriverà all’ospedale dicendo che le lesioni subite dipendono da una caduta dalle scale, non dirà immediatamente che ha ricevuto un pugno nelle costole, che qualcuno l’ha picchiata. Bisogna che la persona che riceve la vittima sia in grado di percepire che sta dicendo delle bugie e, da lì, farle capire che continuando a nascondere non salva né la famiglia, né i bambini. Deve, in qualche modo, prendere coscienza di quello che effettivamente esiste, cioè violenza in famiglia.

D. – La società che è attorno alle vittime, i famigliari, gli amici, i vicini di casa, sono diventati più consapevoli? C’è più denuncia anche da parte di terzi?

R. – Direi che ce ne è pochissima. Adesso, ogni tanto, iniziano i genitori della vittima, i quali si rendono conto e cominciano a chiedere aiuto soprattutto sul come comportarsi.

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Al via in Vaticano i lavori della Commissione su Diaconato femminile

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Al via oggi, in Vaticano, la prima riunione della Commissione di Studio sul Diaconato delle donne, istituita da Papa Francesco lo scorso 2 agosto per fare uno studio oggettivo sulla situazione nei primi tempi della Chiesa. Sotto la presidenza di mons. Luis Francisco Ladaria, i membri della Commissione si riuniscono nel corso di due giornate, in sessioni mattutine e serali, presso la sede della Congregazione per la Dottrina della Fede.

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Trinità dei Monti: entra in vigore accordo Santa Sede-Francia

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La Santa Sede e la Repubblica francese, con rispettive Note Verbali del 22 agosto 2016 e del 23 novembre 2016, hanno notificato il compimento delle relative procedure, richieste per l’entrata in vigore dell’Avenant alle Convenzioni diplomatiche del 14 maggio e dell’8 settembre 1828 e agli Avenants del 4 maggio 1974, del 21 gennaio 1999 e del 12 luglio 2005, relativi alla chiesa e al convento della Trinità dei Monti a Roma, che era stato firmato il 25 luglio 2016. Pertanto, l’Avenant è entrato in vigore il 23 novembre 2016, a norma dell’Articolo 4 dell’Accordo medesimo.

Ricordando il carattere francese del complesso della Trinità dei Monti, l’Accordo esprime riconoscimento per l’opera ivi svolta dall’Ordine dei Minimi dal XV al XVIII secolo, dalla Società del Sacro Cuore di Gesù dal XIX secolo al 2006, e dalla Fraternité monastique des Frères de Jérusalem e dalla Fraternité monastique des Sœurs de Jérusalemdal 2006 ad oggi.

Prendendo atto dell’impossibilità per le suddette Fraternità monastiche di continuare tale missione, la chiesa e il convento della Trinità dei Monti vengono affidati alla Communauté de l’Emmanuel, associazione pubblica internazionale di fedeli di diritto pontificio, fondata in Francia nel 1972.

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Scienziati in Vaticano. Zichichi: acqua ed energia tra emergenze planetarie

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Scienziati di fama internazionale sono riuniti da oggi a martedì prossimo per la plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, presso la Casina Pio IV, in Vaticano. Al centro dell’incontro “Scienza e Sostenibilità. Impatto delle conoscenze scientifiche e della tecnologia sulla società umana e sul suo ambiente”. Lunedì i partecipanti saranno ricevuti in udienza dal Papa. Il servizio di Debora Donnini

Come le conoscenze scientifiche e tecnologiche possono venire incontro ad uno sviluppo umano sostenibile, che guardi alle generazioni future. Questa la sfida al centro della discussione della plenaria della Pontificia Accademia per le Scienze. Tra i focus di questi giorni, la questione energetica e dell’alimentazione, con uno speciale sguardo alla cosmologia in occasione del 50.mo anniversario della morte di mons. Georges Lemaître, sacerdote e astronomo belga. Sullo sfondo l’Enciclica di Papa Francesco dedicata a questi temi, Laudato si'. A presentare stamani la sessione il cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, mons. Marcelo Sànchez Sorondo. Fra i nomi degli scienziati di fama internazionale presenti, spicca anche quello del noto astrofisico britannico, Stephen Hawking. Papa Francesco ha portato l’attenzione della cultura moderna sul bisogno di un’alleanza fra fede, scienza e tecnologia, mette in evidenza il fisico Antonino Zichichi:

R. – E che questo non sia un sogno, ma una cosa realizzabile lo ha dimostrato il Parlamento polacco che - il 15 ottobre scorso - ha organizzato una seduta di un giorno dedicata interamente allo studio delle emergenze planetarie basandosi su rigorose considerazioni scientifiche, che portano alla conclusione che, in effetti, quello che Papa Francesco vuol dire ha il sostegno totale della comunità scientifica.

D. – Lei ha parlato di 72 emergenze planetarie: quali sono le principali?

R. – Sono tutte allo stesso livello. Qualche esempio, l’acqua, l’energia, il suolo, la difesa da sistemi catastrofici…

D. – Qual è lo scopo di questi workshop sulla scienza, di  questo scambio di vedute fra scienziati?

R. – E’ fondamentale! Tutti confondono la scienza con la tecnica: a chi, noi scienziati, dobbiamo il riconoscimento fondamentale per aver distinto nettamente la scienza dalla tecnica? A Giovanni Paolo II che ha detto che l’uso della scienza non è più scienza: è tecnica. E la tecnica può essere pro e contro.

D. – Lei è un grande scienziato, è un grande fisico, ha studiato soprattutto le particelle. Come ha trovato le tracce di Dio nella scienza?

R. – Io perché sono credente? Per atto di fede. La cultura atea però non si accorge di essere contraddittoria, perché il messaggio della scienza – detto in termini telegrafici – è che esiste una logica che regge il mondo. Se non esistesse questa logica, io non avrei potuto scoprire nulla: né l’antimateria nucleare, né l’energia effettiva e tante altre cose che ho fatto in prima persona… Il messaggio della scienza è che siamo figli di una logica e non del caos! Se siamo figli di una logica, chi è l’autore di questa logica? La cultura atea dice nessuno, ma non lo sa dimostrare. Se fosse vero quello che dice la cultura atea, io sarei disoccupato, perché non esisterebbe una logica, esisterebbe il caos. Ma non potrebbe essere alla base il caos, perché noi dovremmo scoprire il caos e invece scopriamo sempre nuove leggi, nuove regolarità che corroborano, che dimostrano l’esistenza di una logica.

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Mons. Sorondo: no alla legalizzazione delle droghe leggere

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No alla legalizzazione delle cosiddette droghe leggere. Così mons. Marcelo Sànchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, a conclusione del convegno in Vaticano sulle sostanze stupefacenti. Ieri i circa 60 partecipanti sono stati ricevuti dal Papa, tra loro anche la Regina Silvia di Svezia e di Yury Fedotov, direttore dell’Ufficio Onu che si occupa di droga e crimine. Francesco ha rivolto loro un discorso molto forte. Massimiliano Menichetti ha intervistato lo stesso mons. Sorondo, che ha promosso il convegno: 

R. – Il Papa ha parlato di questa ferita, di questa piaga che è presente in tutto il mondo e che tocca non solo i poveri, ma tocca tutti. E’ una nuova forma di schiavitù che ha chiamato “chimica” e che dobbiamo risolvere. Il Papa naturalmente insiste molto nel quadro generale e quindi sull’importanza della giustizia, dell’uguaglianza e della prevenzione; sull’educazione, sulla solidarietà, sulla socializzazione, incluso lo sport - come ha detto in altre occasioni - e sulla creazione di vere e proprie comunità, in cui la gente non senta l’isolamento che può portarla alla droga. Ha parlato della necessità di avere un quadro più preciso riguardo alla produzione, alla diffusione e alla distribuzione della droga; ma anche della contaminazione fra le mafie e i governi.

D. – Nel convegno si è ribadito con forza, come ha detto anche il Papa l'urgenza della lotta alle mafie e alla corruzione. C’è chi ha parlato però di un'ipocrisia della Comunità internazionale”…

R. – Effettivamente c’è ipocrisia nella misura in cui i governi non se ne occupano sufficientemente. C’è qualcuno che ha detto – ed è un po' vero – che fanno “come se”: quindi il famoso “come se” che usano i politici per far vedere che fanno qualcosa, ma che in fondo non fanno niente! C’è omissione e qualche volta c’è compromesso. Il Papa ha parlato dell’Argentina, che è passata dall’essere un Paese di distribuzione della droga, all’essere un Paese di produzione e di consumo. E naturalmente questo non è successo senza che non ci sia stata connivenza con lo Stato. Questo vale anche per altri Paesi latinoamericani - pensiamo al Messico, alla Colombia - ma anche del mondo asiatico, dove avviene altrettanto.

D. – Il convegno da voi organizzato ha analizzato a 360° il fenomeno delle droghe: dall’uso in campo medico-sanitario alle tossicodipendenze, dal traffico di droga, al traffico di esseri umani, dall’attenzione sui bambini, alla prevenzione e all’educazione. Qual è il bilancio di questa due-giorni di lavori?

R. – Un risultato anzitutto è l’essere arrivati ad una consapevolezza del problema. Le grandi forze occulte che utilizzano la droga, la utilizzano per il profitto e quindi hanno rapporti con altre forme di schiavitù: hanno rapporti con il lavoro forzato, con la prostituzione e con la vendita degli organi della quale ci siamo anche occupati ... In questo senso, quindi, la prima cosa è conoscere le cause, l’aver individuato i "poteri forti" e le connivenze con gli Stati. Tutto questo avviene in un quadro generale per una ingiustizia generale: una ingiustizia perché - ad esempio - non si è stati effettivamente consapevoli degli effetti negativi della globalizzazione. Ma più concretamente perché c’è una mancanza di educazione: pensi che il 50 per cento dei giovani di questo mondo non ha educazione e questi giovani naturalmente che non hanno educazione, che non hanno una famiglia – il Papa ha parlato anche della famiglia – sono vittime di questa condizione e di chi vuole sfruttarli.

D. – Sullo sfondo di questo convegno c’è anche il fatto che molti Paesi del mondo stanno legalizzando le cosiddette droghe leggere…

R. – Qualcuno ha detto che la liberalizzazione della droga serve in campo sanitario come cura. Però, in generale, la droga cosiddetta leggera non è leggera, perché danneggia il cervello! Vuole essere – come è stato detto – il cavallo di Troia per le droghe più pesanti. Quindi: no alla droga leggera! E poi educazione e prevenzione contro l’alcool, contro il tabacco e contro il peggiore di tutto, che è la droga.

D. – Il Papa ha detto: “Andate avanti cosi”. Qual è la vostra prossima sfida?

R. – Vogliamo continuare a studiare tutto questo fenomeno: le sue dimensioni, le sue cause e le sue soluzioni. Vorremo studiare ancora più profondamente gli effetti che si hanno sul cervello, perché effettivamente – e anche questo è stato detto – la droga blocca le difese del cervello, blocca la comunicazione stessa del cervello e le membrane che fanno da comunicazione; e le blocca in modo tale che non è poi facile da recuperare.

D. – E’ stato detto che il cervello cambia…

R. – Il cervello cambia radicalmente e diminuisce le sue possibilità. Quindi l’uomo perde, in certo modo, la sua dignità e non è più motivato. E’ stato detto che ci sono alcuni animali che assumendo droga, non hanno più alcuna motivazione a vivere e muoiono. Per evitare tutto questo è necessario fare educazione, comunità, sport, giustizia e guardare al problema: questo problema ci invade, rappresenta il grande problema del nostro tempo insieme alle altre forme di schiavitù.

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In corso in Vaticano la Lotteria di beneficenza di Papa Francesco

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Il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano ricorda che è in corso la quarta edizione della Lotteria di beneficenza per le opere di carità del Santo Padre. Il ricavato verrà devoluto in parte in favore delle popolazioni del Centro Italia colpite dal sisma dello scorso 24 agosto e del 30 ottobre, ed in parte ai senzatetto. L’iniziativa si concluderà il 2 febbraio 2017 con l’estrazione dei biglietti vincenti. I biglietti, al costo di 10 Euro ciascuno, sono in vendita sul territorio Vaticano e sul sito www.vaticanstate.va.

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Oggi in Primo Piano



Incendi in Israele: p. Vasaturo, solidarietà dai palestinesi

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Quarto giorno di incendi in Israele, con le fiamme che hanno raggiunto le colline di Beit Meir a una decina di chilometri da Gerusalemme, mentre a Haifa, particolarmente colpita nelle scorse ore, la polizia ha annunciato che la situazione è tornata sotto controllo. In tutto il Paese trasporti interrotti, case abbandonate, scuole e asili chiusi, strade sbarrate, prigioni svuotate per motivi di sicurezza. Decine di migliaia le persone evacuate, oltre 100 hanno avuto bisogno di cure al pronto soccorso. Alcuni media israeliani hanno riferito come a Gaza Hamas avrebbe “esultato” per gli incendi, mentre il presidente palestinese Mahmud Abbas ha inviato aiuti allo Stato ebraico. La polizia ha fatto sapere di aver fermato circa 12 persone, secondo fonti locali in gran parte palestinesi dei Territori, sospettati di aver contribuito alle fiamme o di aver istigato agli incendi sul web. Per una testimonianza diretta, Giada Aquilino ha intervistato padre Arturo Vasaturo, francescano della Custodia di Terra Santa, direttore generale della Scuola italiana di Haifa: 

R. – Ci sono stati degli incendi nella parte alta di Haifa. La città è sviluppata sul mare, ma buona parte, piano piano, si è estesa fin sulle catene montuose del Carmelo, per vari chilometri. Quindi la parte vicino al mare non ha sofferto granché, ma andando sulla montagna ci sono stati tanti focolai molto seri.

D. - Il monastero è stato toccato?

R. – Né il monastero né la scuola sono stati toccati. Noi siamo vicino al mare, nella vecchia città araba. Nel nostro quartiere sono tutte case e ci sono pochissimi alberi, per cui l’incendio si è sviluppato al Nord, dove al contrario ci sono moltissimi alberi.

D. – Che danni ci sono stati?

R. – I danni sono perlopiù alla vegetazione. Molte case sono state bruciate e circa 60 mila persone hanno dovuto lasciare le proprie case. Infatti, in questi due giorni, soprattutto ieri, c’è stato un vento secco e fortissimo ed è bastato poco perché gli incendi si sviluppassero.

D. - Quali sono le cause? La siccità, i forti venti, il dolo?

R. – Si parla anche di dolo. Qui in Israele si è parlato subito di “terrorismo”, però ieri sera vedevo in televisione che questa questione si è un po’ calmata. Forse sono stati fatti degli sbagli, un mozzicone di sigaretta… Il guaio è che il fuoco si è sviluppato in varie parti della città e c’è stato un allarmismo forte.

D. – A livello politico il premier Netanyahu ha parlato appunto di incendi dolosi, come “atti di terrorismo” e come tali - ha detto - “saranno trattati”. Sarebbero stati anche arrestati dei palestinesi con l’accusa di aver contribuito all’emergenza…

R.  – Non mi risulta. Sono state arrestate - ho sentito alla radio - delle persone, dei sospettati, ma non credo siano palestinesi. Al contrario, stamattina proprio si diceva che da parte della Palestina, dalla West Bank sono arrivati almeno 8 - 10 camion per spegnere il fuoco. Hanno collaborato, insomma, cercano di venire in aiuto a Israele, perché il fuoco è una disgrazia comune a tutti. La Palestina ha inviato degli aiuti non soltanto qui a Haifa ma anche verso Gerusalemme: lì c’è tanto verde e ci sono stati diversi incendi.

D. – Cosa racconta la gente? La paura è passata?

R. – La nostra scuola funziona normalmente, è tutto normale oggi. Però ieri è stato veramente molto difficile. Il municipio diceva cosa fare, le indicazioni erano molto chiare: a un certo momento ci hanno detto di mandare via i ragazzi, però scaglionati, un poco alla volta, perché non entrassero nel panico, non essendo abituati al fuoco e al fumo. Tutto è secco qui e l’incendio si è subito sviluppato ed è stato un momento molto difficile. Tra l’altro, una nostra alunna è stata colpita da un’auto a un passaggio pedonale: tutti correvano, la ragazza ha attraversato la strada, però tutto è andato a finire bene. Prima l’ha vista un medico, poi l’abbiamo portata all’ospedale, dov’è rimasta fino a questa mattina e adesso è casa sotto controllo.

D. – Ora la situazione qual è quindi?

R. – Mi risulta che in qualche scuola ancora oggi abbiano mandato via i ragazzi. Noi facciamo tutto normalmente perché nella zona in cui siamo la situazione è tranquilla.

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Referendum, le Acli: Sì a una sola Camera per le leggi

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Man mano che si avvicina il referendum sulla Costituzione del 4 dicembre, si fanno sempre più accesi i toni del confronto, con le le forze politiche che spesso si delegittimano l'un l'altra. In campo sono scese anche le organizzazioni di ispirazione cattolica che, invece, invitano a guardare ai contenuti della riforma. Alessandro Guarasci ha sentito il presidente delle Acli Roberto Rossini

R. – Noi abbiamo un’esperienza abbastanza diretta, impegnati come siamo sul tema dell’alleanza contro la povertà. La legge delega è stata approvata nel primo ramo del parlamento, cioè alla Camera. Attualmente siamo in attesa che venga approvata dal secondo ramo, ma, se ci fosse un bicameralismo non paritario, di fatto sarebbe già approvata. È una battaglia, tra l’altro, che abbiamo sempre sostenuto; cioè l’idea di un bicameralismo perfetto è ormai antiquata e tende a rallentare i processi legislativi. E poi c'è il tema del lavoro: con politiche attive in materie diverse, che possono essere diverse a seconda delle Regioni, un riordino delle materie tra Stato e Regioni consentirebbe una maggiore centralizzazione, ci permetterebbe di fare anche una politica unica.

D. - Secondo voi come cambieranno in meglio i referendum con questa riforma?

R. - Si deve abbassare il cosiddetto “quorum” per evitare che alcuni referendum, che si sono rivelati un nulla di fatto negli anni passati, non siano del tutto sprecati. C’è un grossissimo lavoro di partecipazione nella raccolta delle firme che poi viene vanificata perché magari non si raggiunge il famoso quorum. Con la riforma, invece, cambia il mondo di calcolare il quorum che fondamentalmente si abbassa e consente al referendum di avere comunque un risultato. Questo ci sembra un aspetto positivo.

D. – Voi siete un’associazione con una democrazia molto diffusa al suo interno: fate periodicamente assemblee, confronti e così via. Chi invece critica questa riforma dice che il potere sarà concentrato in poche mani. Cosa ne pensate?

R. - Noi non vediamo questo rischio. C’era effettivamente, nel famoso combinato disposto che ormai tutti citano dell’Italicum con l’attuale riforma, la possibilità di una concentrazione di potere, però l’Italicum non è oggetto di referendum e che non sarà comunque quella la legge elettorale, quindi noi questo problema non lo vediamo. Bisogna poi tenere conto che una democrazia si costruisce certamente attraverso il voto, ma ci sono anche tanti altri ambiti sui quali si basa.

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Referendum, Mcl: No a una riforma lideristica

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Il fronte del No al referendum costituzionale del 4 dicembre continua a ritenere che questa riforma concentrerà il potere in poche mani. Tra i contrari c'è Carlo Costalli, presidente del Movimento Cristiano Lavoratori (Mcl). Eccolo intervistato da Alessandro Guarasci: 

R. - Noi critichiamo in questa riforma la concezione che ne esce di persona, di società, di sussidiarietà, anche di libertà… Conferma quello che emerge da diversi anni: una società lideristica. Si è accentuata anche in questa campagna elettorale, l’uomo solo a comando che è in contrapposizione a un’idea che noi abbiamo di democrazia, di partecipazione, di rappresentanza. Anche inserire in Costituzione - e Renzi e la Boschi lo dicono costantemente - il massimo tasso possibile di decisionismo e efficientismo ci preoccupa un po’ perché decisionismo ed efficientismo sono cose buone ma sono categorie tecniche.

D. – Però in qualche modo non vi alletta l’ipotesi della fine di un bicameralismo paritario che in Italia negli ultimi tempi ha principalmente rallentato?

R. – Non me la sento di passare come chi, visto che queste scelte, sta dalla parte del conservatorismo, tra coloro che bloccano il rinnovamento della società… Io credo che si possa avere il diritto - io credo anche il dovere! - di entrare nel merito e questa riforma è fatta male: si può essere riformisti anche dicendo qualche volta dei no. Non sono d’accordo col presidente del Consiglio quando dice che dopo questa riforma non si cambierà più niente per altri 20-30 anni. Insomma, questa riforma è stata approvata facendo continuamente forzature.

D. – Lei ha parlato di merito. Non pensa invece che la campagna finora abbia avuto quasi esclusivamente toni politici?

R. - Sì, questo è vero e questo mi dispiace molto. Purtroppo, come ho detto, è partita male: all’inizio per colpa del presidente del Consiglio che l’ha personalizzata e poi dopo certamente gli altri partiti ci sono andati dietro anche in modo virulento, eccessivo e forse anche superiore a quello del presidente del Consiglio. Questa è una delle difficoltà che abbiamo incontrato e una delle preoccupazioni maggiori che abbiamo.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 330

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.