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Sommario del 18/11/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Dio conceda ai sacerdoti il coraggio della povertà cristiana

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La gente non perdona un sacerdote attaccato ai soldi, il Signore ci dia la grazia della povertà cristiana: è quanto ha detto il Papa durante la Messa a Casa Santa Marta. Erano presenti i segretari dei nunzi apostolici, in Vaticano per il Giubileo dei collaboratori delle rappresentanze pontificie organizzato dalla Segreteria di Stato. Il servizio di Sergio Centofanti

Nel Vangelo del giorno Gesù caccia i mercanti dal Tempio che hanno trasformato la casa di Dio, un luogo di preghiera, in un “covo di ladri”. “Il Signore – spiega il Papa - ci fa capire dove è il seme dell’anticristo, il seme del nemico, il seme che rovina il suo Regno”: l’attaccamento al denaro. “Il cuore attaccato ai soldi è un cuore idolatra”. Gesù dice che “non si possono servire due signori, due padroni”, Dio e il denaro. Il denaro – afferma il Papa - è “l’anti-Signore”. Ma noi possiamo scegliere:

“Il Signore Dio, la casa del Signore Dio che è casa di preghiera. L’incontro con il Signore, con il Dio dell’amore. E il signore-denaro, che entra nella casa di Dio, sempre cerca di entrare. E questi che facevano il cambio di valute o vendevano cose, ma, affittavano quei posti, eh?, dai sacerdoti … i sacerdoti affittavano, poi entravano i soldi. Questo è il signore che può rovinare la nostra vita e ci può condurre a finire la nostra vita male, anche senza felicità, senza la gioia di servire il vero Signore, che è l’unico capace di darci la vera gioia”.

”E’ una scelta personale” – afferma il Papa, che chiede: “Com’è il vostro atteggiamento con i soldi? Siete attaccati ai soldi?”:

“Il popolo di Dio che ha un grande fiuto sia nell’accettare, nel canonizzare come nel condannare – perché il popolo di Dio ha capacità di condannare – perdona tante debolezze, tanti peccati ai preti; ma non può perdonarne due: l’attaccamento ai soldi, quando vede il prete attaccato ai soldi, quello non lo perdona, o il maltrattamento della gente, quando il prete maltratta i fedeli: questo il popolo di Dio non può digerirlo, e non lo perdona. Le altre cose, le altre debolezze, gli altri peccati … sì, non sta bene, ma pover’uomo è solo, è questo … e cerca di giustificare. Ma la condanna non è tanto forte e definitiva: il popolo di Dio ha saputo capire, questo. Lo stato di signore che ha il denaro e porta un sacerdote a essere padrone di una ditta o principe o possiamo andare in su…”.

Il Papa ricorda i "terafim", gli idoli che Rachele, la moglie di Giacobbe, teneva nascosti:

“E’ triste vedere un sacerdote che arriva alla fine della sua vita, è in agonia, è in coma e i nipoti come avvoltoi lì, guardando cosa possono prendere. Dategli questo piacere, al Signore: un vero esame di coscienza. ‘Signore, Tu sei il mio Signore o questo – come Rachele – questo terafim nascosto nel mio cuore, questo idolo del denaro?’. E siate coraggiosi: siate coraggiosi. Fate scelte. Denaro sufficiente, quello che ha un onesto lavoratore, il risparmio sufficiente, quello che ha un onesto lavoratore. Ma non è lecito, questo è un’idolatria, l’interesse. Il Signore a tutti noi ci dia la grazia della povertà cristiana”.

“Che il Signore – conclude il Papa - ci dia la grazia di questa povertà di operai, di quelli che lavorano e guadagnano il giusto e non cercano di più”.

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Francesco: la Chiesa è il Vangelo, non il legalismo del bianco e nero

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La Chiesa è il Vangelo, non “un cammino di idee” e uno “strumento” per affermarle, né una “squadra di calcio” che cerca tifosi. È l’opera di Cristo che ci porta a servire i poveri, che sono la Sua carne. Così Papa Francesco nell’intervista di Stefania Falasca sulle colonne di “Avvenire” in cui, a conclusione del Giubileo della Misericordia, esorta a “camminare insieme” sulla via dell’ecumenismo. Il servizio di Giada Aquilino

Ecumenismo, cammino che viene da lontano
L’unità dei cristiani “si fa su tre strade”: camminando insieme “con le opere di carità”, pregando insieme e riconoscendo la “confessione comune” così come si esprime nel “comune martirio” ricevuto nel nome di Cristo, nell’“ecumenismo del sangue”. Papa Francesco parla di un cammino che “viene da lontano”, maturato dal Concilio e dal lavoro dei suoi predecessori, a cui – afferma – Jorge Mario Bergoglio non ha dato alcuna “accelerazione”: si è “semplicemente” lasciato guidare dallo Spirito Santo. E non gli “toglie il sonno” chi pensa che negli incontri ecumenici voglia “svendere” la dottrina cattolica.

La Chiesa è il Vangelo, autoreferenzialità è cancro
D’altra parte la Chiesa “è il Vangelo”, è l’opera di Gesù Cristo, cresce “per attrazione” e non per proselitismo, non è “una squadra di calcio che cerca tifosi”, né “un cammino di idee” e uno “strumento” per affermarle. Quando a prevalere è la tentazione di costruire una Chiesa “autoreferenziale”, che invece di guardare Cristo “guarda troppo se stessa”, sopraggiungono contrapposizioni e divisioni: il “cancro nella Chiesa” è il darsi gloria “l’un l’altro”. La Chiesa non ha “luce propria”, “esiste” solo come strumento per comunicare agli uomini il disegno misericordioso di Dio.

Discernere nel flusso della vita
Al Concilio, prosegue, la Chiesa ha sentito “la responsabilità di essere nel mondo come segno vivo dell’amore del Padre”, risalendo “alle sorgenti della sua natura, al Vangelo”. Questo sposta l'asse della concezione cristiana “da un certo legalismo, che può essere ideologico, alla Persona di Dio che si è fatto misericordia nell'incarnazione del Figlio”. Alcuni – pensa a certe repliche ad Amoris Laetitia, secondo Stefania Falasca – “continuano a non comprendere, o bianco o nero, anche se è nel flusso della vita che si deve discernere”. Il Vaticano II ce lo ha detto, ma secondo gli storici - ricorda il Papa - un Concilio per essere “assorbito bene dal corpo della Chiesa” ha bisogno di un secolo: siamo “a metà”, constata.

Il Giubileo della Misericordia
Con l’Anno Santo della Misericordia, che sta per chiudersi, il Papa spera che “tante persone” abbiano scoperto di essere molto amate dal Signore, ricordando che amore di Dio e amore del prossimo sono “inseparabili”: “servire i poveri - spiega - vuol dire servire Cristo, perché i poveri sono la carne di Cristo”. Non vede invece i tanti recenti incontri ecumenici come un frutto esclusivo del Giubileo: sono “solo passi in più” lungo un cammino iniziato da tempo, cinquant’anni fa, quando lo spirito del Vaticano II ha fatto riscoprire “la fratellanza cristiana basata sull’unico Battesimo e sulla stessa fede in Cristo”.

Gli incontri ecumenici
Gli incontri e i viaggi, assicura, “aiutano” in tale direzione. Ricorda il viaggio a Lesbo, con il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e l’arcivescovo di Atene e tutta la Grecia Ieronymos: “ci siamo sentiti una cosa sola”, racconta. Poi rivive la “profonda” sintonia spirituale provata nell’incontro col Patriarca Ilia in Georgia. Cita i momenti con i Patriarchi copto Tawadros e Daniele di Romania. E vede nel Patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill “un uomo di preghiera”. Con i fratelli ortodossi, prosegue, “siamo in cammino, sono fratelli, ci amiamo, ci preoccupiamo insieme”. Nell’incontro a Lund con i luterani, per l’avvio dell’anno commemorativo del 500° anniversario della Riforma, evidenzia di aver ripetuto le parole di Gesù: “Senza di me non potete fare nulla”. Un evento, quello in Svezia, che nelle parole del Papa “è stato un passo avanti per far comprendere lo scandalo della divisione”, che va “superato” con gesti “di unità e di fratellanza”. È un cammino, ripete: “richiede pazienza” nel custodire e migliorare quanto già esiste che – conclude – “è molto più di ciò che divide”.

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Le udienze di Papa Francesco

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Per le udienze odierne di Papa Francesco consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Ribat, primo cardinale della Papua Nuova Guinea: ora siamo più vicini

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Domani Papa Francesco presiede alle 11.00 nella Basilica Vaticana il Concistoro ordinario pubblico per la creazione di 17 nuovi cardinali. Tra questi c’è il primo porporato della Papua Nuova Guinea. L’arcivescovo di Port Moresby, John Ribat. Al microfono di Linda Bordoni spiega cosa significhi per lui questo momento:

R. – For me, the feeling of being far like this and being appointed to this office …
Per me è la consapevolezza di essere stato chiamato a ricoprire questo incarico pur essendo tanto lontano. Mentre finora eravamo lontani e ci siamo sentiti lontani, questa nomina ci dà una sensazione diversa: una sensazione di vicinanza, la sensazione che qualora avessimo argomenti o questioni da trattare, c’è qualcuno che veramente sarà la nostra voce a rappresentare la Chiesa che è in Papua Nuova Guinea, nelle Isole Salomone e nei Paesi vicini. E’ molto interessante anche il fatto che altre denominazioni cristiane abbiano condiviso questa sensazione di vicinanza: stiamo lavorando per l’unità. Io sono il presidente del nostro Movimento ecumenico in Papua Nuova Guinea. Abbiamo compiuto un lungo cammino con gli anglicani e con i luterani …

D. – Lei dice che l’ecumenismo è molto importante in Papua Nuova Guinea e nell’intera area. Ci può raccontare un po’ questa Chiesa?

R. – The Catholic Church is in all parts of the Provinces …
La Chiesa cattolica è diffusa in tutte le Province. In Papua Nuova Guinea, come Lei sa, ci sono una ventina di Province, di cui due create recentemente. La popolazione cattolica conta circa 1,3 milioni di persone, mentre i luterani sono i secondi per numero. Noi cerchiamo di mantenere i buoni rapporti anche con loro. Questo è un aspetto sul quale sto lavorando molto: cerchiamo di abbracciare anche “gli altri”. Loro tutti dicono che la Chiesa cattolica è la Chiesa madre, e che se è madre, dev’essere pronta ad abbracciare anche “gli altri”, sia pure in un rapporto corretto, un rapporto che noi apprezziamo molto e un rapporto che ci unisce …

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Il 21 novembre Lettera Apostolica del Papa per la fine del Giubileo

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Il giorno dopo la chiusura dell'Anno Santo straordinario della Misericordia, lunedì 21 novembre, alle ore 11.30 si terrà nella  Sala Stampa della Santa Sede una Conferenza Stampa per la presentazione della Lettera Apostolica di Papa Francesco “Misericordia et Misera”. Ad illustrare il documento Pontificio mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. 

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Un "viaggio" nel Giubileo della Misericordia

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Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Sono le prime parole di “Misericordiae Vultus”, la Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia, che si va chiudendo. Significativa la data dell’apertura: l’8 dicembre dello scorso anno, a cinquant’anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II e Solennità dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria, così come quella di chiusura, la Solennità di Cristo Re dell’Universo, che coincide con la fine dell’Anno liturgico e cade il 20 novembre. Un Giubileo d'eccezione per molti aspetti, fra cui la presenza fin dall'inaugurazione di un Papa emerito, Benedetto XVI. Referente per l'organizzazione è stato mons. Rino Fischella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Ripercorriamo il Giubileo della Misericordia con il servizio di Debora Donnini

Il Buon Pastore che si carica l’uomo sulle spalle. Il logo del Giubileo è una catechesi simbolica di questo Anno Santo che vuole portare nel mondo l’amore di Dio. Una mission testimoniata dai tanti brani del Vangelo protagonisti: dal Figliol Prodigo al Buon Samaritano fino alla chiamata di Matteo. Una mission sintetizzata da motto stesso del Giubileo, “Misericordiosi come il Padre”. Il Giubileo Straordinario della Misericordia è infatti legato a doppio filo al Concilio Vaticano II: “era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo”, sottolinea il Papa nella Bolla di indizione. Cuore dell’invito del Papa è, dunque, che i cristiani siano strumenti di misericordia.

Il Papa apre la Porta Santa prima a Bangui e poi a Roma
Oltre 20 milioni i pellegrini che sono venuti a Roma per un Giubileo che per la prima volta nella storia ha dato la possibilità di aprire la Porta della Misericordia anche nelle singole diocesi. E non sono finite qui le peculiarità di questo Anno Santo: Francesco ha aperto la Porta Santa prima che a San Pietro, a Bangui, nella Repubblica Centrafricana, il 29 novembre dello scorso anno. E dunque in un Paese lacerato dalla guerra civile, simbolo di quelle periferie dove, per il Papa, bisogna andare e da lì guardare la realtà.

Le opere di misericordia corporale e spirituale: gesti semplici ma rivoluzionari
Una misericordia che si è fatta carne nei tanti eventi importanti che hanno scandito questo Giubileo, come il 12 giugno con la giornata dedicata ad ammalati e persone disabili, quando per la prima volta in Piazza San Pietro il Vangelo non è stato solo proclamato ma anche rappresentato da un gruppo di persone disabili intellettive per permettere che il testo venisse compreso anche dai pellegrini con problematiche di questo tipo. Il Papa non ha dimenticato i ragazzi, incontrati il 24 aprile, a cui ha chiesto un “programma” alto:

"Fate come i campioni sportivi, che raggiungono alti traguardi allenandosi con umiltà e duramente ogni giorno. Il vostro programma quotidiano siano le opere di misericordia: allenatevi con entusiasmo in esse per diventare campioni di vita, campioni di amore! Così sarete riconosciuti come discepoli di Gesù”.

Alle opere di misericordia corporale e spirituale, Francesco ha, infatti, dedicato diverse catechesi, spiegando che la vera rivoluzione culturale passa per gesti semplici, che ciascuno può fare:

“Spesso sono le persone più vicine a noi che hanno bisogno del nostro aiuto. Non dobbiamo andare alla ricerca di chissà quali imprese da realizzare. È meglio iniziare da quelle più semplici, che il Signore ci indica come le più urgenti. In un mondo purtroppo colpito dal virus dell’indifferenza, le opere di misericordia sono il miglior antidoto”.

I Venerdì della misericordia
Indimenticabili in questo Giubileo, le parole di Francesco tradotte in gesti, come con i Venerdì della misericordia. Basti pensare alle lacrime dei profughi  quando è andato a incontrarli nell’isola di Lesbo o a quando è andato a trovare i neonati nel Reparto di neonatologia dell’ospedale San Giovanni di Roma, alcuni con necessità di cure intensive. Il Papa che stringe a sé un malato o un disabile: sono le istantanee che rimarranno impresse come icone di misericordia. Il Papa incontra le donne liberate dalla schiavitù della prostituzione così come i giovani sacerdoti che hanno lasciato il ministero, con le loro famiglie.

Il Giubileo dei carcerati e dei socialmente esclusi, due momenti salienti
Chi, poi, meglio dei carcerati può sentire la necessità di una carezza: Francesco li ha accolti, in mille, a San Pietro, il 6 novembre scorso e gli ha annunciato la misericordia di Dio  da cui nessuno è escluso:

“Non esiste luogo del nostro cuore che non possa essere raggiunto dall’amore di Dio. Dove c’è una persona che ha sbagliato, là si fa ancora più presente la misericordia del Padre, per suscitare pentimento, perdono, riconciliazione, pace”.

I missionari della misericordia
Un ulteriore tratto distintivo, voluto dalla Bolla stessa, è stato quello dei “Missionari della Misericordia”, speciali confessori con l’autorità di perdonare anche i peccati riservati alla Sede Apostolica. Il Papa li ha voluti come annunciatori della gioia del perdono. Un Giubileo Straordinario segnato dalle udienze giubilari di sabato mattina, con cui ha dato ai pellegrini la possibilità di incontrarlo oltre alle udienze generali del mercoledì, dedicate quest’anno per lo più alla Misericordia. Proprio nell’udienza giubilare, alla Vigilia dell’incontro con i socialmente esclusi, ha spiegato cosa sia  accogliere:

"… senza classificare gli altri in base alla condizione sociale, alla lingua, alla razza, alla cultura, alla religione: davanti a noi c’è soltanto una persona da amare come la ama Dio. Quello che trovo, nel mio lavoro, nel mio quartiere, è una persona da amare, come ama Dio. 'Ma questo è di quel Paese, dell’altro Paese, di questa religione, di un’altra' È una persona che ama Dio e io devo amarla”.

La Porta Santa si chiuderà ma non il cuore misericordioso di Dio
Un Giubileo segnato anche da forti eventi ecumenici e di dialogo interreligioso, dalla Giornata Mondiale della Gioventù come dalla canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, icona della misericordia, che si è chinata su ogni persona incontrata. Così come indimenticabili rimarranno i momenti dedicati a sacerdoti e volontari, famiglie e giovani. Francesco ha voluto parlare a tutti, cristiani e non, per mettere al centro della Chiesa e dell’annuncio cristiano la Misericordia, che non giudica ma perdona. Misericordia, in ebraico "rahamim", viene da "rehem", grembo materno: un amore dunque capace di generare così come la Misericordia rigenera. La Porta Santa dunque si sta per chiudere, ma non il cuore misericordioso di Dio, e, auspica il Papa, i nostri cuori.

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Fisichella: Giubileo ha rimesso la misericordia al centro della Chiesa

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Il Giubileo straordinario della Misericordia si chiude con un bilancio assolutamente positivo: è il giudizio di mons. Rino Fischella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Ascoltiamolo al microfono di Hélène Destombes

R.  – In eredità credo che lasci la grande gioia innanzitutto provocata dal mettere di nuovo al centro della vita della Chiesa la misericordia. La  misericordia è innanzitutto fonte di gioia e in un momento così forte di incertezza, di precarietà, del non sapere quale sarà il prossimo futuro, avere la certezza di una speranza cristiana con la quale Dio viene incontro e non ti lascia mai solo, non ti abbandona, ma ti dà la consolazione della sua presenza e della sua vicinanza, credo che sia qualcosa che rimarrà ancora per lungo tempo nel cuore delle persone.

D. – Ci sono stati diversi Giubilei con delle tematiche precise durante tutto quest’anno: quali sono stati i momenti più forti?

R.  – Ma certamente i volti della Misericordia sono tanti, non si possono contare. Direi che i segni più visibili di questa testimonianza sono quelli che in qualche modo sono diventati tangibili nei Venerdì della Misericordia. Papa Francesco, infatti, ha voluto dare dei segni, però sono dei segni che hanno toccato nuove povertà: penso al Papa che visita delle persone, dei giovani anche, che vivono in stato vegetativo e che la società di oggi rifiuta, non vuole neppure sapere della loro esistenza; penso al Papa che va in un hospice e, camera dopo camera, accarezza e abbraccia persone che nel giro di qualche giorno lasceranno questo mondo per l’incontro con il Signore, in una cultura che non vuole pensare alla morte o che relega la morte soltanto a una fiction… Sono tutti questi segni che a mio avviso scuotono, da una parte, una coscienza tiepida e indifferente e, dall’altra, però mostrano anche il grande impegno che tocca a ciascuno di noi.

D. - Si può dire che Papa Francesco con quest’anno ha voluto risvegliare la Chiesa e darle un nuovo impulso mettendo in luce la sofferenza del corpo e dell’anima, chiamando alla conversione dei cuori?

R. – Per il programma pastorale di Papa Francesco è sufficiente riprendere tra le mani l’Evangelii gaudium, dove la parola di conversione pastorale è all’ordine del giorno. La conversione pastorale è realmente un segno concreto di come la Chiesa senta il bisogno di mettersi in moto: cioè abbandonando sovrastrutture ormai incoerenti con il momento storico che viviamo e quindi abbandonare anche, soprattutto nell’Occidente, quelle forme di comodità o quelle forme di estrema organizzazione con le quali pensiamo di convertire i cuori. I cuori non si convertono con le sovrastrutture e neppure con ingenti risorse umane: il cuore lo si converte se c’è un annuncio credibile e se questo annuncio è accompagnato da uno stile di vita che è coerente. Quindi, la capacità che la Chiesa oggi si ritrova dinanzi è quella di "uscire", come dice Papa Francesco: cioè l’esigenza di non rimanere arroccata in quelle sicurezze di muraglie cinesi – che, ribadisco, soprattutto nell’Occidente le hanno dato false garanzie - ma invece di ripercorrere la strada di un cammino per incontrare personalmente chiunque si avvicini. E incontrando persone diverse deve sempre essere capace di dare credibilmente l’annuncio della Risurrezione di Gesù.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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L’unità si fa in cammino: l’intervista, uscita su “Avvenire”, di Stefania Falasca al Papa.

Gesto definitivo: Messa a Santa Marta.

Il pellegrinaggio di Piero: Silvia Guidi su Bargellini e il giubileo del 1950.

Sul clima una marcia in più: la Cop22 in Marocco conferma gli obiettivi di Parigi.

Modello di sinodalità: il cardinale Donald Wuerl, arcivescovo di Washington, sull’“Amoris laetitia”.

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Oggi in Primo Piano



Dichiarazione di Marrakech: Accordo Parigi sul clima vada avanti

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Chiude oggi in Marocco la conferenza Onu sul clima, Cop22, a cui anche il Papa ha inviato, nei giorni scorsi, un messaggio auspicando una risposta globale responsabile. Ieri è stata diffusa la "Dichiarazione di Marrakech" con gli impegni assunti dai 196 Stati partecipanti per l'attuazione dell'Accordo di Parigi sulla lotta al riscaldamento globale. “Un testo importante, come anche alcuni passi fatti in questi giorni”, commenta al microfono di Gabriella Ceraso, la responsabile clima ed energia del Wwf Italia, Maria Grazia Midulla

R. – Io credo che la Dichiarazione sia stata più che altro un segnale politico molto forte, da parte di tutti i Paesi insieme, sul fatto che l’Accordo di Parigi debba andare avanti. E’ stato sicuramente un passaggio importante, percè parla di processo irreversibile. Dobbiamo andare più veloci, gli obiettivi dei Paesi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e degli altri gas serra sono troppo timidi. Nel 2018 arriverà il Rapporto dell’Ipcc sul come rimanere su un grado e mezzo di riscaldamento globale e dobbiamo decidere come adeguare a quello che ci indica la comunità scientifica gli obiettivi dei singoli Paesi e le politiche.

D. – Quindi prossimo step nel 2018 e un lavoro serrato fino a quella data. Quali altri elementi positivi sono emersi da Marrakech?

R. – C’è sicuramente l’enfasi enorme data alla questione dell’educazione, come creazione di una cultura che porti al rispetto della natura e che porti naturalmente ad adattarsi a un mondo in cui noi dovremmo consumare di meno e far fronte all’impatto del cambiamento climatico. L’altro aspetto importante è naturalmente la questione dei soldi, che devono servire ai Paesi più deboli per far fronte all’inevitabile cambiamento climatico e soprattutto per intraprendere la strada della decarbonizzazione. Ovviamente molti Paesi sviluppati sono in crisi, ma si stanno sottoscrivendo degli impegni e noi ci auguriamo che questo verrà fatto e la novità è anche la Cina e altri Paesi stanno attuando una cooperazione Sud-Sud. Un’altra questione importante è la tecnologia, perché ovviamente queste tecnologie vanno rese disponibili: noi sappiamo che la questione dei brevetti, delle patenti per l’uso di alcune tecnologie è sempre molto rilevante. Insomma, siamo in un mondo che si sta trasformando per il meglio, dove però chi ha degli interessi da difendere sta lavorando alacremente per cercare di non far intraprendere questa strada.

D – A proposito di soldi: questa cifra di 100 miliardi di dollari che è circolata, è una cifra reale?

R. – E’ una cifra reale che era già contenuta nel cosiddetto Accordo di Copenaghen. Dovrebbe arrivare entro il 2020 e quindi tutti i Paesi stanno cercando di mettere mano al portafoglio, anche se c’è ancora un po’ di vaghezza rispetto agli impegni che verranno presi.

D. – Da osservatrice ritiene che il mondo sia più consapevole della necessità di agire?

R. – Credo che la coscienza dei rischi ci sia; la coscienza del fatto che questo implichi la solidarietà è una strada ancora da costruire, perché noi viviamo in un’epoca di grandi contraddizioni e grande egoismo. La cosa che – secondo me – va particolarmente sottolineata è quella che, oggi come oggi, non si può fare a meno della solidarietà e non si può fare a meno dell’azione. Credo che se i governi deluderanno le aspettative sul cambiamento climatico, andranno ad aggravare la crisi della politica e questo vorrebbe dire, in un qualche modo, condannare il mondo a un caos ancora maggiore di quello che già c’è. 

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Esplode autocisterna: è strage della disperazione in Mozambico

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È strage della povertà in Mozambico: almeno 73 persone sono morte e 110 sono rimaste ferite mentre pare stessero cercando di estrarre carburante - per poi rivenderlo - da un’autocisterna che aveva avuto un incidente stradale, quando questa è esplosa. È accaduto ieri nei pressi di Caphiridzange, nella remota provincia occidentale di Tete. Il camion era partito dal porto di Beira, diretto in Malawi. Il governo di Maputo ha aperto un’inchiesta sulla vicenda, la cui dinamica non è ancora del tutto chiara. Per avere notizie di quanto accaduto e parlare della situazione di uno dei 15 Paesi più poveri al mondo, Roberta Barbi ha raggiunto telefonicamente in Mozambico padre Giancarlo Faedi, missionario della Consolata: 

R. – Noi sinceramente siamo un po’ lontani da Tete. Abbiamo visto la televisione, ascoltato la radio e avuto notizie da diverse persone: ad esempio, qui in comunità, abbiamo una suora che in questo gravissimo incidente ha perso la zia, una zia che aveva una bancarella vicino al luogo dell’incidente; è esplosa l’autocisterna ed è esplosa anche la bancarella, uccidendo pure la donna. Sarebbe stato un incidente: il signore che aveva questo camion con il rimorchio dice che c’è stato uno scontro e lo scontro ha causato l'incendio; ma altre versioni che dicono che questo signore - che portava il camion pieno di benzina e di gasolio - ha deviato la strada, si è fermato in un sentiero a 500 metri dalla strada per vendere gasolio, per rubare gasolio a se stesso, cioè al camion. Mentre vendeva, sembra che il camion-rimorchio si sia incendiato e la gente ha continuato ad attingere il gasolio dalla cisterna; c’è stata poi l’esplosione ed è morta tanta gente…

D. – Purtroppo non è il primo episodio del genere: il furto di carburante funesta spesso l’Africa a causa della povertà della popolazione. Di recente il governo del Mozambico ha aumentato il prezzo del carburante, in seguito a una svalutazione della moneta locale. Questo ha peggiorato la situazione?

R. – Non tanto l’aumento del prezzo della benzina e del carburante, quanto l’aumento del costo della vita in generale. Il carburante è aumentato del 10 per cento appena, mentre la vita è aumentata del 100-150 per cento: se in gennaio un operaio, che prendeva i suoi 4.500 metical al mese, poteva comperare quattro sacchi e mezzo di riso, perché ogni sacco di riso costava mille, con l’aumento del salario in maggio del 7 per cento adesso ne compra solo due di sacchi di riso, forse due e mezzo.

D. – Il Mozambico è uno dei Paesi più poveri al mondo, che non riesce a risollevarsi a quasi 25 anni dalla fine della guerra civile. Com’è la situazione reale?

R. – È un Paese che, in questi ultimi anni, si stava svegliando da una guerra che lo aveva distrutto e stava riprendendosi anche un’economia abbastanza forte, grazie anche ad aiuti non indifferenti dall’estero, dall’Europa, dagli Stati Uniti, dalla Cina. Poi è successo questo: il governo passato sembra che abbia 'ripulito' le casse delle Stato e allora l’Europa e il Fondo Monetario Internazionale hanno chiesto conto di dove e come siano stati spesi i soldi e c’è una non risposta da parte del governo attuale, il quale dice: “Non sappiamo e non possiamo darvi risposta”. Per cui l’Europa ha chiuso i rubinetti e, non arrivando più soldi dall’Europa, anche il Fondo Monetario Internazionale lo ha fatto e il governo attuale si è trovato con le casse vuote. Non solo, ci sono anche le risorse che noi abbiamo: noi abbiamo, ad esempio, il carbone nella regione di Tete, dove è successo il disastro, e due grandi multinazionali avevano cominciato a sfruttare il carbone, credendo fosse di prima categoria. Poi, però, il carbone non è risultato di questa qualità e il mercato, in questi ultimi tempi, è andato giù e queste due grandi imprese multinazionali hanno chiuso i battenti e sono andate via.

D. – La Chiesa è in prima linea in Mozambico. Voi missionari della Consolata cosa fate di concreto per la popolazione tutti i giorni?

R. – Noi viviamo giorno per giorno. La Chiesa come istituzione e i vescovi sono preoccupati per questa situazione e in gennaio hanno chiesto udienza al Presidente della Repubblica, perché abbiamo anche la guerra e c’è il dialogo per la pace in corso… Noi missionari siamo impegnati un po’ nelle scuole per l’evangelizzazione, nel campo sanitario; siamo impegnati a soccorrere i poveri, per quello che noi possiamo. Siamo piccole gocce nel grande oceano e ci sentiamo un po’ impotenti davanti a questa realtà di povertà, di guerra e di una società che praticamente invece di andare avanti sembra andare indietro. Ma continuiamo ad esserci.

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Libia: da vertice a Roma, sostegno a politiche sociali e sicurezza

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"La seconda riunione del Dialogo Economico Libico conclusasi ieri a Roma ha segnato passi avanti per la sicurezza della popolazione e la ripresa di una politica economica condivisa”. Così il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, a margine dell'incontro odierno alla Farnesina con il vicepremier libico Ahmed Maitig. Alla riunione del Dialogo, presieduta da Italia e Stati Uniti, hanno partecipato i maggiori rappresentati delle istituzioni politiche ed economiche libiche, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, Francia e Regno Unito. Sulle sfide al centro del vertice, Marco Guerra ha intervistato l’inviato per la Libia del ministero degli Esteri italiano, Giorgio Starace

R. – Il ministro Gentiloni ha appena ricevuto il vice premier Maitig e il ministro della Pianificazione libico, Jahmi; hanno passato in rassegna il risultato molto positivo della riunione sul Dialogo economico libico, che è stata ospitata qui a Roma; è stata co-organizzata da Italia e Stati Uniti; e ha visto il governo libico a confronto con la Banca centrale libica, con l’Audit Bureau e con la Noc - la società petrolifera di Stato - per concordare un pacchetto di misure economiche tese a raggiungere un accordo sul bilancio 2017, dopo che è stato raggiunto quello sugli ultimi mesi del bilancio 2016. Tutti protagonisti - in un clima devo dire molto positivo - hanno concordato di varare anche l’accordo sul bilancio 2017 entro il 1° dicembre.

D. – Questo bilancio, questi sforzi che vengono fatti, servono a un rilancio?

R. – Servono per stabilizzare il governo a Tripoli e fare in modo che ci siano linee di finanziamento urgenti per iniziative urgenti sul piano sociale, per i cittadini, economico e per la sicurezza.

D. – Quindi, c’è in atto una stabilizzazione della Libia…

R. – È in atto una stabilizzazione che è fortemente promossa dall’Italia.

D. – E la comunità internazionale sta accompagnando la Libia?

R. – Assolutamente sì, perché erano presenti, oltre a noi italiani e agli americani, con i quali abbiamo presieduto la riunione e facilitato il dialogo tra i libici, anche colleghi britannici e francesi.

D. – Dopo la cacciata dello Stato Islamico da Sirte, ci sono anche risultati tangibili sul terreno…

R. – Direi proprio di sì, perché almeno, per esempio, sul piano della capitale Tripoli il drammatico problema della mancanza di elettricità è terminato, perché sono riusciti a rimettere in funzione alcune centrali elettriche, tra cui una proprio in prossimità della città di Sirte. Quest'ultima è stata praticamente liberata da Daesh: stanno combattendo solamente in un quartiere.

D. – L’emergenza migranti: anche su quel piano si potrà intervenire una volta stabilizzata la Libia?

R. – Certo. Anche questo è stato frutto di colloqui tra il ministro Gentiloni e il vice premier Maitig. E quindi sono allo studio iniziative di collaborazione con la Libia anche per quanto riguarda le frontiere sud: cioè tra Niger e Libia.

D. – E questo si lega anche all’emergenza umanitaria…

R. – Assolutamente sì. Infatti il nostro è proprio un approccio umanitario ed economico: quindi aiuti economici ed umanitari per stabilizzare quell’area...

D. – Per quanto riguarda l’accordo tra le varie anime politiche in Libia, a che punto siamo?

R. – Gli sforzi vanno avanti da due anni, con risultati altalenanti; ma è un processo lento, ci vuole tempo e non è facile: noi vogliamo partire chiaramente dalla capitale, ma irradiare la stabilizzazione al resto del Paese.

D. – Quindi c’è un dialogo aperto tra Tobruk e Tripoli?

R. – Il dialogo è aperto attraverso il Consiglio presidenziale, che prevede al suo interno anime diverse. Purtroppo, è un dialogo complesso, non facile. Noi facciamo di tutto per innescarlo.

D. – Comunque bisogna guardare con ottimismo ai prossimi mesi: l’Italia e la comunità internazionale continueranno ad accompagnare la Libia?

R. – Più che con ottimismo, io direi con necessario ottimismo, perché per noi è una questione di grande importanza; non possiamo rinunciare ad adoperarci per la stabilizzazione e per rafforzare le autorità che noi riconosciamo – tutta la comunità internazionale riconosce – e cioè il governo di accordo nazionale a Tripoli e il Consiglio presidenziale che lo presiede.

D. – Quindi la stabilizzazione della Libia è strategica per il Mediterraneo e per il Medio Oriente…

R. – E per l’Italia.

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Referendum, Rinella: Sì a un Senato diverso dalla Camera

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Mancano poco più di due settimane al referendum costituzionale del 4 dicembre. Tra i punti nodali della riforma, i poteri della Camera, che dovrà svolgere gran parte della funzione legislativa, e il Senato che rappresenterà le autonomie locali. Su questo nuovo assetto istituzionale, Alessandro Guarasci ha sentito il costituzionalista dell’Università Lumsa Angelo Rinella: 

R. – Questo è esattamente un Senato che assomiglia in maniera notevole ai Senati o alle seconde Camere dei sistemi federali; e cioè un’assemblea che non rappresenta l’intera collettività nazionale, ma rappresenta le “istanze territoriali”. La Costituzione dice le “istituzioni territoriali”. Allora, sarà senz’altro utile – io trovo – una presenza di questo tipo, perché introdurrà un elemento che a noi è sempre mancato. Forse non si è osservato che questa revisione costituzionale, sulla quale siamo interpellati per il 4 dicembre, non ha visto la partecipazione delle Regioni; eppure si interviene in maniera profonda nel riparto di competenze fra Stato e Regioni. Con il sistema bicamerale differenziato, qualunque modifica della Costituzione richiederà una piena partecipazione delle Regioni e anche, per certi versi, dei Comuni, attraverso i sindaci che saranno in Senato, ogniqualvolta si vorrà porre mano alla Costituzione. Questa è una enorme conquista da parte delle istituzioni territoriali, alla quale forse non si fa caso, e richiama moltissimo i sistemi federali, che si caratterizzano proprio per questo dato. Dunque, per rispondere alla sua domanda, è bene che questo Senato resti con queste funzioni differenziate.

D. – Professore, lei trova altri punti di contatto con le principali democrazie europee in questa riforma?

R. – Il quadro delle fonti legislative prevedrà, se questa riforma dovesse andare in porto, sostanzialmente leggi monocamerali: cioè leggi adottate da una Camera. Questo succede nella stragrande maggioranza delle democrazie occidentali, con la possibilità della seconda Camera di intervenire con un peso variabile a seconda dei contenuti della legge. Dunque, se si tratterà di una legge dal taglio squisitamente politico e dal livello prettamente nazionale, è ovvio che la Camera dei Deputati avrà un primato indiscutibile. Dove invece le questioni dovessero toccare più da vicino gli interessi territoriali, il Senato avrebbe un ruolo di partecipazione rinforzato. Se poi si tratta di mettere mano alla Costituzione o di toccare altre materie, come per esempio la legge elettorale del Senato, allora lì tornerà in vita il bicameralismo paritario o “perfetto” che abbiamo tuttora. Mi pare quindi un ventaglio di opportunità che copre tutte le esigenze.

D. – Professore, per chiudere, i critici di questa riforma guardano con molto sospetto il combinato disposto con la legge elettorale, l’Italicum, perché darebbe troppo potere al governo o alla maggioranza. Con questo assetto istituzionale il pericolo c’è?

R. – Non cambiano i poteri del presidente del Consiglio dei ministri o quelli del Governo: non si interviene a livello costituzionale sulla ripartizione dei poteri tra esecutivo, legislativo e gli altri poteri importanti quali quelli di garanzia. Certamente, sul piano politico, si vuol far sì che, a seguito delle elezioni, si costituisca una maggioranza governante. Quindi 340 seggi sono un numero di poco al di sopra della maggioranza assoluta. Si tratta, con questa prospettiva, di consentire a chi ha avuto la maggioranza di voti di poter governare in maniera stabile. 

 

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No al Referendum, F. Vari: con Italicum troppo potere a governo

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I fautori del No mettono in collegamento la riforma costituzionale e le nuova legge elettorale, l'Italicum, che però non è in Costituzione e può essere modificata con un procedimento ordinario dal Parlamento. Alessandro Guarasci ha sentito il costituzionalista Filippo Vari, vicepresidente del Centro Studi Lavatino: 

R.  – L’Italicum è pensato in funzione della riforma costituzionale, tanto è vero che si tratta di una legge elettorale che si applica soltanto alla Camera, dando per scontato e presupposto che passi la riforma costituzionale e il Senato non sia più oggetto di elezione diretta e non sia più una Camera che esprime la fiducia.

D. – Però, in questa riforma, i poteri del governo sostanzialmente non cambiano, almeno così dice il fronte del Sì…

R. - Il governo uscirebbe sostanzialmente rafforzato dalla riforma e avrebbe la possibilità di ottenere pronunciamenti delle Camere in tempi certi sui disegni di legge che richiede. Quello che invece è molto problematico è il rapporto che si determina tra un sostanziale indebolimento dei procedimenti decisionali e una legge elettorale ipermaggioritaria che sostanzialmente mette il Paese in mano a chi un voto più dell’altro. Oggi nel Paese esistono tre poli: quello di centro-destra, quello di centro-sinistra, e il Movimento 5 Stelle, che sono tutti intorno all’asticella del 30 per cento; se contiamo le astensioni, ciò vuol dire che l’Italicum consentirà a chi è minoranza nel Paese, che ha un 25 per cento del consenso dell’elettorato, di avere un 54 per cento dei membri della Camera.

D. – L'Italicum è una legge ordinaria, la legge elettorale, dunque può essere cambiata. E poi, tra l’altro, un forte premio di maggioranza c’è in molti Paesi europei e addirittura in Italia e nei Comuni, che in sostanza vengono considerati un esempio di stabilità politica…

R. – L’Italicum può essere considerato che ricalchi la legge che riguarda l’elezione dei Comuni più importanti, però questa è una peculiarità solo italiana: cioè nessun Paese, nessuna democrazia, nessuna liberal-democrazia, ha una legge come la nostra; l’unico modello che si può ritenere simile o avvicinabile sarebbe quello greco, che sinceramente in questi tempi non è un modello da seguire. E in realtà, è vero che ci sono dei premi di maggioranza anche negli altri Paesi o che esistono sistemi maggioritari, qui però si ricade nello stesso vizio della precedente legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale: cioè c’è un eccesso di sovra-rappresentazione di chi vince le elezioni. E comunque continuano a esistere nel sistema istituti che potevano trovare una loro giustificazione in un assetto profondamente diverso, com’era quello fondato su un sistema elettorale proporzionale come il decreto legge.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 323

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.