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Sommario del 13/11/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco agli emarginati: inaccettabile che si venga scartati

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“Per voi sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia”: il Papa, citando il profeta Malachia, si è rivolto così stamani, nella Basilica di San Pietro, alle migliaia di persone presenti in occasione del Giubileo dedicato alle persone socialmente escluse. E’ inaccettabile, ha detto loro Francesco, che la persona umana venga spesso scartata. Nel suo odierno Tweet sull'account @Pontifex, il Papa ha poi scritto che: “Se vuoi trovare Dio, cercalo dove Lui è nascosto: nei più bisognosi, nei malati, negli affamati, nei carcerati”. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Si sono riuniti attorno a lui, al Papa che li ha messi al centro di un anno straordinario, della Misericordia, per una celebrazione che è stata il culmine di tre giorni a loro dedicati. Ai socialmente esclusi, a coloro che sempre più spesso sono lo scarto della società, Francesco ha ripetuto, secondo le letture di oggi, ciò che disse Gesù alla gente al Tempio: “Tutto passa”.

"Anche i regni più potenti, gli edifici più sacri e le realtà più stabili del mondo, non durano per sempre; prima o poi, cadono".

L’esortazione di Gesù è a non lasciarsi ingannare “dai predicatori apocalittici”, dai “profeti di sventura”, dalle “vanità degli oroscopi”, dalle “predizioni che ingenerano paure”, è anzi un invito “a distinguere” ciò che viene da Dio e “ciò che viene dallo spirito falso”:

"È importante: distinguere l’invito sapiente che Dio ci rivolge ogni giorno dal clamore di chi si serve del nome di Dio per spaventare, alimentare divisioni e paure".

Gesù chiede, spiega il Papa, di “non avere paura di fronte agli sconvolgimenti di ogni epoca”, di non temere le “prove più gravi e ingiuste”, ma di “perseverare nel bene” e di “porre piena fiducia in Dio che non delude”. In questo mondo tutto passa, ci sono però realtà preziose che rimangono come “una pietra preziosa in un setaccio”. Quali cose restano?

"Sicuramente due: il Signore e il prossimo. Queste due ricchezze non svaniscono! Questi sono i beni più grandi, da amare. Tutto il resto – il cielo, la terra, le cose più belle, anche questa Basilica – passa; ma non dobbiamo escludere dalla vita Dio e gli altri".

Ed è qui che Francesco entra nel pieno del suo messaggio diretto ai protagonisti dell’odierno Giubileo e a tutti i fedeli: oggi, “quando si parla di esclusione, vengono subito in mente persone concrete; non cose inutili, ma persone preziose”:

"La persona umana, posta da Dio al culmine del creato, viene spesso scartata, perché si preferiscono le cose che passano. E questo è inaccettabile, perché l’uomo è il bene più prezioso agli occhi di Dio. Ed è grave che ci si abitui a questo scarto; bisogna preoccuparsi, quando la coscienza si anestetizza e non fa più caso al fratello che ci soffre accanto o ai problemi seri del mondo, che diventano solo ritornelli già sentiti nelle scalette dei telegiornali". 

Ai presenti il Papa ricorda che è il loro Giubileo, che sono loro che aiutano a sintonizzarsi “sulla lunghezza d’onda di Dio” e a “guardare quello che guarda lui”, che non si ferma all’apparenza, ma rivolge lo sguardo “sui tanti poveri Lazzaro di oggi”, quindi non accorgerci di Lazzaro è voltare la faccia a Dio:

"E’ voltare la faccia a Dio! È un sintomo di sclerosi spirituale quando l’interesse si concentra sulle cose da produrre, invece che sulle persone da amare".

Francesco quindi parla della “tragica contraddizione” di oggi: tanto più aumentano progresso e possibilità, che restano un bene, tanto più aumenta chi non può accedervi, è "una grave ingiustizia":

"Perché non si può stare tranquilli in casa mentre Lazzaro giace alla porta; non c’è pace in casa di chi sta bene, quando manca giustizia nella casa di tutti".

Oggi in tutto il mondo si chiudono le Porte Sante delle Basiliche, ciò che chiede il Papa è di non chiudere gli occhi davanti a Dio e “dinanzi al prossimo che ci interpella”:

"Apriamo gli occhi a Dio, purificando la vista del cuore dalle rappresentazioni ingannevoli e paurose, dal dio della potenza e dei castighi, proiezione della superbia e del timore umani".

Si guardi quindi con fiducia al Dio della misericordia e si aprano gli occhi al prossimo:

"…soprattutto al fratello dimenticato ed escluso, ai Lazzaro che giacciono alla nostra porta. Lì punta la lente d’ingrandimento della Chiesa. Che il Signore ci liberi dal rivolgerla verso di noi. Ci distolga dagli orpelli che distraggono, dagli interessi e dai privilegi, dagli attaccamenti al potere e alla gloria, dalla seduzione dello spirito del mondo".

E’ nostro compito, per "diritto" e per "dovere evangelico", “prenderci cura della vera ricchezza che sono i poveri”, conclude il Papa che spiega come, alla luce di queste riflessioni, vorrebbe che oggi fosse “la giornata dei poveri”.

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I poveri dal Papa: la misericordia di Dio ci salva ogni giorno

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Migliaia i fedeli giunti da tutto il mondo in Piazza San Pietro per partecipare al Giubileo dedicato agli emarginati e ai poveri ed ascoltare le parole di Papa Francesco. Ecco alcune testimonianze, raccolte da Marina Tomarro:   

D. – Da dove viene?

R. – Vengo da Torre Boldone, in provincia di Bergamo. E sono qui con il gruppo Caritas della diocesi di Bergamo: accompagno un gruppo di donne, alle quali vogliamo trasmettere l’idea e il concetto che Dio è vicino a tutte le persone.

D. – Che significato ha, per voi, la parola “misericordia”?

R. – Misericordia è abbracciare tutti! Non soltanto i nostri amici, i nostri familiari, i nostri vicini, ma anche le persone più lontane che, a volte, ci danno un po’ più fastidio… Il Papa ci ha aiutato a capire l’importanza anche di questo.

D. – Quale parola del Papa conserverai nel cuore?

R. – Tutto! Non c’è una sola parola che dimenticherò. Porto a casa tanto amore, tanta felicità e tanta serenità.

R. – Io di strada ne ho fatta tanta: ho fatto quasi 30 anni di vita per strada. Ma questa strada che mi ha portato davanti al Papa è stata la più bella che mi sia capitata nella vita! L’Anno della Misericordia è anche - per me, che ho vissuto molto per la strada - misericordia con me stessa, come donna. E’ un perdono, perché il Signore mi ama: avrei potuto morire sulle panchine di Bergamo, eppure mi ha "strappato per i capelli" e sono qua! Questa è la misericordia: il Signore mi ha salvato.

R. – Anche io sono per strada, sono il papà di due bambini…

D. – Cosa vuol dire per te misericordia?

R. – Misericordia è una bella parola! E’ una parola molto profonda; viene dal cuore.

D. – Cosa ricorderai di questa giornata?

R. – Il fatto che la Chiesa cura i poveri. E’ una cosa bella.

D. – Il Papa ha detto che ci volta la faccia a un povero, volta la faccia a Dio. Cosa vuol dire?

R. – E’ la verità! Chi volta la faccia alla povertà, volta la faccia all’essere umano. Aiutare il prossimo è anche segno di carità, di bontà. E se sei un buon cristiano, dovresti aiutare chi è povero.

R. – Ha messo veramente un punto fermo su quella che è la cosa importante. Non possiamo non fare qualcosa per le persone che ne hanno più bisogno. 

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Papa: non lasciarsi ingannare, Dio non ci abbandona mai

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Le costruzioni umane, “anche le più sacre”, sono “passeggere” e non bisogna riporre sicurezza né in esse né nei “falsi messia” che speculano sui bisogni delle persone: l’unica certezza è che la nostra vita è nelle “mani” del Signore, perché Dio “non ci abbandona mai”. Così il Papa all’Angelus domenicale, in cui ha esortato pure a non dimenticare quanti nel mondo non hanno cibo e acqua. Quindi ha ricordato l’odierna chiusura delle Porte Sante nelle chiese cattedrali di tutto il mondo, in vista della conclusione del Giubileo della Misericordia. Il servizio di Giada Aquilino

La nostra vita “non si può perdere” perché è nelle “mani” del Signore. È una certezza quella che Papa Francesco trasmette all’Angelus in Piazza San Pietro. Gesù, spiega, sa che “c’è sempre chi specula sul bisogno umano di sicurezze”: mette in guardia quindi dai tanti “falsi messia” che “anche oggi ci sono” ed esorta a “non farsi terrorizzare e disorientare da guerre, rivoluzioni e calamità”, perché anch’esse fanno parte “della realtà di questo mondo”.

“La storia della Chiesa è ricca di esempi di persone che hanno sostenuto tribolazioni e sofferenze terribili con serenità, perché avevano la consapevolezza di essere saldamente nelle mani di Dio. Egli è un Padre fedele, è un Padre premuroso, che non abbandona i suoi figli. Dio non ci abbandona mai! E questa certezza dobbiamo averla nel cuore: Dio non ci abbandona mai”.

Riflettendo sul brano evangelico di Luca dedicato al discorso di Gesù “sugli ultimi tempi”, pronunciato di fronte al tempio di Gerusalemme, il Pontefice sottolinea come Cristo voglia far capire, pure “a noi oggi”, che le costruzioni umane, “anche le più sacre”, sono “passeggere” e non bisogna riporre in esse la nostra sicurezza:

“Quante presunte certezze nella nostra vita pensavamo fossero definitive e poi si sono rivelate effimere! D’altra parte, quanti problemi ci sembravano senza uscita e poi sono stati superati”.

Chiaro, osserva il Papa, il compito della comunità cristiana “per andare incontro al ‘giorno del Signore’”, affidandosi alla Vergine Maria perché ci aiuti a capire “in profondità” la verità:

“Rimanere saldi nel Signore, in questa certezza che Egli non ci abbandona mai, camminare nella speranza, lavorare per costruire un mondo migliore, nonostante le difficoltà e gli avvenimenti tristi che segnano l’esistenza personale e collettiva, è ciò che veramente conta”.

In tale prospettiva va collocato l’impegno scaturito dal Giubileo straordinario della Misericordia, nel giorno di chiusura delle Porte Sante nelle chiese cattedrali in tutte le diocesi del mondo:

“L’Anno Santo ci ha sollecitati, da una parte, a tenere fisso lo sguardo verso il compimento del Regno di Dio e, dall’altra, a costruire il futuro su questa terra, lavorando per evangelizzare il presente, così da farne un tempo di salvezza per tutti”.

D’altra parte Dio, ricorda ancora Francesco, “conduce la nostra storia e conosce il fine ultimo delle cose e degli eventi”: perché è sotto lo sguardo misericordioso del Signore, assicura il Pontefice, che “si dipana la storia nel suo fluire incerto e nel suo intreccio di bene e di male” e tutto quello che succede è conservato in Lui.

Subito dopo l’Angelus, nella Giornata italiana del ringraziamento per i frutti della terra e del lavoro umano, il Pontefice auspica che la madre terra sia “sempre coltivata in modo sostenibile”.

“La Chiesa è accanto con simpatia e riconoscenza al mondo agricolo ed esorta a non dimenticare quanti, in varie parti del mondo, sono privi dei beni essenziali come il cibo e l’acqua”.

Quindi saluta i tanti pellegrini presenti in Piazza San Pietro, ringraziando in particolare “le associazioni che in questi giorni hanno animato il Giubileo delle persone emarginate”, e ricorda che in questa settimana è stato restituito alla devozione dei fedeli “il più antico crocifisso ligneo della Basilica di San Pietro”, risalente al quattordicesimo secolo:

“Dopo un laborioso restauro è stato riportato all’antico splendore e sarà collocato nella cappella del Santissimo Sacramento, a ricordo del Giubileo della Misericordia”.

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Papa nomina vescovo coadiutore Hong Kong: è mons. Yeung Ming-cheung

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Papa Francesco ha nominato vescovo coadiutore della diocesi di Hong Kong, in Cina, mons. Michael Yeung Ming-cheung, finora vescovo titolare di Monte di Numidia e ausiliare della medesima diocesi.

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Martinez: Giubileo della Misericordia rilancia fraternità nel mondo

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Il Giubileo della Misericordia sta per giungere alla sua conclusione: inaugurato un anno fa in periferia, a Bangui, in Centrafrica, Papa Francesco presiederà la chiusura dell’Anno Santo in San Pietro domenica 20 novembre, Solennità di Cristo Re. Per un primo bilancio di quest’anno giubilare, Federico Piana ha sentito Salvatore Martinez, presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo: 

R. – Mi verrebbe da dire che in piena era di globalizzazione è stato il più grande evento di santità globale che l’umanità, la Chiesa, a partire dalle periferie di ogni angolo delle Terra, abbia potuto vivere. Lo definirei, davvero, un Anno Santo globale. La scelta di Papa Francesco di decentrare il Giubileo e di permettere ai vescovi di individuare in ogni angolo della terra una Porta giubilare, una Porta Santa da varcare - non dimentichiamo in modo particolare i luoghi di sofferenza le porte, le celle delle carceri, sono state Porte giubilari - mi sembra che tutto questo esprima un’intuizione straordinaria di Papa Francesco che va poi nella linea di quella cultura dell’incontro e di quella cultura del dialogo che sono un po’ la cifra del suo Pontificato. Certamente è un Giubileo che ha snudato il cuore di Papa Francesco e tutte le sue passioni, i suoi amori più profondi, le sue attenzioni personali, questo sguardo così incarnato che accompagna ogni sua parola, ogni suo gesto, hanno trovato in questo Giubileo della Misericordia delle pagine memorabili anche nella scelta del calendario giubilare. Direi che parole vere, autentiche, sono state accompagnate anche da gesti di portata storica in un anno che ha visto anche la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta nella giornata dedicata al Giubileo dei servitori, dei volontari e dunque di coloro che sono il primo volto, le prime braccia della misericordia. Ma ricorderei anche l’incipit di questo Giubileo, una sorta di anteprima a Bangui, “la capitale spirituale del mondo”, come venne definita con questa grande richiesta di pace. Quindi un Giubileo che si apre perché si possa dire in una terra come quella africana che conosce mille guerre, che il cuore di Dio si apre ed invoca pace. Dunque il Santo Padre con questo gesto, che anticipa l’apertura della Porta Santa dell’8 dicembre, ci ha dato in qualche modo anche la dimensione di questo evento globale.

D. - Che frutti porterà questo Giubileo soprattutto alle persone distanti, alle persone che non credono?

R. - Intanto spero, pensando ai credenti, che porti frutti di santità; un Anno Santo che non può che regalare santità. Guardando poi ai non credenti, al mondo, mi pare di poter ricordare l’immagine evangelica dei greci che vogliono vedere Gesù – “Vogliamo vedere Gesù”-; certamente il fascino evangelico che Francesco suscita mette anche i più lontani nelle condizioni di lasciarsi interrogare profondamente dallo Spirito Santo di Dio. La misericordia è creativa in se stessa, è la fantasia dell’amore e tutto questo non solo interpella, ma provoca anche interiormente al bene. Dunque mi pare di poter dire che non solo questo Giubileo mette tutti d’accordo, ma rilancia all’umanità del Terzo millennio la sfida fondamentale della fraternità: che gli uomini siano credenti o non credenti, in quanto uomini e in quanto partecipi del medesimo destino siamo chiamati a riscoprire la fraternità come la cifra del nostro essere uomini, cittadini, credenti di questo Terzo millennio.

 

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"L'Eternità nell'Arte", mostra nella Basilica dei Santi Quattro Coronati

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Un mostra d’arte contemporanea per interrogare l’uomo sull’Eternità, in coincidenza con la vicina conclusione del Giubileo. Questo vuol essere “L’Eternità nell’Arte”, inaugurata ieri e aperta fino al 18 dicembre prossimo. Nel suggestivo complesso medievale della Basilica dei Santi Quattro Coronati, a Roma, il visitatore può ammirare dipinti e sculture di noti artisti contemporanei, credenti e non, che si sono cimentati su temi spirituali. L’ingresso è gratuito ed è possibile lasciare un’offerta. Il servizio di Debora Donnini

L’Eternità: una questione che ha percorso terre e secoli e che continua ancora oggi ad interrogare anche l’arte contemporanea, come dimostrano le opere esposte nella Basilica dei Santi Quattro Coronati. Opere di stampo profondamente diverso, legate da una domanda: si va dal dipinto di un paesaggio, “Il Paradiso è un giorno d’estate”, ai due quadri su Santa Madre Teresa di Calcutta, che ne raffigurano uno le mani ed uno il volto, fino all’immagine della clessidra e ad altre suggestioni più astratte. Sentiamo il curatore della mostra, il critico d’arte Giammarco Puntelli:

R. – L’idea mi è venuta quando il cardinale Gianfranco Ravasi e, prima, San Giovanni Paolo II hanno parlato della necessità dell’arte di continuare a rappresentare e a divulgare il Vangelo, a divulgare quello che è il senso stesso della religione cristiana. Ho chiesto agli artisti più importanti in questo momento nel contesto italiano e non solo di aiutarmi a realizzare questo progetto. Quindi vediamo un Antonio Nuziante, “Le ali dell’angelo”; troviamo un Giuseppe Menozzi che, invece, recupera il senso dell’eternità attraverso una visione quasi paradisiaca con un Tao; vediamo un Alfonso Borghi, informale per eccellenza, fare invece la figurazione di Maria e la figurazione di San Francesco d’Assisi.

D. – Ci sono opere che impressionano: penso - ad esempio - alla rivisitazione in chiave moderna di Monna Lisa. Qual è il senso?

R. – L’artista ha portato due dipinti: in uno ha portato il cuore e quindi il senso cristiano della bontà, della misericordia, all’interno del Giubileo come eterno, così come è eterna - almeno nella sensibilità degli uomini - Monna Lisa, che è sotto un vetro di 10 cm al Louvre, fotografata da tutto il mondo. Due situazioni completamente diverse che diventano icone dell’eternità.

Al termine dell’esposizione, un’opera di ogni autore, non necessariamente fra quelle esposte, sarà venduta tramite un’asta online. Il ricavato sarà devoluto per opere di carità secondo le intenzioni del Papa e per contribuire alle necessità di illuminazione della stessa Basilica. A fare da cornice, proprio una Basilica che è considerata un tesoro medievale di Roma, ricca di opere d’arte cristiana e accompagnata da un meraviglioso chiostro. Rappresenta, poi, un po’ un unicum che le monache agostiniane, di clausura, abbiano concesso che nel complesso si tenesse una mostra. Ancora Gianmarco Puntelli:

R. - Un fatto straordinario! Abbiamo bussato: “Bussate e vi sarà aperto”... Ci hanno aperto e ci hanno dato questa possibilità: abbiamo fatto comprendere il nostro spirito, la nostra 'mission'. Non era solo una mostra, ma era una mostra che voleva contribuire con l’arte a toccare il cuore delle persone in un momento in cui il Giubileo della Misericordia si sta chiudendo e fra solo poche settimane sarà il Santo Natale. Quindi volevamo creare un ponte fra queste due realtà del cristiano e del laico, invitando l’uomo a riflettere e a fare un punto della situazione sulla proprio vita.

L’auspicio, spiega suor Fulvia Sieni, è che il visitatore sia introdotto in un itinerario dello Spirito, che passando per la bellezza porti a “ringraziare l’unico Artefice del Bello di tutte le cose: l’Eterno, Dio”.

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Oggi in Primo Piano



Ancora proteste contro Trump. Nato: Usa hanno bisogno di noi

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Proseguono, negli Stati Uniti, le proteste contro il neoeletto presidente Trump. Ancora decine di migliaia di manifestanti in diverse città sono scesi in piazza e sono stati effettuati arresti per scontri con la polizia. E mentre Hillary Clinton attribuisce la propria sconfitta alla lettera inviata dal direttore dell’Fbi al Congresso pochi giorni prima del voto, Trump esprime in 18 punti le priorità del suo programma. Intanto il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, in una lettera all’Observer ricorda al prossimo inquilino della Casa Bianca come gli Usa abbiano bisogno dell'organizzazione. E proprio sul significato delle prime dichiarazioni del nuovo presidente in politica estera e sul rapporto con l’Alleanza Atlantica, Roberta Barbi ha intervistato Germano Dottori, docente di Studi strategici all’Università Luiss di Roma: 

R. – Significano fondamentalmente una cosa: l’America intende concentrarsi su stessa, senza lasciare il caos in giro per il mondo, e chiede ai suoi alleati di contribuire maggiormente alla sicurezza comune – come del resto hanno fatto tanti predecessori – e in più aggiunge a tutto questo la voglia di stabilire rapporti di collaborazione con Paesi che in questo momento sono considerati rivali degli Stati Uniti.

D. – Il segretario generale Ban-ki-moon si è detto fiducioso che i rapporti tra Nazioni Unite e Usa non cambino…

R. – Questo ovviamente è tutto da verificare alla prima crisi internazionale importante che dovesse insorgere. Le Nazioni Unite sono sorte alla fine della Seconda Guerra Mondiale anche sulla base di un disegno del presidente Roosevelt, che immaginava all’epoca una specie di “condominio americano-sovietico” per stabilizzare il mondo e garantire la sopravvivenza della pace dopo la fine delle ostilità. Nel momento in cui Trump dovesse realizzare un accordo di vasta portata con la Federazione Russa diventerebbe, forse, più facile.

D. – Il presidente della Commissione Ue Juncker ha detto che Trump non conosce il mondo e che bisognerà spiegargli cos’è l’Europa…

R. – Io credo che Juncker esprima il punto di vista dell’establishment comunitario che, in qualche modo, è strettamente imparentato con quello che è stato sconfitto in queste elezioni americane. Non credo che ci sia da preoccuparsi… In realtà, Trump ha investimenti in tutto il mondo e - come tutti gli investitori che operano all’estero - del mondo sa probabilmente molto di più di quanto comunemente si creda. Certo cambia la prospettiva, perché invece della prospettiva del business, adesso deve prevalere una prospettiva politica. Ma una cosa è certa: come imprenditore preferisce sicuramente la stabilità al rischio dell’aumento del caos. E questo credo che sia molto promettente per noi.

D. – Trump ha detto che la priorità è combattere lo Stato Islamico. Come si comporterà riguardo all’intervento in Iraq e la guerra in Siria?

R. – Questo ovviamente è da vedere, ma io immagino che la futura politica mediorientale dell’amministrazione Trump ruoterà essenzialmente intorno ai rapporti stabiliti con Israele e con gli stessi russi. Tutte le altre variabili dipenderanno da come si inquadrano questi due rapporti. Anche l’atteggiamento nei confronti della Turchia o nei confronti dell’Iran, secondo me risentirà molto del tipo di impostazione che avranno le relazioni con Tel Aviv e con Mosca. Dire che gli Stati Uniti debbano concentrarsi nella lotta allo Stato Islamico è anche un modo per trovare un terreno d’intesa proprio con i russi.

D. – Cosa dire sulle relazioni con la Russia: cambieranno e in che modo?

R. – Se le cose rimangono come nelle aspettative del presidente, avremo sicuramente un grande miglioramento. La stessa idea di Trump di alleggerire la pressione della Nato alle frontiere della Federazione Russa è qualcosa che è sicuramente gradito alla controparte. Se noi vogliamo immaginare un mondo in cui gli Stati Uniti e la Russia cooperano per mantenere la stabilità, è chiaro che Trump qualche cosa ai russi deve offrire, affinché trovino conveniente partecipare a questo tipo di operazione. Fermo restando che in un’eventuale trattativa Trump, comunque, non farà sconti, perché è il presidente degli Stati Uniti e non certamente il presidente della Federazione Russa.

D. – Per quanto riguarda i rapporti con la Cina, il neopresidente minaccia una guerra di valute e soprattutto sta vagliando l’ipotesi di porre dazi al 45 per cento sulle importazioni. Questo cosa significherebbe per l’economia statunitense e per quella mondiale?

R. – Sicuramente ci saranno settori della comunità americana degli affari che resisteranno a questa idea. Ma Trump si è presentato sulla scena politica americana promettendo iniziative energiche per restituire competitività alle manifatture statunitensi e quindi creare nuovi posti di lavoro ad alto valore aggiunto in quel settore. Io cercherei di vedere un aspetto positivo di questa posizione: una guerra commerciale è sempre meglio di una guerra militare. Il fatto stesso che si parli in questi termini, esclude di utilizzare nei confronti della Cina strumenti di coercizione militare. Quindi io credo che sia una cosa molto positiva: tra americani e cinesi si discuterà, ma si discuterà con strumenti – se vogliamo – “soft” della potenza politica e non con gli strumenti duri, gli strumenti “hard”, che sono le armi.

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Parolin: Siria, pace negoziata che garantisca anche i cristiani

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Mentre continuano le due offensive contro i jihadisti dello Stato Islamico in Siria e Iraq, rimane critica la situazione dei cristiani. Cacciate dalle loro terre o vessate dall’occupazione fondamentalista, le comunità della regione aspettano con fiducia la fine della guerra. Di loro si è parlato nella tre giorni di conferenze “Damasco, prisma di speranza”, che celebra i cento anni del Pontificio Istituto Orientale di Roma. Il servizio di Michele Raviart

Sconfiggere il cosiddetto “Califfato” dell’Is è una priorità per il ritorno dei cristiani nelle loro terre. Dai villaggi assaliti nel nord-est della Siria alla cacciata da Mosul in Iraq, si attende la fine della guerra per ritrovare la stabilità. Spiega il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin:

"Speriamo che la situazione si stia mettendo sulla strada giusta per arrivare prima di tutto ad un cessate-il-fuoco, quindi alla conclusione della guerra e poi per una soluzione negoziata. Ecco, questa è sempre l’insistenza della Santa Sede: che le parti si mettano davvero insieme e cerchino di trovare una via di uscita. Questa è la nostra speranza. Speriamo anche che i nuovi scenari internazionali - creati dall’elezione negli Stati Uniti, con il nuovo presidente - possano servire a questo scopo. Noi speriamo che questa soluzione contempli anche una soluzione per i cristiani: nel senso che possano essere cittadini della loro terra e del loro Paese in maniera integrale e che possano contribuire alla costruzione, al pari degli altri cittadini, della loro società e che siano sentiti come parte di quella società".

In Iraq lentamente si stanno ripopolando i villaggi della Piana di Ninive, anche se la maggior parte dei cristiani rimane nei campi profughi del Kurdistan iracheno. Critica anche la situazione ad Aleppo, in Siria, in cui oltre 250 mila persone sono assediate nei quartieri orientali. Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali:

"Purtroppo tutte le notizie che arrivano ci portano ad essere pieni di angoscia, di sofferenza, di partecipazione al dolore terribile dei nostri fratelli soprattutto ad Aleppo, ma anche nell'intero Medio Oriente. Nonostante questo panorama negativo e oscuro, noi invochiamo la luce della pace, dell’intesa, del dialogo, dell’incontro tra tutte le persone del Medio Oriente, di tutte le religioni; e che specialmente i cristiani possano essere sempre un punto di equilibrio in questa amata regione".

Solidarietà ai cristiani di Siria e Iraq anche dalla comunità di Terra Santa. Mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme:

"Non c’è un cristiano che non parli dei suoi fratelli in Siria e in Iraq. E’ molto bello vedere la solidarietà. Tutte le comunità cristiane esprimono solidarietà, anche concreta, con collette e con veglie di preghiera, ai loro fratelli cristiani. Sono ammirati dalla testimonianza che stanno dando e sono anche incoraggiati. Con i tanti problemi della Terra Santa, vedere la testimonianza dei cristiani - soprattutto di Siria ed Iraq - incoraggia i cristiani di Terra Santa a guardare avanti con forza. Come in tutto il Medio Oriente, anche in Terra Santa - in Israele e in Palestina - ci sono fenomeni di estremismo e sono preoccupanti perché non sono più episodici, "una tantum" come era una volta, ma rientrano dentro filoni ideologici che cominciano a preoccupare. Io penso e ritengo, però, che vi sia ancora il tempo per gestire queste situazioni, che invece nel resto del Medio Oriente sono fuori controllo". 

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Accordo tra India e Giappone sul nucleare a scopo civile

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Accordo tra India e Giappone sull’uso pacifico di tecnologia nucleare in campo civile. L’intesa è stata siglata venerdì a Tokyo tra il primo ministro nipponico Shinzo Abe e la controparte indiana Narendra Modi. L’India non è firmataria del Trattato di non proliferazione nucleare, ma la collaborazione mira esclusivamente a rilanciare una partnership commerciale e in particolare l’industria nucleare giapponese, dopo il disastro di Fukushima del 2011. Nello stesso quadro sono stati siglati nuovi accordi anche in ambito infrastrutturale, tessile, dei trasporti e dell’esplorazione aerospaziale. Marco Guerra ha intervistato al riguardo Giovanni Battista Andornino, docente di Relazioni internazionali dell’Asia Orientale all’Università di Torino: 

R. – L’accordo è stato negoziato nell’arco di un periodo di sei anni. E’ stato un accordo complesso da raggiungere e quindi naturalmente il fatto stesso che sia stato siglato rappresenta un decisivo passo avanti nei rapporti tra questi due Paesi. Io direi di inquadrarlo soprattutto in termini commerciali, perché è evidente che il Giappone ha perseguito questo obiettivo anche e soprattutto per garantirsi uno sbocco commerciale in un Paese come l’India, che pianifica di costruire nell’arco dei prossimi 10-20 anni un numero significativo di nuove centrali nucleari - parliamo di 20 - in un momento in cui, invece, il tema dell’approvvigionamento energetico per fonte nucleare in Giappone è fortemente pregiudicato dalle vicende di Fukushima del 2011. Quindi non avendo più una domanda interna - storicamente molto importante - che potesse offrire l’opportunità alle imprese di trovare acquirenti, queste hanno bisogno di poter mantenere una posizione di leadership a livello mondiale e cercano sbocchi ulteriori: l’India - in questo senso - rappresenta un mercato importante.

D. – L’accordo prevede la fornitura di energia solo per scopi pacifici. Ma il fatto che l’India non abbia firmato il Trattato di non proliferazione suscita diverse preoccupazioni, secondo gli osservatori internazionali: perché?

R. – Sì, sulla stampa giapponese in particolare, la stampa di taglio progressista, questo è uno dei motivi di maggior critica al governo Abe, che è un governo conservatore. Ci si chiede se sia opportuno politicamente sostenere un accordo del genere con un Paese che non aderisce, appunto, al Trattato di non proliferazione. In realtà, l’India ha una posizione, in questo senso, di critica del Trattato stesso: nel senso che è pervenuta alla disponibilità delle tecnologie nucleari dopo la moratoria che ha portato alle potenze nucleari formalizzate e riconosciute, Stati Uniti, Russia, Cina. L’India non ha fatto parte di questo gruppo di testa e quindi non ha mai firmato tale accordo, ma in realtà l’India ha mostrato nei fatti di non aver un atteggiamento proliferatorio e quindi nella sostanza, se non nella forma, di fatto aderisce al senso di quel Trattato. Da questo punto di vista il governo giapponese si è sentito sufficientemente tutelato da poter puntare all’accordo.

D. – Nel quadro geopolitico asiatico che ripercussioni ha questa intesa? Si parla di un contenimento della Cina?

R. – Si tende molto a tracciare sempre una linearità e una consecutività geopolitica anche rispetto ad accordi di carattere commerciale. Io credo - e se guardiamo alle vicende dell’industria giapponese, che non dobbiamo dimenticare che è una delle grandi esperienze industriali del mondo e dell’innovazione delle nuove tecnologie che in quel Paese vengono sviluppate - che il Giappone e le sue aziende si trovino ad affrontare una competizione molto acuta: le imprese cinesi in prima battuta, quelle sudcoreane che in varie Paesi significativi per il Giappone stanno mettendo a segno degli accordi importanti. Quindi non ne farei tanto un tema di contenimento della Cina, in quanto Paese o in quanto potenza, ma ne farei più un discorso di competizione commerciale internazionale: il Giappone vuole continuare a contare e quindi accordi come questo gli consentono di mantenere una leadership e di competere al livello che siamo abituati ad aspettarci dal Giappone.

D. – Dopo il disastro di Fukushima, alcuni commentatori prefigurarono una decisa contrazione del nucleare. Almeno in Asia sembra che questa fonte di energia sia irrinunciabile…

R. – Si tratta di Paesi che crescono a ritmi importanti: parliamo di Paesi che crescono oltre il 6-7-8 per cento anno su anno, in termini di economia aggregata, di Pil. E’ evidente che mantenere una crescita del genere significa anche mantenere una parallela crescita del consumo energetico: e quindi se si cresce in questa maniera o si rende più efficiente il sistema di produzione e approvvigionamento energetico, facendolo si vede comunque un dilatarsi del consumo. Quindi per reggere questo genere di dinamica si ha certamente bisogno di continuare ad utilizzare i combustibili fossili e, se si vuole in qualche misura anche non accentuare oltre una certa soglia - già ampiamente superata peraltro - l’inquinamento nei Paesi, il nucleare al momento è una soluzione che continua ad essere rilevante.

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Al via a Roma la mostra transmediale su "Quo vadis"

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Al via questa domenica presso l’Istituto polacco di Roma la Mostra dedicata a “Quo vadis, la prima opera transmediale” che ricorda la scrittura e il successo del famoso romanzo storico di Henryk Sienkiewicz. In programma nei prossimi giorni anche un interessante convegno alla Casa del Cinema, accompagnato dalla proiezione di alcuni film tratti dal capolavoro. Il servizio di Luca Pellegrini

“Bisogna che nella letteratura ci sia più compassione e felicità che non nella realtà”. Queste parole Henryk Sienkiewicz le scriveva nel 1895 ad un amico, dieci anni prima di vincere il Premio Nobel per la letteratura. In quell’anno cominciava anche ad essere pubblicato a puntate il romanzo storico che lo avrebbe poi reso famoso nel mondo: “Quo vadis”. I fasti della Roma neroniana, il martirio dei cristiani, il grande incendio e il grande eroismo, l’amore e la lotta: fu un successo enorme. Che viene ricordato a Roma ripercorrendo le tappe storiche che hanno portato alla scrittura del capolavoro, per capire le ragioni che lo hanno fatto diventare un fenomeno della cultura di massa, veicolato anche dall’appropriarsi quasi subito del cinema. Coinvolgeva certo i lettori e gli spettatori la segreta passione tra il tribuno Marco Vinicio e la cristiana Licia, incarnando quest’ultima l’eroina di quella che lo stesso Sienkiewicz vedeva come una “grande epopea cristiana”. Monica Woźniak, docente di Letteratura polacca alla Sapienza di Roma e curatrice della Mostra, interpreta per noi questa immagine dello scrittore:

R. - Sienkiewicz era sempre attratto da grandi romanzi epici. Infatti aveva cominciato la sua carriera con una grande saga sulla Polonia seicentesca, chiamata “La trilogia”. Però, avendo sempre amato molto i classici e avendo soggiornato anche diverse volte a Roma e in Italia, si era innamorato proprio della Roma antica e voleva in qualche modo evocare questo mondo e ricostruirlo nel suo romanzo, anche sullo sfondo del grande scontro tra il mondo romano in decadenza, il mondo pagano, e la nascente cristianità.

D. - Nel Novecento il successo del romanzo sembrò inarrestabile, dopo la Seconda Guerra Mondiale quasi sparì dagli scaffali e dall’interesse. Quali sono secondo lei le ragioni?

R. - Penso che ci siano diversi fattori e che “Quo vadis”, in quanto romanzo, e lo stesso Sienkiewicz, sia stato “divorato”, se possiamo dire così, dal suo stesso successo a livello popolare, a livello della cultura di massa. E infatti anche a questo vogliamo dedicare il nostro convegno che sarà un convegno interdisciplinare durante il quale noi discuteremo anche della presenza di “Quo vadis” in diverse altre arti. Era un tema che piaceva ed era un tema che in qualche modo incitava la fantasia dei lettori. Però se noi pensiamo al romanzo di “Quo vadis”, la cosa che lo distingue da altri tantissimi romanzi simili è prima di tutto una buona preparazione, la conoscenza degli autori classici che ha permesso a Sienkiewicz di creare questa visione del mondo antico così vivace, così tangibile. Infatti, soprattutto tra i romani, c’erano tantissimi che hanno cominciato a guardare la propria città con occhi diversi, a riscoprirla, grazie proprio al romanzo.

D. - Professoressa, lei ritiene “Quo vadis” il primo esempio di una vera e propria “transmedialità” dell’epoca moderna, proprio quella che la Mostra esemplifica in modo attento. Che cosa significa?

R. - Pensiamo all’influsso che “Quo vadis” ha avuto su altre arti: sul teatro, sulla musica, anche sulla poesia dialettale, ma soprattutto sul cinema. Sul cinema infatti si è scoperto il potenziale di “Quo vadis” fin dall’inizio, fin dai primi anni dell’esistenza. Il primo adattamento di “Quo vadis” risale al 1901. Però, soprattutto se pensiamo al film di Enrico Guazzoni del 1913, è un film basato su “Quo vadis” ed è un film importantissimo per lo sviluppo del cinema, per la storia del cinema. E’ il primo kolossal storico italiano, il primo film che utilizza non i fondali ma delle decorazioni vere, il primo lungometraggio, quasi due ore. E poi le illustrazioni, le immagini del film, che diventano a loro volta l’ispirazione per altre opere. Per esempio, adattamenti teatrali e cinematografici hanno ispirato poi dei sonetti in dialetto romanesco, anche in napoletano, che raccontavano la storia di “Quo vadis”, però la storia proprio di come venne girato questo adattamento. Dunque, insomma, c’è tutta la stratificazione che passa attraverso diverse dimensioni della cultura.

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Con Messa di p. Sosa, chiusa Congregazione generale Gesuiti

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È stata celebrata ieri pomeriggio nella chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Roma la Messa per la chiusura della 36.ma Congregazione generale della Compagnia di Gesù. L’Eucaristia di ringraziamento è stata presieduta, assieme ai delegati e ai gesuiti residenti in città, dal Superiore della Compagnia, padre Arturo Sosa, che nella sua omelia ha ricordato come gli esercizi spirituali di S. Ignazio si fondino sulla contemplazione come strumento attraverso il quale raggiungere l’amore. L’amore è ovviamente quello del Signore, che mandando suo Figlio nel mondo vuole farsi conoscere come Colui che è amore: “L’amore si deve dimostrare più nelle opere che nelle parole – ha detto p. Sosa – ed è uno scambio dove ciascuno dona tutto ciò che ha e tutto ciò che è”.

“Sconvolti dalle testimonianze dei fratelli nelle zone di guerra”
Il sacerdote ha poi raccontato come tutti i partecipanti siano rimasti sconvolti “dalle testimonianze dei nostri fratelli in condizioni di guerra”. Le ferite delle guerre, infatti, fanno crescere i flussi dei rifugiati e aumentano le sofferenze dei migranti. “Le disuguaglianze tra i popoli e all’interno delle nazioni sono il segno del mondo che disprezza l’umanità”, ha detto, precisando che la politica intesa come arte della negoziazione per il bene comune “continua a indebolirsi”.

“Vedere il mondo attraverso gli occhi del povero”
“Il nostro discernimento – ha proseguito padre Sosa – ci fa vedere il mondo con gli occhi dei poveri e ci spinge a collaborare con loro per costruire la vita vera, ci invita ad andare nelle periferie del mondo e capire da lì come affrontare la crisi che mette a rischio la vita sulla Terra”. Questo è stato indicato dal sacerdote come il rinnovato impegno della Compagnia di Gesù, strumento efficace per combattere la superficialità e l’ideologia: predicare il Vangelo dappertutto, sempre consolati dall’amore di Dio. (R.B.)

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Colombia. Nuovo accordo tra governo e Farc, dopo il no al precedente

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Un nuovo accordo di pace è stato firmato all’Avana, Cuba, tra il governo della Colombia guidato da Juan Manuel Santos e i guerriglieri delle Farc. Si tratta di “un accordo migliore” rispetto al precedente, bocciato da un referendum popolare il 2 ottobre scorso, secondo il presidente Santos. Tale accordo non sarà sottoposto a voto popolare, ma solo a quello del Congresso.

L’intesa precedente bocciata al referendum popolare del 2 ottobre
La precedente intesa, respinta dal volere popolare, era stata giudicata troppo favorevole alle Farc, le Forze armate rivoluzionarie colombiane di ispirazione marxista attive nel Paese dal 1964 e che solo nel 2012 hanno iniziato un dialogo con le autorità per valutare la possibilità di instaurare una pace stabile e duratura. Stando a quanto appreso, nel testo del nuovo accordo sono state raccolte le proposte dei settori della società che guidarono il fronte del 'No' al referendum del 2 ottobre, ma non sono stati forniti altri dettagli sul contenuto.

La gente in piazza per festeggiare
In serata, nella piazza centrale di Bogotà, dedicata a Bolìvar, decine di colombiani si sono riuniti nonostante la pioggia per festeggiare l’accordo. (R.B.)

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Indonesia: bomba davanti chiesa a Samarinda. Anche un bimbo ferito

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Una bomba artigianale è scoppiata davanti alla chiesa Oikumene a Sengkotek, Samarinda, sull’isola del Borneo, in Indonesia. A riferirlo l’agenzia AsiaNews, secondo cui quattro persone, fra le quali un bambino, sono state ferite. E’ la prima volta che avviene un incidente di questo tipo nella capitale provinciale dell’East Kalimantan. La polizia locale, confermando l’incidente, ha parlato di una bomba molotov ad opera di ignoti. Fonti di AsiaNews sul posto hanno detto che l’autore - un residente di Bogor, della provincia di West Java - è stato fermato e fatto arrestare dalla folla, dopo che aveva tentato di fuggire gettandosi nel vicino fiume. (G.A.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 318

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.