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Sommario del 11/11/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa ai senza dimora: perdono per i cristiani che si girano dall'altra parte

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Vi chiedo perdono per le persone della Chiesa che non vi hanno visto, che si sono girate dall’altra parte: così Papa Francesco accogliendo nell’Aula Paolo VI diverse migliaia di senza dimora provenienti da molti Paesi europei (Francia, Germania, Portogallo, Inghilterra, Spagna, Polonia, Italia), che hanno vissuto o che vivono in strada, arrivati in questi giorni a Roma per vivere il loro Giubileo della Misericordia. All’evento, promosso dall’Associazione francese “Fratello”, hanno aderito varie associazioni che assistono le persone in grave situazione di precarietà e senza alloggio. Il servizio di Adriana Masotti

Prima delle parole i saluti calorosi e lo scambio di abbracci tra Francesco e i suoi ospiti. Poi ad aprire l’incontro il cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione. Quindi l’intervento di  Etienne Villemain dell’Associazione Fratello: “E’ la Chiesa e Cristo stesso che siamo venuti a incontrare”, dice al Papa, ringraziandolo di ricordarli così spesso. Anche noi, dice, desideriamo sperimentare la tenerezza di Dio. E al Papa esprime un grande desiderio: quello che si possano organizzare le Giornate mondiali dei poveri. Poi ancora le testimonianze di Christian e Robert, due persone senza dimora, piene di gratitudine verso coloro che li hanno aiutati e verso il Papa perché porta sempre i poveri nel suo cuore.

Francesco comincia dicendo che ha preso nota di alcune parole appena sentite. Queste: “come esseri umani noi non ci differenziamo dai grandi del mondo. Abbiamo le nostre passioni e i nostri sogni, che cerchiamo di portare avanti a piccoli passi”. La passione e il sogno: due parole, dice, che possono aiutare. “Non smettete di sognare”, raccomanda il Papa.

"La povertà sta nel cuore del Vangelo. Colui che ha tutto non può sognare! La gente, i semplici sono andati a Gesù perché sognavano che li avrebbe curati, che li avrebbe liberati, che li avrebbe serviti e lo seguirono e Lui li liberava".

Una seconda parola: “La vita così è bella”. Che significa che la vita si fa bella anche nelle peggiori situazioni, si domanda il Papa, questo significa dignità! La stessa dignità che ha avuto Gesù che è nato povero, che ha vissuto povero:

"Io so che molte volte voi avete incontrato gente che voleva sfruttare la vostra povertà ... però so anche che questo sentimento di vedere che la vita è bella, questo sentimento, questa dignità, vi ha salvati dall’essere schiavi. Povero sì, schiavo no! La povertà è nel cuore del Vangelo, per essere vissuta. La schiavitù non è nel Vangelo per essere vissuta, ma per essere liberata!".

Sempre incontriamo persone più povere di noi, prosegue il Papa, la capacità di essere solidali è uno dei frutti che ci dà la povertà: “grazie per questo esempio che voi date. Insegnate solidarietà al mondo!”. Francesco dice che l’ha colpito poi sentir parlare della pace. La povertà più grande è la guerra, afferma, la guerra che distrugge:

"La pace che, per noi cristiani, è iniziata da una stalla, da una famiglia emarginata; la pace che Dio vuole per ciascuno dei suoi figli. E voi, dalla vostra povertà, dalla vostra situazione, potete essere artefici di pace. La guerra si fa tra ricchi, per avere di più, per aver più territorio, più potere, più denaro. Abbiamo bisogno di pace nel mondo! Abbiamo bisogno di pace nella Chiesa; tutte le Chiese hanno bisogno di pace; tutte le religioni hanno bisogno di crescere nella pace."

Io vi ringrazio per essere venuti qui a visitarmi, dice infine il Papa, vi chiedo perdono se qualche volta vi ho offesi con le mie parole o per non aver detto le cose che avrei dovuto dire:

"Vi chiedo perdono per tutte le volte che noi cristiani davanti ad una persona povera o ad una situazione povera guardiamo dall’altra parte. Il vostro perdono, di uomini e donne della Chiesa, che non vogliono guardare o non lo hanno voluto guardare, è acqua benedetta per noi,  è  pulizia per noi, è aiutarci a tornare a credere che nel cuore del Vangelo c’è la povertà come grande messaggio e che noi – i cattolici, i cristiani, tutti – dobbiamo formare una Chiesa povera per i poveri".

Alla fine il Papa in piedi recita una invocazione al Signore: “Dio, Padre di tutti noi, di ciascuno dei tuoi figli ti chiedo che ci dia forza, che ci dia allegria, che ci insegni a sognare per guardare avanti; che ci insegni ad essere solidali, perché siamo fratelli; e che ci aiuti a difendere la nostra dignità”.

Poi Francesco si intrattiene ancora per un momento intenso di preghiera silenziosa, circondato da uomini e donne stretti alla sua persona sulle cui spalle appoggiano le proprie mani. Un gesto che esprime più delle parole l’amicizia tra il Papa e i poveri.

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I poveri in Vaticano: il Papa apre il cuore di chi è in difficoltà

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Hanno portato da Papa Francesco quello che hanno di più prezioso: la loro povertà, le loro malattie, il loro disagio e, insieme, la loro speranza. Sono i circa 4 mila partecipanti al Giubileo delle persone socialmente escluse, ricevuti dal Pontefice in Aula Paolo VI. Giada Aquilino e Clarissa Guerrieri hanno raccolto le testimonianze di alcuni protagonisti di questo incontro: 

R. - Mi chiamo Pino.

D. - Da dove vieni?

R. - Rimini, dalla strada.

D. - Chi ti aiuta?

R. - L’associazione Papa Giovanni XXIII: mi hanno accolto sette mesi fa e sono spettacolari, perché prima ero disperato, bevevo, pensavo che non avrei avuto aiuto da nessuno. Invece, adesso, avvicinandomi a loro e al Papa sento dentro di me qualcosa che esiste.

D. - Che cosa vedi intorno a te?

R. - Un altro mio futuro. Quello di prima era andato distrutto: ora si sta ricreando.

R. - Sono Lucia Lucchini, mi occupo in particolare della mensa di Via Dandolo della Comunità di Sant’Egidio a Roma.

D. - Il Papa ha chiesto perdono per quei cristiani che si voltano dall’altra parte di fronte alla povertà…

R. - Credo che le parole del Papa aprano i cuori di chi è in difficoltà, ma anche di chi – come ci ha detto – ha tutto e deve scoprire che la vera felicità si trova vivendo insieme: chi ha tanto e chi non ha nulla.

D. - Posso chiederle il suo nome?

R. - Giuseppe. Io sono italo-olandese. Sono ospite presso un centro di accoglienza del Comune situato a Isola Verde.

D. - Qual è stato il messaggio del Papa?

R. - Di non essere schiavi di un qualcosa che non ci appartiene, ma di essere solamente grati a Dio perché abbiamo ancora possibilità di crescere nel nostro intento, di riacquistare una vera dignità.

D. - Giuseppe, qual è il suo sogno?

R. - Che il Signore possa benedire le persone che vivono nel disagio, che le aiuti a tirarsi su e ad eliminare queste guerre di oggi, che sono un disastro totale.

R. - Sono Antonino. Io vivo in una roulotte della Comunità di Sant’Egidio.

D. - Cosa significa essere solidali con chi soffre?

R. - Colui che sta meglio deve aiutare colui che sta peggio.

D. - Lei da dove viene?

R. - Noi veniamo da Venezia.

D.- E qual è il suo nome?

R. - Alberto, sono un Clown Gipsy, un mimo che lavora con gli artisti di strada, con i senza fissa dimora.

D. - Avete salutato il Papa?

R. - Sì. È molto importante secondo noi perché il Papa è impegnato davvero nel sociale, vuole una Chiesa povera per i poveri. E noi siamo impegnati nell’aiuto ai poveri.

D. - Madre, come si chiama?

R. - Io sono suor Anna, vengo da Venezia. Sono venuta insieme ai miei amici poveri che aiutiamo tramite la mensa, il dormitorio “Papa Francesco” e il centro di ascolto della Caritas veneziana a Marghera.

D. - Qual è stato il messaggio che queste persone hanno raccolto da Papa Francesco?

R. - Credo che per tutti noi sia un messaggio di aprire le porte, di spalancarle finalmente per accogliere e trovare nuove modalità di stare con loro. Forse si tratta più di condividere la vita che di offrire solo servizio.

D. - Come ti chiami?

R. - Sergio.

D. - Sergio, cosa vuoi dire?

R. - Ringrazio Papa Francesco che ci è venuto incontro.

R. - Ciro, associazione Papa Giovanni XXIII.

D. - Che cosa ha provato in questa giornata?

R. - Che si deve reagire davanti ad ogni cosa, che si può migliorare.

R. - È stato un invito a tutti i poveri, a venire qui ed incontrare il Papa. Io sono tra questi e ringrazio Francesco per questo invito.

D. - Lei di quale comunità fa parte?

R. – Anch’io sono dell’associazione Papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi. Da venti anni sono membro della comunità. Sono stato in missione in Sud America per quattro anni e due anni in Kenya, per lavorare con i poveri.

D. - Che emozione ha provato oggi?

R. - L’emozione di avere incontrato un uomo di Dio. È sempre un sentimento profondo perché io credo in Dio; per me è una misericordia, una benedizione.

D. - Quale messaggio le ha lasciato il Santo Padre?

R. - Non bisogna mai avere vergogna di essere poveri, perché Gesù ci dice che il povero è una persona dignitosa. Nel Vangelo i poveri sono coloro che vengono più esaltati.

D. - Lei fa qualcosa per aiutare chi ha bisogno?

R. - Lavoro in una cooperativa con persone che hanno disagi mentali. Condivido con loro la mia vita, perché questa è la nostra vocazione. È una scelta.

R. - Sono volontario in una struttura dell’associazione Papa Giovanni XXIII. Porto ai ragazzi che vivono con noi le parole del Papa. Con loro condivido un momento importante, nel quale vengono riconosciuti loro la dignità e il valore nonostante la situazione.

R. - Mi chiamo Davide. Sono un operatore della Capanna di Betlemme.

D. - Che messaggio hai ricevuto dal Santo Padre?

R. - Essere poveri è la cosa più bella.

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Papa: amore cristiano è concreto, no a ideologie e intellettualismi

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L’amore del cristiano è concreto, non è l’amore “soft” di una telenovela. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha messo in guardia da quelle ideologie e intellettualismi che “scarnificano la Chiesa”, ribadendo che il criterio dell’amore cristiano è “l’Incarnazione del Verbo”. Il servizio di Alessandro Gisotti

Un dialogo di amore fra il pastore e la sua Sposa, la Chiesa. Papa Francesco prende spunto dalla prima lettura, un passo della seconda Lettera di San Giovanni Apostolo, per soffermarsi sulla natura dell’amore cristiano. Innanzitutto, rammenta che il comandamento che abbiamo ricevuto dal Signore è di “camminare nell’amore”. Ma di quale amore si tratta, si chiede il Pontefice? Questa parola, osserva, “è usata oggi” per tante cose. Si parla di amore in un romanzo o in una telenovela, di amore teorico.

Il criterio dell’amore cristiano è l’Incarnazione del Verbo
Ma qual è dunque, riprende, “il criterio dell’amore cristiano?” Il criterio dell’amore cristiano, sottolinea Francesco, “è l’Incarnazione del Verbo”. E chi nega questo, chi non lo riconosce, è il suo ammonimento, “è l’anticristo!”:

“Un amore che non riconosce che Gesù è venuto in Carne, nella Carne, non è l’amore che Dio ci comanda. E’ un amore mondano, è un amore filosofico, è un amore astratto, è un amore un po’ venuto meno, è un amore soft. No! Il criterio dell’amore cristiano è l’Incarnazione del Verbo. Chi dice che l’amore cristiano è un’altra cosa, questo è l’anticristo! Che non riconosce che il Verbo è venuto in Carne. E questa è la nostra verità: Dio ha inviato suo Figlio, si è incarnato e ha fatto una vita come noi. Amare come ha amato Gesù; amare come ci ha insegnato Gesù; amare dietro l’esempio di Gesù; amare, camminando sulla strada di Gesù. E la strada di Gesù è dare la vita”.

“L’unica maniera di amare come ha amato Gesù – prosegue il Papa – è uscire continuamente dal proprio egoismo e andare al servizio degli altri”. E questo perché l’amore cristiano “è un amore concreto, perché è concreta la presenza di Dio in Gesù Cristo”.

Le ideologie sull’amore scarnificano la Chiesa
Quindi, mette in guardia da chi va oltre questa “dottrina della carne”, dell’Incarnazione, perché così facendo “non rimane nella dottrina di Cristo, non possiede Dio”:

“Questo andare oltre è un mistero: è uscire dal Mistero dell’Incarnazione del Verbo, del Mistero della Chiesa. Perché la Chiesa è la comunità attorno alla presenza di Cristo, che va oltre. Quella parola tanto forte, no? ... proagon, chi cammina oltre. E da lì nascono tutte le ideologie: le ideologie sull’amore, le ideologie sulla Chiesa, le ideologie che tolgono alla Chiesa la Carne di Cristo. Queste ideologie scarnificano la Chiesa! ‘Sì, io sono cattolico; sì sono cristiano; io amo tutto il mondo di un amore universale’… Ma è tanto etereo. Un amore è sempre dentro, concreto e non oltre questa dottrina dell’Incarnazione del Verbo”.

Francesco avverte poi che “chi vuole amare non come ama Cristo la sua sposa, la Chiesa, con la propria carne e dando la vita, ama ideologicamente”. E questo modo di “fare delle teorie, delle ideologie – soggiunge – anche delle proposte di religiosità che tolgono la Carne al Cristo, che tolgono la Carne alla Chiesa, vanno oltre e rovinano la comunità, rovinano la Chiesa”.

L’amore cristiano è concreto, evitare intellettualismi
Ancora ammonisce che “se incominciamo a teorizzare sull’amore” arriveremo alla “trasformazione” di quello che Dio “ha voluto con l’Incarnazione del Verbo, arriveremo ad un Dio senza Cristo, a un Cristo senza Chiesa e ad una Chiesa senza popolo. Tutto in questo processo di scarnificare la Chiesa”:

“Preghiamo il Signore perché il nostro camminare nell’amore mai - mai! - faccia di noi un amore astratto. Ma che l’amore sia concreto, con le opere di misericordia, che si tocca la Carne di Cristo lì, di Cristo Incarnato. E’ per questo che il diacono Lorenzo ha detto ‘I poveri sono il tesoro della Chiesa!’. Perché? Perché sono la carne sofferente di Cristo! Chiediamo questa grazia di non andare oltre e non entrare in questo processo, che forse seduce tanta gente, di intellettualizzare, di ideologizzare questo amore, scarnificando la Chiesa, scarnificando l’amore cristiano. E non arrivare al triste spettacolo di un Dio senza Cristo, di un Cristo senza Chiesa e una Chiesa senza popolo”.

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Altre udienze e nomine

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Per le altre udienze odierne di Papa Francesco e le nomine pontificie rimandiamo al Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Francesco: politici non siano causa di sofferenza per i poveri

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Non do giudizi sulle persone e sugli uomini politici, ma sono interessato a capire se il loro modo di procedere causa sofferenze ai poveri e agli esclusi. Sono le parole del Papa su Donald Trump in un’intervista a Eugenio Scalfari apparsa oggi su Repubblica e realizzata lunedi 7. Francesco ricorda anche che dobbiamo abbattere i muri che dividono. Alessandro Guarasci

Trump, lotta alle disuguaglianze, il martirio dei Cristiani. Papa Francesco affronta questi temi nell’intervista a Eugenio Scalfari, realizzata qualche giorno prima che Trump fosse eletto alla Casa Bianca. Il Pontefice in sostanza non dà giudizi sul neo Presidente Usa ma dice di essere interessato agli effetti delle azioni dei politici su “poveri” ed “esclusi”. Ecco perché, sottolinea il Papa, dobbiamo abbattere i muri che dividono: tentare di accrescere il benessere e renderlo più diffuso. Ne consegue che vanno costruiti ponti che consentono di far diminuire le disuguaglianze e accrescono la libertà e i diritti. Dunque bisogna lottare contro le disuguaglianze, questo è il male maggiore che esiste al mondo. E’ il denaro che le crea.

Ed ancora, le guerre: odio per odio, intensifica solo l’esistenza dell’odio e del male nell’universo. Alla domanda di Scalfari sul fatto che molti Paesi reagiscono anche con le armi per sconfiggere l’Isis, il Pontefice risponde che noi Cristiani siamo sempre stati martiri, eppure la nostra fede ha conquistato gran parte del mondo … Due miliardi e mezzo. Ci sono voluti armi e guerre? No. Martiri? Sì, e molti.

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Il card. Filoni in Malawi e Zambia nel segno dell'evangelizzazione

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Il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, è rientrato questa mattina a Roma dopo aver concluso ieri la visita pastorale in Malawi e Zambia. In Malawi, come inviato speciale del Papa, ha presieduto la consacrazione della cattedrale della diocesi di Karonga mentre in Zambia, ha celebrato i 125 anni di evangelizzazione del Paese. Sull'importanza della visita in Malawi, il card. Filoni al microfono di Roberto Piermarini

R. – È stato un incontro importante non solo per la consacrazione della cattedrale, ma anche per fare una verifica con le varie componenti della Chiesa: i laici, i sacerdoti, i religiosi e le religiose; dunque un’occasione. Oltre alla consacrazione, poi, toccava aspetti relativi all’evangelizzazione, al dialogo con le realtà del posto; anche dare più entusiasmo a queste comunità che hanno bisogno di sentire la vita, la presenza della Chiesa nelle loro realtà quotidiane: la scuola, l’assistenza sanitaria in tante parti, con le nostre iniziative che abbiamo poi negli orfanotrofi; purtroppo anche per la questione dell’Aids. E poi, a due anni di distanza dalla loro visita ad limina, quasi in continuazione con quella realtà ricchissima che loro hanno avuto incontrando Papa Francesco esattamente nel novembre del 2014. Quindi è stato un momento di messa a punto anche di tanti aspetti relativi a quanto loro avevano avuto modo di sentire e anche di apprendere e di conoscere da parte del Santo Padre stesso.

D. – Eminenza, è sentita la missionarietà in questi Paesi?

R. – La missionarietà è ancora molto sentita perché non è che tutta la popolazione sia evangelizzata. Però è chiaro che l’aspetto fondamentale, oltre che l’evangelizzazione verso chi non conosce il Vangelo stesso, è anche passare da una realtà sacramentale, quella del Battesimo, che tanti hanno ricevuto – c’è una bella presenza – ad una evangelizzazione più profonda anche negli aspetti della vita. Quindi l’organizzazione anche per approfondire il senso della fede, la vita della fede, tutti gli aspetti ovviamente della società – il matrimonio, i giovani, l’educazione dei ragazzi, l’assistenza ai poveri, agli anziani –; e qui, naturalmente, entra soprattutto il modo con cui il Vangelo si pone rispetto a queste realtà. Il Battesimo lo hanno ricevuto, ma c’è bisogno anche di evangelizzare tutte queste realtà ricchissime, e anche varie, di cui si compone la società del Malawi.

D. – Card. Filoni, che cosa l’ha colpita della visita in Zambia?

R. – Lo Zambia è diventato un’occasione non solo per alcuni incontri particolari – dalla bellissima celebrazione eucaristica che abbiamo avuto nella cattedrale con migliaia di persone, come momento liturgico speciale –; ma poi anche nei vari incontri, nelle varie visite: al seminario, dove anche ci sono numerose vocazioni. Quindi l’incontro con i seminaristi, con noi formatori, in modo da poter dare loro un impulso nella formazione stessa, e dare anche quelle indicazioni che il Papa tanto raccomanda in ordine alla formazione dei presbiteri. E poi ovviamente incontrare le varie realtà locali: l’incontro con le suore di Madre Teresa con tanti bambini; l’incontro anche con le religiose. Un momento quindi estremamente ricco anche di umanità: perché non c’è posto dove non sia andato in cui non abbiamo manifestato con tutta la loro ricchezza e la loro vivacità spirituale, anche di festa.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Abbattere i muri: intervista del Papa a “la Repubblica”.

Due tentazioni che perdono l’uomo: Paolo Vian sulla misericordia di Dio secondo Erasmo da Rotterdam.

Un articolo del prefetto Cesare Pasini dal titolo “Riprodurre i codici”: un'impresa avviata dalla Biblioteca vaticana nel 1899.

Gabriele Nicolò su manoscritti d’autore.

Che cos’è il sacrificio?: stralci di un testo inedito (1975) di Carlo Maria Martini sul cristiano e la retta intenzione.

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Oggi in Primo Piano



Mons. Kurtz: collaboreremo con Trump per il bene del popolo Usa

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Primo incontro, ieri, alla Casa Bianca tra Barack Obama e Donald Trump, dopo le elezioni presidenziali dell’8 novembre. Un colloquio cordiale in cui il Presidente uscente e il suo successore hanno messo l’accento sulla riconciliazione nazionale, dopo una campagna elettorale che ha lacerato l'America. Intanto, però, non si fermano le proteste di piazza contro il tycoon eletto Presidente. Imponenti manifestazioni si sono registrate a New York e Los Angeles, ad Oakland il corteo è degenerato in scontri con le forze dell’ordine, tre i poliziotti feriti. Sull'elezione di Trump e il ruolo dei cattolici in questa nuova fase della vita politica americana, Christopher Wells ha intervistato mons. Joseph E. Kurtz, arcivescovo di Louisville, presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti: 

R. – Well, first of all, as we all know, for Catholics, for people of good will, for people of faith …
Bene, prima di tutto,  per noi cattolici, per le persone di buona volontà, per le persone credenti, un’elezione è un fatto molto, molto importante perché essa supporta un Paese, una nazione nella ricerca, all’interno di se stessa, del bene comune: del bene della persona umana, quel bene che rispetti la dignità di ogni persona. L’anno scorso, quando Papa Francesco è venuto negli Stati Uniti, sia al Congresso, alla Casa Bianca, e poi a Philadelphia, nell’Incontro mondiale delle famiglie, ha ribadito l’importanza dell’impegno e del coinvolgimento nel processo politico. Quindi, mentre non appoggiamo candidati specifici, noi ricerchiamo il bene comune e diamo forza al nostro insegnamento sociale cattolico e ai principi che indicano la strada verso il bene comune. Quindi, a elezione conclusa, siamo ansiosi di dare il benvenuto al nostro nuovo presidente e a tutte le nuove cariche elette, perché siamo anche ansiosi di lavorare a stretto contatto con il presidente Trump e con le due Camere del Congresso, nella ricerca di una reale promozione del bene di tutti. La nostra speranza è di poterlo fare – in quanto Conferenza episcopale – come abbiamo fatto negli ultimi cento anni …

D. – Lei attribuisce un significato particolare al fatto che questa elezione e questa campagna elettorale abbiano avuto luogo proprio nell’Anno della Misericordia?

R. – Well, of course I am glad that we are mentioning the Year of Mercy, which we are very close …
Certamente sono contento che abbiamo parlato dell’Anno della Misericordia, che siamo in prossimità di concludere: che grande dono è stato e quanto possiamo attingere ancora a questo Anno come insegnamento per quanto riguarda il modo in cui ci trattiamo a vicenda. Io lo dico sempre: la misericordia è l’amore di Dio quando tocca il cuore di qualcuno che è imperfetto: cioè tutti noi. E questo è vero in modo particolare nell’arena politica. Non dobbiamo sacrificare le nostre convinzioni, ovviamente; ma portandole avanti, sempre le proponiamo, mai le imponiamo, cercando sempre di dare risalto agli aspetti migliori del nostro prossimo. Credo che questo sia il modo non solo di ricevere la misericordia di Dio, ma di condividerla con i nostri fratelli e sorelle.

D. – Un suo pensiero specifico per i cattolici americani…

R. – Well, I may say that every election brings an opportunity for a new beginning. …
Direi che ogni nuova elezione offre in realtà la possibilità di un nuovo inizio. Alcuni si chiederanno: come sarà possibile che il nostro Paese possa tornare a riconciliarsi in un’unità che ci consenta di lavorare insieme e adempiere così alla promessa di quella che potremmo chiamare “un’unità più perfetta”. La speranza di Cristo motiva le persone credenti a unirsi alle persone di buona volontà e ad altre persone credenti, di altre fedi, per riuscire a trarre vantaggio – se così vogliamo dire – di questo "nuovo inizio" e vederlo come una nuova opportunità; un tempo in cui vogliamo cercare di uscire dalla spirale della violenza per entrare in un’epoca di civiltà nei nostri dibattiti pubblici.

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Haiti, allarme del presidente: dopo Matthew grave malnutrizione

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La comunità internazionale non sta assolvendo al suo impegno a favore della ripresa di Haiti. La denuncia viene dal presidente ad interim, Jocelerme Privert che, in un’intervista, ha parlato delle perdite devastanti causate dall’uragano Matthew. Francesca Sabatinelli

Il conto dei danni prodotti dal passaggio di Matthew poco più di un mese fa, era il 4 ottobre, è pari all’intero bilancio nazionale di Haiti. Il presidente Privert parla alla Bbc, denunciando una crisi alimentare senza precedenti e il peggioramento del tasso di malnutrizione. Il suo è un accorato appello ad un rapido intervento della comunità internazionale, perché ciò che è stato fatto finora “non è sufficiente”. L’uragano, con potenza elevata a categoria 4, ha devastato gran parte di Haiti e colpito oltre due milioni di persone. Il governo ha stimato che un milione e mezzo di haitiani ha bisogno di assistenza immediata, tra loro gli oltre 140 mila che vivono in ricoveri temporanei. La situazione peggiorerà senza un immediato supporto economico che rilanci l'agricoltura – spiega ancora Privert – il rischio è che in  tre o quattro mesi ci si ritrovi con una grave crisi alimentare. Si assiste al dilagare della fame, denunciano anche le organizzazioni non governative che lavorano nel Paese: Haiti prima della devastazione di Matthew veniva da tre anni di siccità, era quindi già segnato da alti livelli di denutrizione. Federico Palmas è il responsabile Haiti per Gvc Italia, una delle ong maggiormente impegnate nel Paese:

R. – Purtroppo, questo tifone è avvenuto con una puntualità terribile rispetto al calendario agricolo: ha spazzato via praticamente tutto il secondo raccolto annuale di una popolazione che comunque vive principalmente di agricoltura di sussistenza, soprattutto in quelle zone. Penso che nei dipartimenti di Grand-Anse, del Sud e di Nippes, che sono i tre più colpiti dai venti di oltre 100 kilometri orari, l’uragano si sia portato via fino all’80 percento dei raccolti. Questo porta ad avere una situazione in cui un milione e mezzo di persone sono in stato di fame in questo momento. E lo saranno nei prossimi mesi, perché oltre all’impatto immediato, ha incrinato e danneggiato pure quello che sarebbe dovuto essere il raccolto destinato al soddisfacimento dei bisogni alimentari per tutta la successiva stagione secca.

D. – In termini strettamente economici, di quanto avrebbe bisogno attualmente Haiti per riavviare ciò che Matthew ha distrutto?

R. – Per riavviare tutto quello che Matthew ha distrutto probabilmente ne serviranno di più, però intanto le stime per le operazioni di life-saving (operazioni di salvataggio ndr) per i prossimi tre mesi, parlano di 120 milioni di dollari. Di questi, circa 70 sono quelli che servono per risolvere il problema alimentare, della sicurezza alimentare e della nutrizione in generale. Chiaramente, la seconda grande emergenza è quella della disponibilità di acqua per il consumo umano e per il contenimento dei possibili focolai di colera, così come di tutta una serie di altre malattie legate alla contaminazione dall’acqua.

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Gregorio III Laham: guerra in Siria, cristiani pagano prezzo più alto

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In  Siria continua l’offensiva delle truppe guidate dai curdi verso Raqqa, roccaforte dello Stato Islamico nel Paese. I 30 mila combattenti stanno avanzando su due fronti e hanno circondato una zona di oltre 50 chilometri quadrati controllata dai jihadisti. Intanto ieri due raid aerei anno colpito le vicinane di Damasco, uccidendo almeno 8 civili, mentre la Russia denuncia l’uso di armi chimiche da parte dei ribelli al Presidente Assad. Rimane alta l’emergenza umanitaria, con l’Onu che parla di 250 mila persone intrappolate nei quartieri orientali di Aleppo. Critica anche la situazione dei cristiani come spiega Gregorio III Laham, patriarca della Chiesa cattolica greco-melchita con sede a Damasco, in questi giorni a Roma per un convegno al Pontificio Istituto Orientale, intervistato da Michele Raviart

R. – La Siria è la colonna vertebrale del mondo arabo. Distruggere la Siria vuol dire distruggere il mondo arabo intero. Nella Siria, tutti i cittadini si sentono appartenenti a un mondo arabo e alla Siria senza nessuna distinzione di religione: non c’è musulmano, non c’è cristiano, non c’è druso; sono tutti arabi. E in Siria sono tutti siriani. E dunque la situazione della Siria è critica, difficile, e innanzitutto la situazione dei cristiani è molto grave. Dobbiamo lavorare affinché la pace del Signore regni nel mondo intero, ma innanzitutto nel Medio Oriente, perché la pace è un tesoro, un capitale, un’energia. Con la pace tutto è possibile, tutto realizzabile; senza la pace non si può fare niente di bene e niente di buono. E siccome Dio è la pace, rivolgiamo i nostri desideri al buon Dio perché – ripeto – è l’unico a poter fare qualcosa, perché salvare la Siria vuol dire salvare il mondo arabo intero.

D. – Che notizia ha della comunità cristiana che è dovuta fuggire dalla Siria?

R. – Purtroppo, sono i cristiani che pagano il prezzo di questa situazione catastrofica. Tantissimi sono già fuori, e quelli che sono rimasti vivono una tragedia, una situazione orribile e stanno pensando a seguire l’esempio di quelli che hanno lasciato la Siria e sono andati via. E dunque, l’unico modo di poter fare la pace nel mondo arabo è fortificare la Siria affinché il mondo arabo possa di nuovo cambiare.

D. – Sente vicino Papa Francesco?

R. – Oh… abbiamo una benedizione, una grazia del buon Dio, avendo questo Papa: un uomo di preghiera e un uomo pragmatico. E dunque ringraziamo il Signore per averlo come capo della Chiesa, ma anche come esempio per il mondo intero di pace, di giustizia e di fratellanza. Di pace.

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Siria: cristiani di Hassakè denunciano misure del Partito curdo

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Gli apparati e i funzionari del Partito curdo dell'Unione democratica (Pyd), e della sua ala militare Ypg (Unità di protezione popolare), radicati nelle regioni nord-orientali della Siria, a maggioranza curda, stanno realizzando un censimento sulla popolazione nell'area della provincia siriana di Hassakè, con l'intento di utilizzare anche questa raccolta dati all'interno della loro strategia tesa a modificare a loro vantaggio gli equilibri demografici tra le diverse componenti etniche e religiose della regione. La denuncia arriva da organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti delle minoranze locali, a cominciare da Assyrian Monitor for Human Rights. 

La popolazione locale protesta per il censimento
I resoconti pervenuti all'agenzia Fides riferiscono che il censimento, iniziato la scorsa settimana, ha provocato reazioni di protesta da parte della popolazione locale, e in alcune situazioni, come quella della città di Qamishli, l'amministrazione locale a guida curda ha imposto addirittura il coprifuoco in alcune ore della giornata per procedere alla raccolta dei dati demografici casa per casa.

Gli equilibri demografici della regione alterati dalle fughe di massa
Le preoccupazioni per la scelta di realizzare un censimento che appare privo di qualsiasi legittimità legale, realizzato fuori dagli standard internazionali relativi a questo tipo di pratica amministrativa, vengono espresse soprattutto da esponenti delle comunità cristiane – in particolare siri, assiri e caldei – e musulmane, che sottolineano tra l'altro come gli equilibri demografici della regione siano stati radicalmente alterati dalle fughe di massa e dagli spostamenti di rifugiati provocati da cinque anni di conflitto siriano.

Le forze curde si comportano come leadership di un'entità politico-statale indipendente
Le forze politico-militari curde – riferiscono le fonti locali – si comportano come leadership di un'entità politico-statale indipendente, disconoscendo di fatto l'appartenenza della regione di Hassakè allo Stato siriano. Secondo le stesse fonti, anche la maggioranza della popolazione curda non si riconosce nella linea politica del Partito, volta a forzare la mano anche sui dati della composizione demografica dell'area per realizzare, sul piano dei fatti compiuti, le proprie istanze indipendentiste. (G.V.)

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Centrafrica: ancora violenze. Accuse ai Caschi Blu

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“La situazione della sicurezza è grave al di fuori della capitale, come dimostrato dall’attacco al sito degli sfollati di Kaga Bandoro del 12 ottobre” dicono all’Agenzia Fides fonti della Chiesa da Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana. “Nell’assalto al campo di sfollati che si trovava nell’area della cattedrale, ufficialmente sono morte 37 persone, però i deputati di quella zona affermano che i morti sono più di 200” dicono le fonti Fides che hanno chiesto l’anonimato per ragioni di sicurezza.

A Kaga Bandoro attacco contro il Campo profughi
Responsabili del massacro sono i ribelli Seleka che “hanno attaccato alcuni quartieri della cittadina per poi concentrare il loro attacco contro il Campo di rifugiati che è stato dato alle fiamme. Alcune persone sono morte bruciate vive sia nel campo profughi che nelle case. Altre persone sono state giustiziate massacrate a colpi di machete o di fucile, dopo averle costrette ad inginocchiarsi. Un bambino è stato ucciso e il suo corpo gettato in un pozzo. Tra le vittime vi sono alcuni insegnanti e il direttore del Centro pedagogico regionale”. 

Accuse ai Caschi Blu dell'Onu che non sono intervenuti
“La cosa stupefacente è che il massacro è stato commesso a pochi passi da una postazione militare della Minusca (Missione Onu nella Repubblica Centrafricana) e questi non hanno fatto nulla per difendere i civili” affermano le nostre fonti. Dopo l’attacco a Kaga Bandoro ne sono seguiti altri, su scala minore, in altre aree del Paese. 

L’insicurezza nel Paese è molto diffusa
Da settembre la società civile chiede la convocazione di una tavola rotonda con il governo e la Minusca per affrontare la questione. Onu e autorità di Bangui continuano infatti a rimpallarsi le responsabilità della situazione, mentre Presidente, governo, parlamento e Minusca tacciono. A questo punto le organizzazioni della società civile hanno avviato la raccolta di firme per una petizione per chiedere la fine dell’embargo delle vendita di armi alle legittime forze di sicurezza centrafricane e il ritiro della Minusca. 

Il primo giorno sono state raccolte 2000 firme, seguite da tante altre 
Il 24 ottobre è stata dichiarata una giornata di protesta, di “città morta”, per manifestare l’insofferenza della popolazione per questo stillicidio di violenze alle quali la Minusca non è in grado di far fronte. La gente ha risposto in massa all’appello e Bangui era completamente bloccata. Le manifestazioni sono state pacifiche ma i Caschi Blu hanno sparato con le mitragliatrici degli autoblindo prima in aria poi ad altezza d’uomo, uccidendo almeno sei persone”.

Leader della protesta accusati di golpe
Le autorità hanno arrestato i due leader che hanno indetto la protesta, Gervais Lakosso, coordinatore del Groupe de Travail de la Société Civile e Marcel Mokwapi, Presidente dei Consommateurs Centrafricains, accusandoli di aver tentato un colpo di Stato. “Una cosa falsa” secondo le fonti Fides.
Nel frattempo nei territori sotto controllo dei Seleka è apparsa la bandiera della nuova Repubblica del Logone. “Ci si chiede se vi sono dei piani per dividere il Paese. Lo spostamento delle popolazioni musulmane da Bangui al nord, ed ora, dopo il massacro del 12 ottobre, dei cristiani da Kaga Bandoro a Bangui, sembra finalizzato a questo. Ci chiediamo quale sia il ruolo delle truppe francesi e dell’Onu che hanno operato questi spostamenti” concludono le fonti della Fides. (L.M.)

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Concluso a Strasburgo il Forum mondiale sulla democrazia

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"Il ruolo dell'istruzione nel prevenire la radicalizzazione e l'estremismo violento": questo il tema scelto per l'incontro sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale che si è svolto in questi giorni a Strasburgo, con la partecipazione dell'Osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa, mons. Paolo Rudelli. Un'iniziativa che il Consiglio d'Europa ripete da nove anni e che quest'anno ha voluto a conclusione del Forum mondiale sulla democrazia. Istruzione, religione e democrazia, dunque, i punti centrali del dibattito. Fausta Speranza ne ha parlato con l'ambasciatore di San Marino presso il Consiglio d'Europa, Guido Bellatti Ceccoli

R. – L’istruzione, la democrazia e il dialogo interreligioso sono collegati perché le questioni religiose si ritrovano scuola e si ritrovano anche nel campo dell’istruzione in senso lato. Quindi i principi democratici e il dialogo interreligioso sono cose che abbiamo tutti i giorni davanti a noi e, nell’ambito dei sistemi educativi, tutti i Paesi europei si pongono sempre queste questioni.

D. - Quanto è importante l’istruzione per costruire la democrazia e quanto è importante la democrazia per assicurare istruzione a tutti?

R. - La democrazia è un dato fondamentale. Già per aderire al Consiglio d’Europa, uno Stato deve essere democratico anche se poi - come si sa - per tutti i Paesi la democrazia è sempre qualcosa che va coltivata, considerata nello sviluppo della storia. Poi ovviamente l’istruzione può favorire la democrazia perché dal momento in cui nei sistemi educativi delle scuole pubbliche e private, cioè intendendo quindi l’istruzione in senso lato, si insegna la democrazia, si insegna la cittadinanza democratica, si insegna il rispetto della dignità umana e quindi anche tutta una serie di principi fondamentali come la libertà religiosa, che è uno dei capisaldi anche della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Se tutti questi elementi sono integrati nei sistemi scolastici e dell’istruzione in generale, favoriscono la democrazia.

D,. - La democrazia non è solo un cammino nello sviluppo della storia, ma è anche un valore che non può esser dato per acquisito una volta per sempre; non è così?

R. – Certo, la democrazia è qualcosa di importante, di fondamentale me è qualcosa di fragile. Se guardiamo in una prospettiva storica vediamo che ci sono Stati democratici che a volte in maniera anche brutale da un giorno all’altro si sono ritrovati in sistemi autoritari e non democratici. Adesso in Europa ci rendiamo conto che la democrazia rimane un valore fondamentale, ma ci rendiamo anche conto che è un qualcosa che non possiamo mai dare per definitivo ed acquisito; va sempre coltivata, difesa quotidianamente.

D. - Il Consiglio d’Europa, un forum sulla democrazia in un momento in cui in Europa, un po’ dappertutto, si parla tanto di populismi, di nazionalismi, di barriere, di muri, di contrapposizioni. Che dire?

R. - L’estremismo è di varia natura. Non è solo l’estremismo religioso, la radicalizzazione religiosa; del resto non va neanche stigmatizzato l’islam nell’ambito religioso, perché anche altre religioni possono essere interessate da questo tipo di fenomeno. È un discorso che deve essere generale. Però, aldilà del discorso religioso, c’è il discorso politico a prescindere dall’elemento religioso. Certamente ci sono delle questioni politiche e in certi Paesi si è vista la presenza effettiva di un populismo, un estremismo delle posizioni dove la religione non c’entra o comunque è un elemento marginale rispetto al problema di fondo.

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Parroco Norcia: gente confusa e smarrita, ma con una fede profonda

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A quasi due settimane dalla scossa di terremoto che ha distrutto le principali chiese di Norcia e reso inagibile tutto il suo centro storico, la popolazione della città umbra è ormai sparsa sul territorio. Poche decine di persone abitano in una tensostruttura accanto all'ospedale, dove è stata allestita una cappella il cui ingresso è diventato la Porta Santa della misericordia. Qui, il nostro inviato Fabio Colagrande ha incontrato il parroco di Norcia, don Marco Rufini

R. – Siamo in un momento complicato dove ancora la paura è fortissima e viviamo anche un certo senso di confusione e di smarrimento, anche in ordine ai pensieri sul futuro ma anche al tipo di proposte e soluzioni che ci aspetteremmo da parte delle istituzioni. E’ un momento molto complesso, sinceramente: anche queste tende che vedete qui, in teoria, non avrebbero dovuto esserci più, avrebbero dovuto essere smontate dopo il 30 settembre … Poi, per fortuna – a volte i ritardi dell’Italia producono degli effetti positivi – hanno ritardato nello smontarle e immediatamente dopo il sisma di domenica mattina si sono riempite di persone che se non stessero qui, in questo momento, non avrebbero alternativa all’automobile.

D. – Dopo il 30 ottobre, com’è cambiata la vita di questa comunità - che lei guida dal 2015 - e quali sono le difficoltà materiali ma anche di ordine psicologico, spirituale?

R. – Adesso è una comunità estremamente frammentata, perché un numero di persone non facilmente calcolabile non è qui: tra chi ha scelto di essere ospitato negli alberghi e chi, magari, è tornato o è andato da parenti, amici, fuori … Quindi è una comunità, in questo momento, disgregata e che è anche difficile riaggregare proprio per il momento che viviamo: perché questa tensostruttura che abbiamo qui è di fatto l’unica struttura comunitaria in tutto il territorio, tolti i refettori e le mense della Protezione Civile.

D. – Lei che si trova ogni giorno a gestire questa comunità, sa che anche la fede vacilla, di fronte a certe difficoltà, a una certa confusione: o no?

R. – Paradossalmente, nelle situazioni come questa, i semi che magari lungo la strada della vita sono stati posti nella storia delle persone, sembrano quasi trovare le condizioni favorevoli per germogliare e portare frutto. La gente ci è d’esempio. A volte, noi abbiamo dei nostri criteri per dare giudizi sulla vita di fede delle persone, che magari sono tutti nostri; ma fortunatamente, spero, non sono quelli del Padre Eterno … Si scopre così che nel profondo delle persone c’è una sostanza fatta di essenzialità dove si coglie che il rapporto con Dio, anche se vissuto in maniera diversa, è qualcosa di radicato, profondo. Questa è proprio una scoperta. Al di là del fatto che qui oramai non ci sono molte persone, mi è capitato di vedere partecipare alla Messa della domenica persone che normalmente non la frequentano. Ma non è che vengono perché la paura del momento le spinge, ma si coglie in loro un senso di fede che magari era rimasto nascosto e che in questa situazione è riemerso in maniera forte.

D. – E’ vero che qui la gente vuole rimanere, nonostante tutto?

R. – Diciamo che la gente desidererebbe tanto rimanere, ma non è semplice. Perché rimanere significa avere la possibilità di rimanere, avere un minimo di dignità di vita assicurata: non basta che si riaprano le scuole se poi le famiglie debbono stare qui in condizioni che non permettono di vivere una vita dignitosa anche come famiglia. Con i figli, con i bambini non si può svernare in una tenda o in una roulotte o in strutture comunitarie di grandi dimensioni: è una cosa rischiosissima, soprattutto se deve essere un’esperienza di diversi mesi. Credo che sia una delle occasioni nelle quali va difesa la famiglia …

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A Rimini l'Assemblea generale dei Superiori maggiori italiani

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Lunedì prossimo, 14 novembre, inizierà a Rimini la 56.ma Assemblea generale della Cism (Conferenza italiana Superiori maggiori), sul tema: “Riorganizzazione delle Province: esperienze, criteri, prospettive”. Il tema, dato il costante calo delle vocazioni e l’invecchiamento dei consacrati, è quanto mai attuale, anche perché la “riorganizzazione” è necessariamente legata alla chiusura dei conventi cominciata qualche anno fa e, purtroppo, in continuo aumento.

Il problema della chiusura dei conventi per il calo delle vocazioni
I 115 partecipanti dovranno affrontare seriamente il problema, servendosi delle esperienze che nel frattempo sono state fatte in varie regioni e in varie fraternità; esperienze che hanno confermato come le crisi possono essere preziose per adeguare i carismi degli Istituti alle nuove necessità che la Chiesa incontra nell’adempimento della sua missione nel mondo, garantendo un multiforme servizio apostolico al popolo di Dio.

Prevista l’elezione del nuovo presidente della Conferenza 
Partecipano all’Assemblea l’arcivescovo mons. José Rodriguez Carballo, Segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica; mons. Nunzio Galantino, Segretario generale della Cei; mons. Adriano Bernardini, nunzio apostolico in Italia; mons. Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini, che terrà la Lectio mattutina; l’ avvocato Massimo Merlini e il prof. Luigino Bruni, dell’Università Cattolica di Milano. Durante l’Assemblea, che si concluderà venerdì 18 novembre, è prevista l’elezione del nuovo presidente della Conferenza e il rinnovo del suo direttivo. (A cura di Egidio Picucci)

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Aids in Africa: premiato progetto Dream di Sant'Egidio

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Per l'impresa "eccezionale di alto valore morale umanitario”, il Premio Antonio Feltrinelli dell'Accademia dei Lincei è stato conferito quest'anno al programma DREAM della Comunità di Sant’Egidio. Il progetto per la cura dell'Aids è attivo in dieci Paesi africani e, da oggi, con questo alto riconoscimento, si potrà procedere alla realizzazione, in Mozambico, di un Centro della Salute a Zimpeto, punto fermo per donne e bambini per il trattamento dell’infezione da HIV, per la diagnosi precoce delle neoplasie e per la cura della tubercolosi. Inoltre, si prevede un'area per la nutrizione dei pazienti malnutriti. DREAM da anni assicura un concreto sostegno a milioni di persone indigenti grazie ad interventi di educazione sanitaria, corsi di prevenzione e distribuzione di cibo. Grazie ai 46 centri di salute attivi, integrati da 24 laboratori di biologia molecolare, sono 63.000 i bambini, ad oggi, nati sani da mamme sieropositive. Ce ne parla Paola Germano, direttore esecutivo del programma DREAM, nell’intervista di Sabrina Spagnoli

R. – È una grande emozione e un grande onore ricevere questo premio. È un premio prestigioso, da parte di una comunità accademica importante per l'Italia e internazionalmente. Noi siamo molto colpiti e siamo anche molto grati per questo perché, al di là del fatto che è un premio prestigioso, vuole anche dire che è un sostegno a un’attività concreta: un centro per le donne e i bambini nella periferia nord di Maputo, un centro di riferimento per la cura di molti.

D. – Com’era la situazione appena voi siete arrivati in Africa, e com’è ora dopo aver attuato il vostro progetto?

R. – Noi abbiamo cominciato proprio in Mozambico, dove c’è il centro che ha ricevuto il premio. Quando siamo arrivati non c’erano neanche i farmaci antiretrovirali, intendo intorno agli anni 2000. Abbiamo prima dovuto combattere con il governo del Paese, poi anche con i vari governi degli altri Paesi in cui lavoriamo, per introdurre i farmaci antiretrovirali che da noi (in Italia, ndr) erano accessibili a tutti, ma in Africa no. Abbiamo lavorato moltissimo in formazione: mancavano i quadri sanitari per i medici, gli infermieri e quindi abbiamo dovuto fare un grande lavoro di costruzione di infrastrutture e di personale sanitario e anche cambiare la mentalità. In questo ci sono stati molto d’aiuto i pazienti, e in particolare le donne sieropositive che, un po’ per volta, sono diventate protagoniste del lavoro che facciamo, di questo programma. E loro stesse si sono rese testimoni contro lo stigma, perché anche questo è un aspetto importante. Si possono portare e distribuire tutte le medicine che vogliamo, che non è poco, ma se non c’è l’aderenza e la partecipazione dei pazienti, l’abbattimento dello stigma, di quel senso di condanna sociale, è molto difficile fare una cura come quella dell’Aids che dura tutta la vita.

D. – Come si svolge la campagna di prevenzione rivolta alle donne riguardo Hiv, neoplasie e tubercolosi?

R. – Sono campi diversi. Per le donne in gravidanza ci sono dei protocolli diagnostico-terapeutici per la prevenzione, per far nascere il bambino sano, così come si fa da noi, da sempre, sin dall'inizio della scoperta degli antiretrovirali. Abbiamo risultati eccellenti su questo: il 98 percento dei bambini nasce sano da madre sieropositiva, il che significa una generazione futura nuova. Inoltre, ormai da due-tre anni abbiamo cominciato un lavoro di screening per il cancro, quello dell'utero e quello del seno,  che sta diventando un grave problema anche in Africa. Anzi, direi che lì ancora di più, perché quello dell'utero colpisce il 50% delle donne. Quindi, è necessario fare un’operazione di prevenzione, per evitare che arrivino da noi ad uno stadio talmente avanzato da richiedere chemioterapia o radioterapia, cure non accessibili in Africa attualmente. Quindi, la prevenzione salva le vite.

D. – Qual è il ruolo della Chiesa nella vostra battaglia?

R. – Il nostro programma è sostenuto anche dalla Conferenza episcopale italiana. In tutti i Paesi africani nei quali lavoriamo, ci relazioniamo a molte congregazioni religiose. Queste ci hanno chiesto aiuto, perché avevano ospedali, centri di salute, ma non sapevano, ad esempio, come affrontare il problema dell’Aids che ha una sua complessità. Quindi, abbiamo cominciato a lavorare insieme dovunque. C’è un’ottima collaborazione e c’è anche un senso di sinergia che fa la forza. Anche perché la battaglia contro l’Aids in Africa è una battaglia contro dei numeri molto grandi, e nessuno può farcela da solo. Quindi, questa sinergia permette di curare sempre più gente e anche di formare sempre più personale sanitario di cui l’Africa ha bisogno. E questo lo facciamo insieme.

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Il libro di Kiko Argüello: un testamento per i catecumeni

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E' da oggi nelle librerie per i tipi della Cantagalli, il libro di Kiko Argüello, "Annotazioni 1988-2014" che raccoglie riflessioni, pensieri, poesie e preghiere dell'iniziatore del Cammino neocatecumenale. “Questo libro non è solo una sorta di bilancio - afferma Kiko - è piuttosto un mio testamento per i catecumeni. Dopo 50 anni di lavoro insieme ho pensato di confessare loro tutte le mie sofferenze e i pensieri che ho avuto in questo tempo. Guardando indietro, il mio primo pensiero è che il Signore è sempre stato buonissimo e sempre ci ha aiutato. Davanti a tanti problemi e difficoltà il Signore, in modo meraviglioso, è sempre stato vicino a noi”.

La sua fede è segno di comunione con il divino
Kiko non è un uomo diverso dagli altri. Pur essendo l’iniziatore insieme a Carmen Hernández di una delle realtà ecclesiali più importanti nella storia della Chiesa, egli è soggetto alle contraddizioni e agli slanci propri della natura umana. La sua fede è segno di comunione con il divino e causa di sofferenze, di dolori ma anche di grandi gioie.

Una storia di amore e di odio, di fedeltà e di tradimento, di gioia e di dolore
Sono pagine commoventi - scrive l'editore - che raccontano in presa diretta, attraverso i pensieri e le sensazioni  dell’autore, la storia vera di un uomo che ha ricevuto la grazia di parlare con Dio. Un Dio padre che lo accoglie e lo tratta come un figlio; un figlio che a volte disobbedisce, altre lo abbraccia. Sembra di essere realmente presenti nella scena dipinta da Rembrandt nel Figliol Prodigo, di sentire quegli odori, di vedere le lacrime del Padre e del figlio, di ascoltare le loro parole. Una storia di amore e di odio, di fedeltà e di tradimento, di gioia e di dolore.

La storia di un uomo normale che ha compiuto opere straordinarie nella sua vita
Queste Annotazioni sono il frutto di un uomo qualunque, con i suoi problemi, i suoi dubbi, le speranze, le gioie e i dolori. Un uomo normale che ha compiuto nella sua vita opere straordinarie. Perché la vita dei santi è la vita di uomini e donne normali pregni dell’amore di Cristo, sempre più somiglianti alla bellezza del Suo volto.

La presentazione del libro il prossimo 25 novembre
Il libro sarà presentato il prossimo venerdì 25 novembre, alle 17,30, presso il Teatro Olimpico di Roma.. Interverranno il card. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Graziano Delrio, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e l’autore Kiko Argüello. (R.P.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 316

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.