Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 10/11/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: unità dei cristiani non è ecumenismo in 'retromarcia'

◊  

“L’unità dei cristiani è una esigenza essenziale della nostra fede”: lo ha ribadito Papa Francesco ricevendo in udienza i partecipanti all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Il Papa, nel suo discorso, ha colto questa occasione per riflettere sull’essenza dell’ecumenismo, forte di “tanti significativi incontri”, vissuti quest’anno a Roma e nei viaggi e a pochi giorni dalla visita in Svezia, dove il 31 ottobre ha commemorato insieme ai luterani i 500 anni della Riforma. Il servizio di Roberta Gisotti: 

In tutti gli incontri ecumenici avuti “ho potuto constatare – ha detto il Papa – che il desidero di comunione è vivo e intenso”. Tutto ciò è stato per me - ha aggiunto - “fonte di consolazione”:

“In quanto Vescovo di Roma e Successore di Pietro, consapevole della responsabilità affidatami dal Signore, desidero ribadire che l’unità dei cristiani è una delle mie principali preoccupazioni, e prego perché essa sia sempre più condivisa da ogni battezzato”.

Rispondendo all’interrogativo: “quale modello di piena comunione?" posto nel tema della plenaria, Francesco ha sostenuto che “l’unità dei cristiani è un’esigenza essenziale” della fede. “Invochiamo l’unità - ha spiegato - perché invochiamo Cristo”:

“È la nostra conversione personale e comunitaria, il nostro graduale conformarci a Lui, il nostro vivere sempre più in Lui, che ci permettono di crescere nella comunione tra di noi”.

E’ questo che sostiene gli studi e gli sforzi per avvicinarsi:

“Tenendo bene a mente questo, è possibile smascherare alcuni falsi modelli di comunione che in realtà non portano all’unità ma la contraddicono nella sua vera essenza”.

Innanzitutto - ha sottolineato il Papa - "l’unità non è il frutto dei nostri sforzi umani o il prodotto costruito da diplomazie ecclesiastiche, ma è un dono che viene dall’alto”:

“Noi uomini non siamo in grado di fare l’unità da soli, né possiamo deciderne le forme e i tempi”.

Qual è allora il nostro ruolo?

“Nostro compito è quello di accogliere questo dono e di renderlo visibile a tutti”.

L’unità – ha osservato Francesco - "prima che traguardo è un cammino”:

“L’unità come cammino richiede pazienti attese, tenacia, fatica e impegno; non annulla i conflitti e non cancella i contrasti, anzi, a volte può esporre al rischio di nuove incomprensioni".

L’unità si fa dunque camminando verso “una meta che potrebbe apparire piuttosto lontana”:

“Tutte le divergenze teologiche ed ecclesiologiche che ancora dividono i cristiani saranno superate soltanto lungo questa via, senza che noi oggi sappiamo come e quando, ma ciò avverrà secondo quello che lo Spirito Santo vorrà suggerire per il bene della Chiesa”.

In secondo luogo - ha chiarito Francesco - "l’unità non è uniformità”. “Le differenti tradizioni teologiche, liturgiche, spirituali e canoniche” sono "una ricchezza e non una minaccia per l’unità della Chiesa”:

“Il permanere di tali divergenze non ci deve paralizzare, ma spingere a cercare insieme il modo di affrontare con successo tali ostacoli”.

Infine - ha osservato il Papa - "l’unità non è assorbimento”:

"L’unità dei cristiani non comporta un ecumenismo 'in retromarcia', per cui qualcuno dovrebbe rinnegare la propria storia di fede; e neppure tollera il proselitismo, che anzi è un veleno per il cammino ecumenico".

Da qui l’invito di Francesco a vedere ciò che accomuna i cristiani, prima di ciò che separa:

“L’ecumenismo è vero quando si è capaci di spostare l’attenzione da sé stessi, dalle proprie argomentazioni e formulazioni, alla Parola di Dio che esige di essere ascoltata, accolta e testimoniata nel mondo”.

Per questo - ha concluso Francesco - “le varie comunità cristiane sono chiamate non a ‘farsi concorrenza’, ma a collaborare”.

inizio pagina

Papa: custodire la speranza di ogni giorno, no a religione spettacolo

◊  

Dobbiamo vincere la tentazione di una religione dello spettacolo che cerca sempre rivelazioni nuove, come fuochi d’artificio: è quanto ha affermato il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il regno di Dio – ha sottolineato Francesco – cresce se custodiamo la speranza nella vita di ogni giorno. Il servizio di Sergio Centofanti

Nel Vangelo del giorno Gesù risponde ai farisei che gli chiedono con curiosità quando “verrà il regno di Dio”. “E’ già venuto – dice il Signore – è in mezzo a voi!”. E’ come un piccolo seme che viene seminato e cresce da solo, con il tempo. E’ Dio che lo fa crescere - spiega il Papa – ma senza che attiri l’attenzione:

“Il Regno di Dio non è una religione dello spettacolo: che sempre stiamo cercando cose nuove, rivelazioni, messaggi … Dio ha parlato in Gesù Cristo: questa è l’ultima Parola di Dio. L’altro, sono come i fuochi d’artificio, che ti illuminano per un momento e poi cosa rimane? Niente. Non c’è crescita, non c’è luce, non c’è niente: un istante. E tante volte siamo stati tentati da questa religione dello spettacolo, di cercare cose estranee alla rivelazione, alla mitezza del Regno di Dio che è in mezzo a noi e cresce. E questo non è speranza: è la voglia di avere qualcosa in mano. La nostra salvezza si dà nella speranza, la speranza che ha l’uomo che semina il grano o la donna che prepara il pane, mescolando lievito e farina: la speranza che cresca. Invece, questa luminosità artificiale è tutta in un momento e poi se ne va, come i fuochi d’artificio: non servono per illuminare una casa. E’ uno spettacolo”.

Ma cosa dobbiamo fare – si domanda il Papa - mentre aspettiamo che venga la pienezza del regno di Dio? Dobbiamo “custodire”:

“Custodire con pazienza. La pazienza nel nostro lavoro, nelle nostre sofferenze … Custodire come custodisce l’uomo che ha piantato il seme e custodisce la pianta e cerca che non ci sia cattiva erba vicino a lei, perché la pianta cresca. Custodire la speranza. E qui è la domanda che io faccio a voi, oggi: se il Regno di Dio è in mezzo a noi, se tutti noi abbiamo questo seme dentro, abbiamo lo Spirito Santo lì, come lo custodisco? Come discerno, come so discernere la pianta buona del grano dalla zizzania? Il Regno di Dio cresce e noi cosa dobbiamo fare? Custodire. Crescere nella speranza, custodire la speranza. Perché nella speranza siamo stati salvati. E questo è il filo: la speranza è il filo della storia della salvezza. La speranza di incontrare il Signore definitivamente”.

“Il regno di Dio – afferma Papa Francesco – diviene forte nella speranza”:

“Domandiamo a noi stessi: ‘Io ho speranza? O vado avanti, vado avanti come posso e non so discernere il buono dal male, il grano dalla zizzania, la luce, la mite luce dello Spirito Santo dalla luminosità di questa cosa artificiale? Interroghiamoci sulla nostra speranza in questo seme che sta crescendo in noi, e su come custodiamo la nostra speranza. Il Regno di Dio è in mezzo a noi, ma noi dobbiamo con il riposo, con il lavoro, con il discernimento, custodire la speranza di questo Regno di Dio che cresce, fino al momento in cui verrà il Signore e tutto sarà trasformato. In un attimino: tutto! Il mondo, noi, tutto. E, come dice Paolo ai cristiani di Tessalonica, in quel momento rimarremo tutti con Lui”.

inizio pagina

"Nei tuoi occhi è la mia parola": testi di Bergoglio dal 1999 al 2013

◊  

“Nei tuoi occhi è la mia parola”. E’ il titolo del volume, curato da padre Antonio Spadaro, direttore della “Civiltà Cattolica”, che raccoglie le omelie e i discorsi dell’arcivescovo Jorge Mario Bergoglio pronunciati a Buenos Aires dal 1999 al 2013, quindi fino all’elezione al soglio pontificio. Dal testo, edito da Rizzoli, presentato oggi a Roma presso la Curia Generalizia della Compagnia di Gesù, si evidenzia la particolare attenzione di Papa Francesco, allora come oggi, al rapporto con i fedeli, che in particolare si manifesta attraverso le omelie, un modo di comunicare con la gente al quale il Pontefice ha sempre dato grande importanza. Il servizio di Giancarlo La Vella

“Tra il predicatore e il popolo non ci deve essere in mezzo niente. Non può esserci una carta. Se si legge, non si può guardare la gente negli occhi”. E’ questo uno dei passi del colloquio tra Papa Francesco e padre Spadaro, che fa da prefazione al libro “Nei tuoi occhi è la mia parola”. Una conferma della predilezione di Papa Francesco per un contatto umano diretto. “Tante volte esco dal testo scritto, aggiungendo parole ed espressioni che non sono scritte. In questo modo guardo la gente – dice Francesco –. Ho questo bisogno profondo”. Poi racconta le varie fasi di preparazione di un’omelia, un momento – soprattutto per quelle della Messa del mattino a Casa Santa Marta – che inizia il giorno prima, leggendo i testi biblici. Durante la giornata le idee fermentano, poi – continua il Santo Padre – “faccio quel che dice Sant’Ignazio: ci dormo su. E, quando mi sveglio, viene l’ispirazione. Parlare senza fogli non significa non prepararsi, tutt’altro”. Leggere Dostoevskij – continua Francesco – mi ha aiutato tanto nella predicazione. Leggere libri e poesie – dice ancora – aiuta molto”. L’omelia, dunque, come momento importante del rapporto con la gente, perché – sottolinea Francesco – “l’omelia è l’annuncio”, a differenza della conferenza che invece “è fare il dottore”. E’ importante, secondo il Pontefice, non allontanarsi dalla gente e dai suoi problemi, da qui l’importanza anche della confessione. “Il confessionale non è una lavanderia, né una sala di tortura. Quanto più ti allontani dalla gente, tanto più ti rifugi in una teologia – dice Francesco – del ‘si deve e non si deve’, che non comunica nulla, è vuota e astratta. L’amore vero non è rigido”.

Ma quanto c’è dell’arcivescovo Bergoglio in Papa Francesco? Risponde il Segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, intervenuto tra gli altri alla presentazione del volume:

"Sono rimasto colpito perché in nuce c’è tutto Papa Bergoglio, perché i temi che lui sta sviluppando e proponendo alla Chiesa erano già presenti nel periodo del suo episcopato a Buenos Aires. Naturalmente adesso sono articolati a livello della Chiesa universale, però di fatto c’è già un po’ tutto lì".

Il titolo “Nei tuoi occhi è la mia parola” riflette, dunque, la preferenza di Papa Francesco di parlare con i fedeli senza un testo predefinito. Sulla scelta di questo titolo sentiamo il curatore del volume, padre Antonio Spadaro:

“Ovviamente Papa Francesco usa dei pezzi di carta, in cui ci sono delle annotazioni, in cui ci sono dei testi. Però, guardandolo – io lo vedo spesso nei viaggi all’estero – lui ha bisogno sempre di guardare qualcuno, di vedere le persone: non basta leggere un testo, bisogna avere un contatto diretto; e da qui si diventa anche creativi, più espressivi. Lo sappiamo, spesso Papa Francesco esce dal testo che ha preparato per poter rivolgere una parola che in quel momento nasce nel suo pensiero, nel suo cuore”.

inizio pagina

Udienze e nomine di Papa Francesco

◊  

Le udienze di oggi di Papa Francesco. Consulta il Bollettino della Sala Stampa Vaticana.

Le nomine di oggi di Papa Francesco. Consulta il Bollettino della Sala Stampa Vaticana.

inizio pagina

Entusiasmo dei senza fissa dimora per il Giubileo

◊  

Papa Francesco incontrerà domani, ad una settimana dalla chiusura del Giubileo della Misericordia, migliaia di senza tetto provenienti da tutta Europa, nel giorno della memoria di San Martino di Tours, celebre per aver dato metà del suo mantello a un mendicante, quando era ancora pagano e soldato dell’Impero Romano. Sabato sera ci sarà per loro anche una grande Veglia di preghiera presieduta dal card. Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, nella basilica di san Paolo fuori le mura. Domenica prossima parteciperanno alla Messa celebrata da Papa Francesco nella basilica di San Pietro. Ma come hanno risposto i senza fissa dimora all'invito del Papa? Marcello Storgato lo ha chiesto a Ugo Gentil, dell'associazione "Fratello", che organizza l'evento, che ha raggiunto telefonicamente a Montpellier 

R. – Gli aderenti oggi sono più di tremila, senza contare un numero, che pensiamo sarà importante, di persone senza fissa dimora di Roma. Io posso testimoniare la grande gioia, l’entusiasmo e la curiosità di queste persone a partecipare a “Fratello”. Si sono preparate: ci sono stati tre incontri in cui i partecipanti - quindi persone della strada, accompagnatori e altre persone - hanno potuto fare amicizia e porre le loro domande sul viaggio: molte di queste persone - per esempio - hanno domande del tipo “Che cos’è un Giubileo della Misericordia?” o “Chi è il Papa?”; ed era importante rispondere a queste domande. In questi tre incontri hanno anche potuto pregare assieme. I partecipanti sono di tutti i tipi: certi hanno la fede, altri no. I credo sono, a volte, diversi; ma tutti hanno questa curiosità e vogliono partecipare …

D. – Quindi anche una bella occasione di evangelizzazione …

R. – Sì. E’ stato proprio da un incontro del Papa - nel 2014 - con 200 persone senza fissa dimora, che hanno incontrato il Papa per qualche secondo a Roma, che è nato questo desiderio, una specie di Pentecoste: la gioia di aver incontrato il Papa con delle persone della strada ha fatto nascere il desiderio di rifare questa esperienza, ma con un numero più importante di persone.

D. – A chi rivolgersi per informazioni e adesioni?

R. – C’è il sito internet www.fratello2016.org, dove si possono trovare tutte le informazioni; dove c’è una mail per contattarci; e dove le associazioni si possono iscrivere. Su questo sito ci sono tutte le informazioni necessarie per partecipare. Tutte le iscrizioni passano per questo sito e per la squadra “Fratello”, che si trova a Parigi.

D. – Date anche un contributo per la dimora, il cibo …?

R. – Sì. “Fratello” è stata finanziata da persone che hanno voluto dare dei soldi. Quindi è stato chiesto a tutte le associazioni di pagare per le persone che portano a Roma; c’è stata, però, anche una ricerca di fondi per aiutare le associazioni più bisognose, che non hanno questi mezzi finanziari.

inizio pagina

Card. Parolin: non si abbandonino persone con malattie rare

◊  

Le persone colpite da malattie rare, circa 350-400 milioni, e quelle affette da patologie tropicali neglette, oltre un miliardo, “non siano abbandonate a un destino di sofferenza e di emarginazione sociale”. E’ quanto ha affermato il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, intervenendo stamani alla 31.ma Conferenza internazionale incentrata sulle malattie rare e neglette, promossa dal Pontificio Consiglio per Operatori Sanitari. La Chiesa Cattolica - ha aggiunto il cardinale Parolin - “si sente fortemente interpellata dalla condizione di sofferenza di molti milioni di persone”.

Malattie rare
Per le malattie rare – ha detto il porporato – “uno dei temi più rilevanti è costituito dalla ricerca medico scientifica”. Ma l’industria farmaceutica mondiale – ha aggiunto – “non investe significativamente in questo genere di ricerca e a volte, pur avendo scoperto farmaci efficaci, cessa di produrli per mancanza di profitti”. In questo periodo si assiste anche ad “un ridimensionamento dei sistemi di welfare”. In tal modo – ha spiegato il cardinale Parolin – sono soprattutto le Associazioni dei familiari, le Organizzazioni non governative cattoliche e altre realtà “a fornire i fondi per finanziare la ricerca”. Nonostante gli sforzi, “la ricerca procede a rilento”.

Malattie neglette
Le malattie neglette – un gruppo eterogeneo di infezioni tropicali particolarmente comuni in popolazioni a basso reddito – si curano “in molti casi con farmaci già in uso e poco costosi”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha inoltre avviato, da molti anni, “programmi imponenti” che si affiancano “al forte impegno delle strutture mediche cattoliche”. “Ma nonostante gli sforzi compiuti - ha ricordato il cardinale Parolin - soltanto una parte della popolazione interessata è adeguatamente curata”. La causa principale è legata alla “mancanza di reti di servizi medici di prevenzione, di diagnosi e di cura”.

Alla cura si affianchi la giustizia
Il cardinale segretario di Stato ha inoltre ricordato lo stretto legame “tra molte delle malattie tropicali neglette e la condizione di estrema povertà in cui vivono numerose popolazioni”. Perciò al tema della cura - ha sottolineato - si aggiunge anche “quello della giustizia". “Alle cure sanitarie – ha detto il cardinale Parolin - si devono accompagnare programmi assistenziali che favoriscano l’accesso all’acqua potabile, ad abitazioni decenti, alla scolarizzazione dei bambini, alla eliminazione di eventuali forme di stigma causate dalla malattia, ecc”.

Necessaria la collaborazione con gli Stati
Non va poi dimenticata “la necessaria collaborazione con gli Stati”. “Importante - ha affermato il cardinale Parolin - sarà pure il confronto tra gli operatori del campo per confrontare e far emergere le best practices  e incoraggiarne la diffusione”. “E’ importante - ha concluso - richiamare l’attenzione dei mezzi di comunicazione sociale su questo tema. In tal modo, anche coloro che non sono addetti ai lavori, potranno rendersi conto della situazione di sofferenza di tante persone”. (A cura di Amedeo Lomonaco)

inizio pagina

Mons. Jurkovič: tutela salute sia obiettivo fondamentale

◊  

La tutela del diritto alla salute dovrebbe essere un obiettivo fondamentale delle politiche e dei programmi nazionali, a prescindere dai diversi contesti economici, sociali, culturali, religioso o politici. Tuttavia, per milioni di persone in tutto il mondo, il pieno godimento del diritto alla salute rimane un obiettivo lontano. Così mons. Ivan Jurkovič, Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra, nel suo intervento presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio sull’accordo TRIPs, relativo agli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale. L’arcivescovo evidenzia gli ostacoli esistenti nell’accesso, a prezzi accessibili, a farmaci di alta qualità. “Questo – spiega – costituisce una sfida per promuovere la dignità umana, base di ogni  diritto umano, compreso il diritto alla vita, alla salute e allo sviluppo integrale della persona”.

Momento storico per porre fine a epidemie come l'Aids
Il raggiungimento di un equilibrio forte tra la tutela del diritto dei ricercatori, i diritti umani e gli obiettivi della salute pubblica è parte integrante degli Obiettivi dello sviluppo sostenibile. Mons. Jurkovič definisce quello attuale un “momento storico” per impegnarsi con successo a porre fine ad epidemie come Aids, tubercolosi, malaria, malattie tropicali attraverso azioni di solidarietà globale e di partenariato. Particolare attenzione viene riservata ai tanti esclusi del nostro mondo, “la maggioranza della popolazione”: “la nostra attenzione - aggiunge l’Osservatore della Santa Sede - deve essere costante per costruire un mondo più sostenibile entro il 2030”, scadenza fissata a livello internazionale.

Permettere accesso ai farmaci essenziali
“L'accesso ai farmaci essenziali, che soddisfano le esigenze di assistenza sanitaria di base della popolazione - prosegue - è una componente fondamentale del diritto alla salute. I medicinali essenziali dovrebbero essere disponibili a prezzi accessibili sia per gli individui che per le comunità locali. Quindi – è l’invito – occorrono politiche attente alla dignità umana e ai diritti umani ed è importante rimuovere le barriere esistenti e regolare una domanda sproporzionata finalizzata solo al profitto. Mons. Jurkovič suggerisce quale strumento utile a tal fine, il dialogo, “modo migliore per affrontare i problemi del nostro mondo e cercare soluzioni realmente efficaci per noi e le future generazioni”. Tale dialogo – è la raccomandazione – sia fondato sui tre principi di solidarietà, sussidiarietà, e preoccupazione per il bene comune.

Favorire discussione sul commercio per il bene comune
L’auspicio è che possa essere facilitata una discussione sul commercio e la salute per il bene comune e l’accesso alle tecnologie sia concepito come un diritto legato alla salute e alla vita. L’arcivescovo conclude il suo intervento citando le parole del Papa all’Onu a Nairobi nel novembre 2015: “L’interdipendenza e l’integrazione delle economie non devono comportare il minimo danno ai sistemi sanitari e di protezione sociale esistenti; al contrario, devono favorire la loro creazione e il funzionamento. Alcuni temi sanitari, come l’eliminazione della malaria e della tubercolosi, la cura delle cosiddette malattie “orfane” e i settori trascurati della medicina tropicale, richiedono un’attenzione politica prioritaria, al di sopra di qualsiasi altro interesse commerciale o politico” (a cura di Paolo Ondarza).

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Usa, proteste contro Trump. Vescovi: difenda vita e poveri

◊  

Gli Stati Uniti e il mondo intero attendono l’incontro di oggi a Washington tra il presidente uscente Barack Obama e il neoeletto Donald Trump. Un comunicato della Casa Bianca spiega che il faccia a faccia, previsto per le nostre 17.00 al 1600 di Pennsylvania Avenue, punta ad “assicurare una regolare transizione di potere”. La Conferenza episcopale statunitense, col suo presidente mons. Joseph E. Kurtz, si è congratulata con Trump e con i nuovi eletti del Congresso. “Adesso comincia la responsabilità di governare nell’interesse comune”, ha scritto il presule citato dall'agenzia Sir, auspicando che il nuovo presidente possa “attivarsi per proteggere la vita umana dal suo inizio fino alla sua conclusione naturale”, che i migranti e rifugiati possano “essere accolti con umanità, senza per questo sacrificare la sicurezza” e che la nuova amministrazione si impegni “sul tema della libertà religiosa”. Il servizio di Giada Aquilino

Lo aveva detto nel primo discorso a caldo, subito dopo il risultato elettorale, lo ha ripetuto in un Tweet sul suo profilo ufficiale. Donald Trump assicura che sarà il presidente di tutti: “Le donne e gli uomini che sono stati lasciati indietro – ha scritto - non lo saranno più”. Uniti, dunque, “come mai prima d’ora”, ribadisce. Lo staff del 45.esimo inquilino della Casa Bianca ha intanto aperto un sito web e un altro account Twitter per informare gli americani sulla futura amministrazione, www.greatagain.gov e @transition2017, sui quali si invita a lavorare “insieme” per “rinnovare il sogno americano”. Eppure in tutti gli Stati Uniti non sono mancate le proteste contro l’elezione del magnate newyorkese:

(voci) “Not my president, not my president”…
Lo slogan è stato: “Not my president”. A Washington, di fronte la Casa Bianca, i dimostranti hanno dato vita a una veglia lungo Pennsylvania Avenue. Gente in strada a Los Angeles, San Francisco, Chicago, Boston, Philadelphia. A Seattle, nello stesso quartiere in cui si svolgeva una manifestazione, in una sparatoria – pare non collegata alle proteste secondo la polizia – sono rimaste ferite cinque persone, una delle quali in modo critico. Diverse le dimostrazioni soprattutto a New York, davanti la Trump Tower sulla Fifth Avenue, dove si trova l'abitazione del nuovo presidente. Paralizzato per ore il traffico nella zona, tensione e arresti, proprio mentre la candidata democratica Hillary Clinton prendeva la parola dopo aver visto infranto il sogno di una prima donna alla Casa Bianca:

“I congratulated…
Mi sono congratulata con Donald Trump e impegnata a lavorare con lui per il bene del Paese”. La Clinton si è detta “delusa” dall’esito elettorale ma, parlando di una donna presidente in futuro, ha ribadito: “Non abbiamo ancora rotto il più alto e più duro soffitto di cristallo ma un giorno succederà”. Anche Barack Obama, pur sottolineando di avere “idee differenti”, ha voluto parlare con Trump:

“I had the chance…
Ho avuto l’occasione di parlare con il presidente eletto Trump, per porgergli le mie congratulazioni e l’ho invitato alla Casa Bianca perché possiamo parlare, al fine di garantire una buona transizione tra le nostre due presidenze”.

Continuano intanto le reazioni in tutto il mondo. Sui mercati finanziari, dopo l’accelerazione fatta registrare da Wall Street, buon rialzo nelle ultime ore per le borse europee. Sul piano politico-diplomatico, il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker ha sottolineato come Bruxelles si aspetti da Trump “che faccia chiarezza sulle proprie intenzioni” a proposito di politica commerciale globale e clima, mentre l’alto rappresentante Ue Federica Mogherini ha invitato i ministri degli Esteri comunitari ad una cena informale domenica sera, a Bruxelles, per parlare del futuro delle relazioni tra Unione Europea e Stati Uniti. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha sottolineato come la partnership con gli Usa rimanga “la pietra angolare” della politica estera di Berlino. Israele ha fatto sapere di vedere in Trump “un amico sincero”. Da Ramallah, il presidente palestinese Mahmoud Abbas, dopo essersi congratulato, ha ricordato che l'unica via è la soluzione dei due Stati per trovare quella pace in Medio Oriente che augura a Trump di raggiungere durante il suo mandato. La Cina assicura di voler mantenere relazioni bilaterali “solide e stabili” con Washington.

inizio pagina

Le sfide della presidenza Trump: commento di Annalisa Perteghella

◊  

Congratulazioni dal mondo e dall’establishment democratico americano per l’elezione del repubblicano Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, ma preoccupano le forti proteste che si sono svolte nelle principali città del Paese all'indomani del voto. Per un’analisi, Elvira Ragosta ha intervistato Annalisa Perteghella, ricercatrice dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi):

R. – Stiamo assistendo alle immagini di un'America divisa: questo è il dato principale che è emerso dalle elezioni. C’è una larga parte dell’elettorato che non si riconosce nel presidente eletto, tant'è vero che Trump ha vinto la maggioranza dei collegi elettorali, ma non la maggioranza del voto popolare, che è stata invece vinta da Hillary Clinton. Stiamo anche assistendo ai risultati di una campagna elettorale sicuramente velenosa. Tutto questo non poteva, non può e non potrà nei prossimi mesi passare inosservato. Per cui, in un certo senso, è naturale quello che sta accadendo; naturale sì, ma non normale perché l’America è invece una democrazia solida e consolidata, in cui il problema della legittimità del presidente non è mai stata messa così tanto in discussione.

D. – L’invito a lavorare insieme per ricostruire la Nazione da parte di Donald Trump come sarà accolto, secondo lei?

R. – Sarà accolto bene. Poi bisognerà vedere effettivamente che cosa Donald Trump avrà in mente. In questo momento prevale un atteggiamento di attendismo: si sta un attimo a guardare di chi Trump si circonderà, quali persone metterà nei posti chiave e quali proposte poi effettivamente formulerà.

D. – Veniamo alle reazioni e ai rapporti internazionali. “Vogliamo e dobbiamo lavorare con gli Stati Uniti - dice il presidente della Commissione Europea Junker - ma dobbiamo farlo alla pari”…

R. – Queste elezioni sono state viste in Europa come una sorte di campanello di allarme, una “wake-up call”, di cui si parlava però già dopo la Brexit, lo scorso giugno. Non mi sembra che l’atteggiamento europeo in questi mesi sia stato particolarmente costruttivo in questo senso. L’anno prossimo – il 2017 – è un anno di appuntamenti elettorali importantissimi per l’Europa: si vota in Francia, si vota in Germania e si rinnova il Parlamento olandese…

D. – E, secondo lei, quanto influenzerà la vittoria di Trump su queste consultazioni elettorali?

R. – Ci sono dei grossi movimenti antisistema e fortemente antieuropeisti che minacciano i cosiddetti partiti tradizionali. Al tempo stesso, però, vedremo e assisteremo - secondo me - ad una difficoltà da parte dei partiti tradizionali di presentarsi alle urne, l’anno prossimo, con una forte agenda europeista, perché l’Europa in questo momento non piace ai cittadini.

D. – Per quanto riguarda, invece, il versante asiatico, "gli Stati Uniti devono trattare la Corea del Nord alla pari, da potenza nucleare": questo è il messaggio di un editoriale pubblicato sul 'Rodong Sinmun', organo del Partito dei Lavoratori di Pyongyang. Nel frattempo il neopresidente Trump conferma l’impegno per la sicurezza all’alleata Corea del Sud. Che scenari si aprono?

R. – Anche qui direi che regna l’incertezza: perché se da un lato, Trump, in campagna elettorale, ha rimarcato di voler tornare all’isolazionismo e quindi sganciarsi un po’ dagli impegni multilaterali o perlomeno far pagare di più agli alleati la presenza degli Stati Uniti, dall’altra, poi, c’è sempre l’incognita del come effettivamente e se sarà possibile, perché Trump non governerà da solo ed avrà anche un Congresso che – per quanto repubblicano – non la pensa esattamente come lui. Anche qui regna un po’ l’incognita. E’ stata naturale la telefonata di Trump a Park, la leader sudcoreana, perché in questo momento l’importante è rassicurare gli alleati, che si guardano un po’ intorno, circospetti, dalla Corea all’Europa.

inizio pagina

Unicef: in Iraq 600mila bambini sotto assedio a Mosul

◊  

L’esercito iracheno ha preso il controllo dei primi quartieri a nord di Mosul, mentre crescono gli sfollati dalla seconda città irachena e l’Unicef lancia l’allarme per i circa 600mila bambini intrappolati nel centro abitato. Avanzata lealista anche in Siria, con le truppe governative che riprendono il controllo di alcuni quartieri di Aleppo controllati dai ribelli. Il servizio di Marco Guerra:   

Sostenute dall’aviazione di Mosca, le forze di Damasco hanno strappato ai ribelli una zona chiave di Aleppo, e tengono sempre più sotto assedio la parte orientale della città. E raid russi e governativi si segnalano nella provincia di Idlib: 32 le vittime civili;  mentre sono 20 i civili uccisi da un raid della coalizione a guida Usa su un villaggio a nord di Raqqa. Intanto, forze curde annunciano di aver iniziato ad isolare la capitale del sedicente Stato Islamico e la cosiddetta opposizione moderata ha fatto appello a Trump per fermare il bagno di sangue. In Iraq, prosegue l’offensiva su Mosul: i combattimenti si sono avvicinati all’antico sito archeologico di Nimrud; in città si segnalano nuove esecuzioni sommarie di civili da parte dei jihadisti; Amnesty denuncia violazioni anche da parte delle forze anti-Is e l’Unicef stima che ancora 600.000 bambini sono esposti all’assedio di Mosul. Su questo punto sentiamo il portavoce di Unicef italia, Andrea Iacomini:

R. – Al netto degli scontri, della situazione che certamente è preoccupante con il numero degli sfollati, che continuano a salire, noi registriamo che ci sono 600 mila bambini imprigionati all’interno di Mosul. Questo significa che sono bambini che hanno bisogno di tutto, bambini che si trovano in condizioni soprattutto psicologiche molto complesse perché hanno visto i peggiori degli eccidi e perché l'Is naturalmente, in questa fase della guerra, utilizza i bambini – l’abbiamo visto – come kamikaze, ci sono casi di abusi, di violenza … Insomma, è una situazione abbastanza complessa. Il numero è enorme: 600 mila bambini vuol dire che si rischia una tragedia umanitaria se non si interviene per proteggerli.

D. – Dopo due anni di “Stato Islamico”, di “califfato”, i bambini hanno subito anche violenze psicologiche e un vero e proprio lavaggio del cervello, come risulta da alcuni documenti di altre Ong?

R. – Sì: diciamo che hanno subito di tutto; molte scuole hanno addirittura cambiato i loro piani didattici … quindi, è una situazione veramente piuttosto complessa e abbastanza difficile. Quello che noi diciamo è che quello che ci raccontano questi bambini, quello che ci dicono nei Campi di accoglienza: che hanno assistito a crocifissioni, a uccisioni e che, insomma, l'Is è stato violento come noi immaginavamo.

D. – L’offensiva è partita da un mese; però, ci confermi che il grosso della possibile emergenza umanitaria dev’essere ancora affrontato, visto che ci sono ancora almeno un milione di persone all’interno di Mosul?

R. – Sì: ci stiamo attrezzando con Campi a sud e a nord della città; stiamo cercando di trovare la migliore sistemazione proprio in virtù di una possibile futuribile accoglienza immediata di un numero enorme di persone che dovranno arrivare.

D. – Mentre si avvicina anche l’inverno …

R. – Purtroppo si avvicina anche l’inverno: noi stiamo provvedendo anche con i nostri kit invernali, con una serie di materiali proprio per cercare di assistere il numero maggiore possibile di bambini. Voglio ricordare questo: i bambini rappresentano l’elemento più debole, l’anello debole, sono quelli che destano più preoccupazioni e sono quelli che hanno bisogno di un’assistenza immediata. Quindi io mi auguro che riusciamo soprattutto a ottenere un numero di donazioni tali, in questa fase, da poterli aiutare nell’immediato.

D. – Perché, ricordiamolo, Mosul è nel Nord dell’Iraq: il clima lì, in inverno, cambia …

R. – Sì, il clima è molto rigido e quindi bisogna intervenire d’urgenza.

inizio pagina

Sisma: viaggio del nostro inviato a Preci, paese fantasma

◊  

Tra i comuni più colpiti dalla scossa sismica del 30 ottobre scorso c’è Preci, in provincia di Perugia. Qui, l’abbazia benedettina di Sant’Eutizio, fra i centri spirituali più importanti della storia del monachesimo, è stata gravemente danneggiata. Il servizio del nostro inviato Fabio Colagrande

Solo nell’agosto scorso, Preci, piccolo centro della Val Castoriana aveva ricevuto la bandiera che spetta ai borghi più belli d’Italia. Oggi dopo le scosse di fine ottobre è un paese fantasma, abitato solo dai Vigili del fuoco e dagli uomini della Protezione Civile, in una valle dove molte strade sono ormai chiuse. Dei 750 abitanti ne sono rimasti solo 200 perché gli edifici sono per la maggioranza inagibili e la messa in sicurezza è per ora impossibile per i rischi legati al perdurare dello sciamo sismico.

Negli ultimi 40 anni tre terremoti - nel ’79, nel ’97 e oggi nel 2016, sempre di magnitudo crescente - hanno martoriato questa terra umbra ai confini con le Marche, che solo grazie al coraggio e alla tenacia della sua gente non si è completamente spopolata. Borgo di origini medievali, tra il ’400 e il ’600, noto per la sua scuola di chirurgia, oggi zona dove si stagiona l’80 per cento del prosciutto IGP di Norcia, Preci è un centro turistico soprattutto grazie all’Abbazia di Sant’Eutizio.

Centro spirituale creato dai monaci siriani nel V secolo, poi divenuto una delle abbazie benedettine più celebri nella zona, punto di riferimento spirituale, sociale  e culturale. Il crollo del suo campanile e del cimitero hanno duramente colpito la gente di Preci, come spiega commosso il parroco, don Luciano Avenati, ma nessuno vuole lasciare questa terra. L’incoraggiamento del cardinale Bagnasco ieri, ha rafforzato la volontà dei preciani di resistere e ricostruire, ma la prova oggi sembra più dura delle precedenti. Servirà non lasciare questa gente, che rappresenta una delle ricchezze del patrimonio italiano.

inizio pagina

Il card. Filoni apre il National Catholic Forum a Lusaka

◊  

“La Chiesa qui è ancora giovane ma sicuramente in crescita. I vostri sforzi portino frutto nelle vocazioni e nella proclamazione efficace del Vangelo. Il Santo Padre è vicino a voi e vi assicura che siete una parte essenziale della Chiesa di Dio. Siete nel cuore della Chiesa. Pertanto, continuate ad intensificare i vostri sforzi per promuovere il lavoro pastorale e l’evangelizzazione, esortando i giovani a cercare gli ideali evangelici, formandoli a creare autentiche famiglie cristiane fondate sul sacramento del matrimonio come istituzione indissolubile e permanente”. E’ questa l’esortazione del card. Fernando Filoni all’apertura del National Catholic Forum, che si è svolta ieri pomeriggio, a Lusaka. Nell’ambito della sua visita pastorale in Zambia, il Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli è intervenuto all’apertura del Forum che riunisce vescovi, rappresentanti delle associazioni del clero, dei religiosi e dei laici, per discutere sulla vita e la missione della Chiesa in Zambia nel 125° anniversario dell’evangelizzazione.

Le forme di sincretismo diluiscono l’autentica verità di Gesù Cristo 
“Attraverso l'impulso missionario dello Spirito Santo – ha detto il cardinale - i semi della fede sono stati portati qui in Zambia dai Padri Bianchi e dai Padri Gesuiti. In effetti, piccoli semi erano già presenti nella cultura, nei costumi, in modo tale che oggi la fede è entrata nella vita di molti… Siete davvero benedetti qui con una società cristiana. Tuttavia, vi esorto a rimanere vigili per non permettere che forme di sincretismo diluiscano l’autentica verità di Gesù Cristo come è insegnata dalla Chiesa cattolica”.

Superare le sfide del Paese: siccità, povertà, disoccupazione, Aids e tribalismo
Dal momento che il Forum analizzerà la situazione pastorale del Paese, il card. Filoni ha esortato ad affidare ognuno e l’intera opera dell’evangelizzazione al Signore: “questa fiducia nel Signore è particolarmente necessaria alla luce delle sfide che il vostro amato Paese incontra in questo momento: la scarsa produzione agricola a causa della siccità, la disoccupazione, la povertà che ne deriva sentita da molti, il terribile flagello dell’Hiv/Aids e della malaria e la lotta per superare le divisioni tribali. Non scoraggiatevi, perché il Signore è con voi ad ogni passo del cammino e continuerà a servirsi di voi per far conoscere il Regno dei Cieli in terra”.

La Messa ieri mattina nella cattedrale di Lusaka
Ieri mattina, il card. Filoni aveva presieduto la celebrazione della Santa Messa nella cattedrale del Bambino Gesù, a Lusaka. Nella festa liturgica della Dedicazione della Basilica Lateranense, Cattedrale di Roma, il Prefetto del dicastero missionario si è soffermato nell’omelia su due aspetti fondamentali: “Dio abita qui in mezzo a noi, Dio abita in noi e ci riempie con il suo Spirito in modo che possiamo portarlo a chi ne ha bisogno”. “Nella persona di Gesù Cristo, Dio si è fatto uomo ed ha abitato in mezzo a noi. In ogni chiesa cattolica in tutto il mondo, Dio continua ad abitare con noi nella Santissima Eucaristia” ha sottolineato il cardinale, che riferendosi alla Prima lettura del giorno ha proseguito: “la presenza di Dio nelle sue chiese, attraverso la Parola e i Sacramenti, rinfresca, dà vita e porta il grande frutto della gioia”. Tornato al Padre, Gesù ci ha inviato lo Spirito Santo non solo ad abitare con noi, ma in noi, cosicchè ogni battezzato è diventato tempio di Dio in cui abita lo Spirito, come ricorda San Paolo. Ma il dono dello Spirito deve essere condiviso e portato agli altri.

La famiglia scuola di amore, di preghiera e di lavoro
“Questa missione ha inizio prima di tutto nella famiglia, nelle nostre case, dove si vivono la carità e il perdono” ha detto il cardinale, auspicando che le case siano sempre "una scuola di amore, di preghiera e di lavoro", come quella della Sacra Famiglia. “Dio si è fatto bambino per essere vicino a noi e suscitare una risposta d'amore da parte nostra – ha esortato il card. Filoni -. Con Cristo come vero e unico fondamento, la grande opera di evangelizzazione, che prosegue in modo efficace qui in Zambia da oltre 125 anni, possa continuare ad attirare la gente di questa grande terra all'amore e alla misericordia di Dio”. (S.L.)

inizio pagina

Filippine: no dei vescovi a sepoltura Marcos nel cimitero degli eroi

◊  

Siamo rattristati “dalla decisione della Corte suprema che permette la sepoltura del defunto Presidente Marcos nel cimitero Libingan. Lo consideriamo un nuovo passo nella costruzione della cultura dell’impunità nel Paese. Marcos non è un eroe!”. È quanto scrivono i vescovi filippini in un messaggio firmato da mons. Socrates Villegas, presidente della Conferenza episcopale (Cbcp) - e ripreso dall'agenzia AsiaNews - a seguito della decisione delle autorità filippine di spostare la salma di Ferdinand Marcos nel cimitero degli eroi.

Marcos ha governato le Filippine dal 1965 al 1986 applicando una feroce legge marziale
“Durante questo periodo – scrivono i vescovi – molte persone hanno sofferto per torture e morti arbitrarie. Marcos ha privato la povera gente dei beni di prima necessità mentre la sua famiglia e i suoi amici si arricchivano. Non lo dimentichiamo! Non lasceremo che questo venga dimenticato dalle future generazioni affinché la stessa oppressione violenta non si ripeta più”.

La proposta è del Presidente Duterte
La proposta di seppellire Marcos nel cimitero degli eroi è arrivata dal Presidente Rodrigo Duterte, che secondo molti critici si ispira al defunto leader e alla sua politica del “buon padre” per riportare la dittatura nel Paese. Duterte è alleato da diverso tempo della famiglia Marcos e Ferdinando Jr. ha corso al suo fianco per la carica di vice-Presidente.

La decisione non porterà pace e unità nel Paese
Seppellire Marcos nel cimitero degli eroi, scrivono i vescovi, “non porterà pace e unità nel Paese. La pace può arrivare solo quando c’è giustizia, e la giustizia chiede il riconoscimento del male fatto alle persone e il risarcimento delle vittime”. Fino ad ora, invece, i crimini del dittatore “non sono stati riconosciuti dalla sua famiglia e dai suoi alleati”. Siamo molto tristi, concludono i vescovi, perché questa decisione “prende in giro la nostra lotta per restaurare la democrazia. Siamo stupiti, feriti e proviamo grande dolore. Ci è chiesto un coraggio ancora più grande per far conoscere tutta la verità sulla dittatura”.

I francescani ricordano le atrocità della dittatura Marcos
​Parole di condanna sono giunte anche dall’ordine dei Frati minori nelle Filippine. In un messaggio pubblicato oggi ricordano le 3.240 persone uccise durante la dittatura di Marcos, le 70mila imprigionate e le 35mila torturate. La legge marziale, scrivono i religiosi “è stata un momento buio nella vita della nazione” e siamo “frustrati e irritati per la decisione della Corte Suprema”. (R.P.)

inizio pagina

Vescovo Locri rifiuta denaro sporco e i soldi arrivano dai fedeli

◊  

Ha rifiutato un’offerta generosa per la riparazione del tetto della Chiesa di Bovalino perché quei soldi erano di dubbia provenienza, forse legati alla ‘ndrangheta: è il gesto compiuto dal vescovo di Locri, Francesco Oliva. Poi i soldi sono arrivati lo stesso, grazie al contributo dell'otto per mille e alla generosità dei fedeli. Ascoltiamo il vescovo di Locri al microfono di Clarissa Guerrieri

R.  – Nel nostro servizio, noi siamo sempre nelle mani del Signore, è Lui che ci accompagna, non ho nessun timore. Non credo di aver fatto poi chissà che cosa. E’ un cammino che vogliamo fare nella nostra Chiesa, di attenzione al territorio, di attenzione un po’ a tutto ciò che ci sta attorno. E’ giusto che la Chiesa mostri distacco da tutto ciò che può influenzare o condizionare negativamente. Il nostro è un territorio tutto particolare, un territorio difficile, un territorio dove non si è ben collegati e quindi un territorio dove sappiamo che la malavita è molto organizzata.

D. – Perché secondo lei la mafia tende insidie ai sacerdoti?

R. – Perché è più pericolosa la mentalità mafiosa, che è difficile anche da scardinare, che non il singolo mafioso che spesso è attenzionato dalla magistratura e molte volte è soggetto a procedimenti restrittivi o penali. Penso che quello che più dobbiamo combattere è una mentalità mafiosa che circola un po’ ovunque.

D. – Perché secondo lei scatta questo meccanismo?

R. – Non è un fenomeno di oggi, è fenomeno che ha radici culturali che risalgono molto indietro nel tempo. Inoltre, si tratta di un fenomeno che è radicato in questa terra e legato anche a una situazione sociale anche di povertà. E’ un territorio che rimane un po’ ai margini.

D. – Teme delle conseguenze per la comunità?

R. – Non vorrei temere nulla! Vorrei semplicemente sperare che questo sia un segno che possa portare tutti ad avere sempre maggiore attenzione anche su una semplice donazione. Infatti, se c’è il dubbio che possa essere equivoca, allora è giusto che il sacerdote o la chiesa destinataria si interroghino prima. Anche perché Papa Francesco è un esempio per tutti noi e ha dato un insegnamento molto importante: cioè, la Chiesa non accetta denari che hanno il minimo sospetto di essere denari sporchi.

D. – Che ruolo ricopre la Chiesa in questo contesto secondo lei?

R.  – Un ruolo molto importante ma anche molto difficile perché trattandosi di una situazione culturalmente impostata in un certo modo, la Chiesa può dare soltanto un contributo sul piano della formazione, che è già un contributo molto importante sul piano della formazione umana e sul piano della formazione religiosa. Questo è un apporto per lo sviluppo del territorio molto importante ma è chiaro che occorre essere molto vigilanti e attenti.

D.  – I fedeli come hanno reagito al suo gesto?

R.  – Intanto devo dire che il gesto non è stato da me imposto, è stato un gesto che è venuto su valutazione da parte del parroco e del consiglio Affari economici della parrocchia. Hanno condiviso questa scelta, non è una scelta che ho imposto dall’alto. E’ una scelta che è stata valutata dal Consiglio affari economici della parrocchia unitamente al loro parroco.

inizio pagina

Immigrati in Italia: in maggioranza cristiani, in calo i musulmani

◊  

Sono in leggera diminuzione gli immigrati musulmani in Italia nel 2016, secondo quanto emerge dal rapporto del Cesnur, il Centro studi sulle nuove religioni. Al contrario di quanto viene detto da alcuni, non c'è alcuna "invasione islamica": gli immigrati di fede musulmana sono scesi a 1.609.000 nel 2016 dal 1.613.500 nel 2015. E su dieci immigrati, in media, cinque sono cristiani e tre musulmani. La maggior parte degli immigrati sono di fede cristiana o cattolica, il che - afferma il Cesnur - comporta un processo di ricristianizzazione di una società sempre più secolarizzata: nelle chiese del Paese, sempre meno frequentate da battezzati italiani, affluiscono fedeli dalle provenienze più disparate. Che rendono inoltre la Chiesa sempre più globalizzata. Francesco Gnagni ne ha parlato con il curatore del Rapporto, lo scrittore e sociologo, nonchè fondatore e direttore dello stesso Cesnur, Massimo Introvigne

R. – Ogni anno il Cesnur rilascia un quadro statistico degli appartenenti a minoranze religiose. Nel 2016 i cittadini italiani che fanno parte di religioni diverse dalla cattolica sono un milione e 781 mila: pari al 3,2 per cento dei cittadini italiani e quindi in aumento rispetto ai 2,9 del 2015. E sono esponenti di 853 chiese, comunità o formazioni religiose diverse.

D. – C’è un leggero calo dell’immigrazione di tipo musulmana, è corretto?

R. – Il dato è che la maggioranza degli immigrati è composto da cristiani: gli immigrati cristiani - tra cattolici ed ortodossi e protestanti - sono sul totale degli immigrati il 53,8 per cento; contro un 32 per cento di immigrati musulmani, che è in leggero calo rispetto al 32,2 per cento del 2015. Tuttavia il fenomeno più importante e forse anche più interessante è questa netta prevalenza numerica di immigrati cristiani rispetto agli immigrati musulmani: qualche volta in tono polemico si parla di islamizzazione, ma c’è anche un fenomeno di ri-cristianizzazione: sono state osservate tante parrocchie in cui il numero di praticanti e anche di persone attive in parrocchia è cresciuta grazie ad immigrati che arrivano dal Perù, dalla Filippine; ci sono romeni cattolici, indiani cattolici, singalesi cattolici… E questo non è un fenomeno che riguarda solo i cattolici, perché riguarda anche le comunità protestanti che spesso sono rianimate e vedono crescere i loro effettivi per la presenza, appunto, di immigrati.

D. – Si potrebbe dire, in pratica, che il contributo degli immigrati in un certo senso è anche quello di avversare una tendenza alla secolarizzazione o comunque anche rinforzare la religiosità all’interno del Paese?

R. – Sicuramente questo è un fenomeno che è stato notato ben prima che da noi in altri Paesi: a Londra o a Parigi spesso i posti lasciati vuoti nelle comunità protestanti, ma anche nelle chiese cattoliche, da fedeli che scivolano fuori dal quadro della pratica, è preso da immigrati dall’Africa o dall’Asia, che spesso hanno un tasso di pratica molto più elevato. Fenomeni già visti e studiati in altri Paesi occidentali, dove ogni anno c’è qualche fedele di meno nelle chiese cattoliche e protestanti, ma dove questi posti vuoti, questi banchi vuoti sono riempiti dagli immigrati. Stiamo vedendo qualcosa di simile anche da noi – ripeto – sia nell’ambito cattolico, sia nell’ambito protestante.

D. – Si potrebbe quindi dire una chiesa o anche una religiosità sempre più internazionale e quindi anche sempre più globalizzata?

R. – Sì, una religiosità globalizzata. E – ripeto – a chi parla di islamizzazione si può dire che vi è anche una nuova cristianizzazione in tante località italiane, grazie appunto al contributo che gli immigrati danno alle comunità cristiane.

D. – Qual è la percezione diffusa riguardo al fenomeno migratorio?

R. – Questo è un dato interessante, perché da varie ricerche vediamo che mentre gli immigrati sono il 9 per cento dei presenti sul territorio, se si chiede agli italiani quanti pensano che siano, la cifra più ricorrente è quella del 20 per cento e quindi una cifra più che doppia rispetto al dato al reale. E poi se si chiede quale sia la religione più rappresentata fra gli immigrati: la stragrande maggioranza – più del 90 per cento degli intervistati – pensa che sia la religione musulmana, l’islam, e certamente sono pochissimi a sapere che invece  più della metà degli immigrati sono cristiani.

inizio pagina

Guatemala: appello dei vescovi contro la corruzione

◊  

In un comunicato intitolato “Dio ama la giustizia e il diritto”(Sal. 33), i vescovi del Guatemala denunciano una “paralisi istituzionale” che si manifesta in diversi modi, come l’ostruzionismo fra i deputati e le azioni che fermano il regolare svolgimento della giustizia, mentre la giustizia dovrebbe essere "veloce, imparziale e estranea a forze esterne" si legge nel comunicato ripreso dall'agenzia Fides.

Non sottomettersi a pressioni esterne o accettare condizioni per il Paese
Il documento ricorda la necessità di rafforzare la democrazia nei momenti difficili, per questo i vescovi ripropongono quanto scritto nel giugno 2015, quando pubblicarono un documento sul bisogno della democrazia nella difesa del bene comune e sulla promozione della dignità umana: "Il primo principio di un popolo sovrano è di non sottomettersi a pressioni esterne o accettare condizioni per il Paese".

Lotta alla corruzione in un contesto di costruzione di un progetto nazionale
"La lotta alla corruzione è fondamentale, ma è necessario inquadrarla dentro obiettivi immediati di costruzione di un progetto nazionale" sottolineano i Vescovi. "La situazione socio-politica che stiamo vivendo è preoccupante e tocca tutti i guatemaltechi. Vogliamo un Guatemala diverso e ci siamo impegnati perché la verità del Vangelo sia il nostro più grande contributo al cambiamento sociale ed etico di cui come nazione abbiamo bisogno" conclude il testo, firmato dal Presidente della Conferenza episcopale, mons. . Rodolfo Valenzuela Núñez, vescovo della diocesi di Vera Paz.

La corruzione coinvolge dogane, banche e politici
​Lo scorso mese, i guatemaltechi sono rimasti scioccati per i risvolti del processo contro un ex-ministro ed altre 10 persone coinvolte in un caso di corruzione ad alto livello. Secondo la stampa locale, sono però apparsi anche altri casi di corruzione alle dogane, fra i politici e i dirigenti delle banche. (C.E.)

inizio pagina
Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 315

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.