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Sommario del 05/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: Siria, basta Paesi che parlano di pace e vendono armi

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“La pace in Siria è possibile”. E’ quanto afferma con forza Papa Francesco in un videomessaggio di sostegno alla Campagna di Caritas Internationalis per la pace nel Paese. Il Pontefice critica severamente quei Paesi che, da una parte, parlano di pace e, dall’altra, forniscono armi a chi combatte. Dal Papa dunque l’invito a sostenere i colloqui di pace per una soluzione politica che metta fine al conflitto che dura ormai da 5 anni. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

La guerra in Siria “rattrista molto il mio cuore”. Esordisce così Francesco nel suo videomessaggio alla Caritas Internationalis. Il Papa parla delle indicibili sofferenze del popolo siriano, rivolge il pensiero alle comunità cristiane che sopportano ogni tipo di discriminazione.

L'ipocrisia di chi parla di pace e alimenta la guerra
Francesco chiede di essere al fianco della Caritas, impegnandosi per la costruzione di una società più giusta e mette in guardia dall’ipocrisia di chi parla di pace e alimenta la guerra:

“Mentre il popolo soffre, incredibili quantità di denaro vengono spese per fornire le armi ai combattenti. E alcuni dei paesi fornitori di queste armi, sono anche fra quelli che parlano di pace. Come si può credere a chi con la mano destra ti accarezza e con la sinistra ti colpisce?”.

Riconoscere che non c’è soluzione militare per la Siria, ma solo politica
Il Papa incoraggia tutti “a vivere con entusiasmo quest’Anno della Misericordia per vincere l’indifferenza e proclamare con forza che la pace in Siria è possibile!”. L’invito è, dunque, di “pregare per la pace in Siria” con iniziative di sensibilizzazione in ogni ambito ecclesiale:

“Alla preghiera, poi, seguano le opere di pace. Vi invito a rivolgervi a coloro i quali sono coinvolti nei negoziati di pace affinché prendano sul serio questi accordi e si impegnino ad agevolare l’accesso agli aiuti umanitari. Tutti devono riconoscere che non c’è una soluzione militare per la Siria, ma solo una politica”.

La pace in Siria è possibile, unire le forze a tutti i livelli
“La comunità internazionale – ribadisce – deve pertanto sostenere i colloqui di pace verso la costruzione dì un governo di unità nazionale”:

“Uniamo le forze, a tutti i livelli, per far sì che la pace nell’amata Siria sia possibile. Questo sì che sarà un grandioso esempio di misericordia e di amore vissuto per il bene di tutta la comunità internazionale!”.

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Santa Sede: pace tra israeliani e palestinesi solo se c'è coraggio

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Per raggiungere la pace, israeliani e palestinesi devono avere più coraggio e riavviare negoziati diretti col sostegno internazionale, rifiutando ogni manipolazione della religione per giustificare odio e violenza: è quanto ha affermato l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, mons. Ivan Jurkovič, capo della delegazione vaticana alla Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite a supporto della pace fra israeliani e palestinesi. Ribadita la soluzione dei due Stati. Il servizio di Debora Donnini

Sempre più difficile la questione mediorientale
La questione palestinese rimane senza una risposta soddisfacente fin dalla nascita delle Nazioni Unite, perché decenni di negoziati non sono riusciti a ottenere la creazione di uno Stato palestinese. Parte da questa considerazione l’intervento di mons. Ivan Jurkovič. Il presule apprezza il Comitato dell’Onu per l’esercizio dei diritti inalienabili del popolo palestinese per aver organizzato questa Conferenza che punta ad identificare nuove idee per supportare maggiormente il processo di pace. Sta, infatti, diventando sempre più difficile trattare la questione, a causa dell’insufficienza  di “negoziati sostanziali” e della spirale di atti di violenza. Una crisi aggravata, negli ultimi anni, da altri conflitti e in particolare dalla tragedia siriana.

Santa Sede per la soluzione dei due Stati
“La Santa Sede ha sempre favorito la soluzione dei due Stati”, afferma mons. Jurkovič. Già Benedetto XVI, visitando la Terra Santa nel 2009, aveva sottolineato che Israele ha il diritto di esistere e vivere in pace così come i palestinesi hanno diritto ad una patria indipendente e sovrana. Nel 2014, Papa Francesco aveva ribadito lo stesso principio del “diritto dei due Stati ad esistere e vivere in pace e sicurezza entro confini internazionali universalmente riconosciuti”.

Centrale è il ruolo della società civile
Per l’osservatore permanente, dunque, il conflitto israelo–palestinese è diventato sempre più inaccettabile. La Santa Sede ritiene che il processo di pace possa andare avanti solo con negoziati diretti fra le parti, sostenuti dalla comunità internazionale. L’appello è che israeliani e palestinesi prendano decisioni coraggiose. Entrambi i popoli hanno sofferto troppo a lungo, partendo da un punto di vista sbagliato, cioè che le loro differenze potessero essere risolte con la forza. Secondo la Santa Sede, però, la pace non può essere raggiunta se riconciliazione e rispetto reciproco non accompagnano le soluzioni politiche. Per questo, la Delegazione della Santa Sede apprezza che la Conferenza consideri il ruolo della società civile. Il Medio Oriente, culla delle tre religioni monoteiste, è adatto a promuovere questa partecipazione.

Rafforzare il nesso fra diplomazia formale e informale basata sulla fede
Mons. Jurkovič chiede, quindi, di rafforzare il nesso fra diplomazia formale e diplomazia informale basata sulla fede: “rafforzare questo nesso”, dice, può dare un forte contributo per realizzare la pace fra israeliani e palestinesi e tutti gli abitanti della zona.

No alla manipolazione della religione: il dovere è la pace
Religioni e credenti devono mettere fine all’odio reciproco. Più la religione viene manipolata per giustificare atti di violenza, “più i leader religiosi devono essere impegnati in sforzi globali per sconfiggere la violenza”. E per contrastare questo spurio fervore religioso, sono importanti autentiche comunità di fede. La Santa Sede, quindi, ribadisce il suo appello a tutti i leader religiosi a respingere la perversione di una religione che fomenti la violenza. Al contrario, il dovere è quello della pace.

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Vatileaks. Chieste 4 condanne e un'assoluzione. Intervengono i difensori

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Nella fase conclusiva del processo in Vaticano per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati, il Promotore di Giustizia ha chiesto ieri la condanna di mons. Vallejo, Chaouqui, Maio e Nuzzi. Per Fittipaldi, invece, l'assoluzione per insufficienza di prove. Stamane si sono svolte le prime arringhe dei difensori. Secondo quanto riferito dal direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi, erano presenti, oltre al Collegio giudicante (i proff. Giuseppe Dalla Torre, Piero  Antonio Bonnet, Paolo Papanti-Pellettier e Venerando Marano) e al Promotore di Giustizia (proff. Gian Piero Milano e Roberto Zannotti), gli imputati: Lucio Ángel Vallejo Balda, Francesca  Immacolata Chaouqui e Nicola Maio, mentre erano assenti gli imputati Gianluigi Nuzzi ed Emiliano  Fittipaldi. Erano presenti tutti e cinque gli avvocati: Emanuela Bellardini, Laura Sgrò, Rita Claudia  Baffioni, Lucia Teresa Musso e Roberto Palombi. L’udienza è stata dedicata all’arringa dell’avvocato Emanuela Bellardini, per la difesa dell’imputato Vallejo Balda, che si è conclusa con la richiesta - in prima istanza - di assoluzione con  formula piena da tutte le imputazioni, o - in subordine - di assoluzione dal reato di associazione a  delinquere perché il fatto non sussiste e di assoluzione per insufficienza di prove dal reato di  divulgazione di documenti riservati in concorso, o - in ulteriore subordine - di assoluzione dal reato di  associazione a delinquere perché il fatto non sussiste e del minimo della pena, con attenuanti, per il  reato di divulgazione di documenti riservati in concorso. E’ seguita l’arringa dell’avvocato Laura Sgrò,  per la difesa dell’imputato Francesca Immacolata Chaouqui, che si è conclusa con la domanda di  assoluzione con la formula più ampia da tutti i capi di imputazione. L’Udienza, iniziata alle 9.30, è terminata intorno alle 14.15. Gli interventi degli altri avvocati difensori  continueranno domani pomeriggio, mercoledì, alle 15.30. Sulla requisitoria di ieri del Promotore di Giustizia, il servizio di Massimiliano Menichetti: 

Un’ora e cinquanta minuti, tanto è durata la requisitoria dell’Ufficio del Promotore di Giustizia. I due magistrati dell’accusa si sono alternati presentando “giurisdizione, fatti e qualificazione giuridica”. In pratica è stato ricostruito il quadro normativo nel quale si colloca e muove il processo, le competenze, i reati, differenze e responsabilità attribuite agli imputati. Tre le richieste di condanna per gli ex membri di Cosea: tre anni e un mese di reclusione per mons. Vallejo; tre anni e nove mesi di carcere per Francesca Immacolata Chaouqui e un anno e nove mesi di reclusione per Nicola Maio. Esiti diversi per i giornalisti: assolto per insufficienza di prove Emiliano Fittipaldi; un anno di carcere, con sospensione condizionale della pena, per Gianluigi Nuzzi. I tre ex membri della Commissione vaticana sono imputati per il reato di associazione criminale con lo scopo di rivelare notizie e documenti riguardanti interessi fondamentali dello Stato vaticano, mentre i giornalisti sono accusati di concorso nella divulgazione di documenti. Concorso morale, ovvero non per aver pubblicato, ma per aver rafforzato “con la loro disponibilità” la convinzione del “Gruppo Segreto” di poter rivelare notizie e diffondere documenti. 

La questione della giurisdizione
Il prof. Roberto Zannotti inquadra subito la questione della giurisdizione ovvero “perché ci si trova dinanzi ad un Tribunale vaticano”. Spiega che la normativa vigente prevede che se il reato è commesso in tutto o in parte, anche minima, nel territorio dello Stato esso ricade nella giurisdizione vaticana. Due i filoni percorsi per l’impianto accusatorio: uno associativo e uno relativo alle rivelazione di notizie e documenti. In pratica si è indagato per capire se vi fosse una struttura organizzata che voleva diffondere notizie e se vi è stata poi fuga di documenti. Zannotti precisa anche che “le condotte sono contestate in regime di concorso di persone” e porta l’esempio di mons. Vallejo, reo confesso, per spiegare che questo attrae nel giudizio davanti al Tribunale anche tutti coloro che hanno fatto parte del cosiddetto “gruppo ristretto” di Cosea e i due giornalisti. Aggiunge anche che per quanto riguarda “i delitti contro la sicurezza dello Stato vaticano”: se un tale reato è commesso all'estero da uno straniero ricade sempre sotto la competenza di un giudice vaticano.

Prof. Giampiero Milano e l’umbratilità di Cosea
Il prof. Giampiero Milano ricostruisce ancora una volta l’origine dei fatti partendo della costituzione di Cosea, nel giugno 2013. Il magistrato si riferisce dapprima a “consistenti conversazioni WhatsApp” tra mons. Vallejo e Chaouqui in cui la principale preoccupazione era la segretezza ed una certa “umbratilità”, invece di pensare all’importante incarico e discutere di come “svolgerlo al meglio”. Poi cita ancora una volta “la paura delle microspie” che il “gruppo ristretto aveva” (mons. Vallejo, Chaouqui e Maio), il ricorso a tecnici esterni per bonificare gli ambienti.

Gendarmeria estromessa
Il magistrato ricorda anche la deposizione di mons. Alfredo Abbondi il quale dichiarò che “davanti al sospetto di microspie nascoste nella Prefettura non chiamarono la Gendarmeria per non alzare il livello di controllo". Ribadisce la testimonianza del gendarme De Santis sulla decisione di collocare il server, acquistato per il lavoro della Commissione, presso la caserma delle Guardie svizzere. Milano evidenzia ancora l’estromissione della Gendarmeria nonostante – afferma - sia il “massimo organo della sicurezza dello Stato vaticano”. Fu la stessa Chaouqui – continua - a parlare per prima, il 12 novembre del 2016, di una “Commissione segreta” creata da mons. Vallejo. Una realtà - aggiunge - che cercava sviluppi non sempre coincidenti con la Commissione di riforma voluta dal Papa, come nel caso del Vam (Vatican Asset Management) e sulla creazione di un fondo sovrano in Lussemburgo che venne bocciato dal Pontefice. In questo caso il “gruppo ristretto” aveva un atteggiamento contrario.

Le ritrattazioni di Chaouqui e Maio
I magistrati citano più volte le testimonianze pregresse di Maio e Chaouqui e le successive ritrattazioni “sulla commissione ombra”, la “super commessione con poteri illimitati” e “assoluti”. Inquadrano queste dichiarazioni come tentativi degli imputati di presentare una diversa verità dei fatti. Milano e Zannotti riportano all’attenzione della Corte le testimonianze del personale della Prefettura degli Affari Economici, citano Fralleoni, Pellegrino, Monaco per evidenziare la percezione netta che si aveva del “gruppo chiuso”, “ristretto”, con “intenti e finalità comuni”, “complottistiche” se pur nei “ruoli che ognuno aveva”.

I documenti e “l’altra Curia”
Rievocano le copiose fotocopie realizzate per “un archivio parallelo” , la paura degli archivisti in Prefettura che gli atti venissero pubblicati, come poi è stato. Milano si riferisce al gruppo creato da mons. Vallejo e parla di “un’altra Curia” con “finalità, composizione e modi” che non sono quelli della “Curia Romana”: “né per fini né per identità”.

Richieste borderline
Il promotore parla di richieste “borderline” e ricorda quella di Chaouqui a mons. Vallejo di copiare su carta intestata dello Ior un testo sul Monte dei Paschi di Siena che lei gli aveva inviato via email. Foglio poi stampato con le firme (misconosciute) del direttore generale Rolando Marranci e del presidente dello Ior, Ernst von Freyberg. Chaouqui disse che lo aveva fatto per mettere alla prova il prelato, ma Milano puntualizza: “Non è possibile dopo due anni di conoscenza tra i due asserire una cosa del genere”. “Il gruppo – continua – operava in questo modo e in più direzioni”.

Clima di rivalsa
Ricordato ancora il clima intimidatorio e di rivalsa che regnava verso la fine di Cosea, cioè quando - secondo Milano – “c’è il tracollo”. Mons. Vallejo “si rende conto che non otterrà il desiderato ruolo nella Segreteria per l’Economia e Chaouqui non avrà parte alla Commissione per i Media vaticani”. Qui, secondo il Promotore, si prendono i contatti con i giornalisti. Letti ancora una volta i messaggi WhatsApp tra il prelato e il marito dell’imputata, quest’ultimo scriveva: “Francesca è furiosa”, “L’ho tenuta buona una settimana”, “Ma pensano che trattarla così va bene?”, “Qualcosa farà, non umiliatela”.

Alleanza di potere
I magistrati mostrano apprezzamento nel ricordare che Maio verso la fine di Cosea si allontanò dal gruppo e dichiarò di averlo fatto perché “risucchiato in attività diverse da quelle istituzionali”. “Maio lascia comunque una traccia - spiega Milano - di quello che aveva vissuto” e legge in aula una email inviata dallo stesso imputato in cui si parla di un “segretario ombra che si segue dappertutto”, di aver tradito “la fiducia del Papa”, di “aver forgiato un’alleanza di potere”.   

Vatican Asset Management
Il Promotore di Giustizia torna sui documenti passati da Chaouqui a Nuzzi e parla di “non veridicità delle deposizioni” della donna. Si riferisce all’ammissione dell’imputata, nell’interrogatorio del 31 ottobre 2015, di aver passato al giornalista il Vam (Vatican Asset Management). Chaouqui disse in seguito che per “documenti” intendeva l’invito per la “terrazza per la Canonizzazione dei due Papi” e non il Vam. “E’ offensivo - incalza Milano - per una esperta di comunicazione chiamare documento un foglio, agli atti, senza nome, senza numero”. Per i magistrati nell’incontrarsi del “gruppo” c’è “una strategia”, una “condivisione proiettata nel tempo che porterà al concorso nello scambio e alla divulgazione” di documenti e notizie. Quindi configurando a pieno i reati contestati.

I giornalisti e i documenti
Che “i giornalisti abbiano ricevuto i documenti è indubbio - Afferma Zannotti - la copia staffetta degli articoli per L’Espresso inviata da Fittipaldi a Chaouqui aveva proprio lo scopo di confermare e condividere quale fosse stato l’utilizzo del materiale ricevuto precedentemente dalla donna. Come a dire: “Hai visto che utilizzo ne ho fatto?”. Per quanto riguarda Nuzzi c’è la copiosa documentazione messa a disposizione da mons. Vallejo con la condivisione delle password della propria casella di posta elettronica e dei documenti qui contenuti. Zannotti cita anche la puntuale testimonianza del gendarme Gauzzi e le “risultanze investigative” sulla messaggistica WhatsApp tra “il gruppo ristretto” e tra Chaouqui e il giornalista e cita ancora la prima deposizione della Chaouqui sul Vam.  

Associazione criminale
Dunque i magistrati spiegano che il reato di associazione criminale per mons. Vallejo, Chaouqui e Maio, si è configurato sussistendo i tre requisiti fondamentali del vincolo associativo stabile, dell’indeterminatezza del progetto criminoso e della struttura organizzativa. Rilevato anche che mons. Abbondi “in altri ordinamenti sarebbe stato considerato un fiancheggiatore" e quindi accusato “di concorso esterno in associazione” criminale. Reato non previsto dalla normativa vaticana.

Rivelazione di documenti e notizie
Il Promotore poi puntualizza il capo d’accusa riferito alla rivelazione di documenti e notizie. Cita ancora la deposizione Gauzzi e asserisce che le prove mettono in evidenza legami e scambi tra mons. Vallejo, Chaoqui e Maio. Precisa poi che i giornalisti sono accusati di “concorso morale” nella divulgazione di documenti. E afferma che il punto non è l’aver pubblicato nei libri “Avarizia e Via Crucis” i documenti ricevuti, ma il ruolo da loro avuto nell’offrire "presenza e disponibilità” a chi voleva consegnare i plichi. Fornendo così un “impulso psicologico”, un “rafforzamento nella convinzione” ad agire per rivelare le notizie.

Quattro condanne e un'assoluzione
“Dall’analisi dei contatti - spiega il Promotore di Giustizia – la posizione dei due giornalisti appare diversa, con ruoli diversi”. “L’influenza di Emiliano Fittipaldi non è così chiara, conclamata”, “non ha avuto contatti assidui”. Quindi conclude con una richiesta di assoluzione per insufficienza di prove. L’ufficio del Promotore ritiene invece Nuzzi “concorrente morale nel reato” e richiede, anche se “meritevole delle attenuanti generiche”, una condanna ad un anno di reclusione, con sospensione condizionale della pena. “Motore primo con gravi responsabilità” è mons. Angel Lucio Vallejo Balda per il quale sono chiesti  tre anni e un mese di carcere. Gli sono concesse le attenuanti generiche per lo “stato di soggezione” vissuto nei confronti della Chaouqui e per il comportamento collaborativo che ha avuto. Il Promotore definisce la Chaoqui “coprotagonista e ispiratrice”, “motore di tutte le iniziative scellerate”; prende atto “del comportamento processuale censurabile” della donna “e della volontà di addossare ogni responsabilità su mons. Vallejo”. Quindi chiede una condanna a 3 anni e 9 mesi di reclusione. Concesse anche a lei le attenuanti generiche perché incensurata. Un anno e nove mesi infine a Nicola Maio in considerazione del limitato ruolo avuto nella vicenda: anche a lui sono state concesse le attenuanti generiche. 

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In Siria la pace è possibile: videomessaggio del Papa a sostegno dell'iniziativa di Caritas internationalis.

Un'inedita testimonianza di Antonio Nogara su quella notte del 1944: a proposito del piano nazista per sequestrare Pio XII.

Antonio Zanardi Landi sull'immane equivoco dopo la strage di Dacca.

Libera Chiesa in libero Stato: Francesco Margiotta Broglio sull'origine giansenista della formula rilanciata da Cavour.

Gabriele Nicolò su una task force per il liceo classico.

Politiche contro la fame: Ocse e Fao chiedono un'azione dei governi.

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Oggi in Primo Piano



Attentati Baghdad. Sako: strage terribile, ma "geografia" Is è finita

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Un messaggio di pace e riflessione ai “fratelli musulmani” per la festa di Eid al-fitr, che segna la fine del Ramadan. A lanciarlo, dall’Iraq, il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako, a pochi giorni dal triplice attentato suicida di domenica a Baghdad, il più sanguinoso degli ultimi anni, rivendicato dal sedicente Stato islamico (Is), che ha provocato almeno 175 morti, tra cui molti bambini e ragazzi: si tratta di un bilancio ufficiale ma ancora provvisorio, che secondo fonti di stampa avrebbe già superato le 200 vittime. Ascoltiamo il patriarca Sako, nell’intervista di Giada Aquilino

R. – Condanniamo questi attacchi, è stata veramente una strage. Tante famiglie sono distrutte. Ieri sono andato a pregare sui luoghi degli attentati e ho acceso delle candele insieme ad alcuni preti. C’era una donna che ha detto: “Ho perso sette figli”. È dunque una cosa terribile, un’offesa per tutta l’umanità, contro tutti i valori. Anche i fedeli delle nostre parrocchie, uno dopo l’altro, sono andati a pregare: più di cento persone - donne, suore, uomini - hanno camminato per venti minuti a piedi, per pregare e mostrare a tutti la nostra presenza, vicinanza e solidarietà verso tutte queste famiglie.

D. - A cosa punta Daesh, il sedicente Stato islamico? Starebbe perdendo il controllo del territorio…

R. - È chiaro che per loro è finita, la “geografia” è finita. Pensano alla loro ideologia secondo la quale il mondo intero è di loro dominio. Vogliono attaccare qualsiasi posto e città e uccidere più persone possibili, per provocare. Penso che tutto il mondo debba fare qualcosa per sconfiggere tale ideologia, non solo attraverso azioni militari, ma anche con una nuova cultura per l’islam, un islam moderato.

D. - Lei ha avuto contatti con le autorità irachene, sia civili sia religiose. Cosa ha auspicato?

R. - Loro sono offesi da tutto questo, sono scoraggiati. Ho detto che è il momento di superare tutte le differenze, riconciliarsi, pensare alla vita dei cittadini e proteggere le loro proprietà. Ci vuole la pace perché la guerra e la vendetta non hanno futuro. Ma la pace è dono di Dio, è un dono per noi tutti, per la convivenza, il rispetto, i valori umani e i diritti dell’uomo. Ci vuole una nuova posizione, un cambiamento di mentalità ma anche di comportamento.

D. - Lei ha avuto contatti anche con leader religiosi musulmani? C’è sta una condanna di questa e delle altre azioni violente da parte del mondo musulmano?

R. - Sì, tanti, anche da al-Azhar. È uno shock per il mondo intero.

D. - Cosa servirebbe?

R. - Non solo discorsi o condanne, ma azioni sul posto.

D. - Il Papa ha chiesto che il Signore converta il cuore dei violenti accecati dall’odio. A cosa si può arrivare?

R. - Questo è molto importante. Noi dobbiamo pregare per queste persone che sono cieche, che non vedono. Che il Signore illumini tutti affinché possano convertirsi al bene, alla pace, alla convivenza, al rispetto. Ci vuole un miracolo.

D. - In queste ore si festeggia l’Eid al-Fitr, la festa islamica che conclude il Ramadan, il mese sacro per i musulmani. Qual è il messaggio della Chiesa?

R. - Ho indirizzato un messaggio a tutti i musulmani ricordando che il digiuno è un momento forte per la conversione, per fare una valutazione della situazione anche alla luce di questi attacchi, ma pure della vittoria dell’esercito iracheno che ha liberato Falluja e Ramadi. Adesso ci vuole una nuova posizione per superare tutte queste differenze, andare al di là degli interessi personali e presentare una “magna charta” per il futuro dell’Iraq unito, dove ci sia sicurezza, pace e prosperità.

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Bangladesh: musulmani condannano strage, ma gli stranieri hanno paura

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Tanti i punti ancora da chiarire nella strage che venerdì scorso ha ucciso 20 persone in un ristorante a Dacca. Con una solenne cerimonia di Stato si sono chiusi, ieri, i due giorni di lutto proclamati in Bangladesh dopo l’attentato. Arrivano oggi a Roma le salme delle vittime italiane. Il servizio di Adriana Masotti

Stasera a Roma le salme delle 9 vittime italiane dell’attentato a Dacca: ad accoglierle a Ciampino, il presidente Sergio Mattarella. Sono invece già rientrati a Tokyo i feretri con i sette cittadini giapponesi uccisi nella strage. In un colloquio telefonico il ministro degli Esteri Fumio Kishida e il collega italiano Paolo Gentiloni hanno convenuto sulla necessità di un impegno comune contro il terrorismo, a partire dalla condivisione di informazioni" di intelligence tra i Paesi del G7 presieduto quest'anno dal Giappone e l'anno prossimo dall'Italia.

Proseguono intanto le indagini: tre i fermi effettuati dalla polizia bengalese per la strage, tra cui quello di un docente universitario. Non ancora rivelata l’identità del terrorista catturato vivo sul luogo dell'attentato. La polizia bengalese si dice convinta che gli autori dell'attacco abbiano ucciso gli ostaggi nei primi 20 minuti dalla loro irruzione nel ristorante di Dacca e nutrono il sospetto che abbiano potuto contare su un basista interno, un pizzaiolo. Emerge inoltre che la polizia potrebbe avere ucciso per errore uno degli ostaggi, scambiandolo per un assalitore o facendo partire un colpo accidentalmente.

Ieri in Bangladesh è stata una giornata di commemorazione e di preghiera per le vittime: una cerimonia di Stato nello stadio militare della capitale, una Messa concelebrata dal nunzio apostolico in Bangladesh, mons. George Kocherrym. ''Viviamo una situazione preoccupante, ha detto ieri il nunzio, commentando l'attentato terroristico a Dacca, abbiamo paura ma affidiamo tutto nelle mani di Dio.

Sull'attentato di Dacca, Adriana Masotti ha raccolto il commento di padre Emmanuel Rozado, rettore del Seminario maggiore della capitale del Bangladesh dove ieri sera si è celebrata una Messa di suffragio per le vittime: 

R. – Ieri abbiamo celebrato la Messa, qui nel Seminario, nella Cappella. Io conoscevo personalmente alcuni degli italiani, perché frequentavano la nostra Chiesa, partecipavano alla Messa. E con alcuni di loro avevo un contatto personale… Quando ho sentito che hanno ammazzato queste persone, ho provato molto dolore.

D. – Perché, secondo lei, questo attentato proprio a Dacca, proprio in Bangladesh?

R. – E’ la prima volta in Bangladesh che c’è questo tipo di attacco terroristico. I terroristi sono tutti di origine bengalese, giovani, ben educati, però…

D. – Una cosa che colpisce è che questi giovani non fanno parte di una classe – diciamo - ai margini, ma vengono invece da famiglie che stanno bene…

R. – Questi giovani provengono da famiglie ricche, vivevano in buone condizioni. Ieri sentivo, in televisione, il padre di uno dei terroristi che diceva: è sempre stato bravo quando era bambino, è stato anche uno studente molto bravo… Poi non sanno cosa sia successo, perché erano sei mesi che era sparito da casa. Anche i genitori non sapevano, dove fosse… Lo hanno cercato e – dopo sei mesi – lo hanno rivisto soltanto venerdì, quando c’è stato questo attentato. Magari succede che questi giovani, che vengono da diverse famiglie, vengano presi da qualcuno, da qualche gruppo… Non possiamo saperlo. Spariscono improvvisamente dalle famiglie; magari vengono poi formati su come fare questi attacchi e quando riappaiano è perché sono in grado di fare questo tipo di cose.

D. – Tanti occidentali, anche italiani, sono in Bangladesh per lavoro: questi stranieri come vengono visti dalla gente comune?

R. – La gente normalmente ha verso gli stranieri un atteggiamento buono. Ma in questi mesi – diciamo nell’ultimo anno – qualcosa è cambiato un po’ nell’atteggiamento. Non di tutti, ma certamente di questo tipo di gruppo: loro non vogliono gli stranieri o magari pensano che loro non sono musulmani e quindi hanno un atteggiamento diverso. Ma io dico sempre che si tratta solo di un gruppo e non della maggior parte della gente. La nostra cultura è molto accogliente, noi siamo molto accoglienti e quando i forestieri vengono noi siamo molto amichevoli. Adesso gli stranieri sono un po’ in tensione e hanno anche un po’ di paura. Come d’altronde anche noi, perché questo non era mai successo prima. E ci fa pensare: cosa succederà e come andrà a finire?

D. – I musulmani come hanno commentato queste uccisioni?

R. – La maggior parte dei musulmani è contro questo tipo di attacco: loro non sono in favore di tutto questo. Anche loro criticano tutto questo e dicono che non è giusto, che questo non è l’insegnamento della religione, dell’islam. E’ qualcosa contro l’umanità e contro anche l’insegnamento stesso della religione.

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Noemi Di Segni: dialogo tra ebrei e cristiani è indispensabile

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Nata a Gerusalemme, romana d'adozione, 47 anni, Noemi Di Segni è da domenica scorsa il nuovo presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Ucei). Succede a Renzo Gattegna, per 10 anni al vertice dell’ebraismo italiano. Intervistata da Alessandro Gisotti, Noemi Di Segni si sofferma sul suo nuovo incarico e sul rapporto tra la comunità ebraica e quella cristiana: 

R. – La presidenza che si apre è un frutto - se vogliamo - un primo frutto di un impegno che abbiamo portato avanti per quattro anni, di attenzione alle persone, alle singole comunità, per la loro esistenza come punti di riferimento e evidenze di un ebraismo che si è sviluppato ed è maturato sul territorio nazionale, valorizzando le peculiarità di ciascuna comunità. L’idea è quella di valorizzare quello che è comune tra le diverse collettività e comunità, siano esse ebraiche, cattoliche, cristiane e musulmane. E quindi, la linea che noi vogliamo assolutamente seguire, nel solco dell’eredità di Tullia Zevi e di Renzo Gattegna, è proprio quella di essere portatori di elementi valoriali, di dialogo e di democrazia, con il resto della società italiana.

D. – In questi ultimi anni si sono affermati - purtroppo - sempre più violentemente i fondamentalismi religiosi: come pensa si possa combattere questa piaga del nostro tempo, anche nel suo impegno?

R. – Io credo che l’unica risposta che ci possa essere, forte ed efficace, sia l’educazione, la cultura e la formazione delle coscienze in età estremamente giovane; il sapersi confrontare, convivere e crescere con persone diverse. E credo che veramente l’unica, l’unica vera arma forte sia alla fine la fiducia e il dialogo della cultura e la condivisione di valori comuni.

D. – La comunità ebraica ha celebrato in questi mesi, con una mostra, lo storico abbraccio del Rabbino Toaff con San Giovanni Paolo II, avvenuto trent’anni fa: quanto è importante per lei il consolidamento del dialogo e dell’amicizia tra comunità ebraica e comunità cattolica a Roma e in Italia?

R. – Chiaramente, è fondamentale ed indispensabile che questo dialogo, che è maturato e si è sviluppato nei tre incontri ai quali abbiamo assistito (le visite dei tre Papi alla Sinagoga di Roma, ndr), tra cui l’ultimo alla Sinagoga a gennaio scorso: ciascuno di questi incontri ha maturato una fase in questa conoscenza, che non è solo dialogo, e non è finalizzata – ovviamente – al convincimento dell’altro ma è capacità di costruire insieme un progetto di dialogo e di quanto le fedi e le religioni oggi siano uno strumento, un veicolo, un modo per arricchire le nostre anime. Queste infatti sono spesso, per il modo in cui è caratterizzata la nostra vita quotidiana, appiattite su un quotidiano molto vuoto. Allora, credo che il messaggio che deve passare è quanto le religioni, insieme, possono essere un modo di creare sistema: sistema di dialogo e di accettazione. È chiaro che ci sono aspetti e questioni ancora critici, che devono essere tuttora approfonditi e sui quali auspichiamo che ci sia un’ulteriore evoluzione.

D. – Tra pochi giorni, durante la visita in Polonia per la Gmg di Cracovia, Papa Francesco si recherà ad Auschwitz Birkenau: è il terzo Papa a compiere questo gesto…

R. – È una scelta forte, importante, che apprezziamo moltissimo. Sappiamo il potere vibrante, forte, quanto il Papa abbia questa capacità. Anche nei momenti in cui sceglie di esprimersi con un silenzio, la sua capacità di comunicazione è forte ed immensa. E quindi questo suo viaggio – questo suo percorso – sicuramente coinvolgerà molti fedeli e trasmetterà loro un messaggio molto forte. Quindi noi ovviamente siamo molto partecipi e contenti che questo avvenga.

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Dopo la Brexit sprofonda la sterlina

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La sterlina britannica torna a spronfondare, portandosi fin sotto quota 1,31 sul dollaro per la prima volta da oltre 31 anni a questa parte. Secondo il Financial Times quest'ultimo scivolone è legato a doppio filo al crescente allarme sul settore dei fondi immobiliari britannici, che si stanno rivelando come una sorta di tallone d'Achille del Regno alle ricadute del voto per la Brexit. Intanto, si sfalda il fronte degli euroscettici: dopo la rinuncia dell’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, alla guida dei conservatori al posto del dimissionario David Cameron, anche l’altro fautore della Brexit, Nigel Farage, starebbe per lasciare il partito indipendentista Ukip. E i cittadini britannici iniziano a reagire alle tante cose dette durante la campagna referendaria che poi si si sono rivelate false. Ascoltiamo Leonardo Becchetti, docente di Economia Politica all’Università di Tor Vergata, al microfono di Emanuela Campanile: 

R. – E’ stata una vicenda veramente surreale, perché il Regno Unito già faceva abbastanza autonomamente in quanto a valuta, in quanto a politiche nei confronti dei migranti. Tutta la Campagna, quindi, è stata costruita su dei falsi, cioè sull’idea che l’Unione Europea costringesse il Regno Unito ad accogliere più stranieri di quanto volesse e che una cifra enorme – si parlava di 33 miliardi di sterline – a seguito del “no”, avrebbe potuto essere trasferita verso la Salute. Ipotesi che poi, candidamente, anche lo stesso Farage ha smentito subito dopo.  Il problema è che chi è al potere è naturalmente in vantaggio, sia nei referendum che nelle elezioni politiche, e chi non lo è ha il vantaggio di poter promettere qualcosa di nuovo, di diverso, di poter promettere una soluzione. Nelle elezioni politiche, però, almeno, dopo la vittoria, viene messo alla prova e c’è la verifica se veramente quelle promesse possono essere mantenute. Qui, dopo questo referendum, non c’è neanche questo.

D. – In questo quadro, possiamo dire che il popolo è stato usato?

R. – Sì, c’è tutto un problema, che dovremo seguire molto meglio, che è quello della formazione delle idee della gente. Sappiamo che si è diffusa un’idea di nazionalismo, anche grazie a comunicazioni improprie sulla rete e così via. Sono passati, quindi, dei messaggi molto semplicistici, come: “Ci sono dei problemi, ma c’è una soluzione molto semplice: basta uscire dall’Unione Europea, infatti, poiché sono gli stranieri in arrivo che sono la causa dei problemi”. In realtà, il problema – lo sappiamo – è molto più profondo: la globalizzazione in questo momento è costruita in modo tale da produrre una corsa al ribasso sui diritti, sulla dignità del lavoro, piuttosto che una corsa al rialzo. Ci si è preoccupati pochissimo in questi anni della distribuzione del reddito. Invece, la stessa attenzione che si dà all’inquinamento, alla sostenibilità ambientale si dovrebbe dare a quello che io chiamo l’ 'inquinamento sociale'. La diseguaglianza, proprio come l’effetto serra, è qualcosa che danneggia tutti noi, anche chi è ricco, anche chi sta bene. La diseguaglianza, infatti, produce populismo, produce migrazioni incontrollate. Un altro errore che abbiamo fatto è che siamo scesi solamente su un terreno economico dei costi e dei benefici, momento per momento, della Brexit. L’Unione Europea, invece, non è nata sul calcolo momento per momento dei benefici, ma sull’idea che i Paesi europei, mettendosi assieme, cooperando, avrebbero avuto dei vantaggi economici, ma anche dei vantaggi in termini di pace sociale, avrebbero evitato nuove guerre e così via. Oggi, scoperchiare il vaso di Pandora vuol dire dare adito a tutte le possibili spinte centrifughe, che potrebbero continuare. Adesso sappiamo già che i Paesi dell’Est cercano maggiore autonomia, ma un giorno potrebbe ripartire anche il conflitto tra Nord e Mezzogiorno. Il problema, quindi, è mettere sul piatto della bilancia non solo i fattori economici, ma anche i fattori politici e culturali. Fermo restando poi che il calcolo dell’effetto economico non si può misurare con le reazioni delle Borse a brevissimo termine, perché queste dipendono da tante cose; esso deve essere costantemente misurato, ma solo nel tempo vedremo cosa cambierà, quali saranno gli effetti della Brexit.

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Gurría, Ocse: Brexit o no, banche italiane vanno rinforzate

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Le sofferenze delle banche italiane sulle prime pagine degli autorevoli giornali economici, il britannico Financial Times e lo statunitense Wall Street Journal. Le due testate esprimono timori che la crisi italiana, se non risolta, possa trasformarsi presto in crisi europea. Su questo scenario quanto pesa la Brexit, ovvero l’imminente uscita del Regno Unito dall’Unione Europea? Roberta Gisotti ne ha parlato con il Segretario generale dell’Ocse, Angel Gurría, ieri a Roma per un incontro nella sede della Fao: 

Non più allarmi di cataclismi finanziari dalla Brexit, il numero uno dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Angel Gurrìa, apre all’ottimismo e chiede di guardare al futuro con realismo

R. - Noi abbiamo detto che l’impatto della Brexit nel Regno Unito è due o tre volte più forte di quello europeo e questo vale per ciascun Paese dell’Europa. L’Europa ha una popolazione di 500 milioni di persone, mentre il Regno Unito  soltanto 60: quindi se questa esce dall’Europa, vuol dire che ci saranno 440 milioni di abitanti. Ma, in ogni modo, resterà sempre il blocco commerciale più grande del mondo. E questo è molto importante! Questo non vuol certo dire che il Regno Unito sparirà dalla faccia della terra: vuol dire soltanto che gli accordi e il modo di organizzare il commercio con il Regno Unito cambieranno. Non sappiamo ancora come, ma dipenderà molto dal modo in cui si organizzeranno i britannici con i rispettivi partner.

Ma la Brexit può avere ricadute sul sistema bancario italiano se non saranno fatte le dovute riforme:

R. – Il sistema bancario italiano non ha necessariamente a che fare con quello britannico, ma sta in processo di essere rinforzato, a causa di un alto livello ‘g’, quello che chiamano Npl “Non Performing Loans”. E questo molto semplicemente si deve fare, Brexit o non Brexit. L’incertezza che provoca la Brexit fa pensare che sia più difficile pensare alle questioni del mondo finanziario, perché c’è un impatto politico molto forte. Ma quello che si stava facendo in Italia si deve continuare comunque a fare e si deve finire! Se il sistema bancario non fa bene ciò per cui è fatto - cioè quello di intermediazione finanziaria fra coloro che hanno soldi e coloro che vogliono investire - e questo non viene fatto in modo efficiente e rapido avremo naturalmente un impatto. Ma abbiamo anche una situazione che aiuta e che vuol dire che il sistema finanziario dell’Europa è più e più multilaterale.

Tre le parole chiave per fare bene ciò che deve essere fatto dalle banche italiane:

R. – La regolazione, la capitalizzazione e la supervisione.

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Immigrati in Italia: sono 5 milioni, in aumento dell'1,9%

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In Italia gli immigrati sono 5 milioni 14 mila, l’8,2% della popolazione residente, con una lieve predominanza delle donne. I dati si riferiscono al 1° gennaio 2015 e rispetto a un anno prima  fanno registrare un aumento di 92 mila unità, cioè dell'1,9%. Lo afferma il rapporto Caritas-Migrantes 2015 dal titolo "La cultura dell'incontro", presentato oggi a Roma.

La provenienza
Se si guardano i permessi di soggiorno (quasi 4 milioni), per quanto riguarda la provenienza si distinguono i cittadini del Marocco (13,2%), dell’Albania (12,7%), della Cina (8,5%) e dell’Ucraina (6,0%). Se invece consideriamo le aree geografiche si nota che la quota maggiore riguarda i Paesi dell’Europa centro-orientale (30%), seguiti in ordine decrescente, dall’Africa settentrionale (20,7%), l’Asia centromeridionale (13,9%) e l’Asia orientale (13,4%).

La distribuzione geografica
Quasi il 60% degli immigrati vive nel Nord, mentre questa percentuale scende al 25,4% nel Centro, con un ulteriore calo nel Mezzogiorno (15,2%). In tre regioni del Nord ed una del Centro è concentrata più della metà dell’intera popolazione straniera presente in Italia (56,6%). In particolare, si tratta della Lombardia (23,0%), del Lazio (12,7%), dell’Emilia Romagna (10,7%) e del Veneto (10,2%). Nel Mezzogiorno va sottolineato che la Campania ospita il 28,6% del totale degli stranieri residenti in quest’area.

I nuovi cittadini
Nel 2014, questi sono gli ultimi dati disponibili, ci sono state quasi 130 mila acquisizioni di cittadinanza italiana da parte di cittadini stranieri, un valore in forte crescita rispetto all’anno precedente (+29,0%). E’ da notare che la maggior parte di queste acquisizioni riguarda minorenni: quasi il 40% di quelli che sono diventati cittadini italiani nel 2014 ha meno di 18 anni (39,4%). Inoltre, si osserva un picco di acquisizioni all’età di 18 anni, che in gran parte (oltre il 75%) riguarda stranieri nati in Italia, i quali possono chiedere di diventare italiani sulla base dell’attuale normativa, prima del compimento del successivo anno di età. Anche qui, tra le nazionalità prevalgono la marocchina e l’albanese.

Il lavoro e la povertà
Nel secondo trimestre 2015 su un totale di 4.067.145 persone straniere in età da lavoro, vi sono 2.360.307 occupati (che costituiscono il 10,5% del totale) di cui il 66,7% extra Ue. Va anche sottolineato che l’88,5% degli occupati stranieri è dipendente (nel caso degli occupati italiani, la percentuale scende a 74%). Ma quello che preoccupa è la differenza retributiva con gli italiani: mentre un italiano guadagna in media 1356 euro netti al mese, uno straniero ne percepisce 965. Inoltre, più del 41% dei lavoratori stranieri sono considerati poveri, ovvero hanno una retribuzione inferiore a 2/3 del salario mediano calcolato su base oraria.

La scuola
Nell’anno scolastico 2014/2015, gli alunni stranieri nelle scuole italiane sono stati 814.187, il 9,2% del totale degli alunni. Rispetto al 2013/2014, vi è stato un aumento di oltre 11 mila unità. Le regioni con le presenze maggiori sono Lombardia, Campania, Lazio ed Emilia Romagna.

Galantino: no a lettura ideologica del Vangelo
Per mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, "alla lettura integralista dell'Islam da parte di alcuni, si va facendo strada una lettura integralista e quindi ideologica del Vangelo, fino ad arrivare a quello che due giovani hanno fatto ieri sul Lungomare del Porto d'Ascoli: due bengalesi, che vendevano fiori, pestati a sangue perché non hanno saputo recitare il Vangelo. Non c'è niente di peggio di una religione ideologizzata, anche un Vangelo. Vigiliamo su questo anche all'interno della Chiesa".

Cultura dell’incontro
Per mons. Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, e mons. Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana, "solo ponendo al centro della riflessione l’uomo, non come individuo singolo, ma in dialogo con l’altro” è “possibile creare la società civile del domani, quella che è in grado di ‘integrare, dialogare e generare’ – riprendendo le parole illuminanti di Papa Francesco – ovvero di essere dinamica nella promozione di un’accoglienza non solo geografica ma soprattutto culturale nell’assoluta certezza che il tutto è più delle parti e anche della loro semplice somma”. (A cura di Alessandro Guarasci)

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Ecomafia: business in calo, ma crescono illeciti agro-alimentari

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Presentati oggi in Senato i dati del nuovo rapporto ecomafia di Legambiente che ha evidenziato una significativa diminuzione delle infrazioni nel ciclo del cemento e dei rifiuti dopo l’introduzione della legge sui delitti ambientali nel codice penale approvata l’anno scorso. In calo il business delle ecomafie che nel 2015 è stato superiore ai 19 miliardi, quasi 3 miliardi in meno rispetto all’anno precedente. Crescono, invece, gli illeciti nella filiera agro-alimentari e nel campo degli animali e soprattutto gli incendi, con un aumento che sfiora il 49%. I dati raccontano un lento ma progressivo cambiamento che ha preso il via nel 2015: sono stati contestati più di 900 ecoreati, con oltre mille denunce dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto e il sequestro di 229 beni per un valore di 24 milioni di euro. Sono 118 i casi di inquinamento e 30 le contestazioni del nuovo delitto di disastro ambientale. Non bisogna dimenticare che per contrastare le ecomafie c’è ancora molto da fare, dato che la criminalità organizzata è ancora una realtà molto sviluppata e presente su tutto il territtorio nazionale. Gioia Tagliente ha intervistato Antonio Pergolizzi, responsabile ambiente e legalità di Legambiente:  

R. – C’è una presenza diffusa, capillare, molto agguerrita dalla criminalità ambientale, anche di tipo mafioso, ma dall’altra parte un’azione repressiva  sempre più efficace anche grazie all’introduzione della nuova legge sugli eocoreati dell’anno scorso, che ha portato sicuramente ad un amento significativo del numero di arresti.

D. - In calo le infrazioni nel ciclo del cemento e dei rifiuti, crescono gli illeciti nella filiera agroalimentare. Come mai?

R. - L’agroalimentare rimane uno dei business della criminalità ambientale soprattutto di tipo mafioso. Ma cresce significativamente il numero degli incendi con le superfici andate in fumo, anche l’illegalità nel campo degli animali continua a premere in maniera significativa. Quindi sui settori classici, quelli del cemento e dei rifiuti una lieve flessione, ma sul resto i numeri sono sempre in aumento. Questo significa che è una criminalità che si spalma, che si rimodula sul territorio e che quindi richiede energie, esperienze e capacità investigative sempre più all’avanguardia.

D. - La corruzione rimane un fenomeno dilagante del volto moderno dell’ecomafia. Come intervenire in questo senso?

R. - È sicuramente il collante che mette insieme mondi diversi ed è fondamentale per i reati ambientali perché consente di poter aggirare le norme a tutela dell’ambiente. Quindi occorrono sicuramente più controlli, più mirati, più coordinati; occorre sicuramente mettere in campo le conoscenze investigative e, secondo noi, serve anche cambiare le logiche del mercato nel senso che punti meno ai grossi impianti, a grosse iniziative economiche e cerchi invece di incentivare l’economia circolare che si sposa bene con la realtà del territorio e che si dimostra, nei fatti, meno permeabile alla corruzione. Le grandi opere, i grandi appalti, dove ci sono tanti soldi mettono in moto un sistema di corruzione diffuso. Si fa anche fatica ad aggiornare i rapporti sull’ecomafia a questo punto di vista.

D. - Quali sono le regioni più colpite? C’è differenza tra nord e sud?

R. - Le quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa quindi Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, sono quelle dove si concentra il maggior numero di inchieste e di illegalità accertate; questo a indicare che le mafie sono sempre attive nonostante i pesanti colpi che la magistratura ha inferto: quasi la metà dei reati ambientali si concentra in questi territori. Lì il controllo molto spesso ad opera della mafie è molto diffuso; quest’anno abbiamo raccontato le mafie sui terreni agricoli, nelle aree boschive, i ladri di biodiversità. Da questo punto di vista le mafie svolgono un ruolo determinante nel rubare risorse e beni comuni. Però la Lombardia, per esempio, è la regione con la maggiore incidenza di inchieste per corruzione in campo ambientale, così come il Lazio, la Toscana, la Liguria; non dimentichiamo che quest’ultima, per esempio, recentemente ha visto lo scioglimento di un comune; anche in Emilia Romagna a nord c’è una criminalità ambientale più sofisticata che prova a operare nel mercato nero del riciclo dei rifiuti in maniera illegale. Il riciclo del cemento è molto spesso condizionato dalla presenza della criminalità organizzata e dalla corruzione. Quindi a nord la criminalità è un po’ più sofisticata, ma questo non significa che sia meno pericolosa per le matrici ambientali e per le comunità.

D. - Quali sono le proposte di Legambiente presentate oggi in Senato?

R. - Una migliore applicazione, più coordinata, più uniforme in tutte le procure sulla nuova legge sugli ecoreati. Serve sicuramente una stretta molto più forte su tutto ciò che riguarda la corruzione in campo ambientale. Serve far diventare legge il disegno di legge presente alle Camere sulle commissioni sulla tutela dell’agroalimentare. Queste sono alcune delle proposte che si sposano poi con quel cambio di paradigma economico di cui sempre parliamo.

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Europei di calcio. Don Albertini: accettare sconfitta per vincere

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Sono Portogallo, Galles, Germania e Francia le magnifiche quattro Nazionali, che si contenderanno il titolo agli Europei di Calcio 2016 in corso in Francia. I quarti di finale, con vittorie e sconfitte, entusiasmi e delusioni, sono stati il momento per riscoprire gli aspetti più positivi dello sport, anche di fronte a una partita persa. Giancarlo La Vella ne ha parlato con don Alessio Albertini, consulente ecclesiastico del Csi, il Centro Sportivo Italiano:

R. – La sconfitta fa parte dello sport. Bisogna dire che – anzi – la bellezza e l’emozione di una gara sportiva stanno nel fatto di cercare sicuramente una vittoria, ma della ricerca della vittoria fa parte anche la sconfitta. E bisogna forse riconoscere che anche per i grandi campioni sono state maggiori le sconfitte rispetto alle vittorie; bisogna saperle accettare per evitare la cultura dell’alibi, che ci fa dire che è sempre colpa di qualcun altro. E nello stesso tempo, dopo una sconfitta, bisogna avere la forza, la motivazione e il coraggio di reagire per rimettersi in piedi e ricominciare.

D. – Lei ha in famiglia quello che è stato una delle colonne del Milan e della Nazionale: suo fratello Demetrio. Che cosa le raccontava dopo vittorie importanti, ma soprattutto dopo qualche sconfitta, casomai immeritata?

R. – Lui ha vinto tanto, ma ha anche perso tanto. Quando elenca tutte le finali che ha giocato, comincia sempre da quelle che ha perso: due Champions League; una finale del Mondiale; una finale europea; e tutti restano incantati a sentirlo. E poi aggiunge: “Queste sono quelle che ho perso”. Vuol dire che una sconfitta ti resta comunque dentro, ti brucia, ti segna, ma anche in positivo, per poi cercare di mettercela tutta per vincere. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Colombia: compassione, inclusione e perdono, pilastri della pace

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Compassione, inclusione e perdono sono i pilastri della pace: ad affermarlo, mons. Luis Augusto Castro Quiroga, presidente della Conferenza episcopale colombiana (Cec), nella prolusione con cui ha inaugurato la 101.ma Plenaria dei vescovi. I lavori dell’Assemblea si sono aperti ieri a Bogotà e proseguiranno fino a venerdì 8.

Momento storico per il Paese
L’Assemblea episcopale si svolge in un momento storico per la Colombia: il 23 giugno, infatti, dopo quattro anni di negoziati, il governo e le Forze Armate Rivoluzionarie (Farc), hanno firmato, a L’Avana, un accordo di pace che pone fine a più di 50 anni di conflitto. Punti centrali dell’intesa raggiunta sono il cessate-il-fuoco e la consegna delle armi da parte delle Farc. La tabella di marcia dell’attuazione dell’accordo sarà verificata dalle Nazioni Unite, attraverso il Consiglio di Sicurezza.

Promuovere la teologia della pace, no alla vendetta
Nella sua prolusione, mons. Castro Quiroga si è soffermato sulla “teologia della pace” che si basa sull’amore nei confronti del proprio nemico, sul perdono che precede il pentimento e sulla risposta non violenta all’odio. “Gesù ci insegna il significato di amare i propri nemici – ha detto il presidente della Cec – vale a dire una politica di compassione che va collegata ad una politica di inclusione”. Attraverso il perdono, ha sottolineato ancora mons. Castro Quiroga, i colombiani sono invitati a porre fine allo “spirito di vendetta”, ricordando che la pace non va intesa solo in termini di legge.

Vivere secondo democrazia, libertà e giustizia
Essa, inoltre, “non va limitata solo alla sfera interiore, al cuore, allo spirito”, e “non può essere separata dallo scenario politico perché si ottiene grazie ad una comunità che vive nella verità e nella carità”, secondo i principi di “democrazia, libertà e giustizia”. In questo senso – ha aggiunto il presidente della Cec – “la pace richiede dedizione per tutta la vita”. La politica, allora, andrà praticata “in fedeltà al Vangelo”, ovvero mettendo in atto iniziative di pace per il bene comune.

Le due dimensioni del perdono
Il presule ha poi ribadito che il perdono si basa su una duplice decisione: in primo luogo, si tratta di non permettere all’altro di rimanere come un nemico, e in secondo luogo significa aprire uno spazio, nella propria vita, per ripristinare ciò che abbiamo separato o escluso. “I colombiani sono chiamati a fare di più – ha aggiunto mons. Castro Quiroga – per costruire la pace, ponendo fine ai conflitti, promuovendo il perdono e la riconciliazione, denunciando le ingiustizie, rilanciando la giustizia e praticando la non violenza”.

La Chiesa vigila sulla fase post-conflitto
Di qui, il richiamo a tutti i vescovi del Paese affinché incoraggino i colombiani a costruire una nazione nuova sulla base di “fondamenti etici, spirituali e culturali”. Il ruolo della Chiesa cattolica, allora, sarà quello di “vigilare” sulla fase post-conflitto per  divenire “un grande osservatorio sulla pace”. Quanto all’accordo tra il governo e le Farc, mons. Castro Quiroga ha ribadito che ciò è servito a “superare un grande ostacolo”, ma la costruzione della pace richiede ancora “un grande sforzo”, che va messo in atto lasciandosi “guidare dagli insegnamenti di Gesù”.

Aiutare i bambini reclutati dalle Farc
Infine, guardando in particolare ai bambini che sono stati reclutati dalle Farc, il presule ha ricordato che essi vengono aiutati dalla Chiesa in modo personalizzato, attraverso programmi specifici di accoglienza e vicinanza. Di qui, l’appello conclusivo al Capo della Stato, Juan Manuel Santos, affinché promuova “una pedagogia della pace” per aiutare la popolazione a comprenderne il valore ed il significato. (A cura di Isabella Piro)

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Malawi: 6 milioni a rischio fame. Appello dei vescovi

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“I nostri ospedali registrano un forte incremento di casi di malnutrizione e si teme che la situazione possa peggiorare mentre ci avviciniamo a quello che chiamiamo il periodo di magra” avvertono i vescovi del Malawi, in una dichiarazione con la quale lanciano un appello agli organi locali e internazionali perché intervengano in aiuto degli oltre sei milioni di abitanti del Paese colpiti dalla grava carenza di cibo.

Crisi alimentare causata dalla forte siccità
La Conferenza episcopale, nel testo ripreso dall'agenzia Fides, cita la cifra di 305,5 milioni di dollari necessaria per far fronte all’emergenza alimentare. Ad aprile il Presidente Peter Mutharika aveva dichiarato lo stato di disastro nazionale per la mancanza di cibo attribuito alle condizioni climatiche, in particolare alla forte siccità che ha compromesso i raccolti.

I vescovi denunciano le carenze della politica 
In particolare i presuli denunciato la mancata attuazione del “piano nazionale di resilienza, volto a spezzare il ciclo di insicurezza alimentare”. “Auspichiamo di andare oltre all’annuncio dei bei piani con i quali i nostri politici si riempiono la bocca ma vengono poi tradotti in niente” affermano i vescovi, che propongono di “prendere in considerazione la riforma del programma di sussidi agli agricoltori per offrire supporto ai contadini”. I vescovi esprimono anche la necessità che il governo ripristini le infrastrutture agricole in rovina, dando priorità alle strutture per l'irrigazione. (L.M.)

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Siria. Gregorio III: solo un cammino di spiritualità porterà pace

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“Solo un cammino di spiritualità porterà sicurezza, riconciliazione, amore e pace nei nostri Paesi arabi, in particolare in Siria, Iraq, Palestina e Libano”. Lo scrive Gregorios III, Patriarca melchita di Antiochia e di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme, nel messaggio inviato ai musulmani in occasione della fine del Ramadan.

Preghiera per la pace nei Paesi arabi
“Quest’anno l’Eid el-Fitr (la fine del Ramadan) cade mentre l’attualità ci porta, giorno dopo giorno, notizie tragiche e gravi – scrive il patriarca -. È in questo contesto di grande tristezza che rivolgiamo i nostri auguri ai musulmani, nostri fratelli per cittadinanza, storia e destino di questa regione in cui Dio ci ha posti”; auguri che “accompagniamo con una profonda preghiera per la sicurezza, la riconciliazione, l’amore e la pace nei nostri Paesi arabi, in particolare Siria, Iraq, Palestina e Libano”.

Spiritualità porti dall’odio alla misericordia
Secondo Gregorios III, oggi, più che mai, “abbiamo tutti bisogno, i cristiani come i musulmani, di una spiritualità che ci porti dall’esclusione all’inclusione, dal rifiuto all’accettazione dell’altro, dall’esclusione alla comprensione, dalla concorrenza alla complementarità, dall’odio alla misericordia, dalla misericordia al cuore di Dio, perché Dio è amore”.

Puntare all’unità fondata sulla civiltà dell’amore
​“Solo questo percorso di spiritualità – assicura il patriarca – ci porterà a ricostruire i nostri Paesi minacciati di distruzione fisica e spirituale, in modo che insieme” possiamo ricostruirli: “Ricostruire le anime e la pietra”. A questo “abbiamo fatto appello nella nostra ultima lettera ‘Messaggio di un patriarca cristiano arabo ai suoi fratelli musulmani’, sperando che sia pervenuta a tutti gli uomini di buona volontà”. Di qui il richiamo conclusivo: “Il compito che ci è affidato nel nostro Oriente è sfidare l’Occidente e la comunità internazionale con una unità orientale, un’unità cristiana e musulmana, fondata sulla civiltà dell’amore”. (I.P.)

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Vescovi Cile: no a legge che depenalizza l'aborto

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La Conferenza episcopale del Cile fa sentire nuovamente la sua voce contro il progetto di legge che mira a depenalizzare l’aborto nel Paese in tre casi: stupro, rischio per la salute della madre e malformazione del feto. Approvato già dalla Camera dei Deputati lo scorso marzo, ora il progetto di legge è al vaglio del Senato.

Difesa della vita umana non è solo una questione religiosa
Ed è proprio al Senato che si è rivolto, in questi giorni, mons. Juan Ignacio González Errázuriz, vescovo di San Bernardo: su invito dell’organismo istituzionale, infatti, il presule ha tenuto un discorso davanti alla Commissione per la Salute del Senato, presentando il punto di vista della Chiesa cattolica cilena. Sottolineando che la religione è un elemento essenziale della nazione, il vescovo ha ribadito, tuttavia, che la Chiesa non vuole dare “solo una visione religiosa su una questione della massima importanza e serietà come è quella della vita umana del nascituro”.

Dal diritto alla vita discendono gli altri diritti umani fondamentali
Nell’ottica della “promozione di un umanesimo integrale”, infatti, i vescovi “hanno il diritto di esprimere le loro opinioni ed i loro insegnamenti” sull’argomento perché “la difesa della vita nascente è strettamente legata alla tutela di ogni diritto umano” ed esprime il principio che “ogni essere umano è sempre sacro ed inviolabile, in ogni situazione ed in ogni fase di sviluppo. L’uomo è un fine, e mai un mezzo per risolvere i problemi”. Ma se questo principio decade, ha ribadito mons. González Errázuriz, allora vengono a mancare anche “le basi ed i fondamenti permanenti per difendere i diritti umani che finiscono per essere soggetti alle circostanze contingenti ed alle convenienze del momento”.

Chiesa in difesa dei più deboli e bisognosi
“La Chiesa cattolica è qui presente in qualità di esperta di umanità – ha spiegato mons. González Errázuriz, citando Paolo VI – Essa non cerca potere o autorità, ma mira solo a porsi al servizio di tutti, senza distinzioni, ed in particolare dei più poveri e bisognosi”, “i più deboli, gli emarginati, i perseguitati”. In questo senso, ha affermato il presule, “la Chiesa rappresenta il pensiero di milioni di cileni che, in questo momento, credono si stia colpendo il cuore stesso della democrazia e della libertà, mettendo a rischio il diritto alla vita dei più innocenti tra gli esseri umani”, ovvero i nascituri.

Aborto non può essere parte del “diritto alla salute”
Dal punto di vista legislativo, inoltre, mons. González Errázuriz ha evidenziato che “il progetto di legge ritiene che l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) sia un diritto delle donne da includere nel sistema normativo nazionale”. Ma ciò significa che la proposta normativa non mira soltanto “alla depenalizzazione dell’aborto, bensì all’inserimento di tale pratica nel diritto alla salute, come se ne fosse un’integrazione”. E ciò potrebbe comportare “la promozione e la facilitazione dell’Ivg in Cile”.

Casi di malformazione: nella diagnosi incerta, c’è il rischio di errore
Quindi, il vescovo di San Bernardo si è soffermato sui tre casi per i quali il progetto di legge chiede la depenalizzazione dell’aborto. Riguardo al pericolo di morte della madre, il presule ha obiettato che “non è l’aborto la terapia che salva la vita in pericolo di una madre”, anzi: essa va sempre “curata e tutelata”. In relazione ai casi di malformazioni del feto, mons. González Errázuriz ha evidenziato che “il rispetto sconfinato per ogni vita umana indifesa ed innocente, come pure la difficoltà di diagnosticare con certezza le condizioni di salute del nascituro, impediscono di motivare la necessità di un aborto”.

Non si può fare il male per raggiungere il bene
Oltretutto, ha ribadito il presule, la diagnosi per i nascituri si rivela incerta. E allora, in situazioni di incertezza, “come può il legislatore” consentire l’aborto “quando è in gioco un bene dal valore etico così elevato come la vita umana?”. “Non è lecito, infatti – ha sottolineano il vescovo – agire in casi in cui possono essere eseguiti gravi errori” perché “secondo un principio etico universalmente accettato, non si può fare il male per raggiungere il bene”. Cioè: “Non si può privare un essere umano della vita, anche se malata, per alleggerire una madre da un pesante fardello”.  

Ogni vita è degna di essere vissuta
Infatti, ha spiegato il presule, “con il pretesto di essere compassionevoli nei confronti del nascituro, i genitori e la società nascondono il fatto che non sono disposti ad accettare” un bimbo malato. “Non vogliono proteggere il nascituro, bensì se stessi, le loro comodità, aspettative, interessi – ha ribadito il vescovo - E questa è una discriminazione”. Al contrario, i bambini concepiti “con la possibilità o la certezza di una grave malattia, meritano di vivere. E non perché lo decidono i loro genitori, la scienza o la società, ma perché la vita, di per sé, è sempre degna di essere vissuta”.

Aborto in caso di stupro: lo Stato si arrende alla violenza sulle donne 
Riguardo, poi, ai casi di stupro, mons. González Errázuriz ha evidenziato che “se non sembra umano lasciare da sola una donna che ha subito tale trauma”, non è altrettanto umano “privare della vita un essere indifeso ed innocente quale è suo figlio”. L’auspicio della Chiesa, dunque, è che “lo Stato e la società stiano accanto alle donne che hanno subito violenza, offrendo loro aiuti concreti o la possibilità che il loro figlio, che non ha alcuna colpa, possa trovare accoglienza presso un’altra famiglia”. Inoltre, ha spiegato il presule, “depenalizzare l’aborto in casi di stupro è un atto di resa dello Stato di fronte alla violenza sessuale sulle donne”.

Le vittime di un aborto sono sempre innocenti, vanno difese
E ancora, il vescovo di San Bernardo ha esposto un’importante considerazione: la vittima di un aborto è sempre un innocente e ciò significa che l’Ivg rappresenta “non solo il dominio dell’uomo sull’uomo, ma la tirannia del colpevole sull’innocente” ed è “assolutamente ingiusto che un essere umano totalmente innocente venga punito con la morte”, soprattutto perché dietro ad un aborto ci sono i genitori, i medici, la società, le istituzioni, ovvero “tutti coloro dai quali una vittima innocente si aspetta protezioni e tutele”.

Allarme per ulteriori derive della legge
​Infine, mons. González Errázuriz ha lanciato un allarme: il progetto di legge attualmente in discussione rischia di essere solo una tappa di un percorso verso la liberalizzazione totale dell’aborto in Cile. E questa – ha concluso – “è una realtà che non possiamo nascondere”. (I.P.)

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Vescovi Filippine: raddoppiare sforzi contro tratta di esseri umani

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Raddoppiare gli sforzi per porre fine al traffico di essere umani: è l’appello lanciato da mons. Ruperto Santos, presidente della Commissione episcopale per i Migranti e gli itineranti delle Filippine. La richiesta del presule arriva dopo che il Dipartimento statunitense sulla Tratta ha pubblicato il Rapporto 2016 su questa piaga sociale. Nella graduatoria, le Filippine sono risalite di qualche posizione, passando dal “livello 2” a “livello 1” per quanto riguardo il rispetto degli standard minimi per le vittime della tratta.

La tratta è sfruttamento ai massimi livelli perché distrugge la vita umana
“Si tratta di uno sviluppo positivo – commenta mons. Santos – ma c’è ancora molto da fare e gli sforzi per sradicare il crimine della tratta vanno continuati, anzi raddoppiati”. “Il traffico di esseri umani è un flagello per il Paese, uno sfruttamento ai massimi livelli – aggiunge - perché distrugge la vita umana, in particolare quella di donne e bambini”. Di qui, il richiamo a tutti i settori della società affinché si impegnino a cooperare per porre fine a tale dramma.

Impegno comune delle Chiese cristiane
Collaborazione che la Chiesa cattolica, dal suo canto, sta già portando avanti: mons. Santos, infatti, evidenzia che la Conferenza episcopale ha siglato un “Patto di cooperazione” con il Consiglio nazionale delle Chiese filippine e con la Chiesa evangelica del Paese per lavorare, insieme, contro la tratta. Il patto è stato siglato il 10 giugno scorso, durante un incontro del Movimento interconfessionale contro la tratta di esseri umani, una realtà nata nel 2013 dalla cooperazione delle tre fedi cristiane.

Accogliere, curare ed aiutare le vittime
​In particolare, le Chiese firmatarie si sono impegnate ad divenire “luoghi di accoglienza, cura ed ospitalità” per le vittime ed i sopravvissuti alla tratta, fornendo loro conforto spirituale, aiuto legale, fondi di emergenza e consulenze mediche e psicologiche. Il patto prevede anche l’impegno a garantire che tutte le forme di traffico di esseri umani siano affrontate dal governo nazionale. (I.P.)

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Vescovi Usa: settimana su sessualità, vita e famiglia

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“Amore, misericordia, vita. Aprire il cuore del matrimonio”: questo il tema della Settimana di sensibilizzazione su sessualità, vita e famiglia, indetta dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti. L’evento, a cadenza annuale, è in programma dal 24 al 30 luglio ed ha come sottotitolo “Celebrare ed onorare la visione di Dio sulla sessualità umana”.

Ricordare l’Humanae Vitae e i Santi Gioacchino ed Anna
“Le date scelte – si legge sul sito dei vescovi Usa – ricordano due anniversari: la pubblicazione dell’Enciclica “Humae Vitae”, siglata da Paolo VI il 25 luglio 1968 ed incentrata sugli insegnamenti della Chiesa relativi alla sessualità umana, l’amore coniugale e la genitorialità responsabile”. Il secondo anniversario, invece, riguarda “la festa dei Santi Gioacchino ed Anna, genitori della Vergine Maria, che ricorre il 26 luglio”.

Approfondire il tema dal punto di vista spirituale e scientifico
L’iniziativa si potrà articolare in modi diversi nelle singole diocesi. Tuttavia, la Conferenza episcopale statunitense fornisce alcuni suggerimenti: ad esempio, celebrare una Messa in cui si preghi per le famiglie, le coppie di fidanzati, i coniugi che non possono avere figli e gli operatori sanitari; recitare i Misteri Gaudiosi del Rosario, che ricordano l’Annunciazione di Maria e la nascita di Gesù; organizzare, a livello diocesano e parrocchiale, ritiri spirituali e conferenze di esperti per approfondire, dal punto di vista spirituale e scientifico, il tema della pianificazione naturale della famiglia.

“Amoris Laetitia”: pianificazione familiare si basa su rispetto tra coniugi
A fare da sfondo alle riflessioni sarà, naturalmente, l’Esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco “Amoris Laetitia sull’amore nella famiglia”. Nel paragrafo 222, infatti, si legge: “La giusta strada per la pianificazione familiare è quella di un dialogo consensuale tra gli sposi, del rispetto dei tempi e della considerazione della dignità del partner. (…) Il ricorso ai metodi fondati sui “ritmi naturali di fecondità” andrà incoraggiato. Si metterà in luce che questi metodi rispettano il corpo degli sposi, incoraggiano la tenerezza fra di loro e favoriscono l’educazione di una libertà autentica. Va evidenziato sempre che i figli sono un meraviglioso dono di Dio, una gioia per i genitori e per la Chiesa. Attraverso di essi il Signore rinnova il mondo”. (I.P.)

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Gender. Gandolfini: Miur faccia chiarezza sui percorsi formativi

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“Mentre siamo in attesa di conoscere il lavoro della Commissione del Ministero circa la proposta di linee guida sull’articolo 1 comma 16 della legge cosiddetta ‘buona scuola’, relative all’attivazione di percorsi educativi di lotta alla ‘discriminazione per orientamento di genere’, confermiamo la ferma volontà delle nostre famiglie a collaborare solo se ci sarà chiarezza assoluta dei contenuti”, così Massimo Gandolfini, presidente del comitato “Difendiamo i nostri figli” torna ad esprimere in un comunicato stampa ripreso dall'agenzia Sir, le preoccupazioni delle famiglie che hanno partecipato ai Family Day. 

No a percorsi educativi che educhino alla libera scelta dell’identità di genere
“Il contrasto ad ogni forma di violenza, culturale, verbale o fisica, rivolta verso chiunque – prosegue Gandolfini – è un caposaldo indiscutibile di una società civile, chiaramente espresso dalla nostra Costituzione. L’educazione scolastica deve muoversi in questa direzione”. Per il presidente del Comitato promotore del Family Day “non è ammissibile che, utilizzando questo nobile scopo, si propongano percorsi educativi che educhino alla libera scelta dell’identità di genere, come accaduto nel 2013 con la scandalosa strategia Unar – Associazioni Lgbt”. 

La discriminazione colpisce anche disabili, immigrati, bimbi obesi
“L’Unar torni a fare il suo mestiere –  scrive Gandolfini – e ci fornisca dati certi sulla discriminazione di cui sono vittime i disabili, gli immigrati, i bimbi obesi, dichiarando altresì, come rilevato da Oscad, che in Italia la piaga del bullismo omofobico è fortunatamente quasi irrilevante”. “Nel rinnovare la nostra assoluta fiducia nel lavoro che vedrà Fonags come importante interlocutore – conclude Gandolfini – , vogliamo ricordare il momento delicato che il mondo educativo sta vivendo, considerato che sono già state depositate in Parlamento ben otto proposte di legge per l’introduzione dell’educazione sentimentale nelle scuole italiane. L’assoluta centralità del diritto di scelta dei genitori e l’assunto culturale che nel nostro Paese ‘genere’ significa ‘sesso’ – quindi, due generi, due sessi – devono tradursi nell’adozione di strumenti procedurali concreti, che abbiamo già proposto al Miur”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 187

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.