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Sommario del 24/06/2016
- Papa in Armenia: fraternità cristiana, speranza per un mondo diviso
- Papa: Brexit volontà del popolo, felice per accordo di pace in Colombia
- Papa in Armenia: le speranze a livello ecumeniche e tra i giovani
- Papa a Mattarella: rimanete in prima linea della solidarietà
- Nomine di Papa Francesco
- Papa nomina padre Pizzaballa amministratore apostolico di Gerusalemme
- Presentato il Giubileo delle Università e dei Centri di Ricerca
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- Il Regno Unito lascia l’Unione Europea, Cameron si dimette
- Brexit, il Regno Unito fuori dalla Ue
- Prodi sulla Brexit: segno del malessere per politica europea
- Mons. Ambrosio, Comece: Brexit è fatto grave, evitare disgregazione
- Elezioni Spagna, il 26 giugno. Nessuna ripercussione da Brexit
- La Slovenia celebra 25.mo d'indipendenza. Balcani vogliono più Ue
- Viterbo: la chiesa arriva in discoteca con il #grestparty
- Roma, Giubileo. In Vicariato il concerto "Music of Mercy"
- Vescovi Colombia: accordo di pace un evento storico
- Venezuela. Urosa: sì a referendum su revoca mandato presidenziale
- Concilio panortodosso: clima di unità e ascolto reciproco
- Pakistan: vescovi condannano l'assassinio del cantante sufi
- Vescovi India: più dignità per i lavoratori domestici
- Vescovi Burundi: appello per la pacificazione nel Paese
- Vescovi Bolivia: difendere la famiglia non significa discriminare
- Gender: presidio di famiglie contro indifferentismo sessuale nelle scuole
Papa in Armenia: fraternità cristiana, speranza per un mondo diviso
Papa Francesco è in Armenia per il suo 14.mo viaggio internazionale. L’aereo papale è atterrato poco prima delle 13 italiane, le 15 locali, all’aeroporto di Yerevan, accolto dal presidente Sargsyan e dal Catholicos armeno apostolico Karekin II. Poco dopo, il Papa ha raggiunto in automobile la Cattedrale armena apostolica di Etchmiadzin per una sosta di preghiera ecumenica. Il servizio del nostro inviato Giancarlo La Vella:
Un incontro tra due vecchi amici: Papa Francesco, successore di Pietro, e il primo Paese cristiano, che nel 301 accolse il Cristianesimo come religione di Stato. Per il Santo Padre è stato subito un bagno di folla festante al suo arrivo all’aeroporto internazionale di Yerevan e lungo il percorso sino al centro della capitale, salutato con affetto dai tanti armeni, molti i giovani, presenti. All’insegna dell’ecumenismo il primo impegno: la preghiera comune nella Cattedrale armena apostolica di Etchmiadzin. Dopo il saluto al Papa del Catholicos di Tutti gli Armeni, Karekin II, le parole di Papa Francesco. E’ il concetto di “fratellanza” che viene subito messo in evidenza nei due discorsi. Sembra quasi che non siano trascorsi 15 anni dall’abbraccio di San Giovanni Paolo II e il predecessore armeno, Karekin I. Poi il Papa parla dell’Armenia, messaggera di Cristo tra le Nazioni:
“Mi inchino di fronte alla misericordia del Signore, che ha voluto che l’Armenia diventasse la prima Nazione, fin dall’anno 301, ad accogliere il Cristianesimo quale sua religione, in un tempo nel quale nell’impero romano ancora infuriavano le persecuzioni”.
Martirio in nome della fede in Cristo hanno sempre fatto parte dell’identità e della storia di questo Paese, sottolinea Francesco nel suo discorso. Una realtà – dice il Papa – che la Chiesa Cattolica e Chiesa Apostolica armena hanno condiviso in un cammino compiuto attraverso un dialogo sincero e fraterno, al fine di giungere alla piena condivisione della Mensa Eucaristica:
“Lo Spirito Santo ci aiuti a realizzare quell’unità per la quale pregò nostro Signore, affinché i suoi discepoli siano una cosa sola e il mondo creda”.
Un dialogo, dunque, ricorda il Papa, iniziato da tempo: da una parte i Catholicos, Vasken I e Karekin I, dall’altra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che hanno guardato alle sofferenze del popolo armeno:
“Tra le tappe particolarmente significative di questo impegno ecumenico ricordo la commemorazione dei Testimoni della fede del XX secolo, nel contesto del Grande Giubileo dell’anno 2000”.
E’ un camminare insieme importante, quella tra le due Chiese, di fronte – sottolinea Francesco – alla nostra epoca solcata da gravi problemi politici e sociali:
“Il mondo è purtroppo segnato da divisioni e conflitti, come pure da gravi forme di povertà materiale e spirituale, compreso lo sfruttamento delle persone, persino di bambini e anziani, e attende dai cristiani una testimonianza di reciproca stima e fraterna collaborazione, che faccia risplendere davanti ad ogni coscienza la potenza e la verità della Risurrezione di Cristo”.
Ed è proprio il dialogo ecumenico e l’impegno verso la piena unità che, valicando i confini puramente ecclesiali, rappresenta un forte richiamo per tutti a comporre le divergenze con il dialogo e con la valorizzazione di quanto unisce:
“Si offre in tal modo al mondo – che ne ha urgente bisogno – una convincente testimonianza che Cristo è vivo e operante, capace di aprire sempre nuove vie di riconciliazione tra le nazioni, le civiltà e le religioni. Si attesta e si rende credibile che Dio è amore e misericordia”.
Papa: Brexit volontà del popolo, felice per accordo di pace in Colombia
Nel viaggio verso l’Armenia il Papa ha salutato in aereo i giornalisti del seguito commentando il referendum sulla Brexit e l’accordo di pace in Colombia. Ce ne parla Sergio Centofanti:
Papa Francesco, nei suoi viaggi internazionali, durante il volo di andata di solito porge un semplice saluto ai giornalisti del seguito. Stavolta però ha voluto commentare due importanti eventi. La Brexit e lo storico accordo di pace in Colombia raggiunto 2 giorni fa a Cuba tra governo e guerriglieri delle Farc, le Forze armate rivoluzionarie colombiane. Interpellato dal direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, il Papa ha commentato innanzitutto l’accordo di pace in Colombia:
“Sono felice di questa notizia che mi è arrivata ieri: più di 50 anni di guerra, di guerriglia, tanto sangue versato … E’ stata una bella notizia e mi auguro che i Paesi che hanno lavorato per fare la pace e che danno la garanzia che questo vada avanti, blindino questo a tal punto che mai si possa tornare, né da dentro né da fuori, a uno stato di guerra. E tanti auguri per la Colombia che adesso fa questo passo”.
Sulla vittoria del sì al referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea ha detto di aver saputo della notizia solo sull’aereo:
“E’ stata la volontà espressa del popolo e questo ci richiede a tutti noi una grande responsabilità per garantire il bene del popolo del Regno Unito e anche il bene e la convivenza di tutto il Continente europeo”.
All’inizio del saluto il Papa si era scusato con una battuta di dover dare la schiena ad alcuni giornalisti:
“Mi scuso di parlare di fronte e con la schiena, ma dicono che gli angeli non ce l’hanno, eh?” (Il Papa e i giornalisti ridono).
Papa in Armenia: le speranze a livello ecumeniche e tra i giovani
Forte la dimensione ecumenica di questo viaggio papale in Armenia. Vari gli incontri con la realtà armena apostolica e con il Catholicos, Karekin II. Sul volo verso Yerevan il nostro inviato in Armenia Giancarlo La Vella ha incontrato don Marco Gnavi, parroco di Santa Maria in Trastevere e responsabile della diocesi romana per i rapporti ecumenici:
R. – Credo che ci sia un grande sentire comune qui, in Armenia, da parte degli armeni apostolici e naturalmente anche degli armeno-cattolici, perché la visita del Papa conferma un rapporto di fraternità con questo popolo che ha sofferto, per il quale il Papa ha avuto parole molto chiare in passato, e Karekin II sente l’amicizia con Papa Francesco come una conferma di questo orizzonte ecumenico che ha bisogno di trovare, però, momenti di incontro e di espressione espliciti anche davanti ai popoli che hanno bisogno di riflettere nell’abbraccio dei capi delle Chiese nel cammino che percorrono insieme verso l’unità.
D. – Una visita i tre giorni, densa di impegni e di aspetti …
R. – Direi che senz’altro l’aspetto ecclesiale ecumenico è preponderante, perché questa Chiesa che vive in diaspora nel mondo e ha diversi centri propulsivi sente la visita di Papa Francesco come un’occasione unica, non soltanto per rafforzare i pilastri dell’incontro, del dialogo e del cammino, ma anche per guardare insieme alle sfide del mondo che sono plurali.
D. – L’Armenia, di che cosa ha bisogno, oggi?
R. – Ha bisogno di speranza, di futuro perché è un Paese che soffre, che vive anche la fatica di questo contesto storico particolare, che è un contesto di crisi per tutti. Quindi, speranza e futuro e apertura al mondo, rapporti fraterni di cui Papa Francesco penso sia l’esempio più luminoso.
Molti i giovani armeni desiderosi di incontrare Papa Francesco. Il nostro inviato a Yerevan, Giancarlo La Vella, ha intervistato una di loro Meri Ghazarian:
R. – Siamo molto emozionati, siamo felici e aspettiamo con tanta gioia. Vogliamo vederla veramente, partecipare alla Messa che farà per noi, per gli armeni.
D. – Come vedono il futuro, i giovani armeni?
R. – I giovani armeni in generale sono molto preoccupati per il futuro. Studiano, lavorano tantissimo per il futuro …
D. – E’ più facile affermarsi qui in Armenia o fuori?
R. – Intanto, ogni armeno – sono sicurissima – ama tantissimo l’Armenia; però, tanti amano andare fuori per avere una nuova esperienza e alla fine sempre tornano in Patria e lavorano qui.
D. – Che cosa vi aspettate dall’incontro con il Papa? Che cosa vi aspettate che Francesco dica, in particolare ai giovani?
R. – Per noi basta la sua benedizione; penso che tanti giovani sarebbero felici di avere una foto con lui …
Papa a Mattarella: rimanete in prima linea della solidarietà
"Un incoraggiamento a mantenersi in prima linea nella solidarieta', guardando al futuro con fiducia e speranza". Lo scrive Papa Francesco nel telegramma di saluto indirizzato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dall'aereo pontificio in volo verso la capitale dell'Armenia, Yerevan. Nel testo, Francesco ricorda anche le ragioni del suo 14.mo viaggio apostolico, che ha per meta il Paese che per primo, nel 330, si dichiaro' cristiano: "Attingere alla sapienza antica di quella popolazione,confermarla nella fede, sostenere ogni sforzo sulla via della pace e della riconciliazione".
L'omaggio ieri sera alla Madonna a Santa Maria Maggiore
Come è tradizione, ieri sera Papa Francesco si è recato in privato alla Basilica di Santa Maria Maggiore, dove si e' trattenuto in preghiera davanti alla immagine della Vergine, "Salus Populi Romani", domandandole di benedire il suo odierno viaggio in Armenia. Come altre volte, i fiori deposti sull'altare in omaggio alla Madonna avevano i colori della bandiera dell'Armenia.
In Italia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti, presentata da S.E. Mons. Michele De Rosa, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato Vescovo di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti il rev.do Domenico Battaglia, del clero dell’arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, Canonico e Presidente del Centro Calabrese di Solidarietà.
In Myanmar, Francesco ha nominato Arcivescovo dell’arcidiocesi di Taunggyi S.E. Mons. Basilio Athai, trasferendolo dall’ufficio di Ausiliare della medesima circoscrizione e liberandolo, in pari tempo, dalla sede titolare di Tasaccora.
In Spagna, il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Chalan Kanoa, nelle Isole Marianne Settentrionali, il Rev.do Sacerdote Ryan Jimenez, finora Amministratore Apostolico della medesima sede.
Il Santo Padre ha nominato vescovo di Gibraltar il Rev.do Mons. Carmelo Zammit, del clero dell’arcidiocesi di Malta ed ivi finora Vicario Giudiziale.
In Australia, il Papa ha nominato Vescovi Ausiliari di Sydney: Mons. Anthony Randazzo, del clero dell’arcidiocesi di Brisbane, finora Assistente dell’Arcivescovo di Brisbane, assegnandogli la sede titolare vescovile di Quiza, e il Rev.do Richard James Umbers, del clero della Prelatura dell’Opus Dei, finora Cappellano del “Warrane College” dell’Università di “New South Wales” a Kensington, assegnandogli la sede titolare vescovile di Tala.
Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Kyrgyzstan S.E. Mons. Francis Assisi Chullikatt, Arcivescovo titolare di Ostra, Nunzio Apostolico in Kazakhstan e in Tadjikistan.
Il Papa ha nominato Membri Ordinari della Pontificia Accademia delle Scienze gli Illustrissimi Professori Francis Leo Delmonico, Professore di Chirurgia all’Harvard Medical School, Massachusetts General Hospital di Boston e Direttore del New England Organ Bank, Waltham, MA (Stati Uniti d’America) e Cédric Villani, Professore di Matematica all’Università di Lione e Direttore dell’Institut Henri Poincaré (UPMC/CNRS) di Parigi (Francia).
Papa nomina padre Pizzaballa amministratore apostolico di Gerusalemme
Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini, presentata da Sua Beatitudine Fouad Twal per sopraggiunti limiti di età. Il Pontefice ha nominato amministratore apostolico sede vacante padre Pierbattista Pizzaballa, già Custode di Terra Santa, elevandolo alla dignità di arcivescovo, con sede titolare di Verbe. L’ordinazione episcopale avverrà il prossimo settembre. Il servizio di Giada Aquilino:
Nato nel 1965 a Cologno al Serio, in provincia di Bergamo, padre Pierbattista Pizzaballa è stato eletto Custode di Terra Santa nel 2004, riconfermato nel 2010 e ancora nel 2013 fino all’aprile scorso. Dopo gli studi a Bologna, La Verna e Roma, nel 1990 era stato ordinato presbitero nella cattedrale di Bologna dal card. Giacomo Biffi. Quindi il trasferimento a Gerusalemme. La soddisfazione del Patriarcato per la nomina di padre Pizzaballa, nelle parole di mons. William Shomali, vescovo ausiliare del Patriarca latino di Gerusalemme:
R. – Quando il Patriarcato latino ha saputo della nomina di padre Pizzaballa, che ha servito 12 anni come Custode e che conosce bene la situazione di Terra Santa, la reazione è stata molto positiva. Potrà contribuire al dialogo interreligioso, ma anche all’amministrazione del Patriarcato. Per il bene dei fedeli di Terra Santa, gli auguriamo pace, bene e successo nella sua missione.
D. – Che significato ha proprio la nomina di un ex Custode di Terra Santa alla guida della Chiesa latina?
R. – E’ un gesto da parte del Santo Padre per dire: nominiamo qualcuno che conosce bene la situazione, che può contribuire veramente al successo del lavoro pastorale. E non è la prima volta, perché nel passato abbiamo avuto già due Patriarchi che erano stati custodi: mons. Piavi, all’inizio del XX secolo, e mons. Gori, dal 1950 in poi. E’ quindi un’esperienza che si rinnova, per il bene della diocesi.
D. – Un pensiero e un ringraziamento a Sua Beatitudine Twal…
R. – Un grazie sincero, veramente, al lavoro compiuto dal Patriarca Twal, che ha lavorato nove anni al servizio del Patriarcato. Gli siamo grati, gli auguriamo buona salute e che continui a servire la missione in un altro modo.
D. – Che auspici per la pace in Terra Santa?
R. – C’è bisogno di tanta buona volontà da parte dei politici, che aiutiamo con la nostra preghiera.
Presentato il Giubileo delle Università e dei Centri di Ricerca
“Conoscenza e Misericordia. La terza missione dell’Università”. E’ questo il filo conduttore del Giubileo delle Università, presentato questa mattina a Roma, che si svolgerà dal 7 all’11 settembre prossimo. L’incontro è promosso dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica in collaborazione con Ufficio per la Pastorale Universitaria della diocesi di Roma, e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Il servizio di Marina Tomarro:
300 relatori provenienti da tutto il mondo, oltre 1000 i partecipanti previsti, 20 le sessioni di lavoro che toccheranno dai temi economici a quelli della comunicazione, dalla bioetica alla teologia, fino alla psicologia e alla finanza, una tavola rotonda che raggrupperà rettori di tutti i cinque continenti e infine l’udienza con Papa Francesco. Sono questi alcuni dei punti principali del Giubileo delle Università. Il vescovo Lorenzo Leuzzi, delegato per l’ufficio diocesano per la Pastorale Universitaria:
“Credo che il Giubileo delle Università sia un momento importante perché offre un’occasione per andare ancora più in profondità sul tema della misericordia e dunque il tentativo di passare dalla misericordia assistenziale alla misericordia progettuale. E’ un passaggio che non significa esclusione, ma tentativi di recuperare la dimensione assistenziale per rilanciarla in quella progettuale, perché oggi siamo di fronte a una società che dev’essere costruita, come Papa Francesco ci ha più volte indicato. Siamo di fronte a un cambiamento d’epoca che impone una nuova riflessione, cioè cercare, lavorare insieme, attraverso la collaborazione di tutti, perché l’umanità ha davanti a sé grandi sfide nelle quali e per le quali l’università deve svolgere un ruolo determinante”.
E durante l’incontro è stato presentato anche il Premio Giornalistico “Giubileo 2016”. Il commento di Michele Petrucci presidente del Co.Re.Com.Lazio, il comitato regionale per le Comunicazioni:
“Noi del Co.Re.Com consideriamo questo Premio una tappa fondamentale nel nostro percorso di sostegno all’emittenza locale, agli operatori dell’informazine, ai giornalisti perché il nostro obiettivo è quello di incentivare e promuovere la qualità dei servizi e dei contenuti e soprattutto la creatività di contenuti originali. Ecco: questa vuole essere una tappa simbolica ma a nostro avviso importante per sostenere l’informazione locale, per spingere l’informazione locale a produrre contenuti di qualità e innovativi, tenendo conto anche dei valori del Giubileo, quindi la misericordia, l’accoglienza e la disponibilità a farsi comunità. E premieremo le emittenti e i giornalisti e coloro che meglio degli altri hanno saputo interpretare questi valori”.
Ma mediaticamente come è coperto questo Giubileo? Ascoltiamo ancora Michele Petrucci:
“Mi sembra che tenendo conto anche delle contingenze, mi sembra una copertura buona, mi sembra una copertura necessaria; bisogna tener conto che questo Giubileo è capitato in un momento di grande difficoltà internazionale: i temi della sicurezza connessa all’informazione sono temi che ancora non hanno trovato una loro soluzione. Per cui credo che dare le notizie e darle in maniera rispettosa sia la strada migliore”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
Nuove vie di riconciliazione: al suo arrivo in Armenia il Papa richiama l'urgenza di promuovere il dialogo e l'unità per armonizzare i conflitti che lacerano la vita civile.
Sul Brexit, in prima pagina, un editoriale di Giuseppe Fiorentino dal titolo "Sunderland e la City".
Sapore di storia: da Gerusalemme, l'inviato Fausta Speranza sui lavori di restauro del Santo Sepolcro.
Tra culto e idolatria: Francesco Scoppola su una mostra, a Roma, dedicata a icone russe metalliche a rilievo.
Il Regno Unito lascia l’Unione Europea, Cameron si dimette
Voto storico nel Regno Unito, dove il 51,8% delle persone che si sono recate alle urne per il referendum sulla Brexit ha optato per l’uscita dall’Unione Europea. Sono oltre un milione i voti che sanciscono il divorzio fra Londra e Bruxelles. Alta l’affluenza: ha partecipato alla consultazione il 72,2% degli elettori. Il premier David Cameron, dopo l’esito della consultazione, ha annunciato le proprie dimissioni. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
E’ un Regno Unito diviso quello che ha scelto di non restare nell’Unione Europea come Paese membro. L’esito del referendum ha scosso i mercati: alle Borse europee in picchiata e a quella di Londra in netto calo si aggiunge il crollo della sterlina. Milano perde il 10%, e molto pesanti sono anche le altre borse del Vecchio Continente. Malissimo pure i mercati finanziari asiatici. In calo le quotazioni del petrolio, mentre risale l'oro, tradizionale bene rifugio.
Ma è anche il fronte politico britannico ad essere sconvolto: il premier Cameron si è dimesso annunciando che sarà un nuovo primo ministro, da eleggere ad ottobre, a guidare i negoziati con l'Unione Europea. La volontà del popolo britannico - ha aggiunto - sarà rispettata. Per il leader euroscettico Nigel Farage il Regno Unito celebra un nuovo giorno dell'indipendenza. Ma il verdetto delle urne è disomogeneo: in Scozia, in Irlanda del Nord e a Gibilterra la maggioranza degli elettori ha votato a favore della permanenza nell’Unione Europea. In Galles, invece, ha prevalso la tesi opposta. Contraria alla permanenza anche l’Inghilterra, ad eccezione di gran parte di Londra. Le urne hanno anche sancito una frattura generazionale: il 75% degli under 24 ha votato per la permanenza. Il 56% degli under 49 ha fatto lo stesso. Sono invece gli ultracinquantenni — e in particolare gli ultrasessantacinquenni — ad aver votato in maggioranza per l’uscita dall’Unione Europea.
Cancellerie e istituzioni europee subito mobilitate dopo il voto che ha visto vincere i Leave, mentre gli euroscettici esultano per il risultato, a partire dal leader Ukip Farage. Dalla riunione dei presidenti del Parlamento europeo arriva un netto no a qualsiasi possibilità di rimandare l’uscita di Londra dalla Ue, comunque ci vorranno un paio di anni per mettere a punto tutti di dettagli tecnici. In queste ore sono in corso consultazioni tra i Paesi Eu. Lunedi forse a Berlino vertice Francia-Germania-Italia, mentre Renzi dovrebbe vedere il presidente del Parlamento Ue Tusk martedi. Per la Cancelliera tedesca Merkel il voto è un colpo all'Europa e al processo di integrazione europea", ma “la Ue ha garantito la pace europea dopo secoli di violenza”.
Sul voto nel Regno Unito si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, il presidente della Camera di Commercio italiana a Londra, Leonardo Simonelli:
R. – L’Inghilterra prima veniva considerata un Paese per definizione abbastanza stabile, unito, con valori comuni. Questa elezione ha dimostrato che questo fattore è molto cambiato. Secondo me, la cosa più grave è la perdita di fiducia nella leadership. Tutto l’establishment si è schierato per l’“in” ma non è bastato.
D. – A proposito di cambiamento, questo voto può rimettere in discussione l’indipendenza della Scozia, la riunificazione dell’Irlanda del Nord, territori dove in maggioranza si è votato in favore della permanenza nell’Unione Europea?
R. – La Scozia ha già detto che vuole rimanere in Europa e quindi ci sarà da negoziare qualcosa. L’Irlanda del Nord ha votato per rimanere e credo che si dovranno trovare dei Trattati particolari con la Repubblica irlandese.
D. – Le urne hanno anche sancito una frattura generazionale: il 75% degli under 24 ha votato per la permanenza, voto invece contrario per quanto riguarda i più anziani…
R. – Sono giovani che si sono creati questa formazione di mondo più ampio di valori e di solidarietà; invece, le vecchie generazioni sono più difficili ad accettare il cambiamento.
D. – Ora l’esito di questo voto quale processo innescherà nel breve e nel lungo periodo?
R. – Il referendum è consultivo, anche se naturalmente bisogna tener conto della volontà del popolo. Il Parlamento adesso dovrà riunirsi. Dopodiché verrà invocato l’articolo che prevede l’uscita dalla Comunità economica europea. Cominceranno le negoziazioni, che hanno un tempo di due anni. Poi ci saranno tempi successivi, se richiesto, per trovare nuovi equilibri.
D. – Parliamo di scenari futuri: cosa potrà cambiare per gli italiani nel Regno Unito, dal punto di vista di assistenza sanitaria, indennità di disoccupazione?
R. – A mio avviso ci sarà una negoziazione che prevede una riduzione dei benefici sociali per i non-inglesi, preservando – penso - quelli acquisiti da coloro che sono qui da molto tempo. Poi ci sono il problema delle residenze e la questione dei visti. Anche questi andranno affrontati.
L’esito del referendum nel Regno Unito non è così allarmante come sostenuto da molti osservatori. E’ quanto sottolinea, al microfono di Luca Collodi, il parroco di St Peter’s Italian Church a Londra, padre Andrea Fulco:
R. – Questo dato non ci deve far allarmare perché l’Inghilterra è sempre stata una nazione che accoglie, che integra e che sa gestire i disagi forse molto meglio che in altre situazioni europee. Sarà anche un modo per rivedere il nostro progetto europeo che forse crea anche delle disuguaglianze.
D. – Mentre Londra e le grandi città hanno votato per restare in Europa, le campagne e le altre regioni della Gran Bretagna hanno votato per uscire. Perché questa differenza sul piano sociale?
R. - Credo che, probabilmente, ci siano degli squilibri: a Londra ci sono più turisti, più immigrati. Sicuramente nelle campagne si pensa più al ceto sociale. Come sacerdote, non vedo questo come un dato allarmante perché ho una grande fiducia nello Stato, nello spirito inglese che non è mai stato discriminatorio, non ha mai chiuso le frontiere a nessuno. Credo che adesso siamo tutti un po’ spaventati ma dobbiamo anche guardare le cose da un punto di vista locale. Sicuramente i poveri saranno aiutati.
D. – La parrocchia italiana a Londra come aiuta la comunità italiana e le altre?
R. – Offre un grande aiuto, perché nel Paese sbarcano circa duemila italiani al mese. Noi ne aiutiamo diversi, soprattutto coloro che vivono situazioni di povertà. Abbiamo un progetto che si chiama “Saint Peter Project”, che portiamo avanti già da diversi anni. Aiutiamo ragazzi che non hanno una casa, oltre i tanti italiani che vengono a lavorare per dare loro un punto di riferimento spirituale. La nostra chiesa è anche un centro di accoglienza, di amicizia a livello sociale spirituale ed umano. Noi continuiamo ad accogliere tutti e io credo che anche l’Inghilterra non si chiuderà di fronte alle vere necessità delle persone.
Brexit, il Regno Unito fuori dalla Ue
Il Regno Unito è fuori dall’Unione Europea. I risultati definitivi della consultazione tenutasi ieri dicono che i sostenitori della cosiddetta Brexit sono in netto vantaggio. Crollano le borse e la sterlina. Le banche centrali pronte a intervenire, mentre a Bruxelles sono già in corso riunioni d'emergenza. Il premier Cameron però non si dimetterà. Alessandro Guarasci:
Le proiezioni di Bbc, Itv e Sky News indicano che il Leave ha vinto il referendum sulla Brexit. Circa il 52% dei voti a favore dell’uscita, con un milione di voti di scarto tra uno schieramento e l’altro. Il Paese comunque è spaccato. Irlanda del Nord e Scozia hanno votato per rimanere, Galles e Inghilterra per andare via. Il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon ha detto che il futuro del suo paese è nella Ue, e anche il leader del partito Sinn Fein ha detto che Londra non può più rappresentare l’Ulster.
Pesanti le ripercussioni sui mercati. La Borsa di Tokyo perde oltre l'8%, Sydney il 4%, Hong Kong quasi il 5%. A Londra, i future, che anticipano l’apertura della Borsa, calano del 7%, e lo stesso avviene a New York con un calo del 5%. Il petrolio è in calo cede oltre il 6% a 47 dollari per il barile. Guadagna invece l'oro, tradizionale bene rifugio: +8%. La Bank of Japan ha comunicato che lavorerà a stretto contatto con le altre banche centrali per stabilizzare i mercati.
Dalle prime ore del giorno erano circolate voci di possibili dimissioi del premier britannico Cameron, smentite poi dal ministro degli esteri. Interviene però Nigel Farage, leader degli indipendentisti, che chiede a Cameron di andarsene. E già ci sono i contraccolpi a livello politico europeo. Gli euroscettici olandesi chiedono anche loro un referendum. Per il vice cancelliere tedesco Sigmar Gabriel "è un brutto giorno".
Prodi sulla Brexit: segno del malessere per politica europea
Ma come ha preso il voto di ieri Romano Prodi, già presidente della Commissione ue? Eccolo intervistato da Alessandro Guarasci:
R. – Male, molto male! Sono andato a dormire con la tranquillità che la Gran Bretagna rimanesse nell’Unione e questa mattina mi sono svegliato con la consapevolezza che tutto era diverso… Poi discuteremo di tutte le conseguenze nel breve periodo, delle Borse che scendono, anche se questo mi preoccupa fino a un certo punto, perché credo che le conseguenze economiche non siano grandissime. Ma questo Brexit è il grande segnale del malessere non nei confronti dell’Europa, ma di tutta la politica che viene fatta oggi ovunque. Da tutte le notizie che arrivano dal Regno Unito si vede che sostanzialmente abbiamo la stessa distribuzione. che abbiamo ovunque in Europa, tra i partiti tradizionali e i partiti populistici: nel centro città le persone più sicure e più tranquille hanno votato per rimanere in Europa, ma il resto del Paese ha votato per uscire. E la Gran Bretagna è molto tipica di questa differenza, perché la distanza che vi è nel tenore di vita e nelle prospettive del futuro fra Londra e il resto del Paese è elevatissima! Noi abbiamo sistemi politici che non rispondo a quelle che sono le esigenze della gente.
D. – Presidente, lei teme – in qualche modo – un effetto tsunami? Già gli euroscettici olandesi hanno detto: “Anche noi adesso vogliamo un referendum!”. ..
R. – Vabbè, questo è atteso evidentemente, no? Come dire? E’ il loro mestiere, ecco! Ma il problema del contagio certo che c’è, meno di quello che la gente pensi, perché i Paesi dell’Europa orientale, dell’ex – area dell’Unione Sovietica, che sarebbero i più tentati, ricevono però quantità cospicue di risorse dall’Unione Europea e quindi il loro tenore di vita precipiterebbe… Andiamo adagio a parlare di dissoluzione. Certamente è un segnale fortissimo sia per Bruxelles, per una politica che non si è resa conto dei problemi di tutti, sia anche per la stessa Gran Bretagna che potrà avere anche dei momenti di tensione interna estremamente forte e questo proprio per la diversità con cui si è votato.
D. – Ma adesso ritiene che sia il momento delle riforme per l’Unione Europea?
R. – Guardi, io lo ritengo da sempre! Io penso che se ci fosse stato il momento delle riforme, e con l’Unione Europea che si poneva come una struttura capace di decidere e di interpretare i tempi, io credo che anche la Gran Bretagna, che anche gli elettori britannici avrebbero avuto un occhio particolare nei confronti dell’Unione Europa.
Mons. Ambrosio, Comece: Brexit è fatto grave, evitare disgregazione
La Brexit è “un fatto molto grave, ora si rischia l'effetto domino". E’ quanto affermato stamani dal card.Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana. Unanime la preoccupazione di tutti gli episcopati del continente europeo dopo il referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Alessandro Gisotti ha raccolto il commento di mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio e vicepresidente della Comece, la Commissione degli episcopati della Comunità europea:
R. – Al di là, adesso, degli aspetti più tecnici e più immediatamente politici, la questione a mio parere è davvero anche di ordine culturale, cioè ricordare i nostri Padri fondatori che dopo le due guerre mondiali che hanno dilaniato l’Europa, quel desiderio di mettersi insieme, di lavorare insieme... Credo che davvero sia venuta meno questa ispirazione di fondo con il rischio di fare emergere sempre di più gli aspetti nazionalistici. Quindi vedo questo fatto in modo molto preoccupante, proprio perché anche culturalmente vi è il rischio di un ritornare a una Storia che pensavamo fosse già finita.
D. – Il Primate anglicano Welby ha affermato: “Non dobbiamo costruire barriere”. Il card. Nichols, arcivescovo di Westminster, ha detto che “speriamo che il Regno Unito continui a costruire accoglienza verso lo straniero”. Ecco, questo tema dell’immigrazione ha pesato molto e continua a pesare un po’ in tutta l’Europa …
R. – Indubbiamente. Questo certamente è uno degli aspetti di grande travaglio per tutti i Paesi europei e per l’Europa nel suo insieme, ma proprio perché c’è questa enorme situazione di emergenza non possiamo davvero non aprire il cuore e la mente nei confronti di queste persone e anche aiutarci perché vi sia la possibilità di una accoglienza di queste persone che fuggono. Davvero, se l’Europa vuole conservare la sua anima, deve ritrovare la maggiore unità e la maggiore collaborazione al suo interno, e deve aprirsi verso l’esterno. Questa è stata la tradizione europea che rischia di essere purtroppo, anche dal punto di vista culturale, smentita da questi fatti. Dobbiamo costruire ponti e non chiuderci a riccio nel nostro piccolo guscio.
D. – La Brexit arriva dopo le vittorie di numerosi partiti anti-Unione Europea in diversi Paesi dell’Europa. Cosa possono fare, secondo lei, i cristiani per provare a limitare queste spinte di disgregazione interne all’Europa?
R. – Innanzitutto, ricordare la Storia: se non ricordiamo la Storia della nostra Europa, rischiamo davvero di ripetere quei gravi fatti che già sono avvenuti, che hanno insanguinato il nostro Continente. Secondo, recuperare anche la nostra identità europea, perché la cultura europea è sempre stata una cultura fatta da espressioni e distanze le più diverse. E quindi, ritrovare il senso dell’unità anche nelle differenze tra i diversi popoli, tra le diverse culture. E terzo, davvero riprendere quell’anima cristiana che è stata troppo dimenticata e proprio a causa di questa dimenticanza siamo ormai avvolti da una nube da cui non sappiamo come uscire.
D. – In una giornata chiaramente così difficile per l’Europa, c’è forse un dato positivo, se vogliamo: cioè, i giovani nel Regno Unito hanno votato a maggioranza in favore del Remain, cioè del rimanere del Regno Unito nell’Unione Europea, ancora credono nell’Europa …
R. – I vescovi della Chiesa devono insistere molto anche presso le Istituzioni europee perché si dia maggiore spazio e maggiore voce ai giovani. L’Erasmus o cose di questo genere hanno davvero favorito quella circolazione di idee, di pensieri, di condivisioni. Proprio perché c’è tanta disoccupazione giovanile, occorrerebbe davvero che anche le Istituzioni europee si impegnassero maggiormente per favorire il domani, il futuro dei giovani perché questo è il futuro anche dell’Europa.
D. – La Gmg di Cracovia, ormai prossima, che vedrà ovviamente giovani di tutto il mondo ma soprattutto giovani europei, può essere anche un bel segno che dà la Chiesa all’Europa?
R. – Indubbiamente. Credo che potremo davvero respirare con un orizzonte grande, e Papa Francesco che ha fatto discorsi estremamente impegnativi proprio al Parlamento europeo, Papa Francesco ci aiuterà a guardare oltre gli steccati, aprirà davvero il cuore e la mente di tanti giovani per il bene dell’Europa e per il bene dell’umanità.
Elezioni Spagna, il 26 giugno. Nessuna ripercussione da Brexit
La Spagna ritorna al voto il 26 giugno, dopo il fallimento delle elezioni del 20 dicembre in cui i principali partiti politici non sono giunti a un accordo per la formazione del governo. La coalizione "Podemos-Izquierda Unida" non sembra modificare il quadro politico. Secondo gli ultimi sondaggi il Pp è il primo partito con il 28% davanti a Podemos, 23%, Psoe 21% e Ciudadanos 15%. Se le urne confermeranno tali previsioni il Congresso di Madrid rimarrà di difficile governabilità, ma una terza elezione sarebbe sarebbe preoccupante. Come si sta preparando a questo nuovo appuntamento elettorale lo spiega Alfonso Botti, storico e ispanista al microfono di Valentina Onori:
R. – Si sta preparando con la certezza che dalla nuova competizione elettorale non uscirà un panorama sostanzialmente diverso per quanto riguarda la governabilità. Tutti i sondaggi sono convergenti nel dire che nessuna delle quattro forze politiche principali raggiungerà la maggioranza dei voti necessari per governare. La questione più interessante di questa competizione elettorale è il possibile sorpasso da parte della coalizione tra “Podemos” e “Izquierda Unida” del Partito Socialista spagnolo.
D. – C’è anche una frattura generazionale tra i giovani che votano “Podemos” e gli ultraquarantenni che votano Rajoy e il Psoe...
R. – Ma con una variante: che “Ciudadanos”, che è una forza politica anch’essa nuova come “Podemos” e che crea una forza politica centrista, raccoglie grossi consensi anche nelle fasce giovanili. La questione del Partito Popolare è che tutti i sondaggi lo danno come prima forza politica: ma la questione è che il 20 dicembre il Partito Popolare aveva perso 3 milioni e mezzo di voti; ne aveva presi più degli altri, ma segnando un forte calo di consensi. Se dovesse riprodursi una situazione del genere nelle elezioni del 26 giugno, io credo che la leadership di Rajoy sarebbe messa in discussione all’interno del Partito Popolare, così come nel Partito Socialista, se si verificasse il sorpasso da parte di “Podemos” e “Izquierda Unida”, la leadership di Pedro Sanchez sarebbe anch’essa messa in discussione. Un ricorso per la terza volta alle urne sarebbe veramente preoccupante.
D. – Che tipo di campagna elettorale è stata quest’ultima?
R. – E’ stata una campagna elettorale di “ognuno contro tutti”, in cui si sono riproposte le pregiudiziali della campagna elettorale precedente. Semmai, con la variante più accentuata della proposta di “Podemos” di far coalizione con il Partito socialista, il quale ha però respinto al mittente l’offerta. E’ una campagna elettorale che – a mio modo di vedere – ha confermato il dato che io penso sia caratterizzante della situazione spagnola: la mancanza cioè della cultura della mediazione fra le forze politiche.
D. – Alla luce di quanto è avvenuto in Inghilterra, questo potrebbe travolgere anche le elezioni in Spagna?
R. – Assolutamente no. Quello che è successo in Inghilterra ci fa vedere la differenza del quadro politico spagnolo, nel quale sono in competizione quattro forze politiche, tutte e quattro fermamente europeiste, anche se alcune più critiche degli assetti attuali dell’Unione Europea: quando parlo di queste forze critiche, mi riferisco senz’altro a “Podemos” e “Izquierda Unida”. La Spagna ha due specificità da questo punto di vista: la prima, che in Spagna non ci sono stati movimento xenofobi e il secondo dato caratterizzante per la situazione spagnola è che tutte le forze politiche, anche quelle nazionaliste basche e catalane, sono europeiste. E questo perché la Spagna ha beneficiato economicamente e culturalmente del processo di integrazione europea. Vero è che negli ultimi anni c’è stata una disaffezione come in realtà c’è stata ovunque: l’Europa così non piace, non piace a molti e non piace neanche agli spagnoli. Ma questo non significa mettere in discussione il progetto europeo. In Spagna, non c’è nessuno che abbia seguìto e che mette in discussione l’integrazione europea.
D. – Dopo la vittoria del Brexit, il ministro degli Esteri spagnolo ha proposto una sovranità condivisa tra Londra e Madrid su Gibilterra, con – in prospettiva – il ritorno del territorio alla Spagna…
R. – E’ una rivendicazione storica da parte della Spagna che, per ragioni evidenti geografiche, ritorna fuori in questo momento. In Spagna si può aver pensato che gli inglesi, non facendo più parte dell’Unione Europea, siano indeboliti e che la Spagna invece possa puntare sul sostegno dell’Unione Europea in questa rivendicazione, che, ripeto, è storica. Qualcosa si è mossa: cambia la situazione europea e quindi cambia la situazione della Gran Bretagna rispetto all’Europa e questo può sollecitare la Spagna a ritornare su questa “vexata quaestio”. Però, da qui al fatto che si risolva in modo favorevole alla Spagna, diciamo che ce ne passa.
La Slovenia celebra 25.mo d'indipendenza. Balcani vogliono più Ue
25° anniversario dell’indipendenza della Slovenia oggi alla vigilia della Giornata della statualità, quando il Parlamento approvò il nuovo status del Paese. Presenti i presidenti dei quattro Paesi confinanti, Italia Austria Croazia e Ungheria con l’aggiunta della Germania che contribuì al processo di riconoscimento internazionale sloveno. Oggi la politica estera è di apertura con tutta l’area confinante con cui si condividono radici e storia. Ma cosa ha significato l’indipendenza in questi 25 anni e a quali risultati ha portato? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Mauro Ungaro, direttore della "Voce isontina", settimanale diocesano di Gorizia ed esperto di area balcanica:
R. – In questi 25 anni, la Slovenia ha fatto notevoli passi in avanti, innanzitutto come affermazione dell’identità nazionale, che non era una rivendicazione di chiusura in se stessa quanto, con orgoglio, un voler sottolineare l’importanza che la realtà slovena poteva avere all’interno dell’Europa. Certamente, la Slovenia dal punto di vista culturale, sociale, politico ed economico ha ricevuto molto dall’Europa. Se guardiamo i dati, vediamo che l’economia slovena, dopo la crisi di circa due anni fa, è un’economia in ripresa con un Pil che presenta una risalita, degli ottimi risultati e soprattutto credo che l’elemento fondamentale sia il fatto che la Slovenia abbia potuto portare il proprio apporto, la propria unicità, la propria storia all’Europa.
D. – La festa in Slovenia arriva nelle stesse ore in cui si crea la frattura in Europa con il Regno Unito. Si teme un effetto domino. Forse, l’area balcanica è quella meno invogliata invece a uscire dall’Unione Europea, non è così?
R. – Assolutamente, anzi c’è esattamente un sentimento opposto. L’area balcanica in questo momento lancia all’Europa una forte richiesta di unità. Guardiamo anche l’attenzione, soprattutto dei giovani serbi, a una possibile entrata in Europa, ma pensiamo anche a quanto l’Europa ha fatto per la pacificazione dell’intera area.
D. – Quindi, in questo senso l’Europa è una valvola di salvezza, è un modello da conservare. Questo non toglie che vada rivista, vada rinnovata dall’interno, l'Unione Europea?
R. – Certamente, ci sono molti punti di quella che è l’Europa attuale e l’Unione Europea che probabilmente vanno rivisti. Soprattutto nell’area balcanica questo anniversario, questi 25 anni della Slovenia, ci ricorda che proprio l’Unione Europea ha permesso all’Europa di progredire e di raggiungere quei risultati, quella tranquillità che oggi vediamo. Noi non dobbiamo mai dimenticare che l’ultima guerra europea è stata combattuta non un secolo fa, ma poco più di venti anni fa nei Balcani: pensiamo a tutta la questione del Kosovo, ai bombardamenti di Belgrado… I Balcani ci lanciano un messaggio di unità ancora più significativo e decisamente fondamentale.
D. – In che modo la Chiesa ha accompagnato con il suo lavoro il cammino di indipendenza? Ha offerto qualche contributo? In che termini?
R. – Io vorrei ricordare prima di tutto che è stata proprio la Santa Sede a riconoscere per prima l’indipendenza di Slovenia e Croazia. Poi, dobbiamo pensare a come la Santa Sede ha accompagnato questo cammino e in questo ambito l’apporto che le Chiese – soprattutto quella slovena e quella croata – hanno saputo dare a percorsi di riconciliazione che guardassero oltre e affermando l’importanza che avevano i valori che il cristianesimo propone. Leggevo proprio in queste ore delle frasi di uno dei discorsi che San Giovanni Paolo II pronunciò durante la sua visita in Slovenia nel 1996. Mi sembrano di un’attualità incredibile. Il Papa disse: “I muri sono crollati, ma la sfida dell’Europa rimane e va giocata sul senso della vita, il valore della libertà, elementi che rimangono più forti che mai nell’intimo delle intelligenze e delle coscienze”. Secondo me, sono parole che oggi aiutano a capire il ruolo che può avere la Slovenia, che ha la Croazia, ma che ha tutto il complesso dei Balcani nell’Europa. E nel momento in cui sai parla di muri queste parole ci fanno riflettere, soprattutto se pensiamo a quando sono state pronunciate.
Viterbo: la chiesa arriva in discoteca con il #grestparty
La Chiesa arriva in discoteca: l’iniziativa è organizzata dalla diocesi di Viterbo e vede coinvolti il vescovo, mons. Lino Fumagalli, i giovani e tutti gli animatori dei grest locali. L’evento si terrà stasera al club "Subway" di Viterbo. Gioia Tagliente ha intervistato don Fabrizio Pacelli, direttore del servizio diocesano per la pastorale giovanile:
R. – E’ la conclusione di un percorso che dura da due anni in merito al progetto “Missione Giovani”, che ha come slogan “Sporcati di cielo”, che ha visto coinvolte varie realtà della nostra diocesi e, in particolare, i "Grest" parrocchiali (Gruppi riccreativi estivi - ndr) della città di Viterbo e le scuole superiori. Adesso, in questa settimana siamo nella fase finale facendo visita in particolare ai Grest cittadini. E, stasera, il "Grest party" vuole essere la conclusione per gli animatori dei Grest e quindi una sorta di festa per tutti loro, dove il vescovo verrà per una benedizione e un saluto. E’ un momento ludico che però è stato preceduto da vari momenti di alta spiritualità e da momenti fortemente profondi, insieme agli animatori, nelle varie parrocchie e nei Grest, portando il messaggio “Sporcarsi di cielo”, cioè scoprire all’interno di ognuno quel frammento di bellezza, quella goccia di cielo, che è presente in ognuno di noi.
D. – Papa Francesco ha parlato di una Chiesa in uscita. Voi, quindi, state andando direttamente nei luoghi dove si trovano i giovani. Quali sono gli obiettivi?
R. – L’obiettivo che ci siamo prefissi, innanzitutto, seguendo le indicazioni del nostro Papa, è di far visita ai Grest, nelle scuole, ai luoghi di aggregazione: le strade, le piazze e anche le società sportive. Il primo obiettivo è quello di far scoprire a ogni giovane questo frammento di bellezza presente in ognuno ed è anche accompagnato dall’obiettivo di creare “capacità” nella diocesi. Siamo aiutati da alcuni sacerdoti, in particolare don Giovanni Fasoli dell’Opera Famiglia di Nazareth e, insieme a lui, abbiamo già creato delle equipe che lavorano in vari ambiti, composte da ragazzi, giovani della nostra diocesi, della nostra città. Più che altro, vogliamo creare capacità in loco che, poi, una volta conclusa la missione, saranno in grado di portare avanti un percorso più ampio nelle varie zone della città e nelle varie parrocchie.
D. – Che risultati sono stati raggiunti? Quanti giovani ad oggi avete coinvolto?
R. – Abbiamo visitato tutte le scuole superiori, in particolare nelle ore dell’insegnamento della religione cattolica, e abbiamo incontrato circa 6 mila studenti. Per quanto riguarda invece le visite ai Grest parrocchiali, abbiamo contattato circa 600 animatori e 1.700 bambini e ragazzi in questa settimana. Poi, un’altra iniziativa che abbiamo svolto il 2 settembre 2015, e che ripeteremo anche quest’anno in occasione della festività di Santa Rosa, è stata quella di tenere aperta la Chiesa del Gesù, a Piazza del Gesù, a Viterbo, dalle ore 22 fino all’1.30 di notte. Sono transitati all’incirca 500 giovani.
D. – Sono previste nuove iniziative? Se si, di che tipo?
R. – Abbiamo in cantiere, in particolare, un progetto che è quello dell’apertura di un centro giovani cittadino, nel quale i ragazzi, i giovani della città, in maniera particolare, ma anche della diocesi, possano avere un luogo di ritrovo, di amicizia, di fraternità, di preghiera e dove possa essere attivo anche un servizio di ascolto, di counseling psicologico, ma anche di direzione spirituale, con cui poter entrare veramente in profondità all’interno di ognuno.
Roma, Giubileo. In Vicariato il concerto "Music of Mercy"
E' stato presentato nel Vicariato di Roma "Music for Mercy", il concerto straordinario che avrà luogo martedì 26 luglio nel Foro Romano, organizzato per il Giubileo della Misericordia. Vi prenderanno parte, tra gli altri, l'Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma diretta dal cinese Tan Dun, Andrea Bocelli e la cantante Carly Paoli che interpreta l'"Ave Maria", canzone ufficiale dei Cammini del Giubileo. Il servizio di Luca Pellegrini:
Un grande "Concerto della Misericordia". Anche una sfida ritenuta impossibile, che si avvera, perché il luogo è tra i più famosi e protetti del mondo: le vestigia archeologiche del Foro Romano, nel cuore della Città Eterna. Sarà lì che cantanti provenienti da molti Paesi si esibiranno davanti ad un pubblico internazionale, ma tra gli ospiti saranno privilegiati i rifugiati, che sono inseriti a pieno titolo nella città, fuggiti dalle guerre che hanno tragicamente toccato la loro vita. Dunque, la musica come linguaggio universale che unisce tutti i popoli, culture e religioni nel segno della misericordia: è questo lo spirito con il quale mons. Liberio Andreatta dell'Opera Romana Pellegrinaggi ha coinvolto il mecenate malese, Francis Yeoh, convincendolo della bontà dell'evento. Il cardinale Agostino Vallini, vicario del Papa per la Diocesi di Roma, ha presentato il concerto, descrivendolo come un simbolico spartiacque. Ecco le sue parole:
R. – Mi sembra che significhi davvero una cosa così positiva, così ricca, così promettente, da aprire anche ad altre prospettive e che, rispetto a tutto quello che nei mesi passati abbiamo ascoltato su Roma – le vicende di sofferenza, corruzione e male di questa nostra città – sia proprio il segno come di una ripartenza attraverso un evento culturale di così alto livello, perché Roma sia davvero capace di rispondere alla sua vocazione.
D. – È un concerto anche per guarire quella che lei ha definito “l’anemia spirituale” della città…
R. – Naturalmente, non basta un concerto per guarire l’anemia. “Anemia spirituale” vuol dire che il cuore dell’uomo si è impoverito e che ha bisogno di una trasfusione di globuli rossi, capace di mettere sangue ossigenato. La cultura – e la musica in particolare – è una di queste strade, che certamente possono aiutare la ripresa dello spirito. Il problema vero è questo: non possiamo vivere soltanto di materialità, ma abbiamo bisogno anche di ricchezze spirituali, che arricchiscono l’uomo nella sua complessità e nella sua ricchezza.
D. – Una definizione parallela di Giubileo è, appunto, quella che lei ha definito “ripartenza”: partiamo da dove e verso quale meta?
R. – Ripartiamo dallo scopo che il Papa ci ha dato quando ha indetto il Giubileo: Papa Francesco ha capito che questo mondo ha bisogno di Dio. E quando ha detto che il volto di Cristo è la misericordia, ci ha prospettato un’immagine di un uomo nuovo. Se ognuno è in grado di fare un suo percorso spirituale, tutto questo favorirà certamente una ripartenza complessiva della sua vita.
Il sovrintendente dell'Opera di RoAma, Carlo Fuortes, ha sottolineato come la musica sia uno straordinario veicolo di pace. Con una immagine evocativa: esperanto della bellezza, come precisa ai nostri microfoni:
“La musica è effettivamente questo: in un mondo dove le culture sono in contrasto, dove addirittura i simboli della cultura vengono utilizzati per combattersi, la musica ha questa enorme potenzialità: avere un linguaggio comune in tutto il mondo. Questa è una cosa che va valorizzata. E per questo, quando mons. Andreatta ci ha proposto di partecipare a questo concerto straordinario nel Foro Romano per il Giubileo della Misericordia, abbiamo subito aderito con grande entusiasmo, dando la possibilità di partecipare addirittura all’orchestra del teatro”.
Vescovi Colombia: accordo di pace un evento storico
La Conferenza episcopale colombiana riconosce l’accordo definitivo di Pace fra il governo colombiano e le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) come "un evento storico per il Paese, che si prevede possa essere il primo passo per costruire la pace tanto attesa dai colombiani, con la garanzia del rispetto dei diritti umani e la promozione della giustizia in ogni angolo del paese", si legge nel comunicato pubblicato ieri, e ripreso dall'agenzia Fides. I vescovi invitano quindi il governo a "offrire una pedagogia per la pace, una informazione chiara e autentica, per superare i dubbi dinanzi a questa decisione".
I governanti favoriscano i processi di perdono, di riconciliazione e di pace
"La Chiesa cattolica che è stata dalla parte delle vittime per tutto il tempo di guerra, accompagna anche questo momento storico della Colombia, al fine di continuare ad offrire il suo servizio perché i governanti costruiscano una nazione che rispetti la democrazia, la libertà e i diritti umani e favorisca i processi di perdono, di riconciliazione e di pace" conclude il testo.
I protagonisti della firma dell'accordo di pace
Dopo quattro anni di negoziati, il governo colombiano e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc), hanno firmato ieri, un accordo di pace che pone fine a più di 50 anni di conflitto. Erano presenti alla cerimonia all'Avana, dove si svolgono i colloqui di pace, il Presidente colombiano Santos, il Segretario generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, i Presidenti Michelle Bachelet del Cile, Raul Castro di Cuba, Nicolas Maduro del Venezuela, e il Ministro degli Esteri norvegese Borge Brende.
Punti centrali dell'accordo: cessate il fuoco e consegna delle armi da parte delle Farc
Tra i punti più importanti di questi accordi è la tabella di marcia per il definitivo cessate il fuoco bilaterale e l'abbandono delle armi da parte del gruppo guerrigliero, che sarà verificato dalle Nazioni Unite (Onu), attraverso il suo Consiglio di Sicurezza. (C.E.)
Venezuela. Urosa: sì a referendum su revoca mandato presidenziale
“Perché possa esistere un dialogo tra il governo e l’opposizione è necessario che ci sia rispetto reciproco e rispetto della Costituzione”. Questa la dichiarazione dell’arcivescovo di Caracas, card. Jorge Urosa Savino, alla rete televisiva Globovisiòn, interpellato sul processo di negoziazione intrapreso dall’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) per avviare un dialogo nazionale che ponga fine alla grave crisi sociopolitica e economica che attraversa il Venezuela. “Papa Francesco - ha detto il porporato - ha insistito costantemente in questi ultimi due anni sulla necessità di un dialogo tra i diversi settori della società venezuelana, ma purtroppo non è stato così. Il dialogo è ancora da fare”.
La volontà del popolo non è un gioco, va rispettata
Il card. Urosa ha ribadito l’importanza di rispettare la Costituzione Nazionale e ha ricordato che in essa è prevista la possibilità di convocare una consulta nazionale sulla revoca o meno del mandato al presidente o a qualunque altro funzionario pubblico. “Quindi - ha aggiunto il porporato - perché ci sia un dialogo nazionale il governo deve consentire la realizzazione del referendum per la revoca che è stato proposto da un milione e 800mila venezuelani”. L’arcivescovo di Caracas ha avvertito che “non si tratta di un gioco, ma di una questione molto seria”, perché il dialogo esige “che sia rispettata la volontà del popolo del Venezuela che è quella di portare avanti la consulta elettorale sulla permanenza o meno dell’attuale governo”.
Poteri pubblici non devono ostacolare il referendum.
Il card. Urosa ha affermato che il referendum per la revoca del mandato al presidente Nicolas Maduro “deve essere fatto senza più ostacoli né dilazioni”. Il porporato ha ricordato che si tratta di un obbligo dei poteri pubblici e specialmente del Consiglio Nazionale Elettorale che devono realizzare al più presto il referendum chiesto dal popolo venezuelano come stabilito dalla Costituzione Nazionale. Interpellato riguardo alle polemiche sorte sulle presunte irregolarità e gli ostacoli posti dalle autorità nel processo di convalida delle firme presentate, il porporato venezuelano ha affermato che finora questa tappa si è svolta con tanto entusiasmo da parte dei cittadini che vorrebbero la consultazione e per questo ha ribadito che le autorità elettorali devono facilitare, anziché ostacolare, questo processo che è un diritto garantito dalla Costituzione Nazionale. (A cura di Alina Tufani)
Concilio panortodosso: clima di unità e ascolto reciproco
I primati e gli arcivescovi delle 10 Chiese ortodosse che stanno partecipando al Santo e Grande Concilio, sono entrati oggi nella quinta giornata di lavori sinodali. “Ho una buona notizia da condividere con voi”, ha detto ai giornalisti l’arcivescovo di Telmessos, Job, membro della rappresentanza del Patriarcato ecumenico al Concilio pan-ortodosso. “Il Concilio sta lavorando in amore fraterno, in spirito di unità, ascolto reciproco e con discussioni ampie e interessanti”.
Importanza del digiuno e la sua osservanza oggi
Fervono a Creta - riferisce l'agenzia Sir - i lavori sui 6 documenti conciliari che erano stati pubblicati prima dell’inizio del Concilio: molte sono le discussioni e numerosi gli emendamenti. Ieri i primati e gli arcivescovi hanno continuato a discutere il documento sulla “Importanza del digiuno e la sua osservanza oggi”, mentre proseguono le sessioni sul testo “Il Sacramento del Matrimonio e i suoi impedimenti”. Riguardo a questi due documenti, l’ufficio stampa del Concilio parla anche in questo caso di una “discussione ampia e onesta su diverse prospettive canoniche e pastorali” e fa sapere che “i primati e i singoli gerarchi delle Chiese ortodosse locali hanno proposto una serie di suggerimenti e chiesto chiarimenti”.
Le relazioni con le altre Chiese
I membri del Concilio hanno ricevuto i testi finali sull’“Autonomia” e sulla “Diaspora ortodossa” e hanno cominciato a firmarli. Nei prossimi giorni sono attese le firme sui documenti sul digiuno e su “La Missione della Chiesa ortodossa nel mondo di oggi”. Nel corso della sessione finale, invece, verranno discusse le relazioni con le altre Chiese.
Tra i delegati c’è un clima di cooperazione
Il portavoce del Patriarcato di Alessandria ha detto ai giornalisti che è stato il Patriarca Bartolomeo “a voler dare voce a tutti i presenti” e “quello che viene detto, viene rispettato e ascoltato”. Tra i delegati c’è un clima di “cooperazione nonostante in passato non si siano mai incontrati”. Più quindi delle deliberazioni finali, vale l’importanza del Concilio come “occasione di incontro” e il Patriarca Bartolomeo ha fatto di tutto perché questo confronto accadesse.
A Creta arrivano le notizie dal mondo
Ha scosso l’Assemblea la notizia dell’attacco di un kamikaze contro un campo profughi al confine tra Giordania e Siria così come il Patriarca Bartolomeo è stato informato del tragico incidente in Russia in un campo di vacanze dove sono morti 15 bambini. I patriarchi e gli arcivescovi hanno deciso di inviare una lettera al Patriarca Kirill di Russia. (R.P.)
Pakistan: vescovi condannano l'assassinio del cantante sufi
“Profondo dolore e condanna per l’ennesimo assassinio che scuote la nazione”: in un comunicato ripreso dall'agenzia Fides, la Commissione "Giustizia e Pace" della Conferenza episcopale del Pakistan, si dice "profondamente rattristata” per l'assassinio avvenuto il 22 giugno. E’ stato ucciso a Karachi, Amjad Sabri, celebre cantante musulmano, esponente del qawwali, stile musicale derivato dalla scuola islamica del sufismo.
L'assassinio rivendicato dai talebani pakistani
L'uomo è stato colpito da colpi d’arma da fuoco sparati contro la sua automobile da due sicari, mentre si stava recando in televisione per registrare un programma. L’assassinio è stato rivendicato dai talebani pakistani che hanno accusato il musicista di essere blasfemo. Sabri era molto conosciuto anche fuori dai patri confini, per la sua voce e per il messaggio di pace dei suoi testi.
Gli sforzi di Sabri nel promuovere la pace attraverso la sua musica
Il presidente della Commissione "Giustizia e Pace", padre Emmanuel Yousaf Mani, e il direttore esecutivo, Cecil Chaudhry, in una dichiarazione congiunta, esprimono solidarietà e ricordano “lo straordinario contributo di Sabri per l'arte del qawwali e del sufismo”. La Commissione evidenzia che "la musica può far superare le barriere, creando pace nella società” ed elogia "gli sforzi di Sabri nel promuovere la pace attraverso la sua musica”.
Uniti contro chi vuole danneggiare la nazione
"Abbiamo bisogno di restare uniti contro le forze che intendono danneggiare la nazione" afferma la nota della Commissione, invitando il governo del Pakistan "ad adottare misure concrete nel portare i responsabili alla giustizia". Anche il vescovo Joseph Arshad, "prega per la famiglia, supplicando Dio perchè conceda la forza per superare questa perdita irreparabile". (P.A.)
Vescovi India: più dignità per i lavoratori domestici
Stabilire i diritti dei lavoratori domestici, per tutelare la loro dignità: questa la richiesta avanzata al governo federale dall’arcidiocesi di New Delhi, in India, in occasione della “Giornata internazionale dei lavoratori domestici”, celebrata il 16 giugno scorso.
Nel Paese asiatico, 4 milioni di lavoratori domestici
Nel Paese asiatico, infatti, i lavoratori domestici sono circa 4 milioni, ma non è stata ancora ratificata la convezione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, siglata nel 2011 e dedicata al “lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici”. Tale trattato impegna i Paesi firmatari a garantire salari e condizioni di vita e sicurezza dignitosi per i lavoratori domestici, affinché siano trattati alla pari di tutti gli altri dipendenti e siano tutelati da ogni forma di violenza.
Mancano tutele e c’è rischio di violenze
“La questione dello sfruttamento dei lavoratori domestici è un problema molto serio in India – afferma Thompson Anushika, responsabile del Forum dei lavoratori domestici, organismo che afferisce alla Conferenza episcopale indiana - Alcune persone lavorano dalle 16 alle 18 ore al giorno senza tutele, senza contatti con le loro famiglie, mentre altre sono soggetti a vessazioni fisiche, psichiche o sessuali”.
Allarme per lo sfruttamento dei dalit
La maggior parte dei lavoratori domestici indiani, inoltre, è rappresentata da dalit o fuori casta, il che - spiega padre Joseph Jude, presidente dell’Ufficio per il lavoro della Conferenza episcopale indiana - comporta maggiori sofferenze perché, “a causa dell’alto livello di analfabetismo e della mancanza di istruzione, molti di loro non sono in grado di comprendere i propri diritti”. (I.P.)
Vescovi Burundi: appello per la pacificazione nel Paese
“Il Burundi non si salverà che con la verità e la giustizia”. Prende spunto dal Salmo 85 l’appello rivolto dai vescovi burundesi in un messaggio diffuso domenica scorsa, in cui incoraggiano la ripresa del dialogo nel Paese, precipitato in una nuova grave crisi politica e sociale dopo la contestata rielezione per un terzo mandato del Presidente Pierre Nkurunziza nel 2015. Il documento è stato preparato durante l’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale (Cecab) svoltasi dal 7 al 9 giugno a Gitega e si aggiunge a quello pubblicato dal Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam) al termine della visita di solidarietà compiuta nei giorni scorsi da una delegazione del Secam.
Il dialogo è la sola via che possa preparare un futuro migliore per la Nazione
Nel messaggio i presuli si felicitano per il senso di responsabilità finora dimostrato da molti burundesi di fronte alla crisi e l’“accresciuta coscienza che essi hanno della dignità di ogni persona umana” e salutano il riconoscimento che la via del dialogo intrapresa dal Governo e alcuni esponenti dell’opposizione “è la sola via che possa preparare un futuro migliore per la Nazione”. Per altro verso, essi deplorano gli assassinii, i rapimenti, gli arresti arbitrari e le torture che hanno segnato quest’ultimo anno, lasciando profonde ferite nella popolazione.
La democrazia non si riduce al mero fatto di tenere elezioni
Il documento indica quindi quelle che, secondo l’episcopato, sono le cause di questi mali: il peccato che ci allontana da Dio; una “concezione egoista del potere”; la mancanza di consapevolezza della finalità del potere “che è di garantire la giustizia e l’equità per tutti”; l’esclusione reciproca nella ricerca di soluzioni ai problemi. Queste mancanze – si osserva - evidenziano che “i burundesi non hanno ancora pienamente compreso cosa è la democrazia”, che non si riduce al mero fatto di tenere elezioni, ma comprende altri requisiti fondamentali, a cominciare dal “rispetto della dignità di ogni persona umana”.
La soluzione dei mali del Burundi sono la verità e la giustizia
La soluzione ai mali che minacciano la società burundese – affermano quindi i presuli - è la verità e la giustizia. La prima verità è che l’ordinamento sociale deve essere sempre ordinato al bene della persona umana e che il potere è al servizio di quest’ultima. Quanto alla giustizia, essa consiste nel dare a ciascuno il dovuto, ma – si sottolinea - non può prescindere dalla misericordia che è incompatibile con la vendetta.
La partecipazione dei cristiani alla vita politica sia guidata dal Vangelo
Partendo da queste premesse, i vescovi propongono una serie di raccomandazioni. Ai governanti e alle istituzioni essi chiedono innanzitutto di impegnarsi contro la criminalità e di porre fine ai rapimenti, agli arresti arbitrari e alla giustizia sommaria. Essi chiedono poi di garantire il rispetto della libertà di espressione e informazione. Inoltre, esortano tutte le parti politiche a restare fedeli agli Accordi di Arusha siglati nel 2000 tra il governo tutsi dell’allora Presidente Pierre Buyoya e l’opposizione armata hutu. Ai cittadini burundesi i vescovi ricordano che la democrazia non potrà realizzarsi in Burundi senza la loro attiva partecipazione. Infine, i vescovi si rivolgono ai cristiani, invitandoli a partecipare alla vita politica nazionale facendosi guidare dal Vangelo e dalla verità: “Il vostro contributo principale al bene del nostro Paese – scrivono - sta nella Parola di Dio e nella preghiera”. (A cura di Lisa Zengarini)
Vescovi Bolivia: difendere la famiglia non significa discriminare
Difendere la vita e la famiglia non significa discriminare o promuovere l’odio: così, in sintesi, scrive la Conferenza episcopale boliviana, in una nota diffusa in occasione della Marcia per la vita e la famiglia, svoltasi mercoledì scorso. L’evento è stato organizzato dalla Piattaforma civica per la vita e la famiglia ed ha ricevuto l’adesione della Chiesa locale.
Ogni persona è creata ad immagine di Dio e merita rispetto
“La Chiesa cattolica – si legge nella nota – esprime il suo fermo rifiuto per tutti gli atti di discriminazione o di violenza, tra cui l’omofobia, e riafferma che tutte le persone meritano di essere apprezzate e rispettate nella loro dignità intrinseca che deriva dal fatto di essere state create ad immagine e somiglianza di Dio”.
No all’ideologia di genere
Di qui, il richiamo al fatto che essere contro “l’ideologia di genere che attacca la famiglia, pietra angolare della società, non vuol dire discriminare, né diffondere l’odio”. Per questo, i vescovi boliviani si oppongono “ai tentativi di coloro che cercano di creare tensioni” e lanciano un appello a “lasciarsi guidare dai valori della dignità, della giustizia e del bene comune per le famiglie”.
Famiglia, pietra angolare della società
Sottolineando “con gioia e speranza” la propria adesione alla Marcia “in difesa della famiglia, istituzione naturale”, la Conferenza episcopale boliviana ricorda quanto detto da Papa Francesco in Messico, lo scorso febbraio, durante l’incontro con le famiglie a Tuxtla Gutiérrez: “Oggi vediamo e viviamo su diversi fronti come la famiglia venga indebolita, come viene messa in discussione. Come si crede che essa sia un modello ormai superato. E finiamo per essere colonie di ideologie distruttrici della famiglia, del nucleo della famiglia, che è la base di ogni sana società”.
Mostrare al mondo la bellezza dell’istituzione familiare
Da ricordare che a fine maggio la Camera boliviana ha approvato un progetto di legge sull’identità di genere: composto da 11 articoli, esso permette alle persone transessuali e transgender maggiorenni di poter cambiare nome e genere (ovvero sesso) nei documenti personali, prima di tutto in quello di identità. Vieta inoltre l’uso dei documenti personali anteriori al cambio. Unico limite, la modifica può venire corretta una sola volta. Di qui, il richiamo dei vescovi locali ai cattolici ed a tutti gli uomini di buona volontà a lavorare “in pace, con amore, rispetto e fermezza per avere cura del dono della famiglia, mostrando la bellezza dell’alleanza tra un uomo ed una donna”. (I.P.)
Gender: presidio di famiglie contro indifferentismo sessuale nelle scuole
“Diventano sempre più numerose le segnalazioni dai territori di programmi educativi che sostengono l’ideologia del indifferentismo sessuale, e contemporaneamente ci preoccupa il silenzio del Miur sulle linee guida che dovranno regolamentare i percorsi di educazione alla lotta contro la discriminazione e il bullismo”. Così Massimo Gandolfini, presidente del Comitato “Difendiamo i nostri figli”, promotore degli ultimi due Family day, che annuncia per domani sabato 25 giugno, alle 11. 30, a Roma, “un presidio di famiglie davanti alla sede del Miur in viale Trastevere, allo scopo di mandare un segnale inequivocabile alla politica, perché - riferisce l'agenzia Sir - si faccia interprete rigoroso della volontà dei genitori di non vedersi scavalcati nelle scelte educative riguardanti i propri figli”.
In atto nelle scuole strategie di cultura gender
“Già ora, nonostante la circolare del Miur dell’estate scorsa in cui si garantiva che l’ideologia gender non sarebbe entrata nelle scuole, sono in realtà in atto – lamenta Gandolfini – strategie di cultura gender come concretamente accaduto a Trieste e nella Regione Friuli. Il cambio d’indirizzo promesso dalla neo giunta del capoluogo giuliano fa ben sperare ma il silenzio del Miur è carico d’incognite negative”. “Rispetto e delicatezza nei confronti dell’infanzia – conclude – non sono in contrasto con la giusta lotta al femminicidio e a ogni violenza. Così come la lotta ai pregiudizi non si combatte decostruendo e rimuovendo ogni tipo d’identità legata al sesso biologico dell’alunno”. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 176