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Sommario del 11/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa su disabilità: la diversità ci sfida e ci arricchisce

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La diversità è una sfida che ci fa crescere: occorre donarsi reciprocamente senza paura e in una comunità serve sviluppare la pastorale dell’ascolto e dell’accoglienza. Così in sintesi il Papa parlando a braccio, dopo aver consegnato il discorso preparato, davanti a circa 650 partecipanti al Convegno per persone disabili promosso dalla Cei, in occasione dei 25 anni del Settore catechistico a loro dedicato. In Aula Paolo VI la platea è vivace e colorata, fatta di famiglie, accompagnatori, religiosi e giovani di diverse età. Il servizio di Gabriella Ceraso

E’ un colloquio fatto di domande e risposte, di canti e di gioia, quello del Papa con i partecipanti al Convegno. C’è anche un imprevisto quando prima una poi l’altra, due bimbe con la Sindrome di down si avvicinano da sole a Francesco che parla e lo abbracciano e poi restano ad ascoltarlo ai suoi piedi. ”Sono coraggiose loro”, è il commento del Papa, "capaci di rischiare, mai saranno discriminate…".

La diversità è una ricchezza sempre, ci fa crescere
E' proprio questa la tematica che emerge dalle domande di due giovani e poi di un sacerdote al Pontefice: come affrontare senza paura la diversità e come evitare l’esclusione anche nelle comunità?

"Tante volte abbiamo paura delle diversità’. Ci fanno paura. Perché? Perché andare incontro a una persona che ha una diversità non diciamo ‘forte’, ma ‘grande’, è una sfida e ogni sfida ci dà paura. E’ più comodo non muoversi, è più comodo ignorare le diversità e dire: ‘Ma, tutti siamo uguali e se c’è qualcuno che non è tanto ‘uguale’, ma, lasciamoli da parte, ma non andiamo all’incontro".

La sfida ci fa paura, ma la diversità è una ricchezza sempre, afferma il Papa: "Pensate come sarebbe noioso un mondo in cui tutti sono uguali". Invece, le diversità insieme fanno "una cosa più bella e più grande":

"E’ vero che ci sono diversità che sono dolorose, ma tutti sappiamo, quelle che hanno radici in alcune malattie… ma anche quelle diversità ci aiutano, ci sfidano e ci arricchiscono. Per questo, non avere mai paura delle diversità: è proprio la strada per migliorare, per essere più belli e più ricchi".

Stringere la mano è donarsi
Ma come farlo nel concreto? E’ un gesto, il segreto di cui parla Francesco. E' "stringere la mano", un gesto fatto in modo quasi "incoscientemente" ma "un gesto profondo" dice:

"Quando io stringo la mano, metto in comune quello che io ho con te – se è uno stringere la mano sincero, no? Ti do la mano, ti do il mio e tu mi dai il tuo. E questo è una cosa che ci fa bene a tutti. Andare avanti con le diversità, perché le diversità sono una sfida ma ci fanno crescere".

Tutti abbiamo la stessa possibilità di ricevere i Sacramenti
Davanti all’altra sfida che la giovane Serena, dalla sua carrozzella, pone al Papa – cioè la possibilità che una comunità ti emargini e ti escluda anche dai Sacramenti e dalle attività – Francesco scherza, ma lo fa con un tono diverso:

"Serena ha parlato di una delle cose più brutte, più brutte che ci sono fra noi: la discriminazione. E’ una cosa bruttissima!".

Serve conversione per quella parrocchia. Serve, osserva il Papa, un lavoro da fare insieme, il prete con i laici e i catechisti ed è "aiutare tutti a capire la fede, l’amore", a capire come essere amici, a capire le differenze:

"Tutti abbiamo la stessa possibilità di crescere, di andare avanti, di amare il Signore, di fare cose buone, di capire la dottrina cristiana e tutti abbiamo la stessa possibilità di ricevere i sacramenti. Capito?"

Francesco ricorda il Papa Pio X e il suo voler dare la comunione ai bambini, che creò scandalo. Lui, spiega, "ha fatto di una diversità una uguaglianza perché lui sapeva che il bambino capisce in un altro modo. E quando ci sono diversità fra noi, si capisce in un altro modo. Ma anche a scuola, nel quartiere, ognuno ha la sua ricchezza”.

Necessario un "apostolato dell'orecchio"
Infine, rispondendo alla domanda di un sacerdote di Roma, sull’accoglienza necessaria in ogni parrocchia e diocesi, il Papa ribadisce che deve significare ricevere veramente tutti e ascoltare tutti e che questo dovrebbe diventare un vero apostolato: 

"Oggi credo che nella pastorale della Chiesa si fanno tante cose belle, tante cose buone. Nella catechesi, nella liturgia, nella Caritas con gli ammalati… Tante cose buone. Ma c’è una cosa che si deve fare di più, anche i sacerdoti, anche i laici, ma soprattutto i sacerdoti devono fare di più: l’apostolato dell’orecchio, ascoltare! ‘Ma, Padre, è noioso ascoltare, perché sempre sono le stesse storie, le stesse cose…'. ‘Ma non sono le stesse persone e il Signore è nel cuore di ognuna delle persone e tu devi avere la pazienza di ascoltare".

Accogliere e ascoltare tutti, dunque, sono le parole che il Papa consegna a grandi e piccoli che lo circondano da tutte le diocesi d’Italia e da molte parti d’Europa.

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Papa alla Specola: l'accesso all'acqua un problema di giustizia

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E’ provvidenziale che la 15.ma Scuola estiva di Astronomia della Specola Vaticana si occupi dello “studio dell’acqua nel sistema solare”. Lo sottolinea Papa Francesco nel discorso rivolto ai partecipanti al Corso estivo della stessa Specola, ricevuti stamani in udienza in Vaticano. Il servizio di Debora Donnini

“Il desiderio di comprendere l’universo, creato da Dio, e il nostro posto in esso, è comune a uomini e donne che vivono in contesti culturali e religiosi assai differenti”. Nel discorso ai partecipanti al Corso estivo provenienti da vari Paesi – circa 45 le persone presenti fra professori e alunni – Francesco parte proprio dalla costatazione della meraviglia del cosmo: è, infatti, un desiderio che unisce gli uomini quello di “scoprire la verità su come opera questo meraviglioso universo, avvicinandoci sempre di più al suo Creatore”.

L’accesso all’acqua pura è un problema di giustizia
Quindi, il Papa rileva come sia provvidenziale che la 15.ma Scuola estiva si occupi proprio dello studio dell’acqua nel sistema solare e altrove:

“Dai più piccoli fiocchi di neve alle grandi cascate, dai laghi e dai fiumi agli immensi oceani, l’acqua ci affascina con la sua potenza e al tempo stesso con la sua umiltà. Le grandi civiltà ebbero inizio lungo i fiumi e anche oggi l’accesso all’acqua pura è un problema di giustizia per il genere umano, ricchi e poveri”.

L’impegno dello scienziato e l’augurio di coltivare la gioia
Centoventicinque anni fa, nel 1891, Papa Leone XIII fondò l’Osservatorio vaticano anche per confermare “quanto la chiesa fosse amica della ‘vera e fondata scienza, sia umana che divina’”. E negli anni – nota Francesco – l'istituzione si è sforzata di realizzare queste finalità, avvalendosi di nuovi strumenti come anche del dialogo con altri centri di ricerca.

Più in generale, il lavoro dello scienziato richiede un grande impegno che può essere anche lungo e faticoso ma, dice Francesco, “dovrebbe essere una sorgente di gioia”:

“Vi auguro di saper coltivare in voi questa gioia, che anima il vostro lavoro scientifico e che è la ragione per cui non potete fare a meno di condividerla con i vostri amici, le vostre famiglie, le vostre nazioni, come pure con la comunità internazionale degli scienziati con i quali lavorate. Vi auguro di sperimentare sempre la gioia della ricerca e del condividerne i frutti, con umiltà e fraternità”.

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Card. Stella membro della Pontificia Commissione dello Stato Vaticano

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per Vescovi, il cardinale Anthony Olobunmi Okogie, arcivescovo emerito di Lagos in Nigeria, il segretario generale di Caritas Internationalis, Michel Roy, la signora Lidia Guerreo.

Il Papa ha nominato membro della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero.

Il Pontefice ha nominato consultore del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace il dott. Juan Grabois, cofondatore del Movimento dei Lavoratori Esclusi e della Confederazione dell'Economia Popolare, docente di Teoria dello Stato e di Pratica Professionale rispettivamente presso l'Università di Buenos Aires e l'Università Cattolica Argentina.

In Slovacchia, Francesco ha nominato ausiliare di Košice il sacerdote Marek Forgáč, finora vicedecano della Facoltà Teologica di Košice e direttore spirituale del Centro Pastorale Universitario. Il neo presule è nato il 21 gennaio 1974 a Košice. Dopo gli studi di Teologia e la preparazione al sacerdozio presso il Seminario a Spisske Podhradie (diocesi di Spiš) e dopo il servizio militare, è stato ordinato sacerdote il 19 giugno 1999 ed incardinato nell’arcidiocesi di Košice. Negli anni 1999-2002 ha lavorato in tre parrocchie come Vicario Parrocchiale a Košice e poi gli è stata affidata la Pastorale giovanile nel Centro Pastorale Universitario (2002-2004). Ha studiato Psicologia presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma (2004-2007). Dopo il suo rientro nel Paese, di nuovo è stato incaricato della pastorale universitaria, e contemporaneamente ha cominciato ad insegnare alla Facoltà Teologica a Košice.     Nel 2015 ha ottenuto il titolo di Docente.     Attualmente, dal 2007 è Direttore Spirituale del Centro Pastorale Universitario e dal 2011 Vicedecano per la Scienza e per gli Studi dei dottorandi della Facoltà Teologica a Košice.

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Card. Hummes inviato del Papa a Congresso eucaristico in Brasile

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Il Santo Padre ha nominato il cardinale Cláudio Hummes, arcivescovo emerito di São Paulo e prefetto emerito della Congregazione per il Clero, come suo inviato speciale al XVII Congresso Eucaristico Nazionale del Brasile, che sarà celebrato nella città di Belém dal 15 al 21 agosto 2016.

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Pellegrinaggio Macerata-Loreto. Attesa per la telefonata del Papa

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Da 38 anni, prima centinaia, oggi migliaia, di persone si mettono in cammino per una notte da Macerata a Loreto per un pellegrinaggio che quest’anno ha per tema “Tu sei unico”.  Partenza stasera, da Macerata dopo la Messa, con l’arrivo domani mattina alla Basilica della Santa Casa di Loreto, dopo un cammino di quasi 30 chilometri. Ospiti d’eccezione, per questa edizione, un gruppo di detenuti del carcere di Padova, ma anche padre Ibrahim, parroco della città martire siriana Aleppo. Federico Piana ha intervistato Carlo Camoranesi, direttore dell’Ufficio Stampa del cammino: 

R. – Alle ore 20 ci sarà il saluto del direttore del pellegrinaggio, seguito dalla Santa Messa che sarà officiata, dopo le 20.30, dal cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona e Osimo. Finita la Santa Messa, inizierà il cammino di notte, inframmezzato da canti, dalla recita del Rosario, da preghiere, da momenti di riflessione e da testimonianze. Questo cammino, di 30 km, ci porterà intorno alle 6 a vedere, bellissima, molto suggestiva,  l’immagine della Santa Casa di Loreto, che dà quel senso di attesa ma anche di speranza, alle persone che hanno camminato durante la notte, portando dentro di sé un’intenzione di preghiera. Sono tantissime le intenzioni che arrivano: centinaia e centinaia al giorno, non verranno probabilmente menzionate tutte, durante la notte, ma verranno portate anche nei bigliettini che saranno poi bruciati nei bracieri che sono sul sagrato della Basilica di Loreto.

D. –  E’ atteso anche un messaggio di Papa Francesco …

R. – Sì,  sono due anni che il Papa ci fa la sorpresa di una diretta telefonica. Papa Francesco è molto legato a questo pellegrinaggio. Proprio mercoledì scorso, all’udienza, ha detto: “Sicuramente sabato sarò con voi, non solo spiritualmente”. Quindi, c’è questa bellissima attesa di sentire le parole del Papa, suppongo prima della Santa Messa di questa sera.

D. – Arriviamo al tema: “Tu sei unico”. Un tema che apre alla speranza …

R. – E’ un tema bellissimo: “Tu sei unico”. Praticamente nasce da una frase che è stata pronunciata dal Papa rivolta a un pellegrino in Piazza San Pietro. Aveva visto il Papa che si avvicinava e ha detto: “Francesco, tu sei unico!”. Il Papa subito ha risposto: “Sei tu, a essere unico!”, per come sei, praticamente. Ecco, noi abbiamo bisogno di essere raggiunti da questo sguardo, dallo sguardo che il Papa ha dato a questo pellegrino. Ora, in questo momento, è uno sguardo, una presenza, che si deve mostrare a me e questo è grande, anche per le persone che in questa società vengono messe un po’ ai margini . Penso ai carcerati, questa sera e questa notte sentiremo le testimonianze di un gruppo di detenuti che viene da Padova, sono protagonisti, sono centrali, ma per se stessi, per come sono loro! Questo è grande. Il messaggio del Papa e che noi abbiamo subito rilanciato come tema di questo pellegrinaggio.

D. – Si torna cambiati dal pellegrinaggio Macerata-Loreto?

R. – Sicuramente, sì. Sinceramente, è bello sentire la domenica mattina la gente, magari affaticata, sofferente, dire: “Adesso ci penserò”. Due giorni dopo arrivano e-mail o sms: “Quando fate il prossimo pellegrinaggio? Sono pronto a invitare un mio amico, sono pronto a invitare la mia famiglia”, perché in quella notte è come se si rivivesse tutta la propria vita. Il pellegrinaggio è un po’ il paradigma della vita per cui uno ha la possibilità di guardare dentro se stesso e di capire quello che conta, quello che gli sta a cuore e per forza di cose, vivendo una cosa bella, così affascinante c’è il desiderio di riviverla e di  proporla agli altri.

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Beatificato a Vercelli il sacerdote diocesano don Giacomo Abbondo

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È stato beatificato questa mattina, nella Cattedrale di Vercelli, don Giacomo Abbondo, sacerdote diocesano originario di Tronzano, paese in cui fu parroco per oltre trent’anni. In rappresentanza di Papa Francesco, c’era il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato che ha presieduto la Messa. Ascoltiamo il servizio di Marina Tomarro: 

Un pastore secondo il cuore di Cristo, interamente dedito alla parrocchia, alle anime, alla Chiesa: questo è stato, dal 1757 al 1788, don Giacomo Abbondo parroco di Trozzano nel cuore del vercellese. E proprio in quegli anni non facili per la Chiesa, egli seppe rispondere con sapienza e fortezza a una triplice sfida. Contrastò l'illuminismo, armonizzando fede e ragione e mettendo al centro della sua pastorale l'annuncio della Parola di Dio. Si oppose, al rigorismo del giansenismo, favorendo la frequenza ai sacramenti e incentivando le devozioni popolari, e infine contrastò la diffusione del gallicanesimo, manifestando una speciale venerazione per il Papa e vivendo in piena fedeltà al magistero pontificio. La riflessione del cardinale Angelo Amato:

"Cito solo un episodio. 'Qui è ignoto il nome di vacanza': con questa dichiarazione Don Abbondo rinunciò all'usanza vercellese di sospendere la predicazione nei mesi estivi a causa del clima afoso insopportabile. Di conseguenza continuò anche durante l'estate il suo impegno per la catechesi, l'omelia, l'istruzione religiosa. Durante i rigidi mesi invernali percorreva a cavallo le fangose strade di campagna per raggiungere le cascine più lontane e fare l'istruzione religiosa".

E La carità è stata il fulcro della vita sacerdotale del nuovo beato.  Educava i piccoli al Vangelo, con la pratica delle virtù per contrastare l'insorgere dei vizi. Grande il suo impegno  nell'aiuto ai poveri, agli ammalati, ai carcerati. Si accertava personalmente delle condizioni degli indigenti, soprattutto di quelli che si vergognavano di  fare la richiesta di sussidio. La casa parrocchiale era aperta all'ospitalità di sacerdoti e religiosi impegnati in cura d'anime. Nel suo testamento lasciò tutto alla parrocchia di Tronzano, e ai poveri. Ma qual è il messaggio che ci trasmette oggi il beato Giacomo Abbondo.  Ascoltiamo ancora il cardinale Amato:

"Don Giacomo ci esorta a imitare San Paolo quando diceva: 'Non è per me un vanto predicare il Vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo'. E poi ancora: 'Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro".

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Fatima, Congresso eucaristico. Piero Marini: Messa è misericordia

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Chi vive l’Eucaristia fa un’esperienza di misericordia. Ha un’impronta giubilare il Congresso eucaristico nazionale del Portogallo, che si conclude domani a Fatima. Sul rapporto tra l’Eucaristia e misericordia è intervenuto ieri pomeriggio nella città mariana mons. Piero Marini, presidente del Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici internazionali. Il presule ne parla al microfono di Alessandro De Carolis

R. – L’Eucaristia non è una dottrina, è una esperienza. Cioè, partecipare all’Eucaristia, soprattutto la domenica, significa prima di tutto fare esperienza di misericordia e questa esperienza di misericordia la troviamo subito, all’inizio della Messa, quando noi – appena riuniti insieme – domandiamo al Signore: “Kyrie eleison”, Signore, abbi pietà di noi. Un altro momento forte di misericordia è la Parola di Dio, perché quando noi ascoltiamo la Parola, queste parole se sono accolte da noi in vista di un rinnovamento della vita diventano parole di misericordia e di perdono: “I tuoi peccati ti sono perdonati”. E poi, non è solo un’esperienza di incontro con il Signore misericordioso, ma è anche una esperienza di un cammino che ha necessità della nostra conversione.

D. – In uno degli appelli di Fatima – quella sorta di catechismo di Suor Lucia nato dalle apparizioni – si afferma: “Prendete e bevete il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo orribilmente oltraggiato dagli uomini ingrati, riparate i loro delitti e consolate il vostro Dio”. Cento anni dopo, come risuonano in lei, queste parole?

R. – Io direi che il messaggio di Fatima, prima di tutto, è un messaggio di conversione. Per capire la conversione che vuole da noi Fatima, non c’è altro che ritornare al Vangelo. Questo messaggio sulla riparazione è un po’ un messaggio che si è trascinato per tutto il 1800, in quanto il 1800 è stato una reazione dei cattolici contro la Rivoluzione francese, contro i poteri del tempo che erano tutti di origine massonica e quindi contro al Chiesa. E allora, la reazione dei cattolici, di fronte agli eventi così disastrosi della Rivoluzione francese, pensò alla riparazione. C’è un potere superiore che è quello di Cristo e allora ecco “Cristo Re”, che viene poi proclamato come festa proprio all’inizio del 1900, periodo di Fatima… Quindi, io vedrei questo messaggio di Fatima nel contesto storico in cui è nato e si è manifestato, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

D. – Dal punto di vista della sua esperienza, del suo osservatorio internazionale direi, come definirebbe il rapporto dei cristiani di oggi con l’Eucaristia?

R. – I cristiani di oggi, attraverso il Concilio Vaticano II, attraverso la riforma liturgica hanno riscoperto che la liturgia è il culmine e la fonte della loro vita. Se noi vogliamo essere cristiani, lo dimostriamo andando a Messa la domenica, e come partecipiamo alla domenica, come usciamo dalla Messa domenicale trasformati dal Corpo di Cristo che abbiamo ricevuto, e come testimoniamo questa nostra fede in mezzo al mondo.

D. – C’è un’esperienza particolare, vissuta durante i Congressi eucaristici in giro per il mondo, che lei porta nel cuore in modo speciale?

R. – Io ho partecipato a vari Congressi eucaristici e in tutti i Congressi eucaristici c’è sempre un momento particolare di commozione. Ricordo, per esempio, a Dublino, quando si è celebrato il Sacramento della unzione degli infermi: io non me la sono sentita di andare a ricevere il Sacramento dell’unzione degli infermi perché è il sacramento di una malattia grave, ma ho visto alcuni miei confratelli vescovi che si sono avvicinati al sacerdote per farsi ungere. E’ stato un esempio che mi ha fatto molto riflettere. Oppure, a Cebu, nella testimonianza di questa signora che era stata una bambina di strada, che andava a frugare nei cassonetti, e che poi è stata salvata da una famiglia, ha studiato all’università e ora ha organizzato un’associazione che si occupa di queste migliaia di bambini senza famiglia che ancora oggi popolano le città, le megalopoli delle Filippine. Penso sia stata una delle testimonianze che ha toccato di più il cuore di tutti.

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Tomasi: dicastero Giustizia e Pace è servizio non ministero

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In vista del suo 50.mo anniversario di fondazione, che cade nel 2017, il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace ha radunato a Roma il 9 e 10 giugno scorsi i rappresentanti regionali dei Comitati giustizia e pace dei cinque continenti. Un'occasione per fare il punto sulle nuove sfide che la Chiesa deve affrontare, come spiega l'arcivescovo Silvano Maria Tomasi, membro del dicastero "Justitia et Pax", al microfono di Fabio Colagrande

R. – Al Pontificio Consiglio di Giustizia e Pace stiamo preparando il 50.mo dalla fondazione di questa struttura della Curia Romana, uno dei frutti importanti del Concilio Vaticano II. Per studiare come sottolineare e celebrare questo anniversario, il Consiglio ha convocato i rappresentanti regionali delle Commissioni giustizia e pace delle varie parti del mondo.

D. – Quali sfide sono emerse tra le più attuali proprio sulle tematiche della giustizia e della pace anche alla luce del Magistero di Benedetto XVI e ora di quello di Papa Francesco?

R. – È chiaro che la Dottrina sociale della Chiesa continua a evolvere per dare risposte adeguate in base ai principi fondamentali che vengono dal Vangelo, alle nuove situazioni politiche, all’avanzamento della tecnologia e allo sviluppo delle varie situazioni che si presentano. Nello scambio di vedute, si è avuto un pò il polso di come le Chiese locali sentano le priorità del momento. L’impatto delle Lettere, delle Encicliche – Caritas in Veritate, per esempio, e Laudato si’ – hanno dato una spinta in avanti alla Dottina sociale della Chiesa che ha portato una riflessione sull’economia contemporanea e sull’ambiente. Quindi, questi due temi – la crisi dell’economia e della funzione dell’economia al servizio della persona e non del profitto e l’attenzione alla Creazione come dono di Dio che deve essere gestito in maniera corretta – sono tra i temi in questo momento stanno occupando tante chiese locali. Però, ci sono anche altre preoccupazioni. Ad esempio, i rappresentati delle Commissioni per la giustizia e la pace dell’Europa si sono focalizzati molto sull’immigrazione massiccia che sta creando delle reazioni diversificate di paura oppure di un po’ di speranza da parte di una minoranza. Questo e le persistenti ineguaglianze, che continuano a essere evidenti specialmente per i giovani che fanno fatica a trovare la lavoro, sono tra i temi che sono stati discussi e valutati. Adesso, diventeranno una piccola base su cui fare avanzare la riflessione dottinale, ma soprattutto cercare di suggerire delle soluzioni operative.

D. – Il 50.mo del Dicastero Giustizia e Pace che verrà celebrato il prossimo anno è occasione anche per rivedere la missione di questo dicastero, aggiornarla, anche alla luce della riforma della Curia che è in svolgimento. Da questo punto di vista, quali punti sono emersi da questo incontro?

R. – La celebrazione di un anniversario in questo caso non è tanto la celebrazione di una struttura quanto di un servizio, di un ministero nella Chiesa, dell’intuizione avuta dal Concilio Vaticano II. Dall’importanza di dialogare con il mondo contemporaneo c’è questa sintonia e questa convergenza di attenzione verso la realtà che le persone vivono quotidianamente. Di questo abbiamo una grande testimonianza nel ministero petrino di Papa Francesco che vuole eliminare frontiere, vuole che ci sia un’inclusività nell’approccio della vita sociale, cioè che tutti possano partecipare al bene comune. Nel frattempo, si deve pensare che vari Consigli verranno accorpati e che quindi oggi che c’è un’enfasi in particolare sulle relazioni che esistono tra le varie situazioni. Per esempio, non si può parlare di rifugiati senza parlare di pace, non si può parlare di emigrazione senza parlare di sviluppo, non si può parlare di salute senza parlare del diritto della persona ad avere il necessario per sostenere la sua dignità. In questo contesto di interdipendenza tra le varie situazioni, la risposta che si vuole dare attraverso la riforma della Curia è appunto quella di mettere l’accento non tanto su un settore o l’altro dell’attività umana, delle difficoltà e delle crisi contemporanee, ma di rispondere in maniera integrale, comprensiva, far convergere i talenti, le expertise di tutti per essere più efficaci nel servire la famiglia umana oggi.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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La pastorale dell'orecchio: al convegno promosso dalla Cei sulle persone disabili il Papa raccomanda l'accoglienza e l'ascolto di tutti.

Pasquale Chessa sull'ecologia della bellezza: conversazioni sulla "Laudato sì" a un anno dalla promulgazione.

Paolo Vian su Giansenio in Biblioteca Vaticana: Giovanni Gaetano Bottari, Pierfrancesco Foggini e dintorni.

Arma a doppio taglio: Maurio Magatti sulle religioni nell'era della globalizzazione.

Ricercare Dio in ogni creatura: Cristiana Dobner su Maria Campiello tra preghiera e povertà.

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Oggi in Primo Piano



Libia: le forze lealiste liberano il porto di Sirte dall'Is

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In Libia le forze leali al governo di Tripoli continuano l'Operazione 'Al-Bunyan Al-Marsoos' su Sirte, roccaforte del sedicente Stato Islamico. Dopo l'annuncio della riconquista del  porto della città, sono stati effettuati "sei" raid aerei contro altri obiettivi dell'Is. Secondo quanto riportato dal Libya Observer, il portavoce dell'Operazione, Mohammed Al-Ghasri ha affermato che i "raid aerei delle forze libiche hanno colpito i terroristi e i loro  mezzi nei pressi della rotonda di Buhadi e nelle zone limitrofe". Sarebbero 250 i jihadisti uccisi nei combattimenti iniziati 10 giorni fa per strappare la città dal controllo dei miliziani. Sulla situazione  nella città natale di Gheddafi, Elvira Ragosta ha intervistato Gabriele Iacovino, analista del Cesi (Centro studi internazionali): 

R. - La situazione è ancora fluida, anche se la vittoria delle milizie di Misurata e la presa del porto di Sirte da parte di queste milizie, è un risultato importante contro lo Stato Islamico, il quale dimostra tutte le sue difficoltà in questo momento, soprattutto in Libia, laddove fortunatamente non è riuscito a prendere in profondità il controllo di un territorio, che comunque continua a essere sotto una situazione anarchica.

D. - Si parla di miliziani in fuga verso Sud, altri sarebbero ancora sotto assedio in città. Che cosa sappiamo di questa ritirata? Dove e come fuggono i miliziani dell’Is?

R. - In questo momento c’è una rotta dei miliziani dello Stato Islamico soprattutto nelle zone dell’entroterra, laddove una parte del Califfato in Libia proveniva da quelle tribù, che hanno la propria base nell’entroterra a Sud di Sirte e che di fatto erano un po’ la spina dorsale del vecchio regime di Gheddafi. Un’altra parte del gruppo è ancora a Sirte; la battaglia potrebbe - purtroppo - essere ancora lunga, ma di fatto potrebbe essere un nuovo importante segnale per il futuro della Libia.

D. - I miliziani però non sono solo libici che hanno giurato fedeltà ad al Baghdadi, ci sono anche foreign fighters. C’è il rischio che ora occupino altre città, che continuino a combattere altrove?

R. - Il rischio c’è, però è abbastanza circoscritto, anche perché lo Stato Islamico in Libia ha potuto prendere il controllo di Sirte in forza di un accordo con le tribù locali. Le stesse tribù locali, che prima sostenevano Gheddafi, avevano fatto un accordo con l'Is in nome di una lotta comune contro un nemico che è di fatto sia il governo di Tripoli, sia Haftar – prima era il governo di Bengasi - che è un po’ il simbolo del potere alternativo a quello di Sarraj a Tripoli.

D. - A proposito di sostegno, chi ha sostenuto questi miliziani dal punto di vista economico, militare, strategico e su che tipo di aiuti possono contare oggi?

R. - Si sono “autofinanziati”, cercando di costruire quella struttura politica ed economica che lo Stato Islamico ha creato in Siria e in Iraq, quindi prendere il possesso delle strutture produttive di alcune strutture petrolifere, così da cercare un guadagno e gestire questi introiti. Per ora, fortunatamente, questo modello in Libia non si è strutturato e così le risorse dell'Is sono state limitare anche grazie all’appoggio di una rete di finanziamento internazionale – molto probabilmente proveniente anche dalla capitale dello Stato Islamico in Siria, Raqqa –, ma fortunatamente di fatto lo sviluppo del network del Daesh in Libia è stato comunque circoscritto.

D. - Abbiamo parlato della situazione a Sirte: bombardamenti ci sono stati anche a Derna da parte dell’esercito del generale Haftar, ma ci sono altre cellule dormienti in altre zone del Paese?

R. - La zona più difficile da controllare è quella al confine con la Tunisia, non tanto per una realtà endogena del Daesh alla Libia, ma più che altro perché, vista la situazione di poco controllo in Libia da parte delle autorità locali, i miliziani jihadisti tunisini trovano nella regione al confine tra Tunisia e Libia uno spazio di azione. Quella potrebbe essere una nuova zona di focolaio, di instabilità, ma è più legata alla situazione tunisina che a quella libica.

D. - Dunque, si può dire che l’Is non è più un problema per la sicurezza della Libia o è ancora troppo presto?

R. - È ancora troppo presto, perché, aldilà del network dello Stato Islamico che, volente o nolente, diventa poi il principale motivo di attenzione della situazione di sicurezza del Paese, di fatto la Libia rimane vittima di varie dinamiche anche legate al panorama jihadista internazionale. Pensiamo a tutto quello che è stato Ansar al-Sharia, il gruppo che di fatto ha portato alla morte dell’ambasciatore americano Stevens a Bengasi quattro anni fa. Le dinamiche sono per adesso sotto traccia, però vanno avanti. Quindi altri network jihadisti, legati al mondo del jihadismo globale, possono andarsi a inserire in uno scenario, quello libico, che rimane ancora molto instabile.

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Violenza sulle donne: il governo stanzia 12 milioni di euro

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Donne ancora vittime di omicidio in Italia. Dopo l’assassinio di Sara Di Pietrantonio, bruciata a Roma nella sua auto, due donne in pochi giorni hanno perso la vita: una a Pordenone, uccisa con quattro colpi di pistola dal suo ex-fidanzato, l’altra ieri, una cittadina slovena gettata in una discarica in provincia di Trieste. Per affrontare la situazione, il ministro con delega alla Pari opportunità, Maria Elena Boschi, ha annunciato lo stanziamento di 12 milioni di euro per la prevenzione  lae sensibilizzazione. Sulla necessità di ulteriore tutele, anche giuridiche, verso le donne che subiscono violenze, Michele Raviart ha intervistato Anna Costanza Baldry, psicologa e criminologa, da 25 anni impegnata sul tema: 

R. – Le tutele giuridiche ci sono. Noi, tutto sommato, abbiamo, dal punto di vista del Codice penale, della procedura penale, una volta che accadono i fatti, gli strumenti. Quello che manca però, dal momento in cui l’azione viene denunciata da parte della vittima, è la tempestività. Pensi, per esempio, a quei casi di omicidio che sono seguiti a precedenti violenze. Il problema, quindi, non è tanto la legge scritta – se c’è o non c’è – è la sua tempestività nell’applicazione.  

D. – Perché ci sono dei rischi per le donne che chiedono aiuto?

R. – Il momento in cui la vittima chiede aiuto, al centro antiviolenza, alle forze dell’ordine, non significa aver concluso poi un percorso. Ed è questo il motivo per cui, molto spesso, non lo proseguono, perché sanno, temono, dopo la denuncia, di essere esposte a un pericolo maggiore, poiché dall’altra parte si ha a che fare con uomini che spesso, di fronte ad una richiesta di aiuto, vogliono ancor più mettere in atto strategie, azioni, volte ad annullare la persona che sta chiedendo aiuto, per ristabilire ancora di più non solo il controllo, ma l’isolamento.

D. – Quello che è stato fatto finora in Italia per tutelare le donne dalle violenze è sufficiente?

R. – Ciò che è stato fatto in Italia è necessario, ma non sufficiente. Una legge da sola non cambia la cultura di secoli. Prova ne è che, se noi guardiamo agli ultimi quindici anni, l’andamento delle donne uccise in Italia è lo stesso. Si parla quindi di un centinaio – un anno sono 90, un anno sono 120 – di donne uccise all’interno di relazioni intime, a fronte invece di una diminuzione – questo già negli anni ’70, ’80, ’90 – degli omicidi in generale. Quello che manca è una azione sistematica, che coinvolga tutti, istituzioni e non, di contrasto alla violenza.

D. – Sarebbe utile l’istituzione di nuovi reati, come già è stato fatto per esempio con lo stalking?

R. – Non è il deterrente penale ciò che farà la differenza, perché molti di questi si suicidano o si costituiscono. Dobbiamo capire che gli uomini, quando arrivano ad uccidere, hanno rotto ogni argine dell’umanità, dell’empatia, della civiltà e non sarà un “guarda, ti fai quattro anni in più” a fargli dire: “Sai cosa? Non uccido!” Non pensiamo che sia un’emergenza. Un’emergenza può portare a farcene parlare, però poi ci deve essere un impegno anche politico, di investimento e di prevenzione. Sapete quanto costa la violenza? E’ stata stimata in milioni. Sapete quanto incide sul prodotto interno lordo?

D.- E’, quindi, giusto parlare di femminicidio?

R. – E’ bene parlare di femminicidio, perché rileva quella che è la matrice di questi reati, cioè il fatto che siano donne uccise per il loro genere, ritenute meno di una bestia, per certi aspetti. Tra l’altro, il nostro codice penale già prevede che se ad essere uccisa è una persona appartenente al nucleo familiare ci sia l’aggravante. Quello che c’è da dire è che non bisogna introdurre nuove norme, ma che bisogna interpretare non con troppa discrezionalità o con schemi mentali, proprio quelli che sono gli elementi, perché si rischia – e così è, avendo io fatto la disanima di 500 casi di donne uccise – che le pene erogate a fronte di casi simili siano diverse.

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Milano: in mostra i "Frutti del carcere", lavori dei detenuti

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L’associazione di promozione sociale “Per i diritti” organizza oggi a Milano, alla Loggia dei Mercanti “I frutti del Carcere”, un’esposizione di progetti lavorativi prodotti all’interno degli istituti penitenziari. A testimonianza del fatto che il lavoro fatto dentro le mura carcerarie è estremamente collegato a ciò che sta fuori. Al microfono di Valentina Onori, Lucia Castellano, dirigente generale dell’esecuzione penale esterna spiega l’importanza di costruire ponti tra le due realtà: 

R. – Questa è una straordinaria occasione di mostrare alla cittadinanza, peraltro in un posto simbolico, presso la Loggia dei Mercanti, quello che nella Milano antica era il posto del commercio, quello che il carcere offre ponendosi come risorsa, non soltanto come luogo di segregazione. È ben evidente che, se il detenuto si sente una risorsa, pur sempre punito, perché chiaramente la sanzione c’è, ma se si sente attivo, responsabile, quando esce il tasso di recidiva diminuisce. Tutto il nostro Paese dovrebbe riconoscere che all’interno del carcere ci sono 55.000 persone che sono in grado di produrre e di essere attive, anche se hanno commesso un reato e vanno sanzionate. Un altro passo importante che la sentenza Torreggiani (la Corte europea dei diritti umani, con la sentenza Torreggiani, nel 2013,  ha condannato  l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani ndr) ci ha insegnato, è quello di evitare di pensare al carcere come alla prima delle risposte punitive. Dobbiamo essere in grado, invece, di imparare e di cambiare la logica; ma questa è una logica che pervade in maniera imperante la nostra cultura, delle persone che sono fuori, che hanno sete di carcere, di punizione carceraria. Quando capiremo che è costosa, criminogena ed inutile, forse allora riusciremo a cambiare cultura. Ma la mia non è una forma di buonismo o di depenalizzazione, tutt’altro.

D. –  Secondo la sua esperienza, ci sono modi per evitare o ridurre il rischio di reato?

R. – La scuola dovrebbe fare molto proprio per cercare di bonificare dei terreni di cultura dove invece il crimine attecchisce molto facilmente. Anche qui il carcere non può essere considerato a sé, ma in un contesto. Su questo, per esempio, una cosa importantissima che noi abbiamo provato quando ero nel carcere di Bollate, è far fare prevenzione agli stessi detenuti, che possono insegnare ai ragazzi, e soprattutto a quelli più giovani, quanto sia facile entrare in carcere.

D. – Quanto è conosciuta realmente la realtà carceraria, e quali sono le barriere che ancora esistono tra i due mondi?

R. – Le barriere sono tantissime. Prima di tutto, la realtà carceraria è sempre conosciuta come qualcosa che noi non vogliamo vedere, e che spingiamo fuori dalle nostre città. Poi ci sono delle barriere dettate dalla stessa cultura dell’amministrazione penitenziaria, che è assolutamente autoreferenziale: pensiamo di avere un potere anche su tutti gli altri operatori che lavorano con il detenuto, e non capiamo che per esempio l’insegnante, così come il servizio per le tossicodipendenze, devono lavorare con noi a pari titolo. Occorre capire che si è un’istituzione al servizio sia dell’utenza detenuta che di quella libera, alla quale si chiede di abbattere la recidiva, di adeguare i propri tempi a quelli dell’esterno.

D. – Quanto sono utili queste attività che mostrano le tensioni e le attese dei detenuti?

R. – Sono fondamentali, purché non siano “carcerizzate”. Per esempio: “Cesare deve morire” è un bellissimo pezzo cinematografico, in cui c’è un livello di qualità espresso dal carcere. Il punto è che, veramente, il carcere riesca a produrre delle opere di qualità, non importa che cosa, poiché l’autoreferenzialità del carcere ha sempre prodotto i cosiddetti “lavoretti". Il carcere deve insegnare loro che possono stare sul mercato solo essendo competitivi ecco, questa è una cosa che bisogna imparare. I detenuti possono avere delle occasioni, come tutti noi all’esterno o l’occasione la sai sfruttare per diventare professionista o il mercato ti sputa fuori.

D. – Lei è stata direttore del carcere di Bollate per molto tempo, ma anche di altri istituti penitenziari: che esperienza è stata e cosa le ha insegnato?

R. – Sono stati per me una scuola di vita, oltre che un grande lavoro. Sono stata molto contenta. Sono però anche contenta di esserne uscita, perché 20 anni dentro un’istituzione tale diventa veramente difficile. Però mi ha insegnato ad essere profondamente laica, a considerare sempre l’uomo nella sua complessità. E nella sua complessità l’uomo è fatto di tante cose: non è il suo reato, così come il malato non è la sua malattia. Il detenuto è una persona che ha commesso un reato. E poi gli rimangono delle cose belle e delle altre brutte, come tutte le altre persone.

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Il commento di don Gianvito Sanfilippo al Vangelo della Domenica

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Nella undicesima domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù, pranzando nella casa di un fariseo, si lascia lavare e baciare i piedi da una peccatrice. Gesù guardando la donna e rivolgendosi al fariseo che riprova il suo gesto afferma:

“Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

“La gratitudine e la riconoscenza a Dio sgorgano nell’anima di chi ha gustato il suo Amore e trasformano radicalmente il modo di vivere di chi è perdonato, com’è accaduto alla donna che, nel Vangelo odierno, bacia i piedi di Gesù. Ma tale esperienza non è né automatica né immediata, richiede un cammino che coinvolge la nostra libertà e l’agire della Chiesa. È necessario, infatti, previamente, il pentimento e l’ammissione  del male commesso, e, ancor prima, la percezione delle proprie mancanze. Fondamentale è il ruolo della profezia che illumina il cuore e dà consapevolezza della colpa, come avvenne al Re Davide che avvertì le iniquità commesse solo quando il profeta Natan gliele denunciò con franchezza. Questa franchezza profetica è importante, oggi, per l’evangelizzazione, nessuno in effetti, può accogliere il Kerigma se non è aiutato a riconoscere e odiare “le proprie tenebre”, aprendosi così alla vita nello Spirito. La capacità d’illuminare il male nascosto costituisce un’opera di misericordia vera, una delle più difficili, perché il demonio si oppone al coraggio di chi annuncia, tentando quest’ultimo con il timore per il possibile rifiuto, il cosiddetto “rispetto umano”. Chiediamo al Signore di saper accogliere chi ci scomoda correggendoci, e la libertà di amare con verità ogni persona, perché la nostra misericordia non sia “pelosa” o “dolciastra”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Europei, scontri a Marsiglia. Vescovi francesi: usare il fair play

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Usare il fair play, ossia essere corretti: questo l’appello lanciato dalla Conferenza episcopale francese (Cef), in occasione dei campionati europei di calcio, che il Paese d’Oltralpe ospita da ieri al 10 luglio.

Vivere il campionato con gioia pacifica
“I vescovi e la popolazione – si legge in una nota della Cef – danno il benvenuto alle squadre di calcio giunte in Francia per disputare il campionato europeo ed augurano ai tifosi provenienti da tutti i Paesi di vivere grandi momenti di gioia pacifica”. “Nelle varie città ospitanti – continua la nota – potranno trovare Chiese accoglienti secondo la loro fede”, tanto più che “molte parrocchie hanno organizzato iniziative speciali, affinché i giovani o le persone sole possano godersi lo spettacolo” sportivo.

Sviluppare i valori sportivi della solidarietà e della comunione
Poi, la Cef sottolinea che “il campionato europeo di calcio è significativo di una volontà di sviluppare la sportività, in particolare i suoi valori della solidarietà e della comunione, di cui abbiamo così bisogno”. Un appello viene quindi lanciato ai giocatori: “Diano l’esempio, evitando qualsiasi aggressione fisica durante il gioco”, perché “un campionato europeo di calcio sarà riuscito quando non ci sarà alcun cartellino rosso” a significare l’espulsione di un giocatore scorretto.

Gli avversari diventino amici. Ma nella notte scontri a Marsiglia
Infine, rivolgendosi ai tifosi, la Cef raccomanda loro di usare il fair play: “Fraternizzate - conclude la nota episcopale - con tutti! Possano i vostri avversari diventare vostri amici”. Purtroppo, nella notte, la zona del porto antico di Marsiglia è stata ancora teatro di scontri. Decine di ultra' inglesi - in città per la sfida di stasera tra Inghilterra e Russia - hanno lanciato oggetti contundenti contro le forze dell'ordine, che hanno replicato con i lacrimogeni. (I.P.)

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In Afghanistan, forse rapita cooperante cattolica indiana

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Si chiama Judith D’Souza la giovane cooperante cattolica di origini indiane scomparsa a Kabul, in Afghanistan. La donna, 40 anni, sarebbe stata rapita da un gruppo di uomini non ancora identificati. La cooperante lavora per l’Agha Khan Network ed è impegnata, in particolare, ad accrescere la consapevolezza del ruolo delle donne all’interno della società afghana.

La preghiera di mons. D’Souza
Ad AsiaNews l’arcivescovo di Calcutta, mons. Thomas D’Souza, dice: “Sono profondamente addolorato per questa notizia. Preghiamo per il ritorno a casa di Judith, una persona che lavora per migliorare la vita di tante persone in difficoltà. Proprio lo scorso mese era venuta a trovare i suoi genitori. Assicuro alla famiglia le mie preghiere e tutto il nostro sostegno”. “Sappiamo - aggiunge il presule - che si sta lavorando per il ritrovamento di Judith e, oltre a dare la nostra disponibilità, per quanto possibile, per raggiungere questo obiettivo, noi preghiamo”. “Possa Judith - conclude il presule - tornare presto dai suoi familiari”.

Le attività dell’Aga Khan Network
L’Aga Khan Development Network è un gruppo di agenzie non confessionali che lavora per migliorare le condizioni di vita e le opportunità dei più poveri tra i Paesi in via di sviluppo. Fondato nel 2000, l’organismo opera nell’ambito della salute, dell’istruzione, della cultura e favorisce lo sviluppo rurale ed economico delle fasce più deboli delle società nel mondo. (I.P.)

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Cambogia: Giubileo malati con opere di misericordia

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Arriva fino in Cambogia il Giubileo dei malati e dei disabili che Papa Francesco sta celebrando in questi giorni in Vaticano. In contemporanea, infatti, il vicariato apostolico di Phnom Penh organizza numerose iniziative, tutte legate alle opere di misericordia, tra cui: visitare gli infermi, aiutare le famiglie bisognose, vivere momenti di testimonianza e di preghiera comune.

Messa e concerto speciale per i disabili
In particolare, riferisce all’agenzia Fides il vicario apostolico, mons. Olivier Schmitthaeusler, domani verrà celebrata una Santa Messa per i disabili presso i Centro Pastorale "Thmey" e nel corso della celebrazione verrà amministrato il Sacramento del Battesimo ad alcuni fedeli. Al termine della giornata, si terrà anche un concerto speciale per i malati.                   

Raccolta di riso per le famiglie bisognose
Nelle parrocchie del nord del vicariato, inoltre, si tengono visite agli ammalati e ai disabili mentali, con l'amministrazione dell'unzione degli infermi e con la distribuzione di doni. Invece, nelle parrocchie della parte sud del vicariato, dove sono presenti diversi centri per malati e disabili gestiti da cattolici e da altre ong, le famiglie cattoliche hanno promosso una speciale raccolta di riso che verrà donata in segno di solidarietà ai nuclei familiari più poveri e bisognosi, con parenti malati ed anziani.

La testimonianza dei malati di Aids
Nella Messa che verrà celebrata a Keo Phok, infine, sono previste le testimonianze di alcuni sieropositivi e malati di Aids, di bambini disabili e dei loro genitori. “Quello che ci ispira - conclude Schmitthaeusler - sono le parole di Gesù, che il Papa ha scelto come motto del Giubileo della Misericordia: siate misericordiosi come il Padre".

Un video per segnalare tutte le iniziative
Da segnalare che sul canale di You Tube “Catholiccambodia” (su Twitter #catholiccambodia), che ospita materiale informativo sulle varie attività della piccola Chiesa cambogiana, è stato caricato un video informativo su tutte le iniziative locali per il Giubileo dei malati. Il video mostra, con numerose immagini, la vicinanza della Chiesa locale alle persone affette da varie patologie, ai bambini, agli anziani. Centrali anche le foto dei Pontefici, come Giovanni Paolo II e Francesco, in visita in alcuni ospedali del mondo. Il video è visibile al link: https://www.youtube.com/watch?v=QHrqi9cVjnQ&feature=youtu.be (I.P.)

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Repubblica Dominicana: appello vescovi in difesa della famiglia

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La Chiesa cattolica dominicana ha espresso la propria preoccupazione perché il tema della famiglia non è incluso nell'ordine del giorno della 46.ma Assemblea dell'Organizzazione degli Stati Americani (Oea) che si terrà nel Paese dal 13 al 15 giugno, sul tema: "Costruzione della capacità istituzionale per lo sviluppo sostenibile in America".

Nasce Movimento pro-famiglia
Per questo, incontrando la stampa locale, mons. Victor Emilio Masalles Pere, vescovo ausiliare di Santo Domingo, ha annunciato la formazione del nuovo Movimento “Si queremos sostenibilidad" (“Vogliamo essere sostenuti”), composto da famiglie impegnate nelle parrocchie, nei sindacati, nei quartieri, presso congregazioni religiose e in tanti altri organismi della società civile. L’obiettivo del Movimento è quello di sostenere il tema e la problematica della famiglia a livello nazionale. Non solo: lo scopo, ha spiegato il presule citato dall’agenzia Fides, è riaffermare che solo con delle buone famiglie si riesce a portare avanti uno sviluppo sostenibile.

12 giugno, manifestazione davanti alla sede dell’Oea
Lamentando poi il fatto che l’ordine del giorno dell’Oea includa il tema della transessualità di genere, ma non quello della famiglia, mons. Masalles ha infine invitato tutti i fedeli a partecipare alla marcia pacifica in favore dei nuclei familiari. Il corteo sfilerà domenica 12 giugno e si concluderà dinanzi alla sede dell'Assemblea. (I.P.)

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Santiago del Cile: scultura del Crocifisso distrutta da vandali

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Una dolorosa profanazione nel corso di una manifestazione studentesca è accaduta a Santiago del Cile: alcune persone incappucciate sono entrate nella chiesa della “Gratitud National”, gestita dai Salesiani, ed hanno preso e danneggiato gravemente una scultura di Gesù Crocifisso.

L’importanza del rispetto reciproco
Un gesto che ha suscitato l’indignazione dell’arcivescovo di Santiago, il card. Ricardo Ezzati Andrello, il quale afferma in una nota: “Questo tempio mi ricorda momenti storici della vita del Paese, come ad esempio la celebrazione della preghiera per il Cile nel 1973. Oggi, da questo stesso luogo, riaffermo una preoccupazione profonda. Quella di ricostruire il dialogo e la pace nella nostra società”. “Questi fatti violenti, che purtroppo si fanno sempre più frequenti - prosegue l’arcivescovo, citato dall’agenzia Sir - evidenziano una crisi della coscienza nazionale”. Con umiltà e serenità “chiedo a coloro che stanno realizzando questo tipo di azioni di riflettere sulla necessità che esista un reciproco rispetto per tutti noi”.

Andare alle cause profonde dell’ingiustizia sociale
In secondo luogo, il card. Ezzati rivolge “un appello a tutta la comunità nazionale affinché si rifletta seriamente su quali siano le cause più profonde di questa sfiducia e di questo clima di violenza”. “Certamente - sottolinea il porporato - ci sono cause profonde, che siamo tenuti ad ascoltare e discernere. In Cile oggi ci sono situazioni d’ingiustizia sociale che non dovrebbero esistere”.

Solidarietà e ricerca del bene comune
“Facciamo uno sforzo - conclude il card. Ezzati - per tornare a dialogare sulla nostra vita comune. Penso che dentro a uno spirito di solidarietà e ricerca del bene comune queste ingiustizie potranno essere gradualmente superate”. Dal canto loro, i parroci della città e i salesiani hanno sottolineato che serve maggiore protezione per le Chiese della città. (I.P.)

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Domani a Padova la rievocazione del Transito di Sant'Antonio

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“Video Dominum meum”, “Vedo il mio Signore”: con queste parole Sant’Antonio di Padova ha concluso, circa otto secoli fa, la sua vita terrena. Era il 1231, si trovava a Camposanpiero, in un piccolo romitorio, ed era il 13 giugno quando si sentì mancare: avendo compreso che non gli restava molto da vivere, chiese di essere portato a Padova dove desiderava morire. Fu trasportato su un carro agricolo trainato da buoi e si spense nel convento di Arcella; aveva 36 anni. A ricordare l’evento domenica sera nella cittadina veneta, alle 20.30, sarà il “Transito di Sant’Antonio”, rievocazione storica con oltre 200 figuranti.

Le scene storiche del corteo del Transito
La rievocazione partirà da piazzale Azzurri d’Italia e si articolerà in 5 scene (con 5 soste) che faranno rivivere la partenza da Camposampiero (scena 1); l’incontro con i borghigiani - popolo minuto, artigiani ecc. – (scena 2); l’incontro con un gruppo di bambini (scena 3); l’incontro con frate Vinotto, che convinse quanti accompagnavano il Santo ormai prossimo alla fine a svoltare verso il Monastero della Cella (scena 4); gli ultimi istanti di vita (scena 5) al Santuario dell’Arcella, in via Lodovico Bressan 1, popolarmente noto come Sant’Antonino, con il suggestivo e commovente omaggio di migliaia di devoti da tutto il mondo. La sacra rappresentazione, creata nel 1931 in occasione del VII Centenario della morte di Antonio, si svolge come ogni anno al tramonto della vigilia del 13 giugno e apre alle celebrazioni che la città di Padova dedica al suo Santo.

Il concerto delle campane di tutta Padova che annuncia l’inizio della festa di Sant’Antonio
Intorno alle 21.30, al termine della sfilata del corteo, ha inizio il concerto delle campane che si estenderà ai campanili di tutta Padova, vestita a festa con i drappi dell’Arciconfraternita del Santo. L’evento evoca la leggenda delle campane di Lisbona, città natale del Santo, che avrebbero suonato spontaneamente proprio nel momento in cui Antonio esalava l’ultimo respiro a Padova. Questa domenica, giorno della festa di Sant’Antonio, la grande basilica dedicata al Santo rimarrà aperta dalle ore 5.30 alle 22.30. Diverse le celebrazioni in programma; alle 11 mons. Claudio Cipolla, vescovo di Padova, presiede la Messa Pontificale, alle 18, la partenza della tradizionale Processione per le vie della città con le reliquie e la statua del Santo. (T.C.)

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Il Papa su YouTube con la redazione brasiliana di Radio Vaticana

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La redazione brasiliana della Radio Vaticana ha davanti a sé una nuova sfida: quella di trasmettere su YouTube in portoghese e in diretta i principali eventi che riguardano Papa Francesco e la Santa Sede. Per conoscere in anticipo la programmazione, basta iscriversi al canale VaticanBR. Gli appuntamenti saranno annunciati anche su Twitter e Facebook. L’iniziativa vuole rispondere alle esigenze sorte con i nuovi media, con particolare attenzione all’evangelizzazione via internet e alle reti sociali. Promuovendo la diffusione del messaggio del Papa nel più grande Paese cattolico al mondo, la redazione brasiliana della Radio Vaticana offre un punto d’incontro on line con l’informazione direttamente dalla fonte. L’interazione è una delle caratteristiche principali del nuovo mezzo: sarà quindi possibile inviare messaggi in diretta durante le trasmissioni. L’invito è a tutti i cattolici brasiliani e lusofoni a condividere e iscriversi al nuovo canale di informazione.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 163

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.