Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 30/01/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa all'udienza giubilare: cristiani siano missionari della gioia

◊  

La misericordia di Dio accoglie tutti. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’udienza generale giubilare del sabato in Piazza San Pietro, la prima dall’inizio dell’Anno Santo. Il Pontefice ha messo l’accento sulla relazione tra misericordia e missione ed ha affermato che l’atteggiamento del cristiano è di essere portatore della gioia di Cristo. Al momento dei saluti, il Papa ha levato un nuovo appello per la salvaguardia della salute dei lavoratori e la difesa della vita umana, soprattutto quella più debole. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Non stanchiamoci mai di sentire il bisogno” del perdono di Dio, “perché quando siamo deboli la sua vicinanza ci rende forti e ci permette di vivere con maggiora gioia la nostra fede”. E’ l’esortazione del Papa rivolta ai fedeli che si sono radunati in Piazza San Pietro nella prima udienza generale giubilare. Riprendendo San Giovanni Paolo II, Francesco ha sottolineato che tra la misericordia e la missione “intercorre uno stretto legame”.

Cristiani siano missionari del Vangelo e della misericordia
Come cristiani, infatti, “abbiamo la responsabilità di essere missionari del Vangelo”. La gioia dell’incontro con il Signore, ha aggiunto, deve spingerci a comunicarla:

“La gioia di questo incontro, della sua misericordia: comunicare la misericordia del Signore… Anzi, il segno concreto che abbiamo davvero incontrato Gesù e la gioia che proviamo nel comunicarlo anche gli altri. E questo non è fare proselitismo, questo è fare un dono. Io ti do quello che mi dà gioia a me!”.

La misericordia non è una consolazione privata, è dono per tutti
Incontrare Gesù, ha soggiunto, “equivale a incontrarsi con il suo amore”, un amore che ci trasforma e “ci rende capaci di trasmettere ad altri la forza che ci dona”. Ha così sottolineato che con il Battessimo diventiamo tutti “Cristofori” ovvero “portatori della gioia di Cristo, della misericordia di Cristo”:

“La  misericordia che riceviamo dal Padre non ci è data come una consolazione privata, ma ci rende strumenti affinché anche altri possano ricevere lo stesso dono. C’è una stupenda circolarità tra la misericordia e la missione. Vivere di misericordia ci rende missionari della misericordia, ed essere missionari ci permette di crescere sempre più nella misericordia di Dio”.

Dal Papa dunque l’invito a prendere sul serio l’“essere cristiani” impegnandosi “a vivere da credenti” perché, ha ribadito, solo così il Vangelo “può toccare il cuore delle persone e aprirlo a ricevere la grazia dell’amore, a ricevere questa grande misericordia di Dio che accoglie tutti”.

In preghiera per Elvira, collaboratrice a Casa Santa Marta
Francesco ha poi confidato il suo dolore per la morte, dopo una lunga malattia, di  Elvira una sua collaboratrice a Casa Santa Marta:

“Vorrei dirvi che oggi il Papa è un po’ triste perché ieri è mancata una signora che ci aiuta tanto, da anni … Anche suo marito lavora qui, con noi, in questa casa. Dopo una lunga malattia, il Signore l’ha chiamata a sé. Si chiama Elvira. E io vi invito, oggi, a fare due opere di misericordia: pregare per i defunti e consolare gli afflitti. E vi invito a pregare un’Ave Maria per la pace eterna e la gioia eterna della signora Elvira, e perché il Signore consoli suo marito e i suoi figli”.

Salvaguardare salute lavoratori, difendere vita umana
Al momento dei saluti ai pellegrini il Papa ha rivolto un pensiero speciale all’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro:

“La vostra presenza mi offre l’occasione di ribadire quanto sia importante salvaguardare la salute dei lavoratori; e difendere sempre la vita umana, dono di Dio, soprattutto quando è più debole e fragile”.

Ancora il Papa ha salutato i dirigenti e i dipendenti dell’Automobile Club d’Italia e dell’Atac di Roma, ed ha auspicato “anche un impegno sempre maggiore per ridurre l’inquinamento” ringraziando “per i servizi destinati ai pellegrini, specialmente in questo anno giubilare”. Infine, il consueto saluti ai giovani, ai malati e ai nuovi sposi ai quali ha chiesto di “assumere con impegno generoso” la propria “missione coniugale”.

inizio pagina

Gmg 2016. Card. Dziwisz: Cracovia è casa della Misericordia

◊  

Dal 26 al 31 luglio prossimi si svolgerà la 31.ma Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia, considerata il centro mondiale della devozione della Divina Misericordia. L’evento, dunque, s’inserisce a pieno titolo nell’Anno della Misericordia voluto da Papa Francesco. All’appuntamento si sono già iscritti 500mila pellegrini, ma ne sono attesi molti di più. Come stanno andando i preparativi in Polonia? Roberta Barbi ne ha parlato con l’arcivescovo di Cracovia, il cardinale Stanislaw Dziwisz: 

R. – Noi ci prepariamo a questa Giornata Mondiale da tre anni. Si può dire che dopo la Giornata di Madrid pensavamo che c’era la possibilità di svolgere qui la Giornata Mondiale. Quando l’annuncio di questo avvenimento è stato fatto a Rio de Janeiro ci siamo messi subito a lavorare. Il comitato nazionale, ma soprattutto quello di Cracovia, si sono suddivisi i compiti secondo diverse necessità, ma siamo pronti, non siamo in ritardo. Speriamo di arrivare ben preparati tecnicamente ma anche religiosamente, perché questa preparazione spirituale per noi è molto importante. In tutte le parrocchie, in tutte le comunità, ci sono gruppi di giovani impegnati per questa Giornata Mondiale, ma si devono impegnare anche tutti i giovani delle parrocchie per partecipare a questa Giornata.

D. – Per la 31.ma Giornata Mondiale della Gioventù Papa Francesco ha proposto la riflessione: “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia”. Così l’appuntamento s’inserisce direttamente nell’Anno della Misericordia che la Chiesa tutta sta vivendo…

R. – Cracovia è centro della devozione della Misericordia perché Gesù ha parlato con suor Faustina di questa devozione, ha dato a lei il messaggio per tutto il mondo. Anche Giovanni Paolo II si è impegnato per portare avanti questo messaggio della Divina Misericordia durante tutto il suo Pontificato. Ricordiamo l’Enciclica “Dives in Misericordia” e, anche oggi, questo tema ritorna in diversi discorsi e documenti. Siamo tanto grati al Papa che ha annunciato l’Anno della misericordia giubilare e che proprio in quest’anno c’è questo incontro a Cracovia, centro della devozione alla Divina Misericordia. Perché è importante? Perché il Diario di suor Faustina dice che da Cracovia si diffonderà in tutto il mondo il fuoco della Misericordia. Speriamo che i giovani vengano a prendere il fuoco della Divina Misericordia per portarlo in tutto il mondo.

D. - Ha parlato di San Giovanni Paolo II e di Santa Faustina Kowalska. I loro esempi di vita come parlano ai giovani di oggi?

R. – Questa devozione è così convincente che chi va in quei luoghi viene preso da questo messaggio. C’è questo luogo di confessione, di preghiera, di silenzio; è un santuario. Ogni anno tante persone - circa due milioni - vengono a visitarlo.

D. - Secondo lei il Giubileo dei giovani sarà uno dei punti di forza di questo Anno Santo, uno dei momenti più intensi?

R. – Certamente, per i giovani polacchi, ma anche per tutti i giovani che tornano alle fonti della fede.

D. - Non è la prima volta tra l’altro che un raduno internazionale di giovani coincide con un Anno giubilare …

R. - Bisogna vedere i segni dei tempi. Proprio adesso ci vuole questa devozione: in questi tempi in cui la pace è in pericolo, ci sono scontri e confusione nel mondo e in Europa. Il Diario di suor Faustina dice che il mondo non avrà pace se non si rivolge alla divina Misericordia.

D. - La riflessione sulla quinta beatitudine ci insegna che si è più beati nel dare che nel ricevere. Secondo la sua esperienza i giovani che parteciperanno alla Gmg, ma i giovani in generale, sentono su di loro questo sguardo di amore infinito del Signore?

R. - I giovani sono sensibili, molto sensibili. Bisogna aprire loro tutte queste belle cose, queste belle verità, la bellezza del Vangelo perché la devozione per la Divina Misericordia non è una cosa strana, proviene dalla Scrittura Sacra. Bisogna avvicinarli alle fonti della nostra fede.

D. - Questo evento cosa lascerà di particolare a Cracovia, alla sua gente ai suoi giovani?

R. - Tutto dipende dalla preparazione. Se la preparazione spirituale è buona, anche questa Giornata porterà ancora più frutti buoni, soprattutto di approfondimento della fede, impegno nella vita spirituale in Chiesa e dal punto vista morale: anche qui ci vuole uno sforzo per intensificare la vita morale e spirituale. Posso dire solo che aspettiamo i giovani di tutto il mondo: da 150 Paesi se ne sono già iscritti moltissimi, 600-700 mila. Speriamo siano ancora di più. Naturalmente negli ultimi giorni molti arriveranno senza avvisarci, a partire dai Paesi vicini, dall’Ucraina, dalla Bielorussia, anche dalla Polonia; vi invitiamo a venire in molti. Vogliamo preparare bene questa giornata. Penso che l’accoglienza da Cracovia sarà molto bella perché non solo Cracovia, ma tutta la Polonia sarà impegnata, soprattutto nella settimana precedente quando i giovani arriveranno in tutte le diocesi. Ci saranno incontri, conferenze, catechesi e quando il Papa arriverà a Cracovia tutti verranno qui per salutarlo.

inizio pagina

Udienze e nomine episcopali di Papa Francesco

◊  

Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza il card. Marc Ouellet, P.S.S., prefetto della Congregazione per i Vescovi.

A Timor Orientale, Francesco ha nominato vescovo della diocesi di Dili il rev.do P. Virgilio Do Carmo Da Silva, S.D.B., provinciale dei Salesiani nel Timor Orientale.

In Perù, il Papa ha nominato vescovo titolare di Mattiana ed ausiliare dell’arcidiocesi di Huancayo  il rev.do padre Carlos Alberto Salcedo Ojeda, O.M.I., finora vicario episcopale e parroco di “San Francisco de Asís” e di “El Señor de la Ascensión” nella medesima arcidiocesi.

inizio pagina

Nominati membri Pontificia commissione per le strutture sanitarie

◊  

Il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, in forza del mandato conferitogli da Papa Francesco, “tenendo conto che l’esigenza della creazione del nuovo organismo è sorta soprattutto in ambito italiano per cui, almeno in un primo momento, la sua attività  dovrà concentrarsi soprattutto sulla situazione italiana", ha provveduto a designare i componenti della “Pontificia Commissione per le attività del settore sanitario delle persone  giuridiche pubbliche della Chiesa”: mons. Luigi Mistò, segretario della Sezione Amministrativa della Segreteria per l’Economia e presidente del Fondo di Assistenza Sanitaria (FAS), presidente; don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale Italiana; prof. Carlo Cardia, professore di Diritto Ecclesiastico dell’Università degli Studi Roma Tre; dott.ssa Mariella Enoc, presidente del Consiglio d’Amministrazione dell’Ospedale  Pediatrico Bambino Gesù; dott. Vladi Lumina, Esperto nel settore patrimoniale: mons. Jean-Marie Mupendawatu, segretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari; dott. Enrico Zampedri, direttore generale del Policlinico Agostino Gemelli; suor M. Annunziata Remossi, O.M.V.F., officiale della Congregazione per gli  Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, segretaria.

Le nomine, informa un comunicato della Sala Stampa vaticana, hanno durata triennale. In occasione del provvedimento di nomina, il cardinale Parolin si è premurato di rammentare ai componenti della Pontificia Commissione lo scopo ad essa assegnato, di contribuire cioè “alla più efficace gestione delle attività e alla conservazione dei beni mantenendo e promuovendo il carisma dei Fondatori”.

inizio pagina

P. Spadaro: la misericordia centro della geopolitica di Francesco

◊  

“La diplomazia di Francesco. La misericordia come processo politico”. E’ il titolo di un lungo articolo di padre Antonio Spadaro sull’ultimo numero de “La Civiltà Cattolica”. Al microfono di Alessandro Gisotti, il direttore della rivista dei Gesuiti si sofferma proprio sul ruolo della misericordia nella geopolitica di Papa Francesco: 

R. – La prima cosa da verificare è che i viaggi apostolici di Papa Francesco – come egli stesso ha detto incontrando il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede – hanno avuto come filo conduttore proprio la misericordia. Quindi la misericordia di Dio si inserisce nelle vicende di questo mondo, nelle vicende della società, dei gruppi umani, delle famiglie, dei popoli, delle nazioni. Non vive solo all’interno di dinamiche personali. In estrema sintesi posso dire che la misericordia, per Francesco, in ambito politico significa non considerare mai niente e nessuno come perduto, come perso. Quindi tutto rimane possibile: la pace è sempre possibile!

D. – In un momento in cui si vivono grandi contrapposizioni, anche molto profonde, lei scrive che guardando – appunto – a Papa Francesco si vede che "la misericordia smonta la macchina narrativa dei fondamentalismi"…

R. – Sì. Di fatto Papa Francesco, davanti alle tragedie degli attentati di Parigi, ma anche della Shoah come abbiamo visto nel suo viaggio in Terra Santa, davanti a tutto questo nasce lo sgomento, non lo schieramento. Vuole smontare all’interno le macchine narrative certamente del cosiddetto Stato Islamico, ma certamente anche di posizioni che ci sono all’interno delle Chiesa e che vorrebbero avviare delle "guerre sante". Il Papa non parla mai di guerra, parla di terrorismo: il fondamentalismo è un cancro della religione, non è espressione della religione.

D. – Lei prova anche a cercare, a trovare le radici della visione bergogliana e ne emergono fuori anche delle figure: alcune che sappiamo, conosciute nel vissuto di Francesco, come il Beato Favre e Dostoevskij, ma anche altre personalità forse meno note al grande pubblico…

R. – E’ interessante e affascinante entrare nel mondo bergogliano dei riferimenti, delle letture e degli approfondimenti. La visione diplomatica di Bergoglio si è formata attraverso fonti non consuete: quindi scritti mistici, scritti letterari e scritti di un teologo come Przywara che fu maestro di Hans Urs von Balthasar. Favre certamente vede il mondo come un luogo in cui bisogna pregare per tutti, quindi indifferentemente per tutti coloro che sono implicati anche all’interno di lotte politiche. Dostoevskij squilibra la logica degli schieramenti: per lui, come scrive in “Memoria dal sottosuolo", 2 + 2 può fare 5 e quindi richiede una logica molto flessibile, molto dinamica, non rigida. Certamente Przywara è una figura forse poco nota in Italia, ma importantissima per comprendere Papa Francesco: egli postula la fine dell’epoca costantiniana, rifiutando radicalmente l’idea dell’attuazione del Regno di Dio sulla terra, che era stata poi la base del Sacro Romano Impero, e quindi tutte le forme politiche e istituzionali simili o riferibili al Sacro Romano Impero, persino in termini di partito e quindi di politiche cattoliche. La Chiesa deve essere in uscita: questa è la cifra di lettura.

D. – La misericordia, atto politico per eccellenza: qui lei ritrova anche in don Tonino Bello quasi un precursore, per alcuni aspetti, di quello che vediamo adesso con Papa Francesco…

R. – Si, perché don Tonino Bello, come Papa Francesco, ma anche tanti altri in realtà, non distinguono in maniera netta la sacrestia o il tempio da quello che è l’impegno. C’è un servizio politico che esprime una carità profonda: lo hanno detto anche i Papi e lo ha ripetuto Papa Francesco. Il suo approccio alla pace, però, non è un approccio pacifistico: la pace per Bergoglio significa agire sui quadranti più delicati della politica internazionale, ma in nome degli scarti, dei più deboli. Papa Francesco si concentra su questo e si rende conto come le tensioni del mondo nascano perché ci sono squilibri, squilibri anche e soprattutto di carattere economico. Quindi tutte le iniziative di pace di questa drammatica “terza guerra mondiale a pezzi” devono essere legate ai tempi sociali che preoccupano il Papa, perché il Papa è molto attento agli scarti.

inizio pagina

Congresso eucaristico di Cebu: testimonianza di un prete tra i poveri

◊  

Si conclude questa domenica a Cebu, nelle Filippine, il 51.mo Congresso Eucaristico Internazionale, che si è svolto sul tema “Cristo in voi, speranza della gloria” (dalla lettera di San Paolo ai Colossesi). All’evento hanno partecipato 10mila partecipanti e 8.500 delegati da 71 Paesi. Atteso un videomessaggio del Papa. Ascoltiamo padre Luciano Felloni, parroco tra i poveri nelle Filippine, è intervenuto al Congresso con una riflessione intitolata: "Lavare i piedi dei poveri: l'Eucaristia e il sacerdozio". Il nostro inviato a Cebu, Sean Lovett lo ha intervistato: 

R. – Io ho parlato del lavare i piedi come di un profondo segno di amore: non soltanto di servizio, non soltanto di abbassamento, ma di amore. Ho spiegato che quattro anni fa sono andato a prendermi cura della mia mamma, che aveva un cancro e stava per morire. Le ho dovuto lavare i piedi parecchie volte e in quel lavare i piedi alla mia mamma malata ho capito che il lavaggio dei piedi era un atto di amore del Signore. E allora sentire questo: a tutti noi poveri spiritualmente il Signore chiede di lasciarci lavare da Lui le nostre povertà, spirituali e morali. E  allora poi, come Chiesa, ci chiede di portare questo grande dono che abbiamo, di servizio e di amore profondo, alle periferie dove sono i poveri veri, la gente povera. E poi ho parlato tantissimo del fatto che sono questi poveri che fanno la Chiesa. In posti dove neanche il governo alle volte vuole andare, la polizia non riesce ad entrare, ci sono parrocchie, parrocchie con poveri, che portano avanti la fede. Il Signore è presente là grazie a loro. E come Chiesa dobbiamo continuare ad andare, a portare la grazia che abbiamo, a celebrare l’Eucarestia. Fare questo sforzo, di essere tra di loro. E allora ho parlato tantissimo dei laici, ministri dell’Eucarestia, che portano l’Eucarestia agli ammalati, alle cappelle lontane delle parrocchie, a paesini sperduti in montagna dove neanche il prete arriva. E allora mi sono detto: “Credo che ci voglia un Congresso Internazionale, per dare il loro posto a questi uomini semplici, poveri, ma che portano l’Eucarestia”.

D. - È difficile immaginare il livello, il grado di povertà, in cui lei svolge la sua missione…

R. – Gente che lavora: piccoli lavori manuali per portare avanti una famiglia di cinque, sei bambini, abitando in uno spazio piccolissimo, senza letti… La casa di famiglia fatta di cartone, pezzi di plastica… Di questa povertà parliamo: ammalarsi e non avere nessun posto dove andare a prendere una medicina o trovare un dottore… Giovani con una voglia enorme di continuare gli studi, ma che sono bloccati dalla povertà e non riescono a finire la scuola media. Ecco, questa è la povertà: gente che non ha i mezzi materiali per mangiare tre volte al giorno, e per non essere malnutrita. Questa è la povertà: delle cose che sono basiche per la vita e la dignità di un essere umano. Loro non hanno tutto questo, ma hanno invece una fede fortissima. E allora vai in queste parrocchie, in mezzo a tutta questa povertà, e vedi che la Messa è una festa: pienissima di gente, con tantissimi giovani… E ancora, il sorriso tipico filippino di fronte a questa povertà, la fede; e portano avanti la Chiesa. Allora io ho parlato di questo: la Chiesa fa l’Eucarestia e la Chiesa in queste parrocchie sono questi poveri. Sono loro, con i loro canti, ministri dell’Eucarestia. E questa gente fa l’Eucarestia, ma l’Eucarestia fa loro. A Pajatas una volta – eravamo tutti stranieri, un prete italiano, uno vietnamita e io argentino – ho detto a una donna: “Poveri voi! Dovete sopportare questi preti tutti stranieri, che non parlano bene la lingua..”. E lei mi ha detto: “Poveri no. Prima eravamo solo poveri, ma quando siete venuti e avete messo una parrocchia qui, siamo diventati Chiesa!”.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Prima udienza giubilare: in piazza San Pietro il Papa saluta i pellegrini dell'Anno Santo.

Un giorno per la famiglia: al Circo Massimo la manifestazione contro il disegno di legge sulle unioni civili.

L'anello mancante: il medievista francese, Jacques Dalarun, sul nuovo Francesco nella "Vita ritrovata" di Tommaso da Celano.

Il cuore sveglio: Maria Barbagallo sull'anno, che volge al termine, dedicato alla vita consacrata.

Gianni di Santo sulla storia del pane tra fede e cibo.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Family Day: folla imponente per chiedere il ritiro del ddl Cirinnà

◊  

Family Day a Roma: una folla imponente al Circo Massimo per chiedere il ritiro del ddl Cirinnà sulle unioni civili, che apre alle adozioni per coppie dello stesso sesso. Due milioni le persone presenti secondo il presidente del Comitato promotore Massimo Gandolfini. Una grande festa per un grande sì alla famiglia con centinaia di migliaia di bambini, nonni, genitori e persone di ogni credo e posizione politica, giunti da tutta Italia. Dal Circo Massimo il nostro inviato Paolo Ondarza

Il clima è quello della festa: già da metà mattinata, il catino del Circo Massimo si è riempito di un flusso ininterrotto di persone: papà, mamme e bimbi di ogni età, anche in carrozzina, nonni, semplici cittadini che non senza sacrifici, hanno scelto di partecipare al “Family Day”. Una piazza che è nata da una loro idea, lo abbiamo detto più volte, dal basso: se infatti la Chiesa italiana, come sottolineato nei giorni scorsi dal suo presidente, il cardinale Angelo Bagnasco, ritiene necessaria questa mobilitazione di popolo, non ne è però la promotrice. Asoltiamo la voce di una mamma:

“Siamo qui, pur se con difficoltà, affaticati, stanchi dal viaggio perché ci ha spinto la nostra responsabilità di genitori, perché in mezzo alle mille difficoltà di tutti i giorni, siamo noi i primi garanti dei diritti dei bambini e della loro educazione. L’abbiamo detto anche il 20 giugno: i genitori non vogliono delle ideologie, per i loro bambini. E oggi abbiamo il dovere di difendere la famiglia per il bene di tutti e di dire 'no' a questa legge, perché se tutto è famiglia, niente è famiglia”.

A popolare il Circo Massimo ci sono persone che hanno viaggiato tutta la notte scorsa, nei tanti pullman che oggi si vedono parcheggiati in ogni zona della capitale. Sempre per la notte, alcune famiglie romane hanno aperto le porte di casa per altre, provenienti da varie città d’Italia e giunte nella capitale. Sui volti, le occhiaie di chi ha dormito poco, ma anche la gioia di essere a Roma, per un motivo importante. Allegria e pranzo al sacco, dunque: il popolo del Circo Massimo non è contrappositivo, ma assertivo. Vuole dire il suo “sì” alla famiglia, no a un ddl Cirinnà che, assimilando le unioni omosessuali al matrimonio anche per quanto riguarda l’adozione, rischia – secondo i partecipanti al “Family Day” – di avere gravi ricadute sociali sul futuro del Paese.

Sul palco, oltre al presidente del comitato promotore “Difendiamo i nostri figli”, Massimo Gandolfini, e alle testimonianze delle famiglie, anche Jennifer Lahl, attivista americana da sempre impegnata nel denunciare lo sfruttamento del corpo della donna legato alla pratica dell’utero in affitto. La maternità surrogata, che rischia di essere legalizzata anche in Italia, infatti, secondo i dimostranti, avrà le porte aperte con la “stepchild adoption”, l’adozione del figlio del partner prevista dal ddl Cirinnà. “Non manifestiamo ‘contro’ qualcuno, ma ‘per’ ribadire che i bambini hanno bisogno di una mamma e di un papà”, spiegano i dimostranti. Tra loro ci sono anche i membri di “Agapo”, l’associazione genitori e amici di persone omosessuali. In tanti dicono: “Siamo qui a rappresentare anche i tantissimi cittadini che a Roma, oggi, non sono potuti venire”:

“Vedendo questo gran numero di genitori che sono per difendere i bambini e farsi carico della loro educazione, penso ai milioni di genitori che accompagnano a scuola ogni giorno il loro bambino e che certamente avrebbero desiderato essere qua insieme a noi. Ritengo che il mio compito, oggi, dopo la fortuna di esserci venuto, sia anche quella di rappresentarli tutti”.

Ma ascoltiamo le voci dei manifestanti raccolte da Veronica Di Benedetto Montaccini: 

“Questa piazza è una bellissima scoperta di un popolo, che si pensava morto e invece è ancora vivo!”.

“Meravigliosa! È bellissima! Si sta riempiendo sempre di più, di famiglie vere, bambini, mamme, passeggini, carrozzine… È veramente bella, è gioiosa e accogliente”.

“È simbolica, perché rappresentiamo una grandissima parte di tutta l'Italia che la pensa come noi”.

“C’è la gente che si rimbocca le maniche, che ha i figli, che è preoccupata dei problemi economici, non semplicemente per quanto riguarda la propria vita ma anche per chi dovrà vivere nel futuro. E quindi secondo me è il vero Paese”.

“Siamo qui, come dice il manifesto, in difesa della famiglia, dei bambini, del diritto dei bambini ad avere una mamma e un papà”.

“È quasi sbagliato attribuire dei valori alla famiglia. È dalla famiglia che nascono i valori, e cercare quindi di sostenerla e non di distruggerla è l’unico modo perché i valori tengano”.

“Noi siamo aperti al dialogo, cerchiamo il dialogo, vogliamo il dialogo. Parte da questa piazza, ma è già partito il 20 giugno. È sempre stato così, sempre! Non c’è mai stata contrapposizione. Chi lavora su questo è in malafede”.

“Veniamo da Catania e il vero motivo per cui siamo qui è perché difendiamo la famiglia e i nostri figli”.

“Ce l’ha chiesto prima di tutto la nostra coscienza. Secondo, ce l’hanno chiesto i nostri figli”.

“Veniamo da Milano e siamo qui perché siamo contro il Ddl Cirinnà che distorce la vera idea di matrimonio, di amore tra uomo e donna, e la sostituisce con qualcosa che è solo egoismo”.

“Io sono una nonna e difendo la famiglia con tutto il cuore”.

“Noi veniamo da Torino e siamo qui perché crediamo nella famiglia per come è”.

"Non posso non pensare ai figli, perché sono la parte più fragile, i veri deboli in questa storia".

“I bambini non sono un oggetto. Bisogna sempre tenere a mente il diritto del bambino e non il diritto al bambino”.

“Un bambino non può essere oggetto di compravendita. Un bambino è un diritto, un dono, non una merce che si può acquistare al supermercato"

inizio pagina

Siria. Colloqui a Ginevra, attesa per l'opposizione

◊  

C’è attesa a Ginevra, in Svizzera, dove sono in corso i colloqui sulla Siria mediati dalle Nazioni Unite. È stato annunciato infatti l’arrivo dei delegati di uno dei più importanti gruppi d’opposizione ad Assad: contemporaneamente però, si aggrava la situazione umanitaria sul terreno. Il servizio di Davide Maggiore: 

I rappresentanti della Suprema coalizione per il negoziato, vicina all’Arabia Saudita, saranno a Ginevra. Lo ha confermato il portavoce del gruppo, Monzer Makhous, secondo cui un primo incontro con l’inviato Onu Staffan De Mistura avverrà forse questa domenica. Ufficialmente, non saranno affrontati temi politici, ma solo questioni umanitarie, sulle quali gli oppositori affermano di aver ricevuto garanzie dalle stesse Nazioni Unite. Proprio sulla condizione dei civili che subiscono le conseguenze del conflitto è arrivato nelle scorse ore un nuovo allarme di Medici senza Frontiere, a proposito della località di Madaya, non lontano da Damasco. Secondo il personale locale, anche dopo l’arrivo dei primi convogli di aiuti questo mese, sono state 16 le persone morte d’inedia. Salgono dunque ad almeno 46 le vittime dall’inizio di dicembre, mentre sono 320 i casi di malnutrizione di cui 33 estremamente gravi. Si tratta di una situazione "totalmente inaccettabile”, sostiene l’organizzazione umanitaria, che denuncia invece come sia nuovamente bloccato l’arrivo di materiali sanitari nella città di 40.000 abitanti, ancora assediata dalle forze governative.

In questo quadro, quanto è importante la presenza di forze dell’opposizione ai colloqui di Ginevra? Davide Maggiore lo ha chiesto ad Alessandro Politi, analista esperto dell’area: 

R. – E’ una notizia importante perché segnala un punto di appiglio per un inizio di negoziati. E’ un cammino lungo, è un cammino estremamente difficile, perché le guerre sono facili da cominciare e le paci sono difficili da portare a compimento. Il fatto che adesso una parte fondamentale dell’opposizione, peraltro prima riunita in un luogo-simbolo come Riyad, decida di partecipare, non foss’altro che per avere un’idea diretta di cosa succede, è un punto di partenza importante.

D. – Però, contemporaneamente c’è da registrare l’assenza di molte altre forze, ad esempio delle milizie curde. Cosa si può ragionevolmente sperare da questi incontri di Ginevra?

R. – Se non si comincia da qualche parte, non si comincia mai. L’assenza di gruppi curdi potrebbe adombrare il rischio, poi, di secessioni nazionaliste, ma per ora la priorità è incominciare a mettere in moto un processo, ed è quello che appunto il mediatore Onu Staffan de Mistura ha cercato di fare, con molta pazienza e molta tenacia in tutti questi mesi.

D. – Come si è mossa, dunque, la comunità internazionale? Si poteva fare qualcosa di più?

R. – E’ vitale che le parti che stanno intervenendo o in modo aperto o sottobanco nel conflitto, si rendano conto che forse la soluzione si può trovare in un altro modo. Ma questo non è sempre facile da far capire ad attori che per esempio possono avere molta paura di un cambiamento sostanziale degli equilibri nella zona interessata, quindi il Levante e il Golfo, perché chiaramente la grande questione non è né sunnita né sciita, né siriana né irachena ma è come si inserisce di nuovo l’Iran nel gioco delle potenze del Golfo persico. Dopodiché, però, strada facendo si possono ridurre i punti di frizione o i punti di instabilità.

D. – Quindi, per qualsiasi eventuale soluzione, è essenziale l’appoggio delle potenze regionali?

R. – Se una potenza regionale “gioca allo sfascio”, non è particolarmente utile. Ma finché sono poche e si incomincia a isolarle, è un conto; quando è tutto un calderone di potenze che intervengono, a quel punto la guerra si alimenta. Quindi, è un lavoro difficile, quello di dipanare questa matassa …

inizio pagina

Siria. Padre Janji: dialogo difficile, il dramma dei bambini

◊  

Arriva una nuova speranza per la Siria dai colloqui di Ginevra mediati dalle Nazioni Unite. Ma intanto nel Paese il dramma umanitario non si ferma. Tante negli ultimi giorni le vittime di scontri e raid. A pagare, molti bambini. Natalia La Terza ha chiesto a Padre Elias Janji, della Chiesa Armeno Cattolica di Aleppo, quali sono le loro condizioni di vita: 

R. – I bambini hanno bisogno di vivere, anzi di sopravvivere. Noi vorremmo avere una società non perfetta, ma una società nella quale possa crescere un uomo. Dovremmo combattere allora contro tutte le cose che non ci aiutano a crescere, soprattutto questa guerra.

D. – Quali sono le strutture che avete a disposizione?

R. – Ci sono tante scuole, tanti i gruppi che stanno lavorando con i bambini, come i frati, come la scuola “Spazio del cielo”, ed anche tutte le comunità cristiane presenti. Possiamo dare a questi bambini lezioni scolastiche, perché la maggior parte delle scuole sono distrutte, e un aiuto psicologico per vivere la pace e la non violenza. Siccome viviamo in una società in cui la maggioranza è musulmana, allora dobbiamo accettare la diversità, soprattutto adesso che il fondamentalismo sta crescendo. Noi crediamo anche che, se i cristiani non resteranno in Medio Oriente, la religione musulmana non sarà moderata. I cristiani, infatti, aiutano a vivere la pace, a vivere la non violenza, a vivere tutti i valori principali della vita.

D. – L’opposizione siriana ha annunciato che non prenderà parte a Ginevra 3. Quali sono le sue prospettive politiche e umanitarie per questa conferenza di pace, che parte già con dei presupposti complessi?

R. – Il dialogo ci aiuta ad avere la pace, ma nel dialogo c’è il bisogno di sentire l’altro. Questi ribelli o Daesh non hanno nessun orecchio per sentire, per accettare i cristiani e tutte le minoranze che vivono lì. Ora il problema non è tanto andare o rimanere, il problema ora è crescere, avere una vita come prima. In questa società non c’erano mai problemi. La Siria, a livello di sicurezza, era al quinto posto nel mondo, per esempio quando una ragazza o un bambino tornavano a casa all’una o alle due di notte. Adesso la situazione è cambiata.

inizio pagina

Aumentano bambini che migrano soli, strage nell'Egeo

◊  

Oltre 30 migranti, tra cui 5 bambini, sono morti in un nuovo naufragio nel Mar Egeo. L'imbarcazione con la quale tentavano di raggiungere la Grecia dalla costa turca, si è capovolta. L’arrivo dei minori stranieri non accompagnati in Europa è in costante aumento. Si tratta del 10% degli arrivi totali di migranti. Sull’argomento, nell’Ufficio del Parlamento Europeo a Roma è stato presentato il libro “Il Bagaglio” con numeri, dati e storie di immigrati sotto i 18 anni che fuggono dal loro Paese. Il servizio di Veronica Di Benedetto Montaccini: 

Soli, con un viaggio difficilissimo davanti. Tra il 2013 e il 2015 gli arrivi di minori stranieri non accompagnati in Italia sono aumentati del 100 per cento e hanno raggiunto la cifra di 15 mila, che nella maggior parte – il 94,9 per cento - sono maschi e tra i 16 e i 17 anni. Un terzo delle domande d’asilo viene dal Gambia, poi Senegal, Nigeria e Bangladesh. Un’esperienza non propriamente da bambini, come spiega Luca Attanasio, autore del libro “Il Bagaglio”:

“Questo passaggio, per il quale tra l’altro pagano cifre impressionanti – da un minimo di 3-4 mila dollari ad un massimo di 13 mila dollari - è la prova estrema a cui vengono sottoposti questi giovani. Tutte le persone che ho intervistato, per realizzare questo libro, mi hanno raccontato di aver visto per lo meno un loro compagno morire durante il viaggio… Diciamo che già prima della partenza - purtroppo - hanno bruciato spesso le tappe dell’infanzia e dell’adolescenza e diventati adulti, ma adulti in maniera molto complessa, provata, direi problematica”.

Finché minorenni, i migranti hanno diritto a rimanere in Italia senza bisogno di veder riconosciuto lo status di rifugiato. Le criticità vengono fuori con la maggiore età e con l’irreperibilità dopo la registrazione: 4 mila ragazzi, infatti, sono diventati invisibili nel solo 2015. Ancora Luca Attanasio:

“Il problema più grave è quando compiono 18 anni, perché il giorno dopo sono messi alla porta: obbligatoriamente! Le associazioni che li accolgono nelle comunità, li mettono alla porta… Da quel momento in poi, se non sono stati preparati adeguatamente, il passo dalla vita protetta e garantita alla clandestinità e alla microcriminalità è immediato”.

Eppure ci sono esempi di giovani che sono riusciti a trovare un futuro diverso, come Mohammed Keita, ragazzo ivoriano, oggi 22enne, protagonista del libro, che racconta alla presentazione la sua esperienza da minore straniero non accompagnato. I suoi genitori sono morti durante la guerra civile, il viaggio affrontato è stato infinito, ma ora Keita è un fotografo:

“Il  viaggio per arrivare in Italia è durato tre anni, passando dalla Guinea, dal Mali, dall’Algeria, dalla Libia e da Malta. Ho iniziato a viaggiare che avevo 14 anni; arrivato in Italia sono rimasto in strada per tre mesi e 20 giorni; poi ho iniziato a frequentare il centro “Civico Zero” di Save the Children, a Roma. Lì c’era un signore di nome Ivo che, un giorno, mi ha regalato una macchinetta fotografica usa e getta per fare un po’ di foto…. Allora ho pensato che visto che dormivo in strada, che avevo già vissuto tanti cambiamenti nella mia vita, anche questo periodo sarebbe passato, avrei fatto un foto per avere la memoria di questo periodo. Una foto che chiamo della memoria. Quella foto mi ha permesso di studiare fotografia e mi ha dato la possibilità di non dimenticare mai il mio arrivo, perché rappresenta il mio arrivo in Italia”.

Dal punto di vista normativo sono molte le necessità specifiche per i minori, secondo Silvia Costa, parlamentare europea, che da sempre si occupa di immigrazione:

“Sono soli, perché non sono accompagnati; ma spesso sono gli avamposti, perché dietro di loro ci sono famiglie che li hanno spinti e per le quali si impegnano fino allo spasimo per cercare anche di lavorare durante il periodo del cammino per poter pagare questi debiti fatti ai trafficanti, anche dalle loro famiglie per potarli qua. Io penso che sia urgente – e questo lo abbiamo detto anche in ambito europeo - una normativa specifica con servizi dedicati, che ci siano questi luoghi di raccolta delle informazioni nelle città più importanti in cui arrivano e poi che ci sia un tutoraggio vero, la tutela vera di una persona che sia per loro un tutore. Queste sono le cose essenziali che emergono come esigenze: inserirli cioè in percorsi in cui possono rasserenarsi, crescere e avere poi opportunità anche di lavoro, ma non nel mercato clandestino. Però ricordiamoci che la protezione speciale di cui hanno diritto i minori non va mai messa in discussione”.

Non sempre i bambini riescono ad arrivare a destinazione, come gli ultimi morti nel Mar Egeo. Ma chi ce la fa, pur senza averi, ha un bagaglio carico di speranze.

inizio pagina

Virus Zika. L'esperto: attenzione a modificazioni fatte dall'uomo

◊  

Non accenna a diminuire l’allarme per la veloce diffusione dell’infezione legata al virus Zika, che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) nelle Americhe “si sta diffondendo in maniera esplosiva”, tanto che nel prossimo futuro sono attesi fino a 3-4 milioni di casi. Ne hanno parlato telefonicamente il presidente statunitense, Barack Obama, e il capo di Stato del Brasile, Dilma Rousseff, trovandosi d’accordo nell’accelerare “lo sviluppo di vaccini migliori e di altre tecnologie per controllare il virus”, sospettato di essere collegato alla comparsa proprio in Brasile di oltre 4 mila casi di microcefalia fetale. Lunedì si rimunirà a Ginevra il Comitato di emergenza dell'Oms. Giada Aquilino ne ha parlato con Carlo Federico Perno, docente di Virologia all’Università Roma Tor Vergata: 

R. – Non è un virus nuovo: è un virus che c’è sempre stato e che è diffuso attraverso la puntura di una zanzara. Un po’ come tutti i virus di questa classe, che normalmente non hanno trasmissione da persona a persona, ma sono trasmissioni che passano attraverso la zanzara “Aedes aegypti”, che è presente normalmente in Brasile e in tutta la fascia equatoriale. È un virus normalmente non particolarmente grave per la persona adulta, in quanto dà una sintomatologia generale che si potrebbe definire simil-influenzale: un po’ di malessere, febbre, cefalea, comunque benigna. Il problema è che questa zanzara si sta diffondendo e inevitabilmente si diffonde anche il virus, il numero di casi sta quindi aumentando. Si è inoltre notato che nelle regioni, nelle zone dove si diffonde il virus Zika, c’è stato un aumento di casi di bambini con microcefalia, cioè con un cervello più piccolo: segno evidente di un danno fetale. Allora, in questo momento siamo nella fase in cui constatiamo che, nelle zone dove c’è il virus Zika, c’è un aumento di casi di microcefalia. La questione successiva è se ci sia una correlazione diretta tra la puntura della zanzara, l’inoculo del virus Zika, l’infezione della madre in gravidanza e la presenza di microcefalia nel bambino. Questo non è ancora stato accertato.

D. – A questo punto, l’Oms come agisce?

R. – L’iter in questo caso è quello di cercare di capire la correlazione di causa-effetto. Prima di tutto, bisogna verificare che cosa sta succedendo. Quindi, ci sono questi casi? Sì. C’è presente la zanzara? Sì. C’è trasmissione da persona a persona? Apparentemente in questo momento ancora no. Il virus si trasmette esclusivamente attraverso la zanzara, un po’ come la malaria. Quindi l’Oms adesso deve fare l’ultimo passaggio – un passaggio fondamentale – capire cioè se c’è una correlazione tra la puntura della zanzara, l’infezione della donna in gravidanza e la comparsa del virus Zika. Un po’ come accade nelle donne in gravidanza che, infettatesi con la rosolia, malattia di per sé benigna, possono avere malformazioni del feto.

D. – Soprattutto negli Stati Uniti si stanno accelerando le ricerche sui vaccini. Normalmente che percorso e che tempi ci sono?

R. – Tempi lunghi. Normalmente dal momento in cui si decide di farlo, al momento in cui se ne dimostra l’efficacia, fino al momento nel quale viene distribuito alla popolazione, passano anni. Quindi è difficile che si possa pensare a una vaccinazione a breve termine.

D. – L’ultima volta che l’Oms dichiarò un’emergenza sanitaria mondiale fu nel 2014 per l’Ebola in Africa occidentale, tra l’altro da poco terminata. Adesso, dopo qualche settimana, questo nuovo allarme. È normale che si passi da un’emergenza all’altra in così poco tempo?

R. – No, non è normale. Ci sono due fattori che però vanno considerati. Il primo è che siamo più attenti: oggi c’è un sistema di controllo a livello del territorio, e parlo del mondo intero, molto più attento rispetto al passato. Queste epidemie, anche pandemie come quelle influenzali, vengono registrate con maggiore attenzione. Non è che prima non c’erano: è che adesso ce ne rendiamo conto con maggiore attenzione. Ma è evidente che qualcosa sta cambiando: i movimenti delle popolazioni; c’è da chiedersi se pure i cambiamenti climatici possano incidere, perché le zanzare chiaramente seguono i percorsi climatici. Non dimentichiamo che in Italia è tornata quella zanzara che dà il virus Chikungunya, che prima non c’era. È chiaro che qualcosa sta avvenendo, per cui queste emergenze sembrano più frequenti rispetto al passato. Serve fare molta attenzione, perché l’uomo può fare belle cose, ma anche molti danni, quando per esempio modifica il clima, cambia la temperatura... La natura ne risente e anche le malattie possono mutare.

D.  – Accortezze particolari per chi viaggia?

R. – È stata fatta una raccomandazione per le donne in gravidanza, di non andare in zone infettate dal virus Zika o, per meglio dire, infestate dalla zanzara che porta il virus Zika. Credo che in questo momento sia la procedura più attenta. Le zone del virus Zika sono anche quelle della malaria. Quindi tutte le prevenzioni che si usano per la malaria sono quelle che si usano per il virus Zika, anche se il virus Zika e il plasmodio della malaria non hanno niente a che fare tra loro, ma entrambi sono trasmessi da zanzare. La prevenzione dalla puntura delle zanzare è l’elemento fondamentale. Non ci sono però di principio controindicazioni a viaggiare in quelle zone, perché la patologia non è grave per l’adulto sano.

inizio pagina

Usa: con i caucus in Iowa comincia la corsa alla Casa Bianca

◊  

Negli Stati Uniti entra nel vivo la corsa presidenziale che porterà all’elezione del successore di Barack Obama alla Casa Bianca. Lunedì prossimo si svolgeranno in Iowa i cosiddetti “caucus”, incontri informali tra gli iscritti di un partito, secondo una tradizione che risale ai nativi americani. Si tratta della prima votazione ufficiale per la selezione del candidato presidenziale nei due grandi partiti statunitensi, in un processo che, attraverso le primarie che si terranno in ciascuno dei 50 Stati dell'Unione, porterà ai nomi che si sfideranno nelle elezioni di novembre. Tra i democratici rimane favorita Hillary Clinton, di nuovo accusata di aver utilizzato mail private per comunicare affari di Stato, mentre tra i repubblicani c’è attesa per i risultati del milionario Donald Trump. Sulle aspettative per questo importante test elettorale, Michele Raviart ha intervistato Dennis Redmont, ex- direttore dell’Associated Press per l’Italia e il Mediterraneo: 

R. – Il caucus dell’Iowa è un evento molto peculiare per gli Stati Uniti, ed è il primo evento ufficiale della campagna elettorale, anche se questa è già cominciata quattro o cinque mesi fa. Si tratta di un evento che io chiamerei “grassroots” – di base, popolare – dove molti degli eventi si svolgono nelle case o nelle municipalità. E, alla fine, sia i repubblicani sia i democratici decidono, alzandosi in piedi in mezzo a un’assemblea, per chi votano e perché votano. Siccome l’Iowa è uno Stato abbastanza rappresentativo del Midwest americano, tutti guarderanno a questi risultati.

D. – Quanto pesa un’eventuale vittoria quest’anno in Iowa?

R. – Essendo un test elettorale, ed essendoci per adesso solo dei sondaggi, è il primo test: psicologicamente è molto importante, soprattutto per due ragioni. Primo, perché Hillary Clinton, dalla parte dei democratici, non sembra avere quel vantaggio elettorale come sembrava all’inizio della campagna elettorale. Secondo, dalla parte dei repubblicani, Donald Trump, il famoso miliardario, non ha partecipato all’ultimo dibattito tra i repubblicani; e perciò vedremo se questa tattica gli ha fruttato qualcosa. E poi ci sarà il “Super Tuesday”, che è un’elezione che avviene il primo marzo, in cui ci sono undici primarie in contemporanea. Credo quindi che il 2 marzo dovremmo già avere un’idea abbastanza delineata di come sarà strutturata la campagna elettorale.

D. – Qual è la situazione all’interno del partito repubblicano? A parte la figura di Trump?

R. – Il ciclone Trump non ha avvantaggiato i candidati che erano più moderati. Perciò c’è un candidato, Bush, che non è mai decollato durante la campagna elettorale; un Ted Cruz che è visto come molto belligerante e non è molto popolare e amato; e un Marco Rubio, che alla fine avrebbe potuto spuntarla, che non ha saputo tirare le fila e mostrare che era al di sopra di tutto. Il risultato di tutto ciò è che, chi sta scaldando i muscoli in panchina, e che non è nelle fila né dei repubblicani né dei democratici, è un altro miliardario: Michael Bloomberg, ex sindaco di New York, che potrebbe, nel caso in cui i risultati dell’Iowa e del “Super Tuesday” non fossero convincenti né da una parte e dall’altra, tentare di fare una corsa come terzo partito.

D. – Invece, nel campo democratico, abbiamo detto che Hillary Clinton non ha la leadership che si pensava avesse all’inizio delle scorse presidenziali. Quanto pesa lo scandalo delle e-mail, recentemente rilanciato dai media americani?

R. – Il Dipartimento di Stato ha confermato che c’erano un paio di e-mail nella sua posta personale ultrasegrete. C’era quindi un problema di fiducia nel fatto che lei utilizzava la sua posta personale per affari di Stato. Questo fatto si unisce anche al suo cambiamento di posizione magari un po’ per disarmare il candidato Sanders, che è un socialista all’americana che ha guadagnato abbastanza punti. E perciò ha cambiato molte delle posizioni relative al commercio internazionale, Wall Street, altre cose. Perciò, non avendo una posizione molto definita, forse è vista come troppo ambiziosa, troppo attenta a ciò che potrebbe svantaggiarla più tardi.

D. – Quali saranno i temi di questa campagna elettorale? Economia, politica estera, commercio d’armi…

R. – Il primo tema sarà certamente la diseguaglianza nell’economia americana: il fatto che c’è tutta una classe di ultra ricchi che si sono arricchiti sempre di più, e c’è invece una classe media che rimane in una situazione di stagnazione. Il secondo tema sarà certamente quello dell’immigrazione, su cui Trump ha preso posizioni molto chiare, e dove abbiamo dei candidati che hanno radici ispaniche: Rubio, Cruz, e il possibile vice di Hillary, Julian Castro, l’ex sindaco di San Antonio. La politica estera potrebbe avere un effetto: ciò dipende dagli eventi esterni.

inizio pagina

Il business degli abiti usati. Le raccomandazioni della Caritas

◊  

110mila le tonnellate di vestiti usati raccolti in Italia ogni anno: c’è chi ci ricava ingenti guadagni, molte volte finiscono in mano alla criminalità organizzata per il loro valore economico. Ma c’è anche chi li porta ai più poveri. Sono diverse le Caritas diocesane impegnate nella raccolta degli abiti usati, non a Roma dove, peraltro, stanno per essere rimossi i 1800 cassonetti gialli di raccolta abiti gestiti da cooperative, alcune delle quali coinvolte in Mafia Capitale, che poco avevano a che fare con la beneficenza. Maria Cristina Montagnaro ne ha parlato con Francesco Marsico, responsabile area nazionale Caritas Italia: 

R. – Abbiamo consigliato grande cautela. Alcune Caritas, tra cui quella di Roma, hanno scelto di non sviluppare direttamente questo tipo di attività, proprio perché non potevano avere la garanzia di una filiera controllata, e questo non per quanto riguarda ovviamente la raccolta, ma riguardo al suo trattamento e al suo utilizzo finale.

D. – Ma cosa deve fare un cittadino per far sì che effettivamente i vestiti usati vengano utilizzati in modo corretto?

R. – La premessa più importante è capire che la gran parte dei vestiti usati non finisce direttamente ad una persona in uno stato di bisogno. I vestiti usati vengono perlopiù utilizzati - diciamo così - come  fossero un bene dismesso che viene poi trattato e che quindi genera valore non in quanto vestito, ma in quanto tessuto o altro. Il cittadino deve anzitutto informarsi e capire questa differenza, quindi non deve immaginare – anche un po’ ingenuamente – che quel vestito servirà per aiutare un bambino, una famiglia o una persona, ma pensare bensì di sostenere una associazione. D’altra parte, però, le associazioni devono essere trasparenti!

D. – Che cosa può quindi fare il cittadino romano che vorrebbe dare gli abiti ai poveri?

R. – In questo caso può rivolgersi – per informazioni – sia alla Caritas diocesana, per avere informazioni su realtà sociali che garantiscano una filiera controllata nello smaltimento del prodotto, oppure informarsi presso la propria parrocchia, per chiedere se fanno un servizio di quel genere e quindi, in quel caso, immaginando poi un utilizzo diretto dei beni.

D. – Gli abiti usati hanno anche un valore economico ...

R. – Evidentemente sì! Gli abiti usati sono un prodotto che, se utilizzati, appunto, come scarto e quindi non come bene da indossare, hanno, in una filiera di smaltimento, questa sì definita per legge, un loro valore economico. Questo prodotto è però sottoposto ad alcune norme, sia per quanto riguarda la raccolta, sia per quanto riguarda il suo utilizzo finale. Quindi, non più un prodotto da indossare, ma un patrimonio di fibre, di sostanze, che vengono poi utilizzate propriamente. Fa parte evidentemente di quella nuova sensibilità sul tema del recupero dei prodotti che vengono smaltiti nella filiera della spazzatura, ma con una propria specifica normativa. E’ quindi un valore. 

D. – Quale è un esempio della attività delle Caritas impegnate nell'attività, come quella ambrosiana?

R. – Dopo un lungo lavoro di controllo, di costruzione della filiera garantita da parte della Caritas diocesana milanese, la Caritas Ambrosiana, viene detto con grande chiarezza che si tratta di una raccolta finalizzata al sostegno di alcune iniziative nazionali e internazionali. Quindi, chiaramente, in quel caso le comunità parrocchiali fanno un’azione di raccolta. Il cittadino milanese, il cristiano della città di Milano, chiaramente sa che quel prodotto non sarà destinato ad essere utilizzato da qualcun altro, ma  che è destinato ad essere utilizzato come materiale e quindi destinato "a generare" un profitto che verrà poi utilizzato per iniziative benefiche. Bisogna essere chiari! E’ possibile, con un'attenzione - ripeto - a tutta la filiera di smaltimento, fare attività di questo tipo, però bisogna essere accorti, fare un lavoro di verifica e di vaglio dei soggetti che fanno questo tipo di attività per garantire, appunto, al cittadino e alla persona della comunità cristiana che vuole fare questo tipo di donazione, l’utilizzo corretto di quella risorsa.

inizio pagina

Colombia, seminario del Celam su Chiesa in uscita e per i poveri

◊  

“Una Chiesa in uscita, povera per i poveri”. Questo il tema del Seminario organizzato a Bogotá, in Colombia, dal 25 al 29 gennaio, dal Dipartimento Giustizia e Solidarietà del Consiglio Episcopale Latinoamericano (Celam), in occasione del Giubileo della Misericordia, con lo scopo di individuare le sfide della pastorale sociale alla luce del Magistero di Papa Francesco. All’evento partecipano più di cento persone provenienti dalle 22 Conferenze episcopali latinoamericane e dei Caraibi. Al microfono di Alvaro Vargas Martino, ce ne parla mons. Gustavo Rodríguez, presidente del Dipartimento promotore: 

R. – Questo Seminario cerca di individuare le sfide della pastorale sociale nel Pontificato di Papa Francesco. Ci siamo riuniti inseme, tutti noi che lavoriamo nei diversi Paesi dell'America Latina, anche le Caritas, cercando di individuare quali siano le sfide e cosa dobbiamo fare nel prossimo quadriennio, alla luce del Magistero di Papa Francesco.

D. – In questo senso, il Papa ha insistito tantissimo sulla “Chiesa in uscita” e una Chiesa povera per i poveri. Nel contesto latinoamericano, come si applica questa frase del Papa?

R. – Il popolo latinoamericano ha tanto, tanto bisogno della misericordia, ha bisogno di conoscere la misericordia di Dio e non soltanto come una teoria, ma anche come una pratica da parte della gente: vescovi, preti, diaconi, religiose, religiosi, laici, che si impegnino nel portare ai più poveri la speranza di un mondo nuovo, ma una speranza concreta, aiutandoli attraverso l’assistenza, con la promozione umana e cercando anche un cambiamento delle strutture di ingiustizia.

inizio pagina

Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

◊  

Nella quarta Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo che racconta lo sdegno degli abitanti di Nazaret di fronte alle parole di Gesù che in sinagoga annuncia la sua missione:

“Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti

Gesù, nella sinagoga di Nazaret, ha proclamato la missione affidatagli dal Padre in favore dei poveri e degli oppressi; la risposta della sua gente, pur meravigliata “delle parole di grazia che escono dalla sua bocca”, è di giudizio e di chiusura, così da rendere inutile la Sua presenza in mezzo a loro. A Gesù che afferma con autorità: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”, la risposta di chi pensa di conoscerlo è: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”. “Ma che sta dicendo?”. “Ma chi si crede di essere!”. E lo cacciano fuori dalla città, pronti a precipitarlo giù da un burrone e a farla finita con lui. E’ una pagina del Vangelo molto importante anche per noi oggi: noi abbiamo i nostri progetti e le nostre idee, il nostro modo di concepire quello che è giusto o ingiusto: pretendiamo di sapere molto bene come il mondo deve andare avanti. Non vogliamo un Dio che compie la sua promessa, la sua “storia di salvezza”, che ci chiama a conversione, ad uscire dalle nostre idolatrie, a metterci in cammino sulle sue strade; cerchiamo un “dio” a nostro uso e consumo, che mandi avanti il mondo e le cose che noi vogliamo. E siamo pronti a ricorrere ad “altri santi”, ad altri “maghi”, perché la storia sia come piace a noi! Ed anche oggi tanti fedeli – ed anche non fedeli – sono pronti a precipitare Gesù dal ciglio del monte pur di non aver a che fare con una parola troppo scomoda, troppo diversa (cf T. Federici). Ecco: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”… E noi – tu ed io – dove siamo? Dove ci trova questa parola del Signore?

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Mongolia: ad agosto sarà ordinato il primo sacerdote autoctono

◊  

La piccola comunità cattolica della Mongolia, la più giovane del mondo, festeggerà il 28 agosto prossimo l’ordinazione del suo primo sacerdote locale nella cattedrale dedicata ai Santi Pietro e Paolo della capitale Ulaanbatar. Si chiama Joseph Enkhee-Baatar ed è stato ordinato diacono nel dicembre 2014 dal vescovo coreano di Daejeon, Lazzaro You Heung-sik. A conferirgli l’ordinazione sacerdotale sarà il Prefetto apostolico di Ulaanbatar, mons. Wenceslao Selga Padilla.

L’entusiasmo della piccola comunità cattolica mongola
La notizia – racconta all’agenzia Asianews il missionario della Consolata Giorgio Marengo, presente nel Paese dal 2003 - è stata accolta con entusiasmo dalla piccola comunità cattolica di Arvaiheer, nel cuore del Paese, formata da appena 21 persone. “Il fatto che questo nuovo sacerdote sia mongolo – ha detto un fedele citato dal missionario – significa molto per noi: parlerà la nostra lingua come un nostro figlio e fratello; soprattutto saprà collegare la fede con le nostre tradizioni”. Questa aspettativa emerge come davvero prioritaria  e questo - sottolinea padre Marengo - è comprensibile. Per una religione ancora vista come ‘straniera’, infatti, poter contare su un ministro di culto locale vuol dire molto, sia per quanto riguarda le relazioni con le autorità civili, che fino ad ora hanno sempre dovuto interagire con missionari stranieri, sia la sua capacità di armonizzare meglio le tradizioni mongole con la fede cattolica.

Una Chiesa giovane, presente solo dal 1992
La Chiesa mongola è una Chiesa molto giovane: la sua presenza nel Paese risale infatti al 1992, quando furono stabiliti rapporti diplomatici fra Santa Sede e la neonata Repubblica di Mongolia e venne aperta la Missione di Ulan Bator, affidata ai Missionari di Scheut, elevata nel 2002 a Prefettura Apostolica di Ulaanbaatar. L’opera di apostolato delle diverse Congregazioni religiose presenti in Mongolia, apprezzata anche dalle autorità locali, ha dato i suoi frutti, come indica il lento ma costante incremento dei convertiti al cattolicesimo in questo Paese buddista e l’interesse manifestato da un numero crescente di giovani fedeli per il sacerdozio e la vita consacrata. L’ordinazione sacerdotale di Joseph Enkhee-Baatar ne è la conferma. (L.Z)

inizio pagina

Vietnam: Chiesa vicina a poveri e orfani

◊  

In occasione dell’inizio del nuovo Anno lunare, il prossimo 8 febbraio, la Chiesa vietnamita ha messo in campo una serie di progetti caritativi e sociali per aiutare gli oltre 18 milioni di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà, ovvero con meno di un dollaro al giorno. A dare l’esempio – riferisce l’agenzia AsiaNews - è mons. Joseph Nguyễn Văn Yến, vicepresidente della Commissione per le attività caritative della Conferenza episcopale locale, che nel mese di gennaio ha visitato molte parrocchie nelle zone povere e rurali del Paese.

Sostegno particolare per bambini ed anziani
In particolare, mons. Văn Yến si occupa del sostegno a bambini e anziani nelle parrocchie di Vô Hốt e Phúc Châu, nella provincia di Ninh Bình, a sud di Hanoi. In occasione dell’Anno della Misericordia indetto da Papa Francesco, il vescovo ha fatto appello a tutte le 26 diocesi del Paese per svolgere opere di aiuto agli orfani che vivono in situazioni proibitive. La Caritas del distretto di Phú Thọ, nella diocesi di Ho Chi Minh City, ha invitato l’associazione di medici Thiện Đức a visitare le parrocchie per donare medicinali a 400 pazienti poveri, inclusi anziani soli, orfani e disabili. Oltre a offrire visite mediche gratuite, i personale sanitario ha offerta anche assistenza psicologica e consigli per aumentare l’igiene della comunità.

Aiuti speciali per sostenere le donne disoccupate
Da 20 anni, in occasione del Nuovo anno, una delegazione della diocesi di Phát Diệm, poco a sud di Hanoi, fa visita ai lebbrosi di Trại Phong Cẩm Thủy. Le attività della Caritas locale, negli anni, hanno coinvolto numerose congregazioni religiose, maschili e femminili, ma anche persone laiche desiderose di aiutare il prossimo. La diocesi di Phan Thiết, a sud del Paese, a nord di Ho Chi Minh City, è specializzata in piccoli gruppi di credito, che risparmiano per garantire borse di studio ai ragazzi più poveri. Chin Huynh Thi, donna che lavora in uno di questi gruppi, racconta: “Grazie a questi fondi, i progetti hanno aiutato alcune donne ad affrontare le difficoltà causate dalla perdita di lavoro”.

20% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà
“Grazie a questa attività – spiega - anche la mia famiglia è più stabile e io sono più serena. Le cifre che raccogliamo non sono grosse ma servono alle famiglie delle aree rurali, costrette a prendere in prestito soldi a tassi di interesse che arrivano al 20%”. In Vietnam vivono 90 milioni di persone. Secondo le statistiche del governo, in 18 milioni (il 20% della popolazione) vivono sotto la soglia di povertà e possiedono il 6% della ricchezza nazionale. Altri 18 milioni sono le persone ritenute ricche, che possiedono il 54% dei beni. Il restante 60% della popolazione possiede il 40% delle risorse.

inizio pagina

Cambogia: a Phnom Penh i funerali di mons. Destombes

◊  

Si sono svolti oggi a Phnom Penh, capitale della Cambogia, i funerali di mons. Emile Destombes, artefice della rinascita della piccola comunità cattolica nel Paese dopo il dramma del genocidio dei Khmer Rossi di Pol Pot. Il presule, missionario delle Missioni Estere di Parigi (Mep), si è spento il 28 gennaio scorso nella capitale cambogiana, sede del Vicariato apostolico che aveva guidato dal 2001 al 2010, dopo essere stato nel 1989 il primo missionario in assoluto a poter rientrare nel Paese dopo la grande tragedia.

Espulso dai Khmer Rossi nel 1975
Nato a Roncq, nell’arcidiocesi di Lille, in Francia, nel 1935, Destombes era arrivato in Cambogia come giovane missionario nel 1965. A Phnom Penh – ricorda la rivista del Pime “Mondo e Missione” - era stato insegnante nel seminario minore e direttore di uno studentato. Poi, dal 1970, aveva diretto il Comitato per gli aiuti alle vittime della guerra, fino alla conquista di Phnom Penh da parte dei khmer rossi, nell’aprile 1975. Espulso insieme a tutti gli altri missionari, aveva insegnato per alcuni anni a Parigi, finché, nel 1979, aveva accolto una nuova chiamata missionaria, partendo per il Brasile, dove era stato parroco per dieci anni nello Stato del Goias. Quando, però, nel 1989 le truppe vietnamite lasciarono la Cambogia, fu lui il primo sacerdote a poter rientrare in qualità di rappresentante di Caritas Internationalis per l’assistenza umanitaria.

Nel 1990 la Messa della Resurrezione
Per un anno rimase l’unico sacerdote straniero nel Paese e poté, quindi, ristabilire i contatti con alcuni dei suoi vecchi studenti. Nell’aprile 1990, poi, ricevette dal regime l’autorizzazione alla riapertura di una chiesa. Così il 14 aprile 1990, nel giorno di Pasqua, padre Destombes poté presiedere la prima Messa pubblica dopo tanti anni. “Quell’evento vide riuniti circa tremila fedeli – ha raccontato all’agenzia Eglise d’Asie padre Vincent Sénéchal, anche lui missionario dei Mep in Cambogia – ed è rimasto nella memoria della Chiesa cambogiana come la Messa della Resurrezione”.

Le spoglie inumate nella parrocchia di San Giuseppe a Phnom Penh
Nominato nel 1997 vescovo coadiutore di mons. Yves Ramousse - il vicario apostolico del periodo precedente al dramma del 1975, anche lui poi rientrato in Cambogia – ne aveva raccolto il testimone nel 2001 fino al 2010, quando gli è succeduto un altro confratello missionario dei Mep, mons. Olivier Schmitthaeusler, che ha concelebrato l’odierna Messa esequiale. Le sue spoglie sono state inumate nella parrocchia di San Giuseppe. (L.Z.)

inizio pagina

Card. Nichols: fondamentalismo si vince con l’educazione

◊  

L’isolamento, la perdita di valori condivisi e di punti di riferimento di tanti giovani oggi e il facile accesso ai social network stanno facendo degli adolescenti britannici il principale target del terrorismo islamico. È il monito lanciato dal card. Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale inglese e gallese (Cbcew) a un convegno a Londra di responsabili di istituti cattolici e di educatori. Si stima che siano circa 700 i giovani inglesi che hanno aderito al cosiddetto Stato islamico in Siria e in Iraq. Tra questi un numero crescente di giovanissimi.

Internet strumento privilegiato per il reclutamento degli adolescenti
“La cosa che colpisce di più - ha osservato nel suo intervento l’arcivescovo di Westminster - è che l’età chiave per contattare e influenzare le potenziali reclute del jihadismo globale è compresa tra i 14 e 15 anni, ossia l’età dei ragazzi delle vostre scuole, affidati alle vostre cure”. Per il porporato, il motivo della forte presa delle organizzazioni terroristiche sugli adolescenti va ricercato nell’abile uso che sanno fare dei social network, diventati i principali mezzi di socializzazione dei giovani. “Il mondo digitale - ha spiegato - risponde oggi a cinque esigenze di fondo: il desiderio di connettersi ed essere connessi; quello di accedere rapidamente alle informazioni; quello di essere guidati e di avere una causa da seguire; il desiderio di condividere pensieri e opinioni; quello del divertimento”. Ed è quello che cercano i tanti giovani che non hanno solidi punti di riferimento e che cercano una loro identità e ruolo nella società.

Messaggi seducenti per i giovani più vulnerabili
Questo ne fa il target ideale dei gruppi terroristi che usano Internet per proporre un messaggio accattivante e “almeno in apparenza, coerente” in un mondo fatto di informazioni frammentate. Gli esperti - ha rilevato il card. Nichols - dicono che “basta un mese per trasformare un adolescente insoddisfatto e disorientato in un terrorista”.

Le responsabilità degli educatori cattolici
E qui, secondo il porporato, entrano in gioco le responsabilità degli educatori, e in particolare di quelli cattolici: essi devono essere capaci di proporre e testimoniare ai ragazzi il fascino di una visione cristiana coerente. L’educazione, infatti, “non può solo trattare frammenti, deve sapere trattare il tutto”. “Il servizio che le vostre scuole sono chiamate a dare - ha sottolineato il primate inglese - è quello di aiutare i giovani a trovare un loro posto nel mondo, nelle loro relazioni, nel loro futuro. Cosa che essi potranno fare al meglio se crescono nella cornice di una vocazione radicata nel rapporto con Gesù. Solo se riuscirete a raggiungere questo obiettivo - ha quindi concluso il card. Nichols - non farete uscire nel mondo giovani ingenui pronti ad essere sedotti da un’ideologia perversa e disumana, o da qualsiasi altra forma di violenza e disumanità degradante che minacciano il nostro mondo oggi”. (A cura di Lisa Zengarini)

inizio pagina

Francia: appello vescovi per cure palliative, no a eutanasia

◊  

“Sì alla cultura palliativa”: si intitola così una nota della Conferenza episcopale francese, a firma di mons. Pierre d’Ornellas, responsabile del Gruppo di lavoro sul fine-vita. Il documento arriva dopo che, il 27 gennaio, l’Assemblea nazionale ha adottato definitivamente la legge “Claeys-Leonetti” dedicata proprio al fine-vita. Frutto di un lungo dibattito e di diverse revisioni, la normativa - presentata da due deputati di opposti schieramenti, il socialista Claeys e il neogollista Leonetti - introduce il diritto alla "sedazione profonda, continua" e irreversibile fino alla morte, per i pazienti in fase terminale che ne facciano richiesta anche anticipatamente per rifiutare l’accanimento terapeutico. Tali disposizioni sono vincolanti per i medici che non potranno opporvisi.

Ogni vita è degna di rispetto. No accanimento terapeutico, sì cure palliative
Nella loro nota, dunque, la Chiesa francese parte da tre dati positivi: in primo luogo, “i parlamentari hanno fortunatamente scartato l’idea che una vita possa essere inutile”, dimostrando che “ogni persona è degna del massimo rispetto fino al termine della sua vita”. In secondo luogo, la normativa vieta l’accanimento terapeutico, ossia “ogni ostinazione irragionevole” alla terapia, e ciò a riprova che “prendersi cura della persona è più importante del mero proseguimento di terapie sproporzionate”. In terzo luogo, il Gruppo di lavoro esprime apprezzamento per l’ascolto dato dal dibattito legislativo alla richiesta di molti: sviluppare gli accessi e la formazione alle cure palliative”.

Nessuna legge può sostituirsi a valutazione medica caso per caso
A questo proposito, infatti, il governo francese ha messo in atto un piano triennale, stabilendo anche una valutazione annuale delle politiche avviate nel settore. La nuova legge, dunque, dovrà “essere applicata secondo gli obiettivi, i principi e le pratiche delle cure palliative” e di questo “molti si rallegrano”. Nello specifico, la legge inquadra e definisce un nuovo diritto, che è quello alla “sedazione profonda e continua che provoca un’alterazione della coscienza fino al decesso”: si tratta di “casi rari” – scrive la Cef – ma “nessuna legge può sostituirsi alla valutazione medica imponendo decisioni che negherebbero la singolarità caso per caso”.

Dialogo tra medici, pazienti e familiari per alleviare sofferenze dei malati.
“In ogni situazione – si legge infatti nella nota – l’arte medica cerca di procurare la soluzione migliore per alleviare il più possibile il dolore e qualificare con pertinenza l’accanimento terapeutico irragionevole al fine di rifiutarlo, soprattutto quando il paziente non è in grado di esprimere la sua volontà”. E sarà “questa stessa arte medica – ribadiscono i vescovi d’Oltralpe - a discernere quando l’arresto della nutrizione e dell’idratazione corrisponde alla miglior cura da dare”, anche in base alle “direttive anticipate del paziente”. Il tutto dovrà essere stabilito sempre attraverso “un vero dialogo tra professionisti sanitari, malati e loro familiari”, soprattutto “nelle situazioni più delicate e nel rispetto della deontologia medica”. Perché “questa è l’arte dell’accompagnamento guidata dalla volontà di alleviare la sofferenza della singola persona”.

Formare personale sanitario su cure palliative e informare opinione pubblica
Poi, i presuli si soffermano sulle cure palliative, raccomandandone “la buona pratica” in base ad “una riflessione concertata e continua sulla loro applicazione”, così da “dissipare i timori di derive eutanasiche”. Per questo, mons. d’Ornellas ribadisce che “questa legge è solo una tappa” di un percorso e che occorre “prendersi del tempo per applicarla”, puntando nel frattempo ad un’adeguata formazione del personale medico sulle cure palliative. In tal modo, “l’opinione pubblica, grazie ad un’informazione onesta, regolare e necessaria, sarà confortata dalla qualità dell’accompagnamento e cura del dolore”.

Occorre più fraternità verso le persone vulnerabili
Tanto più che “di fronte al mistero della morte”, la coscienza cerca sempre “una luce” che la guidi su “un cammino difficile ed ostico” in cui “nessuno si avventura senza il giusto sostegno dei medici, delle persone care e della società”. Ed è proprio in questo che “la società si riconosce degna dell’umanità”. Di qui, il richiamo dei presuli ad una maggiore fraternità nei confronti delle persone più vulnerabili, affinché “la cultura palliativa non faccia parte solo delle cure mediche, ma anche della mentalità delle persone, rendendole capaci di prendersi cura le une delle altre”. “Questa – concludono i presuli francesi – è la fraternità che le leggi sul fine-vita sono chiamate a costruire”. (A cura di Isabella Piro)

inizio pagina

Olanda: al via “La vita Cattolica”, nuovo canale dei vescovi

◊  

I vescovi olandesi hanno lanciato un canale video su YouTube, intitolato “Vita Cattolica”. Lo annuncia il sito della Conferenza episcopale dei Paesi Bassi. Da domenica 24 gennaio - riferisce l’agenzia Sir - sono on line i primi video. Il canale è affiancato da una pagina Facebook e a breve partirà anche il sito www.katholiekleven.nl che ospiterà articoli settimanali, video e immagini.

I nuovi media per avvicinare vita e fede
“I nuovi media sono importanti per sperimentare la pertinenza della fede con la vita di tutti i giorni”, si legge nel comunicato. L’inizio delle attività “ha coinciso con la festa di San Francesco di Sales, patrono del giornalismo cattolico ed è stato anche il giorno in cui Papa Francesco ha diffuso il suo messaggio per la Giornata mondiale della comunicazione”, spiegano i vescovi. “Attraverso il nuovo canale video, la Chiesa cattolica in Olanda vuole mostrare come possiamo modellare la nostra vita sulla base della fede, speranza e amore”, ha spiegato l’arcivescovo di Utrecht, cardinale Willem Eijk. Questi sono gli elementi “ripresi anche dal logo: un cuore (l’amore), che è il più grande, la croce (fede) e l’àncora (speranza)”.

Il progetto in collaborazione con tutte le diocesi olandesi
Il progetto, varato per un triennio, prevede la collaborazione con le diocesi olandesi. A coordinare l’iniziativa è Daphne van Roosendaal, esperta di comunicazioni e collaboratrice nelle diocesi di Breda e Rotterdam. I primi video pubblicati fanno parte della serie delle testimonianze di fede, intitolate “Io credo”, commenti sulla scrittura di domenica, oltre ai video sull’apertura della Porta Santa a Roma e in Olanda.

inizio pagina

Vescovi del Ciad: promuovere sviluppo integrale

◊  

Un invito a riflettere sulle condizioni etiche di uno sviluppo vero e duraturo: lo rivolgono, per il nuovo anno, i vescovi del Ciad, in un messaggio redatto il mese scorso e che si pone in continuità con quello proposto per l’anno 2015 per una rinascita dei valori umani e spirituali. Il Giubileo è un momento favorevole per aprire il cuore e gli occhi per vedere ciò di cui soffre l’uomo ciadiano oggi, sottolineano i presuli tracciando l’attuale profilo del Paese: tanta povertà nei villaggi; scarsa capacità di organizzare l’economia familiare; scuole senza insegnanti e prive di strumenti didattici; centri ospedalieri che mancano di personale specializzato e di farmaci; terre coltivabili in mano a nuovi ricchi e contadini ridotti quasi in schiavitù; luoghi di vita associativa per i giovani inesistenti. Nelle città, sovraffollate a causa dell’esodo dalle zone rurali, manca ancora l’acqua potabile; c’è poca solidarietà e la delinquenza sta trovando terreno fertile mentre aumenta l’insicurezza.

Mancano nel Paese professionalità tecniche
“Prevale un basso livello di vita e manca una prospettiva di futuro”, scrivono i vescovi che denunciano anche l’incapacità, nelle famiglie, di gestire beni materiali e denaro. Scarse sono, poi, nel Paese le competenze tecniche e professionali, tanti giovani scelgono una formazione generica sperando in un pubblico impiego che assicuri loro un avvenire, mentre è necessario personale specializzato, soprattutto da destinare alle infrastrutture primarie, peraltro carenti. Il contributo delle donne nell’economia, inoltre, non è riconosciuto e la loro dignità non è del tutto rispettata.

Occorre una politica che tuteli agricoltura e allevamento e una buona governance per gli investimenti
Nel loro messaggio, i presuli ribadiscono quanto importanti siano per il Ciad agricoltura e allevamento, non supportati, purtroppo, da un’adeguata politica - a sostegno anche dello sviluppo rurale - e da una normativa specifica per allevatori e agricoltori. Per i vescovi “l’assenza di una buona governance, che porta ad appropriazioni indebite e sprechi delle risorse, è una delle grandi cause della povertà”. A rivestire incarichi decisionali sono poi “persone prive di qualifiche e incompetenti” e “molti progetti di sviluppo obbediscono al clientelismo e portano a investimenti inutili”.

Spesso le ong si limitano all’assistenzialismo
Neppure dalle Ong arrivano sostegni utili: più che favorire la promozione umana, infatti, si limitano all’assistentato e non coinvolgono la popolazione in progetti: in questo modo - osserva la Conferenza episcopale - la gente non è motivata a migliorare le proprie condizioni di vita. Alcune organizzazioni, inoltre, sono spesso più preoccupate della loro sopravvivenza e traggono profitto dalle misere condizioni in cui vivono in tanti.

Per i vescovi il vero sviluppo riguarda tutte le dimensioni dell’essere umano
Non manca la corruzione in tutti i settori della vita sociopolitica ed economica e in molti è carente la coscienza professionale e assente il senso del bene comune. A fronte di tutto ciò, i vescovi evidenziano che “un vero sviluppo deve includere anche le dimensioni sociali, culturali e spirituali dell’essere umano”, che non si può “sfruttare la natura in modo egoistico e irrazionale”, che “lo sviluppo deve essere percepito come una lotta contro la povertà in tutte le sue forme, in modo da permettere all’uomo di disporre dei beni necessari per condurre una vita dignitosa”, perché possa “uscire dalla sua ignoranza e gli siano riconosciuti i suoi diritti fondamentali”. “Dobbiamo prendere coscienza del fatto che nessuno può mettersi al nostro posto per uscire dalla povertà – aggiungono nel loro messaggio i presuli – l’aiuto esterno non può mai sostituire l’impegno personale a venir fuori da una situazione di miseria, piuttosto deve sostenere progetti d’investimento capaci di produrre risorse”.

Anche la fede cristiana può contribuire alla crescita del Ciad, soprattutto in quest’Anno della Misericordia

I vescovi aggiungono poi che “è un errore credere che la religione non abbia nulla a che vedere con lo sviluppo. La nostra fede deve essere tradotta in opere”. Infine l’appello, in questo Anno della Misericordia, “a manifestare l’amore di Dio ai piccoli e ai poveri, spesso tenuti al margine dal sistema economico, dalla politica e dalle influenze culturali di oggi”. “Come discepoli di Cristo – concludono i vescovi – siamo chiamati a vivere la carità attraverso le opere di misericordia. Lo sviluppo esige che ci assumiamo con coraggio le nostre responsabilità. Ciascuno deve essere convinto che Dio ha messo in ognuno doni particolari per il servizio del bene comune”. (T.C.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 30

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.