Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 28/01/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: embrioni non sono merce, dare voce ai più deboli

◊  

Rispettare gli esseri viventi soprattutto i più deboli, la scienza non prevarichi mai sull’uomo. E’ l’esortazione levata da Papa Francesco nell’udienza al Comitato Nazionale per la Bioetica. In particolare, il Pontefice ha ribadito che gli embrioni umani non devono essere mai trattati come materiale scartabile. Ancora, ha detto che le applicazioni biotecnologiche non devono essere guidate da scopi commerciali. L’indirizzo d’omaggio al Papa è stato rivolto dal presidente del Comitato, prof. Francesco Paolo Casavola. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Servire l’uomo sempre come fine e mai come mezzo. Papa Francesco ha colto l’occasione dell'udienza al Comitato italiano per la bioetica per sottolineare quanto la Chiesa sostenga gli sforzi che, nella società civile, promuovono “la ricerca del vero e del bene nelle complesse questioni umani ed etiche”.

Far sentire la voce dei più deboli, scienza serva l’uomo
Quindi, ha ribadito che se è noto a tutti “quanto la Chiesa sia sensibile alle tematiche etiche", forse "non a tutti è altrettanto chiaro che la Chiesa non rivendica alcuno spazio privilegiato in questo campo”. Di qui un appello a difendere i più deboli:

“Si tratta, in sostanza, di servire l’uomo, tutto l’uomo, tutti gli uomini e le donne, con particolare attenzione e cura – come è stato ricordato – per i soggetti più deboli e svantaggiati, che stentano a far sentire la loro voce, oppure non possono ancora, o non possono più, farla sentire. Su questo terreno la comunità ecclesiale e quella civile si incontrano e sono chiamate a collaborare, secondo le rispettive, distinte competenze”.

Mai utilizzare la biotecnologia contro la dignità umana
Il Papa ha così evidenziato che il Comitato “ha più volte trattato il rispetto per l’integrità dell’essere umano e la tutela della salute dal concepimento fino alla morte naturale, considerando la persona nella sua singolarità, sempre come fine e mai semplicemente come mezzo”:

“Tale principio etico è fondamentale anche per quanto concerne le applicazioni biotecnologiche in campo medico, le quali non possono mai essere utilizzate in modo lesivo della dignità umana, e nemmeno devono essere guidate unicamente da scopi industriali e commerciali”.

Affermare la verità dell’uomo in un contesto segnato dal relativismo
La bioetica, ha detto il Papa, “è nata per confrontare, attraverso uno sforzo critico, le ragioni e le condizioni richieste dalla dignità della persona umana con gli sviluppi delle scienze e delle tecnologie biologiche e mediche" che "nel loro ritmo accelerato, rischiano di smarrire ogni riferimento che non sia l’utilità e il profitto”. Né ha mancato di rilevare quanto sia impegnativo il “lavoro di ricerca della verità etica” in “un contesto segnato dal relativismo e poco fiducioso nelle capacità della ragione umana”:

“Voi siete consapevoli che tale ricerca sui complessi problemi bioetici non è facile e non sempre raggiunge rapidamente un’armonica conclusione; che essa richiede sempre umiltà e realismo, e non teme il confronto tra le diverse posizioni; e che infine la testimonianza data alla verità contribuisce alla maturazione della coscienza civile”.

Riflettendo sul lavoro del Comitato, Francesco ha quindi chiesto che vengano affrontate “le cause del degrado ambientale”. Auspico, ha detto, “che il Comitato possa formulare linee di indirizzo, nei campi che riguardano le scienze biologiche, per stimolare interventi di conservazione, preservazione e cura dell’ambiente” anche “per la protezione delle generazioni future”.

Tutelare embrioni, non sono materiale di scarto
Il Pontefice ha inoltre messo l’accento sul tema della disabilità e “della emarginazione dei soggetti vulnerabili, in una società protesa alla competizione, alla accelerazione del progresso”:

“E’ la sfida di contrastare la cultura dello scarto, che ha tante espressioni, tra cui vi è il trattare gli embrioni umani come materiale scartabile, e così anche le persone malate e anziane che si avvicinano alla morte".

Dal Papa, infine, l’invito ad uno “sforzo sempre maggiore verso un confronto internazionale in vista di una possibile” armonizzazione “delle regole delle attività biologiche e mediche, regole che sappiano riconoscere i valori e i diritti fondamentali”.

inizio pagina

Palazzani: Papa ci aiuta a riflettere su questioni bioetiche

◊  

Nell’udienza al Comitato nazionale di bioetica, Papa Francesco ha messo l’accento sull’impegnativo compito sostenuto da questo questo organismo su questioni molto delicate, dall'eutanasia alla maternità surrogata alla selezione genetica. Davide Dionisi ne ha intervistato la vicepresidente, la prof.ssa Laura Palazzani

R. – Ci sono moltissimi temi attualmente all’ordine del giorno. Prevalentemente legata al tema dell’unione civile, è ritornata la quesitone della maternità surrogata. A marzo ci sarà la discussione di un progetto di legge sull’eutanasia. Sono questi i due temi veramente caldi su cui la politica sta tornando a riproporre l’attenzione nell’ambito della bioetica. Ma ci sono tanti temi che non sono stati ancora approfonditi adeguatamente. Ad esempio, la questione della regolazione della fecondazione eterologa è rimasta ancora altamente problematica dopo il recente intervento della Corte costituzionale e anche la questione della selezione genetica per quanto riguarda le questioni inizio vita. Il Comitato nazionale ha recentemente elaborato vari pareri proprio per richiamare l’attenzione del governo su alcune questioni che noi riteniamo fondamentali, anche dal punto di vista della politica o della biopolitica.

D. – Nello svolgere la vostra missione, come tenere conto del pluralismo che caratterizza la nostra società sotto il profilo ideologico-religioso, sia con riguardo ai diversi approcci educativi e giuridici?

R. – Il nostro metodo di lavoro è proprio il pluralismo. Ci sono esperti di diverse discipline, di posizioni etiche diverse, e tutti hanno la possibilità di esprimersi e di argomentare la propria posizione. Lo sforzo che facciamo come Comitato nazionale per la bioetica è di ascoltarci, di capirci e di cercare – forse questa è la parte più impegnativa – di elaborare, anche laddove ci sono delle divergenze, delle posizioni molto diverse da un punto di vista etico. Di lavorare per trovare delle raccomandazioni comuni, perché noi comunque ci rivolgiamo al legislatore e dobbiamo cercare di dare a quest’ultimo delle chiavi – chiamiamole “etiche minime”, come oggi va un po’ di moda – per dare degli orientamenti comuni. Adesso, dobbiamo dedicarci molto alle questioni interreligiose.

D. – Una della vostre sfide principali è quella di stimolare un dibattito o, meglio, una riflessione pubblica su determinati temi. Come valuta il lavoro svolto fin qui  dal Comitato?

R. – Noi ci dedichiamo molto a questo, perché il nostro compito non è solo rivolgerci al governo, al parlamento in vista di una regolazione di queste problematiche, ma anche rivolgerci alla società che deve essere adeguatamente informata dei problemi nuovi emergenti. Infatti, alcuni pareri sono proprio dedicati all’informazione. Noi organizziamo ogni anno – ormai da più di dieci anni – conferenze per le scuole dove abbiamo creato una rete di contatti proprio per rivolgerci ai ragazzi giovani, che sono appunto le generazioni future che devono prendere coscienza di questi problemi emergenti. Poi, organizziamo degli incontri anche con gli universitari e con la cittadinanza. L’anno scorso a Trento abbiamo organizzato il nostro primo Convegno aperto alla cittadinanza, perché riteniamo che siano temi su cui ognuno di noi, come componente del Comitato, intenda aprirsi al dialogo con tutti per poter offrire il proprio contributo.

D. – Che contributo offrono gli appelli di Papa Francesco e quanto secondo lei incidono nel dibattito bioetico?

R. – Devo dire che la lettura dell’ultima Enciclica "Laudato si’", per chi come me è una studiosa di bioetica, è veramente di grandissimo interesse. Tocca moltissimi temi che non riguardano solo il tema ecologico, come si può pensare ad un primo approccio, ma affronta a 360 gradi tantissimi problemi che sono di degrado non solo ecologico, ma sociale e umano, con una particolare attenzione proprio alle condizioni di vita di particolari fragilità e vulnerabilità causate ad esempio dalla malattia, dal disagio socio-economico… Direi che questa Enciclica, per chi studia bioetica, è un punto di riferimento essenziale dal quale attingere in vista dell’elaborazione di pareri futuri.

inizio pagina

Papa: il cristiano ha un cuore grande che accoglie tutti

◊  

Il cuore del cristiano è magnanimo perché è figlio di un Padre dall’animo grande e apre le braccia per accogliere tutti con generosità: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta, nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria di San Tommaso d’Aquino. Presenti alcuni sacerdoti che hanno festeggiato col Papa i 50 anni della loro ordinazione. Il servizio di Sergio Centofanti

Il cristiano è un testimone della luce di Dio
“Il mistero di Dio è luce” – afferma Papa Francesco – che commenta il Vangelo del giorno in cui Gesù dice che la luce non viene “per essere messa sotto il moggio o sotto il letto, ma per essere messa sul candelabro, per illuminare”:

“E questo è uno dei tratti del cristiano, che ha ricevuto la luce nel Battesimo e deve darla. Cioè, il cristiano è un testimone. Testimonianza. Una delle peculiarità degli atteggiamenti cristiani. Un cristiano che porta questa luce, deve farla vedere perché lui è un testimone. Quando un cristiano preferisce non far vedere la luce di Dio ma preferisce le proprie tenebre, esse gli entrano nel suo cuore perché ha paura della luce e gli idoli, che sono tenebre, gli piacciono di più, allora gli manca: gli manca qualcosa e non è un vero cristiano. La testimonianza: un cristiano è un testimone. Di Gesù Cristo, Luce di Dio. E deve mettere quella luce sul candelabro della sua vita”.

Il cristiano è magnanimo: perde per guadagnare Cristo
Nel Vangelo Gesù dice: “Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più”. “Un altro tratto del cristiano - commenta il Papa - è la magnanimità, perché è figlio di un padre magnanimo, dall’animo grande”:

“Il cuore cristiano è magnanimo. E’ aperto, sempre. Non è un cuore che si chiude nel proprio egoismo. O almeno conta: fino a qui, fino a qua. Quando tu entri in questa luce di Gesù, quando tu entri nell’amicizia di Gesù, quando ti lasci guidare dallo Spirito Santo, il cuore diventa aperto, magnanimo … Il cristiano, a quel punto, non guadagna: perde. Ma perde per guadagnare un’altra cosa, e con questa – tra virgolette – ‘sconfitta’ di interessi, guadagna Gesù, guadagna diventando testimone di Gesù”.

Il grazie ai sacerdoti che hanno dato luce 
Papa Francesco si rivolge quindi a quanti, tra i presenti, hanno compiuto i 50 anni di sacerdozio:

“Per me è una gioia celebrare oggi fra voi, che fate il 50.mo del vostro sacerdozio: 50 anni sulla strada della luce e della testimonianza, 50 anni cercando di essere migliori, cercando di portare la luce sul candelabro: delle volte cade, ma andiamo un’altra volta, sempre con quella volontà di dare luce, generosamente, cioè con il cuore magnanimo. Soltanto Dio e la vostra memoria sanno quanta gente avete ricevuto con magnanimità, con  bontà di padri, di fratelli … A quanta gente che aveva il cuore un po’ oscuro avete dato luce, la luce di Gesù. Grazie. Grazie per quello che avete fatto nella Chiesa, per la Chiesa e per Gesù”.

“Che il Signore vi dia la gioia, questa gioia grande – ha concluso il Papa - di avere seminato bene, di avere illuminato bene e di avere aperto le braccia per ricevere tutti con magnanimità”.

inizio pagina

Giornata del malato a Nazareth: fare della sofferenza un bene

◊  

“Affidarsi a Gesù misericordioso come Maria: qualsiasi cosa vi dica fatela” è il tema del Messaggio del Papa per la Giornata mondiale del malato, che sarà celebrata in forma solenne - come avviene ogni tre anni - a Nazareth in Terra Santa, l’11 febbraio prossimo. L’evento è stato presentato stamani in Sala Stampa vaticana da mons. Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, insieme a mons. Jean-Marie Mate Musivi Mupendawatu e padre Augusto Chendi, del medesimo dicastero, e a padre Pietro Felet, segretario generale dell’Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Bene s’iscrive questa Giornata nel Giubileo straordinario della Misericordia, spiega il Papa nel suo Messaggio. Da qui la scelta di Nazareth, in Galilea, dove Gesù compie il primo miracolo per intercessione della Madre e compie pure molte guarigioni, segno di vicinanza  ai malati e ai sofferenti. “La malattia, quella grave - scrive Francesco - mette sempre in crisi l’esistenza umana e porta con sé interrogativi che scavano in profondità”. Se la fede in Dio  è messa alla prova, allo stesso tempo rivela tutta la sua potenzialità positiva. Qui trova ragione d’essere la Giornata del malato, ha sottolineato mons. Zimowski:

“Far del bene a chi soffre e fare della propria sofferenza un bene, cioè sensibilizzare i malati, per offrire le loro sofferenze per gli altri, per la Chiesa”.

“A volte ci intimidisce – ha osservato il presule – il fatto di non potere guarire di non poter aiutare come Gesù”:

“Cerchiamo di superare questo imbarazzo. Importante è andare, stare accanto all’uomo che soffre. Egli, forse più che della guarigione, ha bisogno della nostra presenza, dell’uomo, del cuore umano pieno di misericordia e dell’umana solidarietà”.

Chiamate in causa sono tutte le “Istituzioni che servono la salute umana”:

“Bisogna dunque a ogni costo sostenere la bella tradizione: l’opera del medico e dell’infermiere viene trattata non solo come una professione, ma anche e forse prima di tutto come un servizio, una vocazione.La cura per i minorati fisici e gli anziani, la cura per i malati di mente costituiscono, più di ogni altro ambito della vita sociale, il metro della cultura della società e dello stato".

Padre Chendi ha poi ricordato il dono concesso da Francesco dell’indulgenza plenaria e parziale a quanti con varie modalità, dal 7 al 13 febbraio, parteciperanno alle intenzioni della Giornata del malato. Tanti gli eventi in programma durante quei giorni in Terra Santa, non solo a Nazareth ma anche a Betlemme e a Ramallah, per andare incontro – ha spiegato padre Felet – alle esigenze dei pellegrini e dei fedeli residenti, alcuni anche impediti dalle autorità a spostarsi.

inizio pagina

Il Papa parla di pace e sicurezza col presidente del Togo

◊  

Papa Francesco ha ricevuto oggi in udienza il presidente della Repubblica del Togo, Faure Essozimna Gnassingbé, che poi ha incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato da mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Durante i cordiali colloqui - riferisce la Sala Stampa vaticana - si è preso atto delle buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e il Togo, e delle prospettive di un loro ulteriore consolidamento. Ci si è poi soffermati sul contributo dei cattolici allo sviluppo del Paese e al progresso integrale del popolo togolese, in particolare nel campo educativo. Nel prosieguo della conversazione sono state passate in rassegna alcune sfide che interessano i Paesi dell’Africa occidentale e sub-sahariana, sottolineando la necessità di un impegno comune in favore della sicurezza e della pace nella Regione”.

inizio pagina

Papa riceve Di Caprio per il suo impegno nella tutela ambientale

◊  

“Attore e ambientalista”. Sono le due attività dichiarate, una accanto all’altra, da Leonardo Di Caprio sul suo profilo Twitter. Ed è stato questo riconosciuto impegno nel campo della tutela ambientale che lo ha portato a desiderare di incontrare, come avvenuto questa mattina in Vaticano, Papa Francesco, nel quale Di Caprio riconosce un’autorità in materia, in particolare con la pubblicazione dell'Enciclica “Laudato si’”.

A dicembre 2015, Di Caprio era intervenuto al vertice Onu sul cambiamento climatico, svoltosi a Parigi (Cop21), e lo scorso 19 gennaio al World Economic Forum di Davos, dove ha ricevuto il premio “Cystal Award” per il suo contributo alla salvaguardia dell’ambiente. (A.D.C.)

inizio pagina

Altra udienza e nomina episcopale in Messico di Papa Francesco

◊  

Papa Francesco ha ricevuto stamani in Vaticano mons. George Panikulam, arcivescovo tit. di Arpaia, Nunzio Apostolico in Uruguay.

In Messico, Francesco ha nominato vescovo di Huejutla il rev.do José Hiraís Acosta Beltrán, Amministratore diocesano della medesima diocesi.

inizio pagina

Tweet Papa: "Come cristiani, non possiamo essere chiusi in noi stessi"

◊  

"Come cristiani, non possiamo essere chiusi in noi stessi, ma sempre aperti agli altri, per gli altri". E' il tweet pubblicato da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Patriarca Younan: cristiani siriani vivono un incubo, gente stremata

◊  

Siriani allo stremo dopo cinque anni di guerra, mentre si guarda con speranza all'impegno della diplomazia a Ginevra. In tale contesto, continua ad essere critica la condizione dei cristiani nel Paese, come spiega al microfono di Michele Raviart, il patriarca siro-cattolico Ignace Youssif III Younan, in questi giorni in Italia per una serie di conferenze promosse da “Aiuto alla Chiesa che soffre”: 

R. – Speriamo che questo colloquio per la Siria - Ginevra 3 - cominci al più presto. Vedo che i Paesi occidentali cominciano finalmente a cambiare idea e atteggiamento, a quasi cinque anni dall’inizio della crisi in Siria, dopo danni, stragi, centinaia di migliaia di persone uccise e milioni di profughi.

D. – Riguardo alla situazione dei cristiani, dove sono le emergenze più grandi adesso?

R. – La situazione dei cristiani non è differente da quella di tutti coloro che subiscono questo incubo, ma cominciano a perdere fiducia, non solamente dal punto di vista materiale, per i bisogni umanitari, ma è il loro morale che sta crollando. In alcune zone hanno perso tutto, sono diventati profughi nel loro Paese e senza avere nessuna colpa. Loro cercavano di vivere tranquillamente e pacificamente, nella tolleranza, con tutte le altre componenti. Il mio confratello, patriarca siro-ortodosso, è stato a Qamishli ultimamente, dopo i tre attentati esplosivi che hanno ucciso una ventina di giovani cristiani. Un messaggio davvero lugubre, molto triste. La gente si chiede infatti: “Fino a quando potremo rimanere? Fino a quando noi dovremo subire questo caos?”

D. – Quali sono i rischi per la comunità cristiana in Medio Oriente?

R. – Qui è in gioco il nostro destino, perché quando parliamo di Chiese orientali, siamo già piccole componenti di questi Paesi, e se continua questa crisi vuol dire che i cristiani se ne andranno e quando se ne andranno, non sarà perché alcuni hanno subito le persecuzioni, ma perché tutta la comunità le ha subite. Sarà una grande perdita non solo per le Chiese orientali, ma per tutta la Chiesa universale, perché è qui che è nata la nostra fede. Gesù parlava aramaico, non parlava né greco né latino! Quindi tutta una cultura religiosa, una cultura civile sparirà!

D. – Si possono fare delle stime su quanti se ne sono andati?

R. – Io continuo a viaggiare nel Nord dell’Iraq, anche a Baghdad. Ebbene, in Iraq possiamo dire molto tranquillamente che almeno due terzi dei cristiani se ne sono andati. Siamo ottimisti, se ci sono ancora circa 300 mila cristiani in tutto l’Iraq. In Siria, la situazione è differente, perché ci sono profughi dentro la Siria che possono andare dall’interno fino alle montagne e alla costa, anche nel vicino Libano. Ma le grandi città come Aleppo sicuramente ne hanno persi molti, almeno il 50 per cento dei cristiani. La situazione è davvero drammatica: il cibo è diventato più caro, non c’è riscaldamento, non c’è acqua e non c’è elettricità. E’ già da tre anni che la gente è in questa situazione e non se ne parla, questo è il problema. Qui in Occidente non se ne parla abbastanza. Possiamo dire che almeno un terzo della popolazione siriana si trova nella condizione di profugo, sia all’interno che fuori.

inizio pagina

Siria: attesa per negoziati a Ginevra, curdi non invitati

◊  

È attesa per oggi a Riad una decisione dei gruppi e delle fazioni dell'opposizione al regime siriano di Bashar al-Assad, che si riconoscono nel cosiddetto Alto Comitato Negoziatore, appoggiato dall'Arabia Saudita: il nodo da sciogliere è quello sulla loro partecipazione ai colloqui di pace sulla Siria, da domani a Ginevra con la mediazione dell’Onu. L'inviato speciale delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura, non ha divulgato i nomi dei partecipanti agli incontri in Svizzera: di sicuro si sa che non sono stati invitati a partecipare gli esponenti del principale schieramento curdo in Siria, il Partito dell'Unione Democratica (Pyd). Sui motivi di questa esclusione, Giada Aquilino ha intervistato Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali all’Università di Firenze: 

R. – C’è un attore cruciale per quello che riguarda ogni futuro negoziato rispetto all’assetto che la Siria dovrà assumere alla fine della guerra civile in atto: questo attore è ovviamente la Turchia. La Turchia si è sempre opposta nettamente alla partecipazione del Partito dell’Unione democratica curda ai negoziati, perché lo considera un’emanazione del Pkk che opera in Turchia. Quest’ultimo a sua volta è ritenuto essere un’organizzazione terroristica. Quindi anche il Partito dell’Unione democratica curda e la sua emanazione militare – le cosiddette Unità di protezione popolare (Ypg) – sono visti alla stregua di organizzazioni terroristiche, perciò non aventi lo status per partecipare a dei colloqui che dovrebbero vedere seduti allo stesso tavolo da un lato i rappresentanti del governo siriano di Assad e dall’altro le principali formazioni di opposizione al governo medesimo.

D. – Dal punto di vista strategico che ruolo hanno di fatto il partito curdo e la sua ala armata sul terreno?

R. – Hanno un ruolo indubbiamente decisivo per quello che riguarda soprattutto il destino delle regioni settentrionali della Siria. Occorre ricordare che i curdi sono stati i più efficaci oppositori dei tentativi di espansione – e penso al caso di Kobane – del sedicente Stato islamico, Daesh, verso quell’area. Il problema però è che le formazioni curde non sono coese, o meglio: c’è una forte divisione politica e strategica tra la posizione della minoranza curda presente in Iraq e le posizioni dei curdi in Siria, in particolare del Partito dell’Unione democratica curda, che è la seconda maggiore formazione assieme al Consiglio Nazionale curdo. Questo perché i curdi del governo autonomo del Kurdistan iracheno di fatto hanno stabilito dei rapporti di cooperazione, economica e soprattutto politica, con il governo di Erdogan; ma la Turchia ha una posizione completamente diversa rispetto al Patito dell’Unione democratica curda. Quest’ultimo peraltro risente della posizione adottata dal Pkk in Turchia che, dopo l’attentato in cui rimasero uccisi 32 curdo-turchi, ha lanciato una campagna terroristica contro il governo turco, fondata sulle uccisioni di poliziotti e militari: tale campagna ha esacerbato i rapporti tra il Pkk e il governo turco, in questo pluridecennale, sanguinosissimo conflitto interno.

D. - La Russia, che è invece il principale sponsor di una partecipazione curda ai negoziati, spera che i curdi siano fuori solo in questa fase, ma che poi possano entrare in un secondo momento. È possibile secondo lei?

R. – Molto dipenderà dalla capacità di pressione russa e dalle posizioni sul terreno, conquistate dalle singole fazioni e dai singoli spiegamenti di forze. E naturalmente da come evolverà la situazione interna in Turchia. Alle spalle di queste diverse posizioni c’è anche il contrasto e il confronto, che ha assunto toni drammatici negli ultimi mesi, tra la Turchia da un lato e la Federazione Russa dall’altro.

D. – Le polemiche sulle divisioni dell’opposizione siriana sembrano far passare in secondo piano in questo momento la questione cruciale: cioè il futuro di Assad…

R. – Certo. È davvero la questione cruciale, perché è la maggiore pietra d’inciampo rispetto a qualsiasi prospettiva di conclusione positiva della nuova sessione negoziale che si va ad aprire a Ginevra. Forse una soluzione potrebbe essere quella di favorire un’uscita "morbida" di Assad, mantenendo però al potere in sua sostituzione qualcuno del suo entourage che sia politicamente presentabile anche nei confronti di una parte dell’opposizione “democratica”, anche se individuare esattamente quella che in Siria in questo momento è l’opposizione democratica, o considerata tale, non è affatto semplice.

inizio pagina

Migrantes sulla Svezia: gravi segnali da un'Europa frammentata

◊  

Sono almeno 24 i corpi dei migranti recuperati oggi nell’Egeo, dopo il naufragio di un barcone davanti all’isola greca di Samo. Tra le vittime vi sono diciotto bambini. La Svezia, intanto, ha deciso di espellere fino a 80 mila persone alle quali è stata negata la richiesta di asilo. Sarebbero tutti migranti arrivati nel Paese nell’arco del 2015. il servizio di Francesca Sabatinelli

Mentre i bambini continuano a morire, l’Europa continua a chiudere. Dopo la controversa legge approvata in Danimarca, che prevede il prelievo di soldi e beni ai migranti, e attualmente al vaglio dell’Unione Europea, oggi la Svezia ha annunciato l’intenzione di espellere dalle 60 alle 80mila persone ritenute senza requisiti per la richiesta di asilo. In considerazione dell’alto numero, inoltre, per riportarli a casa nell’arco di alcuni anni, verranno utilizzati voli charter noleggiati appositamente e non voli commerciali come di consueto. Tra gli espulsi potrebbero esservi anche iracheni o afghani, e quindi con diritto a ricevere protezione internazionale, che però potrebbero essere cacciati in virtù del regolamento di Dublino. Rimpatriare gli illegali per l’Ue “è una questione di credibilità”, perché l’Europa non è una porta aperta: così la Commissione Ue all’immigrazione commenta la decisione svedese. Di altro avviso mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes :

“E’ un segnale certamente negativo, che dimostra come l’Europa si stia frammentando e stiano ritornando le decisioni nazionali, e non dell’Unione Europea, sulla tutela dei richiedenti asilo. Un segnale grave, seguito dai segnali arrivati nei giorni scorsi sull’intenzione di sospendere il Trattato di Schengen, che non aiuta certamente ad affrontare un dramma che cresce e che ha sempre di più degli aspetti preoccupanti, legati a Paesi e persone in fuga.L’Europa implode, e non sotto il peso dei migranti, che sono stati un milione e quindi in un continente di 550 milioni non è certamente una realtà implosiva, ma implode perché non è in grado di affrontare e regolamentare un fenomeno e perché non è stata in grado di preparare questo fenomeno che interessa l’Europa proprio perché l’Europa stessa ha creato delle condizioni gravi in alcuni Paesi: parlo dell’Iraq, parlo della Siria, parlo dell’Eritrea, che è stata abbandonata a stessa così come la Libia. Quindi, l’Europa piange ciò di cui è causa lei stessa”.

La presidenza di turno olandese dell’Ue, nel frattempo, starebbe lavorando a un piano per l’accoglienza ogni anno di un massimo di 250 mila migranti provenienti dalla Turchia. Ankara da parte sua dovrebbe riprendere tutte le persone che sbarcano illegalmente sulle coste greche, uno scambio che però solleva interrogativi. Ancora mons. Perego:

“Il fatto di creare un peso eccessivo su un Paese che comunque è ancora alla frontiera dell’Europa, come la Turchia, pensando di spostare il problema in questo Paese è ciò che era già avvenuto precedentemente per quanto riguarda la Libia. E questo significa non affrontare responsabilmente, invece, un nuovo programma di asilo che sostituisca Dublino, che è fallimentare”.

In Italia, intanto, alle tante voci che da sempre chiedono l’abolizione del reato di clandestinità, e tra queste forte è stata sempre quella di Migrantes, si unisce la denuncia fatta oggi dal primo presidente della Cassazione, Giovanni Canzio, per il quale tale reato è una risposta “inutile, inefficace e per alcuni profili dannosa”. Mons. Perego:

“Speriamo che la politica, non abbandonandosi a paure e ideologie, prenda atto di questa realtà, da tutti detta 'intelligente', che è l’abolizione del reato di clandestinità. E quindi che faccia sostanzialmente uscire 1.500 persone che sono nelle carceri italiane per questa ragione e provveda invece a rafforzare dei sistemi di accompagnamento e di ri-accompagnamento in patria di quelle persone che eventualmente sono irregolarmente presenti nel nostro Paese”.

Almeno 18 i bambini tra le 24 vittime di oggi nell’Egeo, a largo dell’isola greca di Samo dove è naufragato un barcone:

“Il dramma dei bambini che continuano a morire, deve fortemente portare a pensare a canali umanitari, almeno per le persone che sono più fragili: donne incinta, donne con minori, bambini soli e neonati, facendo in modo che effettivamente questa esperienza dei canali umanitari non venga abbandonata semplicemente alla volontarietà di alcuni mondi associativi, ma sia veramente un programma europeo. Sarebbe un grande segnale di civiltà da parte dell’Europa”.

Londra ha intanto stabilito che non accoglierà più i minori non accompagnati se non in arrivo direttamente dai campi profughi in Siria. Cade così la possibilità di aprire le porte del Regno Unito a oltre tremila profughi minorenni già presenti sul territorio europeo, così come richiesto da alcune associazioni umanitarie. La decisione del premier Cameron nascerebbe dalla volontà di non voler incoraggiare l’arrivo di nuovi migranti in Europa.

inizio pagina

Pace in Centrafrica. Il nunzio: la voce del Papa è stata ascoltata

◊  

In Centrafrica, per difficoltà organizzative, è stato posticipato a data da destinarsi il secondo turno delle elezioni presidenziali. La situazione nel Paese appare più tranquilla rispetto alla guerra civile che ha colpito il Paese sino ad alcuni mesi fa. L'attenuarsi delle tensioni è dovuto, in particolare, al messaggio di pace lanciato da Papa Francesco durante il suo viaggio apostolico nel Paese lo scorso novembre. Ricordiamo che il Pontefice ha aperto la Porta Santa della Cattedrale di Bangui, in anticipo sull'inaugurazione ufficiale del Giubileo della Misericordia. Hélène Destombes ha chiesto al nunzio apostolico a Bangui, mons. Franco Coppola, se dunque la voce del Papa sia stata ascoltata dai centrafricani: 

R. – Sì: è stata ascoltata … Penso alle donne che l’hanno accolto al campo degli sfollati cantando: "Il Papa è venuto, la pace è venuta". Il suo messaggio è stato ripetutamente questo: "Siete tutti fratelli". Una popolazione abituata da tre anni a dividersi, è stata richiamata dal Papa a vedere quello che la univa. E attraverso la sua visita, ha visto che veramente erano tutti fratelli, perché tutti accoglievano con la stessa gioia e la stessa esultanza il Papa che andava a trovarli. Ed è andato a trovare veramente tutti: è andato a trovare la comunità protestante, è andato a trovare i musulmani. C'era una grande paura, prima, da parte della comunità cristiana: paura per il Papa, paura dei musulmani in generale – “Chissà che cosa vanno a fare!” – e vedere l’esultanza con cui l’hanno accolto, l’esultanza con cui l’imam l’ha accolto, tanto calorosa che poi il Papa gli ha ricambiato invitandolo a salire sulla papamobile! Credo che sia il primo imam che sia salito sulla papamobile per salutare la gente … E la gente, questo gesto l’ha accolto veramente con un grande applauso, con grande gioia. Credo che sia stato questo: prendere coscienza di questa realtà, che tutti avevano dentro, ma avendo paura dell’altro. E il Papa ha fatto scoprire che siamo fratelli e che vogliamo la pace.

D. – Questo ha permesso che le elezioni potessero realizzarsi in un clima sereno; però, purtroppo le legislative sono state annullate. Si possono temere nuove violenze in seguito a questo annuncio?

R. – Non credo, onestamente, che ci saranno. I due movimenti che si contrapponevano, dopo la venuta del Papa, hanno provato ancora a riprendere in mano la guida di questa lotta, impedendo alla popolazione – attraverso spari in aria, creando un po’ di confusione – di andare al referendum sulla Costituzione che si svolgeva giusto la domenica dopo la venuta del Papa. Ma la popolazione, questa volta, non ha fatto come le altre volte, che si chiudeva in casa e accettava la minaccia delle milizie: è uscita di casa, è andata al quartier generale dei Caschi Blu e ha chiesto loro di essere protetta perché loro volevano votare. E con i cartelloni hanno indicato nome e cognome delle persone che sparavano, chiedendo che fossero arrestate. E’ stata la prima volta dall’inizio della crisi in cui la popolazione si è chiaramente desolidarizzata dai movimenti armati. E il giorno dopo i Caschi Blu si sono organizzati e il referendum si è tenuto regolarmente. Da allora, le milizie armate non hanno più mosso un dito. Anche il leader più pericoloso di cui si parlava, un certo Noureddine Adam, che voleva addirittura separare il Centrafrica, fare un Centrafrica del Nord arabo e musulmano, è scappato, è andato via dal Paese. Quindi, le milizie hanno abbandonato, si sono rese conto che non hanno più presa sulla popolazione. E la popolazione vuole la pace. E la popolazione – la stragrande maggioranza! – si è resa conto di essere più forte delle milizie. E per questo, il primo turno delle elezioni si è svolto tranquillamente: quasi l’80 per cento della popolazione è andata a votare, hanno accettato il risultato anche se è stato sorprendente – non era quello che ci si aspettava, e questo anche la dice lunga sul fatto che i brogli che si temevano non si sono realizzati, perché le persone che il regime o le grandi potenze pensavano o immaginavano come futuri dirigenti, non sono stati eletti, di fatto: sono degli “outsider”, quelli che sono venuti fuori. E anche lunedì scorso, quando la Corte Costituzionale ha dato il suo giudizio definitivo e inappellabile sui ricorsi, tutti i candidati – anche quelli perdenti – hanno accettato il verdetto e hanno detto che ora si sarebbero occupati di vedere con chi allearsi. Per cui, non ho timore che in futuro ci siano queste violenze. Le legislative sono state annullate per una questione tecnica. Infatti il Paese è molto grande: il Centrafrica è il doppio dell’Italia, ma poco popolato, ha solo quattro milioni e mezzo di abitanti. Ci sono villaggi sperduti e molto isolati, quindi molto difficili da raggiungere. Per cui ci sono state zone nelle quali le schede non sono proprio arrivate e le schede elettorali per le legislative erano molto più complicate di quelle per le presidenziali: quelle per le presidenziali erano uguali per tutto il Paese; è stato stampato un milione di schede e sono state distribuite tutte, ovunque. Nelle circoscrizioni, invece, ogni scheda era secondo la circoscrizione, con i candidati di quella circoscrizione. Allora, se – per esempio – in una circoscrizione un seggio non ha avuto le schede e quindi mille persone non hanno potuto votare, a livello delle votazioni nazionali in cui c’è una differenza di circa 100 mila voti tra il primo e il secondo e fra il secondo e il terzo, il fatto che mille non abbiano votato, anche se avessero votato tutti per il terzo, non gli avrebbero permesso di diventare secondo. E quindi è stato accettato e convalidato il risultato delle presidenziali. Mentre invece per le legislative, quei mille voti possono cambiare il risultato, ed è per questo che le legislative sono state annullate: perché non c’era stato tempo sufficiente per prepararle per bene. Ora si spera che l’idea che c’è è quella di approfittare del secondo turno delle presidenziali per recuperare il primo turno delle legislative e poi fare in seguito il secondo turno.

D. – Le sfide, nel Paese, a livello sociale ed economico sono sempre le stesse; ma si può dire, almeno a livello della sicurezza, dell’atmosfera, che c’è stato un “prima e dopo visita del Papa”?

R. – Indubbiamente, indubbiamente … Prima della visita del Papa le due comunità erano veramente separate. C’erano queste milizie che avevano interesse a creare questa separazione e avevano proprio odio gli uni contro gli altri, e la popolazione era vittima di queste milizie e restava bloccata. Le suore che noi abbiamo in nunziatura avevano paura del km5: “I musulmani chissà che cosa fanno!”. Il fatto che nella sua visita il Papa sia andato in questi posti, in questi posti che erano off-limits, che erano vietati, i cristiani hanno visto che il Papa è stato bene accolto: non solo bene accolto, accolto con esultanza, con gioia dai musulmani. E la gente ha visto che “gli altri” erano come loro, che hanno gli stessi desideri, le stesse aspirazioni … Da allora, non ci sono più zone off-limits nella capitale. Il km5 è famoso perché vede la presenza della parte musulmana del Centrafrica e perché è il grande mercato della capitale; i musulmani sono essenzialmente mercanti: mercanti arabi che hanno grandi relazioni, grandi possibilità di commercio, mentre invece i centrafricani non sono molto attivi da questo punto di vista. Il mercato centrale del km5 ha ripreso: i cristiani ci vanno tranquillamente, i musulmani hanno ripreso a fare affari, la vita è ripresa normalmente! Un segno piccolo, concreto dalla nunziatura: la nunziatura si trova su una strada che porta al km5: siamo a un chilometro e mezzo di distanza, all’incirca. Prima della visita del Papa, al calare della sera, anche per il fatto che non c’è illuminazione pubblica, era deserto. Ora, la sera, la gente passeggia lo stesso, anche le donne escono, nonostante il buio. Quindi, c’è una grande sensazione di sicurezza.

D. – Come si vive, oggi, questo Anno Santo, in Centrafrica? Un anno che è stato inaugurato alle periferie delle periferie, a Bangui, da Papa Francesco?

R. – Questa è una delle cose che ha più colpito i centrafricani. Il Centrafrica è abituato, in tutte le classifiche mondiali a essere, quando va bene, terz’ultimo. Per la prima volta, è stato primo! Il Papa lo ha messo al primo posto per l’Anno Santo, e anche in un modo assolutamente inatteso: non è mai successo che l’Anno Santo venisse aperto fuori Roma. Loro hanno colto questo privilegio straordinario che è stato loro riservato. Ed è stato importante, prezioso, perché finora la gente parlava soltanto immaginando la fine di questa crisi, del fatto che bisognava rendere giustizia, che bisognava far arrestare i colpevoli, che bisognava punirli … Non si riusciva ad andare al di là. Però, finché i colpevoli dovevano essere arrestati ma conservavano le armi, era difficile arrestarli: se hanno le armi, si difendono. Il Papa ha introdotto con l’Anno Santo della Misericordia il concetto della misericordia e del perdono, ricevuto e offerto. Sapere di essere perdonati dal Signore nonostante il male fatto e quindi essere capaci di perdonare a nostra volta i nostri debitori, come si dice tante volte. La Chiesa stessa, davanti all’enormità del male che veniva commesso, non aveva abbastanza coraggio di predicare questo. Il Papa, con l’Anno Santo e aprendo la Porta della Misericordia, è stato il primo che ha usato questi termini: “perdono”, “misericordia”. Citando lui, anche i vescovi, anche i preti ora hanno preso coraggio: il coraggio di annunciare questa possibilità, questa via diversa che la Chiesa e la fede offre loro. Scoprire innanzitutto che ciascuno ha in qualche modo le mani, se non proprio sporche di sangue, quantomeno “sporche” per questa crisi; quindi, scoprire prima di tutto che lo sguardo con cui Dio ti guarda è uno sguardo misericordioso, uno sguardo che si dimentica del passato e guarda avanti, vuole guardare avanti e ti chiede di fare allo stesso modo con gli altri. Quindi: scoprirsi perdonati, scoprire la misericordia del Signore e, in base a questa misericordia, avere il desiderio di essere misericordiosi nei confronti dei fratelli. E questa è la dimensione del perdono che i centrafricani stanno riscoprendo, proprio grazie a questa iniziativa del Papa.

inizio pagina

Family Day. Gandolfini: una grande piazza per dire ciò che pensa la gente

◊  

La macchina del Family Day 2016 è in piena attività. Per gli organizzatori, sabato prossimo 30 gennaio, al Circo Massimo, sono attese almeno un milione di persone. Si annuncia una piazza multireligiosa, animata dalla società civile e autofinanziata dai tanti cittadini che si stanno organizzando con auto, treni e autobus per raggiungere Roma. Intanto, il parlamento italiano, dopo l’accordo di ieri tra i partiti, ha deciso di rinviare le votazioni sulle pregiudiziali al ddl Cirinnà sulle unioni civili a martedì, dopo il Family Day. Al microfono di Luca Collodi, ascoltiamo Massimo Gandolfini, medico neurochirurgo, presidente del Comitato ‘Difendiamo i Nostri Figli’ e promotore del Family Day: 

R. – Siamo quasi al traguardo. L’organizzazione sta andando molto bene, le adesioni e le partecipazioni sono veramente numerosissime, direi superiori rispetto alle aspettative. Pensiamo di avere davvero una piazza gremitissima e soprattutto con gente di ogni tipo, di ogni estrazione. Ci sarà la cultura ovviamente, la tradizione cristiano-cattolica, ma non soltanto quella: ci saranno anche cristiani di altre confessioni e persone di religioni diverse: musulmani, addirittura i Sikh. Per cui sarà veramente una piazza importante. Per quanto riguarda l’associazionismo, credo che sarà rappresentato tutto: non c’è praticamente quasi nessuna assenza dell’associazionismo cattolico. E questo ci fa anche molto piacere, perché è un ritrovato valore di grandissima qualità: quello della condivisione, della partecipazione e della comunione tra queste grandi anime della storia, possiamo dire, del laicato cattolico.

D. – Gandolfini, la sensazione è che questo Family Day nasca dal basso, dalla società civile, senza mediazione…

R. – Sì, esatto, la definizione è giustissima. Già il 20 giugno scorso avevamo intercettato questo desiderio della gente di far sentire la propria voce. Allora - il 20 giugno - di fronte all’ideologia gender che stava entrando nelle scuole. E questo desiderio di partecipazione diretta, io lo chiamo di “cittadinanza attiva”, è andato aumentando sempre di più. Noi del Comitato non abbiamo fatto nient’altro che cercare di coagularlo, incanalarlo; per poter dare, come usiamo dire con uno slogan ma che è una profonda verità, ‘poter dare voce a chi non ha voce’. E su questo desiderio di protagonismo da parte del nostro laicato in generale, del laicato cattolico degli uomini e delle donne, delle famiglie, delle parrocchie, poi, si è innescato il grande valore dell’attenzione da parte di tante associazioni. E siamo arrivati – stiamo arrivando – al 30 gennaio, dove penso che ci ritroveremo tutti insieme in una bella piazza. Perché vogliamo che sia una bella piazza. Con la rappresentazione delle famiglie, anche per togliere un po’ quello stereotipo che sembra continuamente vada in onda oggi, per cui la famiglia è il luogo del femminicidio, delle violenze, di ogni bruttura… Le famiglie – ringraziando il cielo! – non sono così. Ci sono dei casi singoli, ma sono singoli.

D. – Non è una manifestazione contro qualcuno…

R. – Esatto, questo va sottolineato. Non è una manifestazione contro le persone. Penso che dal punto di vista cristiano non bisognerebbe sprecare neanche una parola: sappiamo benissimo qual è l’insegnamento di Nostro Signore nei confronti di tutte le persone. Ma anche – mi permetto di dire – da un punto di vista laico; “nessuna persona, per condizioni personali o sociali” – dice l’articolo 3 della Costituzione – “deve essere fatta oggetto di violenza e discriminata”: quindi nessuna persona. Mentre c’è una linea ben precisa nei confronti di queste leggi che stravolgono l’antropologia umana.

D. – Gandolfini, si guarda spesso alla famiglia dal punto di vista religioso. Forse si dovrebbe guardare alla famiglia anche da un punto di vista più sociale, economico, per il ruolo che svolge nella società…

R. – Dal punto di vista religioso, penso che le parole che ha detto il Santo Padre qualche giorno fa parlando alla Sacra Rota Romana siano una summa che non ha bisogno di commento. Dal punto di vista laico è importantissimo dire, ad esempio, che la famiglia è il più grande ammortizzatore sociale che l’Italia abbia. Proviamo a pensare a cosa sarebbe stata la crisi economica se non ci fossero stati i genitori, gli zii, i nonni, che sostengono i figli in difficoltà, di fronte alla disoccupazione e quant’altro. Per cui, anche dal punto di vista laico, la famiglia è un grande dono da preservare e da difendere.

D. – Spesso si dice: “Ce lo chiede l’Europa”. Ma c’è la sensazione di una grande frattura culturale e politica tra il Paese reale e quello legale, in Italia e in Ue…

R. – Assolutamente. Questo mantra “Ce lo chiede l’Europa” deve essere immediatamente cassato, per una serie di ragioni. La prima, la più semplice di tutte, è che non è detto che tutto ciò che fa l’Europa sia automaticamente buono. Se andiamo a pensare alla posizione che molti Stati europei hanno sul gravissimo problema dei migranti, ci manca solo di allinearci da questo punto di vista. Per cui, l’Europa fa cose buone ma anche non buone, e spetta a ogni popolo, al popolo italiano, discriminare fra queste. Questo della frattura è un altro tema molto importante ed è quello che ci ha spinto ad organizzare una grande piazza e manifestazione, perché il popolo italiano manifesti il suo comune sentire. Perché oggi il Parlamento italiano, le forze che sono all’interno, in buona parte non rispecchiano il comune sentire della gente.

D. – L’applicazione del Codice civile può soddisfare le esigenze e il rispetto di tutte le persone?

R. – Assolutamente sì. Nel Codice civile – per motivi di tempo non ne voglio fare la lista – ma in questo ci sono praticamente tutte le garanzie necessarie perché due persone possano vivere una loro convivenza scelta. Non c’è bisogno di aggiungere molte cose.

D. – Il Parlamento ha rinviato il voto sulle unioni civili a dopo il Family Day. Perché secondo lei?

R. – L’interpretazione che ne do io, al di là delle giustificazioni di ordine amministrativo-burocratico, è che tutti gli occhi saranno puntati sul Family Day di sabato prossimo. Gli uomini politici, gli uomini schierati partiticamente, vorranno vedere se davvero questo Family Day è una grande manifestazione del comune sentire della gente o invece è un’adunata di qualche migliaia di persone. È per questo che abbiamo lanciato appelli dovunque; e vorrei usare questa occasione che Radio Vaticana mi dà per lanciare un ulteriore appello: dobbiamo essere in tantissimi! Arrivo a dire che, al di là delle parole che suoneranno dal palco, il vero messaggio mandato alla politica è una piazza piena con centinaia di migliaia di persone. Perché allora non si potrà più dire che il popolo italiano è d’accordo con certe derive inaccettabili.

D. – Quanti partecipanti al Family Day è possibile ipotizzare ad oggi?

R. – Penso, dai dati organizzativi che abbiamo, che – realmente - e quindi non con slogan mediatici, saremo un milione di persone.

D. – Sarà, tra l’altro sarà anche un momento interreligioso?

R. – Esatto: saranno presenti musulmani. Siamo molto contenti, perché anche questo conferma l’importanza del tema famiglia. Saranno presenti sia sunniti che sciiti che, normalmente, non hanno un rapporto facile tra loro. E saranno presenti anche gli evangelici, i pentecostali, addirittura la religione indiana dei Sikh. Sarà, davvero, una piazza multi-religiosa.

D. – La manifestazione di sabato al Circo Massimo è autofinanziata?

R. – Esatto la manifestazione è autofinanziata. Abbiamo delle persone molto generose che ci stanno aiutando. Ma, se lei vedesse questo conto corrente che abbiamo aperto chiedendo aiuto, ci sono delle persone che vanno in banca e fanno l’IBAN per dieci euro. E questo dice la passione e il sentimento degli italiani.

inizio pagina

Dureghello: antisemitismo si sconfigge conoscendo gli ebrei

◊  

Una testimonianza che parla dell’ orrore della deportazione, ma anche della speranza che nasce dal bisogno di guardare avanti e raccontare ciò che si è vissuto. “Eravamo ebrei. Questa era la nostra colpa” è il libro presentato ieri pomeriggio nella Sala Marconi della nostra emittente, in cui la giornalista Ester Mieli intervista il nonno Alberto Mieli, uno dei pochissimi sopravvissuti al campo di concentramento di Auschwitz. Il servizio di Marina Tomarro: 

Una storia dove si parla di tante, troppe lacrime versate, di disperazione per diritti negati, come quello di andare a scuola, quando ad Alberto Mieli, da bambino a causa delle leggi razziali gli fu detto che non poteva più frequentare la classe con i suoi compagni, perché la sua unica colpa era quella di essere ebreo, ma anche lacrime di gioia come quelle quando riuscì finalmente  a tornare vivo a Roma dal terribile campo di Auschwitz e a riabbracciare i suoi fratelli e la madre. Ascoltiamo padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, che durante la conferenza di presentazione ha indossato la kippah, ha spiegato, in segno di rispetto  e solidarietà:

R - Di fronte alla tragedia, c’è un grande spazio di silenzio, di domanda e di riflessione. Ecco, credo che questo sia anche l’atteggiamento di fondo con cui tutti noi ci reinseriamo nella realtà della memoria, di quello che è successo. E quindi con estremo rispetto e con un atteggiamento profondo ci troviamo di fronte a qualcosa di così terribile, che ha delle dimensioni misteriose; ci interroghiamo profondamente, cercando di capire se troviamo, se possiamo vedere davanti a noi delle luci e delle risposte di fronte a questa assurdità”.   

E padre Lombardi, nella conferenza ha ricordato le visite al campo di concentramento di Auschwitz, sia di Giovanni Paolo II nel 1979, che di Benedetto XVI nel 2006. A questo proposito ha osservato: "Penso che tra non moltissimo tempo anche Papa Francesco interverrà ad Auschwitz". E tra le pagine del libro non scorre solo l’orrore, ma si percepisce soprattutto la solidarietà che si creava subito tra coloro che erano costretti a subire quella terribile prigionia. Ascoltiamo ancora il direttore della Sala Stampa:

R - Un altro aspetto che mi ha colpito tantissimo è la condivisione della compassione. Nel libro cioè ci sono vari punti in cui si vede che lui soffre, perché è ebreo, è stato deportato, ma lì trova anche altre persone, che condividono con lui questa sorte di violenza, di oppressione, di distruzione della dignità umana e si avvicina a loro e condivide con loro questa realtà in un modo assolutamente fraterno, umano, condiviso. Ma la cosa che poi mi affascina di più di questo libro è che la memoria di Alberto, attraverso tutto il suo itinerario fino ad oggi, è una memoria che diventa serena, che diventa in un certo senso capace di ispirare il superamento dell’odio e riconciliazione.

E il dramma della Shoah deve diventare insegnamento per le generazioni future, soprattutto in un momento difficile come questo attuale. Ruth Dureghello, presidente della comunità Ebraica di Roma:

R - Non è tanto la conoscenza degli ebrei morti che permette di affrontare il futuro, ma questo deve passare per la conoscenza dei vivi. Cosa rappresenta l’ebraismo? Chi sono gli ebrei? Qual è stata la loro colpa per poi essere vittime di tanto odio e di tanta discriminazione, anche oggi? Quindi è vero che dobbiamo continuare a trasmettere la memoria della Shoah, ma cerchiamo anche di comprendere che il messaggio deve passare attraverso una conoscenza specifica e superare le barriere di millenari pregiudizi e ataviche remore nei confronti del mondo ebraico".

Testimonianze come quella di Alberto Mieli diventano allora un monito contro ogni discriminazione. Ascoltiamo mons. Marco Gnavi, responsabile per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso per il Vicariato di Roma:

R - Ricordare e farlo attraverso il vissuto dolorosissimo e coraggioso di persone come Alberto Mieli, ci restituisce tutta la verità dell’epifania del male che è stato Auschwitz e la faticosa battaglia del bene, anche nei decenni successivi fino ad oggi, perché quell’orrore fosse un monito per le giovani generazioni. C’è una grandissima lezione di umanità, perché Alberto è rimasto ciò che era: un uomo legato alla sua famiglia e ai suoi affetti, che ha mantenuto dentro di sé tutti questi ricordi per lunghissimi anni, lunghissimi decenni, fino a quando non ha deciso di aprire il cuore alle giovani generazioni, aiutandole a discernere. Ritornare alla memoria della Shoah significa anche avere il coraggio di affrontare il male per ciò che è, quando è solo una scintilla di antisemitismo, per non farsi dominare dalla paura ma vivere il lascito di questa eredità dei sopravvissuti da parte nostra, come cristiani, con la coscienza che il rapporto con i nostri fratelli ebrei è irrinunciabile.

inizio pagina

Al di là del Mediterraneo, il lavoro di Amref per i rifugiati

◊  

L’Africa è il secondo continente più popolato al mondo, ma anche quello con maggiori carenze a livello sanitario. E da qui convergono inoltre importanti flussi di migranti e rifugiati. Per aiutare a comprendere meglio la variegata realtà africana e capire come si sta agendo, in particolare da parte italiana, per prevenire il fenomeno dell’esodo direttamente nei paesi più vulnerabili, si è tenuto ieri presso la Camera dei Deputati un incontro dal tema "Partiamo dall’Africa. Cosa c’è dall’altra parte del Mediterraneo", organizzato Amref, la più grande organizzazione sanitaria africana che opera nel continente. Su quanto emerso dall’incontro, Lucas Duran ha raccolto la testimonianza di Mario Raffaelli, presidente di Amref Italia e profondo conoscitore dell’Africa: 

R. – L’idea è nata sotto la spinta della grave crisi dell’emergenza rifugiati di questo periodo che rischia di fuorviare l’attenzione, la sensibilità della popolazione, che di fronte a un elemento di emergenza e drammaticità rischia di non capire la portata di un problema che invece è strutturale e non può essere affrontato senza un’adeguata conoscenza.

D. – Qual è il concetto emerso durante i lavori e riferito al fenomeno dei migranti e dei rifugiati?

R. – Questo è il momento intermedio tra prima e dopo. Prima, cioè le radici profonde del motivo per il quale ci sono questi fenomeni di movimenti massicci di popolazione, e il dopo che riguarda le modalità secondo le quali gestire, dopo il doveroso salvataggio, le fasi successive che sono quelle più difficili.

D. – Come definire dunque la realtà del continente africano che, di fatto, si presenta a soli pochi chilometri dall’altra parte del Mediterraneo?

R. – Bisogna parlare non di Africa ma di "Afriche", perché coesistono realtà diverse. Però, l’immagine che fino a qualche anno fa veniva data al continente perduto è da dimenticare, perché laddove è stata costruita una situazione di stabilità e di pace, dove questi conflitti non esistono, c’è ormai da anni un trend di sviluppo crescente e quindi una grande speranza. Siamo di fronte a un momento di difficoltà, ma anche di grande speranza e soprattutto alla necessità di un futuro comune sul quale bisogna lavorare insieme.

D. – In una realtà come quella che ci ha descritto, come opera ormai da quasi 60 anni "Amref Health Italia" per portare beneficio alle popolazioni dei Paesi in cui è presente?

R. – Quello che Amref fa è esattamente questo: cercare di creare – attraverso un intervento che è focalizzato sulla sanità, ma intesa in senso ampio, andando cioè dal fornire le condizioni minime dall’acqua pulita, all’igiene fino ai sistemi sanitari rurali più complessi –   le condizioni affinché la gente possa rimanere nei loro Paesi, oppure possa emigrare ma a ragion veduta, avendo una professionalità nell’ambito di quello scambio globale che ormai è una componente necessaria nel futuro. Amref è presente in circa 26 Paesi con 172 progetti come network generale. Fra questi, la più importante componente è rappresenta dai flying doctors – i "dottori volanti" – che hanno dato vita ad Amref circa 60 anni fa. Erano tre medici che con i loro aerei andavano a portare soccorso alle popolazioni disagiate e che oggi sono un’entità consistente con una flotta capace di raggiungere 150 località all’anno, da quattro a sei volte, e quindi portando non solamente aiuto di emergenza ma anche sviluppo e training.

inizio pagina

Mons. Zuppi: Chiesa e teologia in San Tommaso D’Aquino

◊  

Oggi si celebra la memoria di San Tommaso D’Aquino, grande teologo medievale che segnato la storia del pensiero cristiano e dell’Occidente. Mons.Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha rilasciato un’intervista alla sua Facoltà teologica dell’Emilia Romagna sul rapporto tra teologia e Chiesa.  Il servizio da Bologna di Luca Tentori: 

Identità e futuro della teologia ai tempi di papa Francesco. A parlarne non un accademico ma un pastore, l’arcivescovo di Bologna mons. Matteo Zuppi. Per ribadire che anche sulla sponda della pastorale c’è bisogno di vera teologia.

“E’ un rapporto strettissimo. Qualche volta purtroppo bisogna dire che hanno preso delle strade diverse, faticosamente collegate l’una all’altra. La pastorale richiede la teologia. Senza questa rischia di essere “praticoneria” oppure ripetitiva, superficiale. Allo stesso tempo la teologia richiede la pastorale: sappiamo quanto una teologia lontana dal confronto con l’evangelizzazione rischia di diventare una mera riflessione teorica e accademica. Una lettura attenta, umana e profonda, una teologia che riesce a interpretare la storia”.

In questo rapporto di confronto e sfida tra realtà e teologia torna allora attuale il pensiero di San Tommaso D’Aquino.

“Mi sembra soprattutto un problema di metodo. San Tommaso che con la fede e la ragione interpretava, sapeva raccogliere tutte le sfide poste dall’umano. Oggi ci riconsegna un orizzonte largo e anche un non aver paura di tutto ciò che è umano. Nulla è indifferente, nulla non può essere raggiunto dalla riflessione spirituale e della ragione. Perché una facoltà teologica non vive in astratto e se si chiude nelle aule si perde. Al contrario se vive in questa osmosi con la vita della Chiesa e con la vita degli uomini davvero si arricchisce”.

Non solo teoria quindi ma anche pratica. E uno stimolo viene proprio da questo Anno Giubilare.

“La misericordia non si stanca. Scegliere sempre la via della misericordia  e non, come avrebbe detto San Giovanni XXIII, “le armi del rigore”. Io credo che la riflessione teologica ci debba aiutare in questo senso. Debba permettere di liberarsi dall’ipocrisia del rigore vuoto e inutile che allontana. L’esigenza della misericordia è in realtà dal punto di vista anche del rigore personale molto più coinvolgente, molto più esigente di un finto ritualismo”.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Colombia: Farc consegnino le armi se vogliono la pace

◊  

Il presidente della Conferenza episcopale colombiana e arcivescovo di Tunja, mons. Luis Augusto Castro Quiroga, ha tenuto ieri a Bogotá una conferenza stampa dopo l’incontro avuto con Papa Francesco in Vaticano sabato scorso. Durante il colloquio con il Santo Padre - riporta l'agenzia Sir - è stato fatto il punto sul processo di pace tra Governo e Farc e, in particolare, su un punto che la Chiesa colombiana pone in evidenza: quello della giustizia transazionale e delle pene alternative al carcere, sempre nell’ambito dell’accordo.

Il ringraziamento al Papa per gli appelli di pace per la Colombia
“Ho personalmente ringraziato il Papa per gli interventi dei mesi scorsi, in particolare durante il viaggio a Cuba, e per il suo messaggio per la Giornata della pace. Abbiamo parlato, su sua richiesta, al Governo colombiano perché siano pensate delle pene alternative al carcere. Per giungere a una riparazione rispetto ai crimini commessi non esiste solo il carcere”. 

Se vogliono veramente la pace le Farc devono fare un grande segno
Mons. Luis Augusto Castro Quiroga, ha espresso l’auspicio che le Farc consegnino le armi e ha aggiunto che le devono distruggere tutte se vogliono far parte di un autentico processo politico. Mons. Castro Quiroga ha spiegato: "Se le Farc consegnano le armi può sembrare una cosa importante, semplicemente perché non si può avere un movimento politico armato, cosa che le Farc sono sempre state, quindi il segno più grande che devono dare è proprio questo, fare un passo nella direzione opposta se vogliono veramente la pace".

Non si può difendere i propri diritti con le armi
Mons. Castro Quiroga - riferisce l'agenzia Fides - ha aggiunto: "Da nessuna parte, in un Paese democratico, si può pensare di fare politica difendendo i propri punti di vista con le armi, cosa che di democrazia non ha nulla. Quindi è molto importante consegnare le armi oppure fare in modo di distruggerle o fare in altro modo, ma certo non continuare ad averle". (C.E.)

inizio pagina

Marrakech: 250 studiosi islamici chiedono libertà religiosa per tutti

◊  

Un appello per sviluppare una giurisprudenza islamica sul concetto di cittadinanza, che sia inclusiva di tutti i gruppi, è stato firmato il 27 gennaio da 250 eminenti studiosi islamici riuniti a Marrakech, su invito del Ministero della Promozione e degli Affari Islamici del Regno del Marocco e del Forum per la Promozione della Pace nelle società islamiche, con sede negli Emirati Arabi Uniti.

La Dichiarazione di Marrakech riprende la Carta di Medina
Secondo un comunicato ripreso dall'agenzia Fides, la Dichiarazione di Marrakech riprende la Carta di Medina, della quale quest’anno ricorrono i 1.400 anni della stipulazione, “un contratto costituzionale tra il Profeta Muhammad e il popolo di Medina che garantiva la libertà religiosa per tutti, indipendentemente dalla fede”.

Eliminare ogni argomento che istighi all’aggressione e all’estremismo
Oltre a chiedere agli studiosi e agli intellettuali islamici di sviluppare il concetto di cittadinanza nella giurisprudenza islamica, si lancia un appello alle istituzioni educative per “una coraggiosa revisione dei programmi educativi, per eliminare ogni argomento che istiga all’aggressione e all’estremismo, portando alla guerra e al caos”; e ai politici perché “stabiliscano un contratto costituzionale tra i cittadini”. Si chiede infine ai diversi gruppi religiosi di ricordarsi che per secoli hanno condiviso la stessa terra, vivendo insieme, e di respingere ogni forma di denigrazione dell’altro.

Non usare la religione per colpire i diritti delle minoranze religiose in Paesi musulmani
La Dichiarazione di Marrakech conclude affermando che è “inconcepibile usare la religione per colpire i diritti delle minoranze religiose in Paesi musulmani”. All’incontro di Marrakech erano presenti cinquanta leader di altre religioni che hanno espresso il loro ringraziamento per la Dichiarazione. (L.M.)

inizio pagina

Patriarca di Mosca: il Sinodo panortodosso si terrà a Creta

◊  

Il Sinodo panortodosso con la partecipazione dei responsabili di tutte le Chiese autocefale si terrà nel giugno 2016 a Creta e non a Istanbul. Lo ha annunciato il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill, al termine del suo viaggio a Chambésy, in Svizzera, dove i leader spirituali ortodossi si sono riuniti per discutere i preparativi all’atteso evento. “Il Concilio non si terrà a Istanbul - ha detto Kirill, citato da Interfax - la posizione della Chiesa russa è stata accettata. Abbiamo proposto il Monte Athos, Rodi e altri posti, ma il Patriarcato di Costantinopoli ha proposto Creta”. “Noi l’abbiamo accettato”, ha aggiunto.

Il Concilio inizierà il 19 giugno
L’isola greca - riferisce l'agenzia AsiaNews - è sotto la giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli ed è stata proposta perché “ha le condizioni più favorevoli: ci sono stanze per 400 persone, alloggi e Creta è una location per molte e diverse conferenze, comprese quelle teologiche”, ha spiegato il primate russo. Aleksandr Volkov, portavoce del patriarcato di Mosca, ha confermato a Interfax che il Concilio inizierà il 19 giugno, il giorno della Pentecoste ortodossa.

I preparativi per il Concilio sono in corso da decenni
​Il Concilio panortodosso non si convoca da oltre mille anni e i preparativi per il suo svolgimento sono in corso da decenni. Nel 2014, i leader spirituali ortodossi avevano deciso di tenerlo nel 2016 presso Sant’Irene, l’antica cattedrale di Costantinopoli, dove ebbe sede il secondo Concilio ecumenico della Chiesa indivisa (nel 553), “salvo impedimenti dovuti a circostante impreviste”. La città turca era, però, diventata “scomoda” per la delegazione russa, dopo l’esplodere delle tensioni tra Mosca e Ankara per l’abbattimento del jet russo al confine con la Siria. (N.A.)

inizio pagina

Vescovi Usa: 7-14 febbraio 7.a Settimana per il matrimonio

◊  

Un’occasione per celebrare “il dono e la benedizione” del matrimonio e per riaffermare il “sostegno alle coppie sposate e ai fidanzati” in un momento in cui viene rimessa in discussione la definizione stessa del matrimonio tradizionale. Questo vuole essere la Settimana nazionale per il matrimonio che la Chiesa degli Stati Unitic celebrerà dal 7 al 14 febbraio, festa di San Valentino.  E’ quanto spiega mons. Richard J. Malone, presidente della Commissione per i laici, il matrimonio, la famiglia e i giovani  della Conferenza episcopale (Usccb) nella lettera di presentazione dell’iniziativa, giunta alla sua settima edizione.

Il 2015 un anno importante per la famiglia
Un’iniziativa che mantiene più che mai la sua validità  alla luce delle sfide che minacciano oggi il matrimonio e la famiglia tradizionale. Nel suo messaggio mons. Malone ricorda in particolare la sentenza con cui, lo scorso giugno, la Corte Suprema ha dato il via libera a matrimoni fra persone dello stesso sesso in tutti i 50 Stati che compongono gli Stati Uniti. Ma il 2015 – si evidenzia nella lettera – ha visto anche importanti occasioni per riaffermare i valori della famiglia: a cominciare dalla visita di Papa Francesco negli Stati Uniti per la Giornata Mondiale delle Famiglie a settembre, che ha offerto alle famiglie di tutto il mondo l’opportunità di apprezzare la loro identità e missione,  dal Sinodo dei vescovi dello scorso ottobre. Inoltre, ricorda mons. Malone, alla loro ultima plenaria autunnale i vescovi americani hanno approvato il loro primo documento pastorale sulla pornografia, che offre importanti indicazioni per un’azione concreta delle parrocchie contro questa piaga che danneggia in modo particolare le famiglie.

Il materiale messo a disposizione dalla Usccb per la Settimana
Nella lettera, mons. Malone segnala il materiale a disposizione delle parrocchie e delle diocesi per le iniziative in programma durante la settimana. In particolare, la Usccb ha messo in rete un sussidio con suggerimenti e spunti di riflessione sul tema per i sacerdoti e diaconi. Anche quest’anno sono disponibili uno speciale inserto con dati statistici aggiornati che mostrano il valore insostituibile del matrimonio tradizionale per le coppie, i figli e la società nel suo insieme; una raccolta di sussidi in inglese e spagnolo per le coppie sposate o che si preparano al matrimonio dal titolo “For your Mariage – Por tu Matrimonio” e un video che illustra il carattere unico del matrimonio. 

Il 12 febbraio una speciale Giornata di preghiera e di penitenza
​Mons. Malone invita inoltre i fedeli a partecipare, il 12 febbraio, a una speciale Giornata di preghiera e di penitenza per il rispetto del dono del matrimonio e della famiglia nel Paese e per tutti i mariti e le mogli, affinché perseverino nella fedeltà coniugale anche nei momenti più difficili della vita di coppia. (L.Z.)

inizio pagina

Vescovi Zambia: alle elezioni non strumentalizzare i cristiani

◊  

Mantenere una posizione imparziale, ma vigile, senza lasciarsi strumentalizzare da nessun partito. E’ l’appello rivolto dai vescovi dello Zambia a tutti i leader cristiani in vista delle prossime elezioni presidenziali e legislative nel  Paese previste l’11 agosto.

Vigilare contro ogni frode elettorale
In una dichiarazione diffusa nei giorni scorsi, al termine della loro Assemblea plenaria annuale, i presuli – riferisce l’agenzia Cisa - esortano in particolare i leader religiosi cristiani a non permettere ai politici di usare le chiese e le funzioni liturgiche per le loro campagne elettorali. Essi invitano inoltre i fedeli a farsi promotori dell’unità del Paese. “E’ dovere dei cristiani usare la loro voce profetica per denunciare ogni frode elettorale”, scrivono nel documento, rivolto ai cattolici e a tutte le persone di buona volontà.

Superare la mentalità monopartitica e abbracciare la cultura democratica
Le prossime elezioni tripartite dovrebbero essere un motivo di gioia e di grandi aspettative, perché “idealmente” offriranno ai cittadini l’occasione “per scegliere in modo pacifico” i loro rappresentanti e il nuovo Presidente. E tuttavia - osservano con preoccupazione i vescovi - i politici zambiani “risentono ancora di una mentalità monopartitica” in cui la competizione elettorale è vista come una battaglia per eliminare gli oppositori a qualsiasi costo. I discorsi di odio e il linguaggio volgare usato da diversi esponenti politici non fanno ben sperare in questo senso.  Di qui l’appello ai leader dei partiti ad affrontare il prossimo appuntamento elettorale con uno spirito nuovo improntato ad “una cultura democratica” per garantire “un clima politico migliore e più tollerante”.

Non soffiare sul fuoco del tribalismo
I presuli li esortano inoltre a non soffiare sul fuoco del tribalismo e delle rivalità etniche, ammonendo che se “se lo Zambia si incendia, non avranno nessuno da governare. “ I nostri padri e madri fondatori – ricordano – hanno investito tante energie per fare in modo che gli zambiani considerino e trattino gli altri come fratelli e sorelle senza distinzione di tribù, razza o religione. Perché questo dovrebbe diventare un tema di confronto politico oggi?”, concludono. 

La democrazia multi-partitica introdotta in Zambia solo nel 1991
​Il multipartitismo è stato introdotto in Zambia solo nel 1991, dopo la lunga Presidenza di Kenneth Kaunda al potere dal 1964 e leader del partito unico United National Independence Party (Unip). Dal 1991 il potere è rimasto nelle mani del Movimento per la democrazia multipartitica, cui è succeduto nel 2011 il Fronte patriottico.  (L.Z.)

inizio pagina

Vescovi Svizzera: no a rimpatrio dei criminali stranieri

◊  

“Inutile, irrispettosa ed ingiusta”: così la Commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale svizzera definisce l’iniziativa “Per l’attuazione effettiva del rimpatrio degli stranieri che commettono reati”. Avanzata dall’Unione democratica di centro, l’iniziativa verrà sottosta al voto popolare il prossimo 28 febbraio; essa prevede che gli stranieri che commettono crimini passibili di una pena superiore a tre anni debbano essere espulsi dalla Svizzera, e quindi rimpatriati automaticamente nei loro Paesi d’origine, per un periodo che va dai cinque ai quindici anni. I reati in questione sono gli omicidi, la violenza carnale, il furto qualificato, la tratta di esseri umani, il traffico di droga, ma anche le lesioni semplici, l’incendio intenzionale e la contraffazione di monete.

Iniziativa che non rispetta i principi sanciti dai diritti umani
“Si tratta di un’iniziativa che non rispetta i principi sanciti dai diritti umani – scrivono in una nota i vescovi elvetici – non permette procedure giuridiche eque ed alimenta la sfiducia nei riguardi della giustizia, della politica e degli stranieri”. Ribadendo poi che la dignità umana si basa sul principio che “sono le azioni, e non le persone in quanto tali, a dover essere giudicate”, i presuli ribadiscono che l’iniziativa dell’Udc è inutile perché “attualmente, i criminali senza passaporto svizzero vengono già espulsi dal Paese”. Quello a cui mira la proposta, in realtà, è ad un “grave irrigidimento delle attuali pratiche di rimpatrio e delle condizioni di ingresso in Svizzera”, portando a “costrizioni indegne ed inutili” che finirebbero per “violare il diritto internazionale e la stessa Costituzione nazionale”.

Rischio di violazione dei principi costituzionali
L’iniziativa viene, quindi, definita “irrispettosa” perché “invade il settore di competenza costituzionale, ignorando il principio della separazione dei poteri”. Al popolo, infatti, spetta “la definizione di principi di base”, mentre “gli elementi specifici che ne derivano, la loro attuazione ed applicazione spettano ai tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario”. Inoltre – nota Giustizia e pace – le motivazioni per il rimpatrio, sia per i delitti più gravi che per quelli meno gravi, lasciano poco spazio alla decisione dei tribunali che devono esaminare i singoli casi,  e tale mancanza di rispetto dei principi costituzionali di base è indegno della democrazia svizzera ed irrispettoso nei confronti delle istituzionali nazionali.

Il diritto sacrificato sull’altare della paura
I vescovi, poi, definiscono l’iniziativa anche “ingiusta” perché fa sì che “gli stranieri vengano trattati secondo criteri differenti da quelli degli svizzeri”, tanto che “si potranno espellere padri di famiglia che hanno moglie e figli con cittadinanza svizzera”, oppure “stranieri di seconda generazione senza passaporto elvetico dovranno essere rimpatriati nei Paesi d’origine dei loro genitori, senza conoscerne né la lingua, né la cultura”. Non solo: i presuli lanciano l’allarme riguardo al “diritto al rispetto della vita familiare, garantito dalla Convenzione europea dei diritti umani”, e che ora finirebbe “sacrificato sull’altare della paura nei confronti degli stranieri criminali”. Una tale procedura, afferma con forza la Chiesa di Friburgo, “è in contraddizione con i principi di giustizia ed uguaglianza”.

Tutelare sempre dignità umana. Misericordia di Dio è anche per chi sbaglia
Di qui, lo sguardo dei presuli si allarga alla prospettiva cristiana che, “in base ai principi della dignità umana e della misericordia, porta a respingere tale iniziativa”, perché “opporsi a ciò che attenta, in modo manifesto o nascosto, alla dignità umana fa parte dell’importante eredità della cultura cristiana”. “Vale la pena di proteggere questa dignità – concludono i vescovi – anche nei casi di delinquenza, perché la  misericordia di Dio va incontro anche all’essere umano che ha smarrito la retta via”. (I.P.)

inizio pagina

Turchia: scoperta in Cappadocia una chiesa del V secolo

◊  

Gli scavi archeologici nella città sotterranea scoperta a partire dal 2012 nella città di Nevsehir, nella regione storica della Cappadocia, hanno portato alla luce una chiesa sotterranea scolpita nella roccia che potrebbe risalire al V secolo dopo Cristo, con affreschi in buono stato di conservazione che stanno suscitando entusiasmo tra gli esperti e gli storici dell'arte. La chiesa - riferisce l'agenzia Fides - si trova all'interno di un'area sotterranea estesa su una superficie di 360mila metri quadrati, nel sito archeologico che si sviluppa in 11 insediamenti, con un dedalo di gallerie che si estende per almeno 7 chilometri, collegando templi e presidi abitativi.

Alcuni degli affreschi sono unici
Tra gli affreschi – ha riferito ai media locali Hasan Unver, sindaco di Nevsehir – quelli più preziosi rappresentano scene raramente ritratte dall'iconografia cristiana. “Ci è stato riferito” ha dichiarato alla stampa il sindaco Unveir “che alcuni degli affreschi trovati qui sono unici. Ci sono rappresentazioni suggestive come quella con Gesù che lascia cadere dei pesci dalle sue mani, o quella con Gesù che ascende al cielo, o che lotta contro gli spiriti malvagi. Quando la chiesa verrà riportata alla luce, la Cappadocia potrebbe diventare ancora di più una meta di pellegrinaggi”. 

Gli scavi continuano e potrebbero portare alla luce altri ambienti
Altri affreschi rappresentano la crocifissione di Gesù e le immagini di apostoli, santi e profeti come Mosè ed Elia. La continuazione dei lavori di scavo, non ancora ultimati, potrebbe portare alla luce altri ambienti con mura affrescate. (G.V.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 28

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.