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Sommario del 18/01/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa in Sinagoga: ebrei e cristiani un'unica famiglia. Mai dimenticare Shoah

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“Ebrei e cristiani, fratelli e sorelle nell’unica famiglia di Dio, che li protegge come suo popolo”. E’ un messaggio di amicizia, dialogo, profonda condivisione che il Papa lascia alla comunità ebraica di Roma nella sua visita al Tempio Maggiore. Un momento definito storico dai protagonisti e in continuità con l’abbraccio che portò qui per la prima volta Giovanni Paolo II nel 1986 e poi Benedetto XVI nel 2010. Ad accogliere Francesco i rappresentanti dell’ebraismo mondiale oltre ai membri della comunità presente a Roma da ventidue secoli. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Gesti e parole indelebili hanno scandito la presenza nella Sinagoga di Roma del terzo Papa della storia, argentino e con un passato di amicizia profonda con gli ebrei, citata e apprezzata dai presenti. Il clima è subito di famiglia sin dall’arrivo, poco prima delle ore 16.00.

Col Papa il saluto di pace dell'intera Chiesa cattolica 
Giovani, donne, anziani avvicinano Francesco per una parola e una stretta di mano e lo accompagnano nell’omaggio che rende alla loro storia dolorosa, rappresentata dalle lapidi in memoria della deportazione dell’ottobre del 1943 e dell’attentato terroristico del 1982. Poi in una Sinagoga stracolma, il Papa, tra l’entusiasmo della comunità, abbraccia il Rabbino capo Riccardo Di Segni e tanti presenti. Commovente in particolare l’incontro con i sopravvissuti all’Olocausto.

“Oggi scriviamo ancora una volta la storia”.

Così la presidente della Comunità romana Ruth Dureghello insieme con le altre autorità che prendono la parola.”Oggi dimostriamo”, aggiunge, che “il dialogo tra fedi è possibile”, anzi, davanti al terrorismo e alle nuove persecuzioni, a cui non possiamo restare indifferenti, lanciamo un "messaggio nuovo", condivisibile anche dall'islam:

“La fede non genera odio, la fede non sparge sangue, la fede richiama al dialogo”.

Ebrei, cattolici e musulmani insieme per migliorare il mondo
“Insieme dobbiamo denunciare gli orrori, insieme dobbiamo collaborare nel quotidiano”, afferma dal canto suo il Rabbino Capo Di Segni. E dialogo interreligioso, rispetto, impegno comune come fratelli, sono le prime parole pronunciate da Papa Francesco nel suo discorso:

“Nel dialogo interreligioso è fondamentale che ci incontriamo come fratelli e sorelle davanti al nostro Creatore e a Lui rendiamo lode, che ci rispettiamo e apprezziamo a vicenda e cerchiamo di collaborare. E nel dialogo ebraico-cristiano c’è un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo: ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune (cfr Dich. Nostra aetate, 4), sul quale basarsi e continuare a costruire il futuro”.

Le sfide del mondo di oggi: ecologia integrale, pace, giustizia
La dimensione teologica del dialogo, sancita dal Concilio Vaticano II, merita di essere sempre più approfondita, sottolinea il Papa, ma è anche l’oggi ad interpellare le due fedi. Con voi - dice - "fratelli e sorelle maggiori nella fede”, secondo l’espressione di Giovanni Paolo II di 30 anni fa, appartenenti all’unica "famiglia di Dio", siamo chiamati ad assumerci "le nostre responsabilità per la città di Roma", senza perdere di vista però le "grandi sfide del mondo". “Un’ecologia integrale”, il cui significato è racchiuso nella Bibbia, e che “è ormai prioritaria”, e poi l’impegno per la pace e la giustizia da rafforzare:

“La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche. La vita è sacra, quale dono di Dio".

Da qui una preghiera accorata da fare insieme:

“Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita. Noi dobbiamo pregarlo con insistenza affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della riconciliazione, del perdono, della vita”.

La Shoah: una lezione per presente e futuro
Inevitabile e commovente il riferimento del Papa alla Shoah. I volti dei pochi protagonisti sopravvissuti ce li ha di fronte. “E' una disumana barbarie perpetrata in nome di una ideologia che voleva sostituire l'uomo a Dio”. Mai dimenticarla, è il suo accorato appello:

“E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro. La Shoah ci insegna che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace”.

Ma l’ultima parola di Francesco in questa giornata memorabile è ancora una volta di gratitudine, per 50 anni di rinnovata fiducia, amicizia e comprensione reciproca. “Sia il Signore”, è la preghiera finale del Pontefice, “a condurre il nostro cammino verso un futuro buono, migliore”, Lui che su di noi ha progetti di salvezza."Shalom alechem!".

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Gattegna: Francesco in Sinagoga, cordialità contagiosa

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Un evento di grande significato nel dialogo di amicizia e fraternità tra ebrei e cristiani. All’indomani della visita di Papa Francesco alla Sinagoga di Roma - a 30 anni dalla storica visita di Giovanni Paolo II nel Tempio maggiore - Alessandro Gisotti ha chiesto un commento a Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei): 

R. – E’ la terza visita di un Papa in Sinagoga e quindi anche noi abbiamo recepito un senso di continuità rispetto ai Pontificati precedenti: è una tradizione consolidata, questa visita … Quello che voglio aggiungere è che c’è una continuità nel progresso, perché il dialogo interreligioso tra ebrei e cattolici è proseguito nel frattempo e si vedono dei risultati anche nelle ultime dichiarazioni di questo Pontefice che ha detto cose molto importanti per gli ebrei, dal punto di vista delle radici ebraiche del cristianesimo e dal punto di vista della pratica rinuncia della Chiesa a tentare qualsiasi tipo di conversione.

D. – Ovviamente, i discorsi hanno avuto una grande importanza, quelli del Papa come quello del Rabbino capo Di Segni e non solo. Il clima, però, ha colpito: questa cordialità …

R. – Sì, questo c’era stato anche nelle precedenti visite. Questo Papa ha un calore comunicativo particolare, quindi è un po’ contagioso nei gesti, nei modi di comportarsi! Lui ha manifestato un grande entusiasmo per essere tra di noi ed è stato ricambiato.

D. – Si vede che è un pastore che ha un’amicizia con la comunità ebraica - in particolare ovviamente quella di Buenos Aires - che viene da lontano …

R. – Sì, sì: lo ha dichiarato espressamente. Ha un interesse molto accentuato per tutto ciò che riguarda l’ebraismo, proprio perché vive il suo cattolicesimo come una religione che ha le sue radici nell’ebraismo. Una frase così taglia corto il discorso di qualsiasi tipo di pregiudizio, qualsiasi tipo di diffidenza; qualsiasi ostilità viene completamente neutralizzata da un’impostazione del genere. Noi siamo una generazione fortunata, perché questa svolta dal punto di vista teologico-religioso, che poi però ha anche dei risvolti nella vita di tutti i giorni, nella vita civile, deve essere trasmessa a tutta la popolazione. Ora che questo è fatto, bisogna far partecipare tutta la popolazione a questo e non lasciare indietro le persone meno fortunate che hanno meno possibilità di studiare e leggere tutti i documenti che vengono emessi.

D. – Secondo lei, c’è un valore, anche una proiezione che travalica i pur importanti rapporti tra cattolici ed ebrei, nell’incontro di ieri, specie in un momento in cui c’è chi addirittura usa il nome di Dio per giustificare la violenza?

R. – Il messaggio è che ebrei e cristiani, nella ricerca della pace e nella ricerca della pacifica convivenza, nella ricerca della comprensione, dell’accettazione di religioni diverse, sono alleati in questo; anche perché invece sia gli ebrei sia i cristiani vengono visti da alcune frange estremiste che sono diventate molto violente… vedono chi non è della stessa religione come un infedele la cui vita praticamente non vale più niente, e vengono uccise ogni giorno – lo vediamo – centinaia o migliaia di persone, in nome di Dio. Allora, in nome di Dio – secondo noi – questo assolutamente è vietato, non si può fare e non è credibile ed è qualcosa che dev’essere completamente sradicata dalle menti!

Sulla giornata di ieri, questo il commento di Riccardo Pacifici, già presidente della comunità ebraica di Roma, al microfono di Michele Raviart

R. – Oggi era una bella giornata a Roma, non è solo un problema di metafora; c’era una luce, un bel sole invernale che voleva dare speranza alle tenebre di chi cerca di mettere il terrore, la paura. Quando consegnai la lettera al Pontefice - circa un anno e mezzo fa a Piazza Santa Maria in Trastevere, grazie agli amici di Sant’Egidio, per invitarlo alla Sinagoga insieme al Rabbino capo - disse subito di sì, ma il momento internazionale era diverso, le aspettative erano diverse in quella visita. Da un anno e mezzo a questa parte, purtroppo tante cose sono accadute: gli attentati terroristici a Parigi, a Copenaghen, a Tolosa, nel frattempo abbiamo avuto anche Istanbul e, come ha detto la presidente Dureghello, gli attentati in Israele guidati da quella stessa ideologia in nome di Allah: “Allah akbar”, così si presentano prima di compiere gli omicidi. Vorrebbero cercare di interrompere tutto questo. Penso che stiamo dando un esempio dove le  religioni - come ha detto il Rabbino Di Segni nel suo discorso - non sono qui oggi per convincersi della verità l’uno dell’altro, ma per capire come insieme, con i valori comuni, cosa si può fare per il benessere comune. Oggi siamo di fronte a sfide importanti che non riguardano solamente la lotta al terrorismo, ma anche il disagio delle persone, i migranti, le famiglie che non arrivano alla fine del mese e che - nello stesso tempo - percepiscono gli arrivi dei nuovi migranti, dei disperati, come una minaccia. Questo provoca nello stesso tempo, in questo anno e mezzo, un’ulteriore avanzata - anche in percentuali molto forti - delle forze xenofobe, razziste, non solo antisemite, ma soprattutto contro gli altri, contro gli immigrati. Oggi credo che noi possiamo rilanciare con forza, con l’abbraccio, con il sorriso, l’idea che insieme dobbiamo trovare delle sfide per accogliere, per portare la solidarietà, per dare un sorriso e - come ha detto Ruth  - per prendere anche esempio da chi durante la Shoah non rimase indifferente – non c’erano solo i delatori e quelli che portavano le persone nei forni crematori - ma c’erano anche coloro che salvavano e hanno rischiato la loro vita. Questo oggi è il nostro ruolo. Questo è il momento in cui noi dobbiamo capire quel è il nostro ruolo per aiutare i più poveri.

D. – A livello internazionale, in tutto il mondo, un incontro che almeno formalmente è l’incontro di vescovo e la comunità ebraica della società - chiaramente c’è molto più di questo -  quale eco può avere?

R. – È sorprendente come qualcuno metteva in dubbio se fosse utile confermare il Giubileo: non solo lo abbiamo confermato, ma durante questo - in una giornata così importante, come quella del 17 gennaio celebrata dalla Conferenza episcopale come la Giornata del dialogo ebraico-cristiano - si è voluto fare un incontro nel momento forse più pericoloso. Abbiamo affrontato a testa alta, con il sorriso, con serenità, con fedeli di diverse religioni – c’erano anche i rappresentanti del mondo islamico – abbiamo dimostrato che possiamo e dobbiamo stare insieme. Stiamo mandando un messaggio che vuole lanciare questa sfida, forte, senza alcuna paura, posso dire anche con l’orgoglio. A mio avviso, abbiamo la necessità - lancio un messaggio e spero che venga compreso - di rafforzare le nostre identità. Questo lo dobbiamo fare nelle scuole, facendo capire ai giovani chi siamo, da dove veniamo per accogliere meglio gli altri e spiegare come abbiamo costruito le nostre democrazie.

Ma ascoltiamo alcune voci raccolte all’uscita dalla Sinagoga da Michele Raviart: 

R. – Speriamo  - come ha detto il nostro Rabbino capo – che questo evento si ripeterà, visto che è già la terza volta che accade. È abbastanza chiaro che sarà un evento sempre in progressione. Mi ha commosso il pensiero che se fossimo stati qui un secolo fa, sicuramente questo evento non ci sarebbe stato.

R. – È un segno dell’unione di tutti gli uomini di buona volontà nell’unico Dio e contro tutte le guerre, le violenze, a favore della pace.

R. – Quando hanno parlato il Rabbino e Papa Francesco è stato molto, molto commovente. È stato commovente anche il momento del canto trovato ad Auschwitz.

R. - È molto bello, importante. Abbiamo visto insieme che bel calore c’è stato.

R. - Molto bene. È stato un incontro molto interessante; c’era un’atmosfera rilassata, piacevole … Ha raggiunto lo scopo anche dal punto di vista iconografico, dei discorsi fatti.

D. – Qual è stato il momento che l’ha colpita di più, che l’ha commossa?

R. – Quando la presidente ha toccato il discorso sulla Shoah: è scattato l’applauso, anche il Papa si è alzato in piedi. È stato un segnale veramente molto positivo.

R. – Soprattutto la fine, quando ci ha dato la benedizione in italiano e secondo il rito ebraico. È stato emozionantissimo. Sono pochissimi versi che recitano quello che il Papa ha detto: “Ti benedica il Signore, volga lo sguardo su di te e ti dia la pace”. È stato veramente emozionante sentire un Papa dare la benedizione secondo il rito ebraico.

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Papa ai luterani: differenze non ci scoraggino nel cammino dell'unità

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“I cristiani sono chiamati ad una sempre maggiore unità, anche superando vecchie concezioni e reticenze”. E’ l’esortazione di Papa Francesco contenuta nel discorso alla delegazione ecumenica della Chiesa luterana di Finlandia, ricevuta in occasione del tradizionale pellegrinaggio per la festa di Sant’Enrico e nel primo giorno della Settimana dedicata alla preghiera per l'unità dei cristiani. Il Pontefice ha quindi messo l’accento sull’importanza di una testimonianza comune dei cristiani in un mondo lacerato da conflitti e segnato dal secolarismo. Il servizio di Alessandro Gisotti

Un pellegrinaggio ecumenico per sottolineare che “dare testimonianza di Gesù Cristo" è "il fondamento dell’unità”. Papa Francesco tratteggia così il significato della visita alla Sede di Pietro della delegazione ecumenica della Chiesa luterana di Finlandia, guidata dal vescovo luterano di Helsinki, Irja Askola. Il Pontefice esprime gratitudine al Signore “per i risultati che sono stati conseguiti nel dialogo tra luterani e cattolici”.

Camminare assieme per costruire fondamento di comunione nella fede
Quindi, osserva che “su questa base, tale dialogo prosegue nel suo promettente cammino verso un’interpretazione condivisa, a livello sacramentale, di Chiesa, Eucaristia e Ministero”:

“Gli importanti passi avanti compiuti insieme stanno costruendo un solido fondamento di comunione di vita nella fede e nella spiritualità e i rapporti sono sempre più pervasi da uno spirito di sereno confronto e di fraterna condivisione”.

“La comune vocazione di tutti i cristiani  - riprende - è ben evidenziata dal testo biblico di riferimento della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, che inizia oggi”, ovvero “Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce” (1 Pt 2,9).

Cristiani siano uniti in un mondo lacerato da conflitti e segnato da secolarismo
“Nel nostro dialogo – constata Francesco – alcune differenze tuttora permangono nella dottrina e nella prassi”. Ma questo, è la sua esortazione, non deve ostacolare la volontà di camminare assieme:

"Questo però non deve scoraggiarci, ma piuttosto spronarci a proseguire insieme il cammino verso una sempre maggiore unità, anche superando vecchie concezioni e reticenze. In un mondo spesso lacerato dai conflitti e segnato da secolarismo e indifferenza, tutti uniti siamo chiamati ad impegnarci nel confessare Gesù Cristo, diventando sempre più testimoni credibili di unità e artefici di pace e di riconciliazione”.

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Papa agli agenti in Vaticano: vostro lavoro prezioso per il Giubileo

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“L’ordine esteriore, sul quale voi vegliate con attenta premura, non mancherà di favorire quello interiore, permeato di serenità e di pace”. È la convinzione che Papa Francesco ha espresso, nella tradizionale udienza di inizio anno, ai dirigenti e al personale dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano. Dal Papa un grande apprezzamento per il lavoro svolto dalle Forze dell’ordine in particolare dall’inizio dell’Anno Santo. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Transenne e metal detector, varchi presidiati e incolonnamenti che richiedono pazienza e collaborazione. Scene di ordinario Giubileo, che da qualche tempo hanno trasformato radicalmente le abitudini e la geografia di transito in tutta l’area del Vaticano.

L’“ordine” che tutela l’anima
Inevitabili esigenze di sicurezza ma con un di più, che Papa Francesco si premunisce di manifestare a chi da un mese e mezzo si occupa – “con professionalità e senso del dovere”, sottolinea – di garantire ai pellegrini dell’Anno Santo la tranquillità ambientale e quindi il raccoglimento necessari per vivere l’evento che ha il suo culmine nel passaggio della Porta Santa. Quel di più sta nel risvolto che, nota il Papa, proprio l’applicazione delle misure di sicurezza porta con sé:

“Voi, Dirigenti, Funzionari e Agenti di Pubblica Sicurezza, siete chiamati ad un impegno più grande per far sì che le celebrazioni e gli eventi collegati con il Giubileo straordinario si svolgano in modo regolare e proficuo. L’ordine esteriore, sul quale voi vegliate con attenta premura, non mancherà di favorire quello interiore, permeato di serenità e di pace”.

Il Bambino della Misericordia
Il vostro è un “servizio prezioso”, ripete Francesco agli agenti riuniti nella Sala Clementina, invitandoli a rivolgere un pensiero al grande Presepe che ancora troneggia in Piazza San Pietro e nel quale si può sentire pulsare, attraverso le sembianze di Gesù Bambino, il “vero consolatore dei cuori”, che invita “all’amore e al perdono”:

“Che questa esperienza spirituale ci accompagni durante l’intero Anno Santo! Che il Giubileo della Misericordia sia per tutti un tempo forte dello spirito, tempo di riconciliazione con Dio e con i fratelli. Tutti noi abbiamo bisogno di riconciliarci: tutti. Tutti abbiamo qualcosa con un fratello, nella famiglia, con un amico … E questo è il tempo della riconciliazione, per fare pace”.

"Dio vi protegga"
Dio “vi protegga nell’adempimento del compito che svolgete in collaborazione con le altre Forze di sicurezza”, “da parte mia – conclude Papa Francesco – vi assicuro un costante ricordo nella preghiera”.

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Il Papa: idolatri e ribelli i cristiani fermi al "si è fatto sempre così"

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I cristiani fermi al “si è fatto sempre così” hanno un cuore chiuso alle sorprese dello Spirito Santo e non arriveranno mai alla pienezza della verità perché sono idolatri e ribelli: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Aprire il cuore alla novità dello Spirito Santo
Nella prima lettura Saul viene rigettato da Dio come re d’Israele perché preferisce ascoltare il popolo più che la volontà del Signore e disobbedisce. Il popolo, dopo una vittoria in battaglia, voleva compiere un sacrificio a Dio con i migliori capi di bestiame perché, dice, “sempre si è fatto così”. Ma Dio, stavolta, non voleva. Il profeta Samuele rimprovera Saul: “Il Signore gradisce, forse, gli olocausti e i sacrifici quanto l’obbedienza alla voce del Signore?”. “Lo stesso – osserva Papa Francesco - ci insegna Gesù nel Vangelo”: i dottori della legge gli rimproverano che i suoi discepoli non digiunano come finora si era sempre fatto. E Gesù risponde “con questo principio di vita”: “Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore; e nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!”.

“Cosa significa questo? Che cambia la legge? No! Che la legge è al servizio dell’uomo che è al servizio di Dio e per questo l’uomo deve avere il cuore aperto. Il ‘sempre è stato fatto così’ è cuore chiuso e Gesù ci ha detto: ‘Vi invierò lo Spirito Santo e Lui vi condurrà fino alla piena verità’. Se tu hai il cuore chiuso alla novità dello Spirito, mai arriverai alla piena verità! E la tua vita cristiana sarà una vita metà e metà, una vita rattoppata, rammendata di cose nuove, ma su una struttura che non è aperta alla voce del Signore.  Un cuore chiuso, perché non sei capace di cambiare gli otri”.

Cristiani ostinati e ribelli
“Questo – sottolinea il Papa - è stato il peccato del re Saul, per il quale è stato rigettato. E’ il peccato di tanti cristiani che si aggrappano a quello che sempre è stato fatto e non lasciano cambiare gli otri. E finiscono con una vita a metà, rattoppata, rammendata, senza senso”. Il peccato “è un cuore chiuso” che “non ascolta la voce del Signore, che non è aperto alla novità del Signore, allo Spirito che sempre ci sorprende”. La ribellione – dice Samuele – è “peccato di divinazione” l’ostinazione è idolatria:

“I cristiani ostinati nel ‘sempre è stato fatto così’, 'questo è il cammino, questa è la strada', peccano: peccano di divinazione. E’ come se andassero dalla indovina: ‘E’ più importante quello che è stato detto e che non cambia; quello che sento io – da me e dal mio cuore chiuso – che la Parola del Signore’. E’ anche peccato di idolatria l’ostinazione: il cristiano che si ostina, pecca! Pecca di idolatria. ‘E qual è la strada, Padre?’: aprire il cuore allo Spirito Santo, discernere qual è la volontà di Dio”.

Abitudini che devono rinnovarsi
“Era abitudine al tempo di Gesù - afferma ancora il Papa - che i bravi israeliti digiunassero. Ma c’è un’altra realtà: c’è lo Spirito Santo che ci conduce alla verità piena. E per questo Lui ha bisogno di cuori aperti, di cuori che non siano ostinati nel peccato di idolatria di se stessi, perché è più importante quello che io penso che quella sorpresa dello Spirito Santo”:

“Questo è il messaggio che oggi ci dà la Chiesa. Questo è quello che Gesù dice tanto forte: ‘Vino nuovo in otri nuovi’. Alle novità dello Spirito, alle sorprese di Dio anche le abitudini devono rinnovarsi. Che il Signore ci dia la grazia di un cuore aperto, di un cuore aperto alla voce dello Spirito, che sappia discernere quello che non deve cambiare più, perché fondamento, da quello che deve cambiare per poter ricevere la novità dello Spirito Santo”.

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Papa Francesco riceve i Principi di Monaco

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Papa Francesco ha ricevuto Sua Altezza Serenissima il Principe Albert II di Monaco, accompagnato dalla Principessa Charlene. Il Principe ha poi incontrato il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, e mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Nel corso dei cordiali colloqui – riferisce la Sala Stampa della Santa Sede - sono state sottolineate le buone relazioni bilaterali esistenti e si è fatto riferimento al contributo storico della Chiesa cattolica alla vita del Principato. Nel prosieguo della conversazione ci si è soffermati su alcune questioni di interesse comune, come la salvaguardia dell’ambiente, l’aiuto umanitario e lo sviluppo integrale dei popoli. Infine, sono state prese in esame alcune problematiche che interessano la comunità internazionale, quali la pace e la sicurezza, l’accoglienza dei migranti e la situazione generale nella regione del Mediterraneo e nel Medio Oriente”.

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In udienza dal Papa il direttore del Fmi Christine Lagarde

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, con un seguito, l’arcivescovo Antonio Mennini, nunzio apostolico in Gran Bretagna e mons. Leo William Cushley, arcivescovo di Saint Andrews and Edinburgh, in Scozia.

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Card. Vegliò: integrare i migranti fa bene a chi li accoglie

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Circa settemila migranti di oltre trenta nazionalità hanno partecipato, la mattina di domenica 17 gennaio, al Giubileo dei Migranti in Vaticano, organizzato, in occasione dell'Anno della Misericordia in coincidenza con la Giornata Mondiale del Migrante. Dopo aver ascoltato la preghiera dell'Angelus presieduta dal Papa in piazza San Pietro, i migranti hanno attraversato la Porta Santa, per poi partecipare alla Santa Messa celebrata, nella Basilica Vaticana, dal card. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti. Fabio Colagrande ha chiesto al porporato un commento sulla celebrazione: 

R. – Io credo molto bene. Anche il buon Dio è stato benigno… Si diceva – almeno la televisione aveva detto che ci sarebbero state piogge e invece ieri c’era un sole splendido e sono contento poi che tutti i migranti siano stati sistemati in un settore dal quale poter vedere benissimo la finestra del Santo Padre. E dopo il discorso del Santo Padre, via in colonna sono passati per la Porta Santa e hanno preso il loro Giubileo, e c’è stata la Messa. Una Messa molto bella, perché è stata molto varia: c’erano diversi gruppi linguistici, all’offertorio sono state eseguite danze africane che hanno accompagnato i doni… E’ stato molto bello perché c’erano molti migranti che vivono nel Lazio, nelle varie parrocchie. Hanno concelebrato con me due vescovi e un centinaio di sacerdoti incaricati dell’apostolato dei migranti.

D. – Che significato assume per un profugo, per un migrante, il termine “misericordia”?

R. – Questa è una domanda un po’ complicata, ma io ricordo che nel messaggio per la Giornata di ieri il Santo Padre ha messo in evidenza, ha sottolineato tre aspetti. Primo, parlando della misericordia come solidarietà verso il prossimo, sapendo e dicendo che quando si dà anche si riceve. Il secondo aspetto è la cultura dell’incontro per il rispetto e l’assistenza reciproca, guardando alla persona del migrante nel suo insieme, in tutti i suoi aspetti. E ciò racchiude un incontro, una determinazione a intraprendere una strada comune, perché se ci si incontra o si fa la guerra o si fa la pace e noi naturalmente siamo per la pace. Terzo aspetto, il diritto di ciascuno a vivere con dignità: questo è il senso anche della misericordia. E ciò implica anche il diritto a poter rimanere nella propria patria. Si è parlato più volte del diritto di emigrare: certo, ognuno ha il diritto di emigrare. Però, ci sarebbe anche il diritto di stare nella propria patria e non ci stanno è perché ci sono motivi gravi.

D. – Quale messaggio in particolare ha voluto offrire ai migranti nella sua omelia, pronunciata ieri nella Basilica Vaticana?

R. – Io credo che quello che volevo era trasmettere a chi ascoltava un messaggio di speranza: come dice spesso il Papa, di “non farsi rubare la speranza e la gioia di vivere”. Poi, ho voluto anche sottolineare il problema dell’integrazione, che non implica, che non significa “segregazione” e nemmeno “assimilazione”: piuttosto, significa l’opportunità di identificare il patrimonio culturale del migrante e riconoscere i suoi doni, i suoi talenti per il bene comune. Ora, questi migranti vivono nel Lazio, quindi per il bene della Chiesa che è in Roma, per il bene della Chiesa che è nel Lazio, per il bene della Chiesa che è in Italia.

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Presentati i Congressi apostolici della Misericordia

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Portare la testimonianza del cuore misericordioso di Gesù. E’ uno degli obiettivi dei Congressi apostolici della Misericordia, che si terranno a livello europeo a Roma, dal 31 marzo al 4 aprile prossimi, e mondiale nelle Filippine, dal 16 al 20 gennaio 2017. Sono stati presentati nella Sala Stampa della Santa Sede, dal cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e presidente del Comitato dei Congressi della Misericordia, dall’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione e coordinatore del Giubileo della Misericordia, e da padre Patrice Chocholski, segretario generale dei Congressi e rettore del Santuario francese di Ars. Il servizio di Giada Aquilino

Un’idea nata “tra amici”, col cardinale polacco Dziwisz, il lituano Bačkis, il filippino Tagle, il francese Tauran, maturata dalla profonda devozione di San Giovanni Paolo II per la Divina Misericordia. Così il cardinale Christoph Schönborn ha spiegato la nascita dei Congressi apostolici della Misericordia, a partire dal primo a livello mondiale, nel 2008 in Laterano, fino al quarto nel 2017 nelle Filippine:

“Fin dall’inizio abbiamo pensato di dare il nome ‘Congressi apostolici della Misericordia’. In senso più ampio, dunque, è l’apostolato della misericordia: non solo la devozione, ma la carità, la misericordia ‘in actu’. Per questo sono tanto importanti le testimonianze e ce ne sono tante in molti campi. Attualmente, sono in collegamento stretto con un condannato a morte in Texas, che subirà l’esecuzione proprio domani. Alcuni cristiani lo seguono da anni. Sono 12 anni che aspetta l’esecuzione: è una cosa spaventosa. Anche il Papa è informato su questo Richard. Alcuni cristiani, che seguono questo condannato a morte e la sua famiglia, in Texas, fanno apostolato della misericordia. E’ la testimonianza della vicinanza di Gesù a quest’uomo, perché faccia l’esperienza del cuore misericordioso di Gesù”.

Tanti appuntamenti, pure come occasione di incontro interreligioso. Perché misericordia significa anche “Chiesa in movimento”. Lo ha spiegato padre Patrice Chocholski:

“E’ proprio un aspetto che dà molto fiato a tutti. Recentemente, ho visto dei musulmani preparare un incontro interreligioso ad Ars, con i sikh, i buddisti e altri. I musulmani mi hanno detto: ‘Finalmente ci date la possibilità, in questo tempo difficile, di dire che teniamo alla misericordia. E questo ci permette di esprimere quello che c’è di più bello nella nostra tradizione, perché non sempre ci è data questa possibilità’”.

Un aspetto dei Congressi, oltre all’ascolto di testimonianze concrete di misericordia, sarà quello dell’accoglienza di profughi e rifugiati, in un momento particolare anche per l’Europa, chiamata ad aprire le sue porte a chi fugge da guerre e persecuzioni. Il cardinale Schönborn, che al Congresso europeo della prossima primavera ha scelto di dedicare una sessione a uno dei padri dell’Europa, Robert Schumann:

“Non dobbiamo dimenticare che l’Europa ha vissuto nel sangue e nelle lacrime per secoli di guerre tra cristiani. E adesso davanti alla sfida dei migranti e dei profughi - che è una grande sfida - c’è il rischio che ognuno si ritiri nei suoi confini, che tornino le frontiere, le barriere, i muri. La cortina di ferro esiste di nuovo: in altro modo, ma esiste di nuovo. E’ una sfida enorme: siamo di nuovo in mezzo a un’onda di neonazionalismo in Europa. Certo, spero molto che i vescovi europei abbiano la capacità di trovare una parola comune, un incoraggiamento comune. Adesso non siamo ancora arrivati a ciò”.

Il programma del Congresso europeo, nel pieno del Giubileo della Misericordia, prevede tra l’altro la veglia di preghiera di sabato 2 aprile in Piazza San Pietro con la presenza del Pontefice e la Messa del Papa nella Domenica della Misericordia, il 3 aprile. Prima, anche un momento penitenziale. Ne ha parlato l’arcivescovo Rino Fisichella:

“Per venerdì 1° aprile, soprattutto per coloro che non provengono dall’Italia, abbiamo pensato a una notte di riconciliazione. La dimensione più immediata della misericordia la si vive anche con il tema del perdono. Ed è per questo che nelle chiese giubilari, San Salvatore in Lauro, Santa Maria in Vallicella - la Chiesa Nuova - e San Giovanni dei Fiorentini, saranno dedicati degli spazi di animazione per le confessioni, in modo tale che il vivere della misericordia ci porti anche a sperimentare nella vita personale la misericordia di Dio nei nostri confronti”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Consuetudine fissa: in prima pagina, un editoriale del direttore sull’incontro del Papa con la comunità ebraica al Tempio maggiore di Roma.

Una storia, una cultura: l’Angelus della giornata mondiale del migrante e del rifugiato. 

Nessuno scrupolo: nel 2015 i trafficanti di esseri umani hanno guadagnato dai tre ai sei miliardi di dollari.

Revocate le sanzioni all’Iran: in vigore lo storico accordo sul nucleare.

Hyacinthe Destivelle su purificazione della memoria ed ecumenismo culturale.

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Oggi in Primo Piano



Siria. Mons. Audo: troppi interessi per proseguire la guerra

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I civili siriani stremati, affamati e uccisi sovente barbaramente ogni giorno, in balia di un conflitto endemico che si protrae da quasi cinque anni tra milizie governative e filogovernative e svariati gruppi ribelli, tra cui spiccano i jihadisti dell’Is. Ultimo dramma il massacro compiuto ieri nei sobborghi della città di Deir ez-Zor, importante polo petrolifero siriano: 300 i morti, tra cui 150 decapitati ed altri crocifissi, e 400 ostaggi rapiti. E mentre le operazioni militari internazionali non trovano unità d’intenti, la diplomazia segna il passo in attesa della riunione di fine gennaio a Ginevra tra delegazioni di governo e opposizioni. Roberta Gisotti ha intervistato mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei, presidente della Caritas siriana: 

R. – Possiamo dire che oggi in Siria la prima cosa e la più terribile sia questa logica della violenza, legittimata da ogni gruppo. E penso anche ci sia tanta gente che voglia continuare questa violenza, soprattutto adesso in vista del 28 gennaio quando ci sarà l’incontro di Ginevra. Penso che sia per loro un’occasione per far montare la violenza e dire così che non c’è alcuna una soluzione politica al problema, ma che si deve continuare a fare la guerra e attuare la logica della violenza. Se non ci sarà una autorità a livello internazionale capace di mettere fine a questa violenza, penso che le cose continueranno come prima.

D. – Mons. Audo, come giudica le azioni condotte finora dalla comunità internazionale per riportare la pace in Siria? Che cosa è mancato?

R. – Penso che, a livello internazionale, siano tanti gli interessi di quelle nazioni impegnate in questo conflitto. Parlano di pace, ma nella realtà ci sono interessi economici ad alto livello, ci sono interessi per vendere armi… Così si continua la guerra! Penso che non ci sia una vera determinazione nel voler arrivare alla pace, questa è la nostra impressone dall’interno della Siria. Come credenti, come cristiani, preghiamo e facciamo di tutto per resistere, per incoraggiare uno spirito di riconciliazione e di pace. Ma da cinque anni le cose sono terribili per noi…

D. – A questo punto, lei non crede più ad una soluzione che arrivi dall’interno del Paese?

R. – Sì, ma con un sostegno a livello internazionale e regionale. Penso che questa lotta, anche quella fra sunniti e sciti a livello regionale, abbia tanti interessi sia da parte dell’Arabia Saudita e della Turchia, sia anche da parte dell’Iran. Nella regione si fa sì che ciascuno cerchi i propri interessi, sostenuti a livello internazionale.

D. – Nei giorni scorsi, si è parlato in sede di Consiglio di Sicurezza dell’Onu della situazione umanitaria in Siria e sono stati fatti appelli per raccogliere una grande cifra – 8 miliardi dollari – per aiutare, si è detto, oltre 20 milioni di siriani in gravissime difficoltà dentro e fuori il Paese. Ma, viene da pensare che i tempi siano davvero stretti se la gente muore, anche barbaramente, ogni giorno…

R. – Ci sono due realtà: quella della violenza e quella dell’insicurezza, la ragione per cui non si riesce ad avere una vita, un lavoro… Per questa ragione, tutta la gente è divenuta povera, soprattutto coloro che vivono all’interno della Siria. Un ingegnere importante, con grandi responsabilità, mi ha chiesto se – come presidente di Caritas Siria – avessi potuto fornire un "basket-food" per 200 famiglie di ingegneri di Aleppo che non ce la fanno a vivere, perché non hanno più alcun mezzo, non hanno lavoro, non hanno soldi… E se gli ingegneri non riescono più a vivere, che cosa dire delle povere famiglie senza formazione e senza mezzi? Ed è così in tutta la Siria.

D. – Per quanto riguarda, invece, i cristiani sappiamo naturalmente che sono stati tra i più colpiti e che gran parte sono fuggiti…

R. – In un certo senso, noi cristiani siamo come tutti gli altri: abbiamo gli stessi problemi di sicurezza e di lavoro. Ma, in secondo luogo, questi gruppi armati possono attaccare i cristiani perché sono senza alcuna difesa. Questo aiuta a far sì che questi gruppi fanatici realizzino una vittoria importante a livello interno, a livello regionale. Il secondo problema è che i cristiani rappresentano una formazione libera a livello internazionale e riuscire a far partire i cristiani rappresenta una vittoria per questi gruppi armati, proprio perché così pongono fine ad una resistenza di moralità, a una convivenza insieme, a un accettare la differenza. Non sono numerosi i cristiani ed è quindi molto facile fare qualsiasi cosa per farli partire dal Paese.

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Nuovo presidente a Taiwan: nuova fase nei rapporti con Cina

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Si ridisegna l’equilibrio di rapporti tra Taiwan e la Cina, dopo l’elezione a presidente dell’esponente del Partito democratico progressista (Dpp) Tsai Ing-wen. La donna, giurista di 59 anni, ha sconfitto, alle elezioni di sabato, Eric Chu Li lun, esponente del potente partito di governo, il Kuomintang (Kmt), e il suo partito ha ottenuto la maggioranza dei 113 seggi nel parlamento monocamerale. Sembra superata, dunque, la politica di riavvicinamento a Pechino voluta negli ultimi 8 anni. Solo a novembre 2015, i presidenti di Cina e Taiwan si erano incontrati a Singapore per la prima volta dal 1949, da quando  Pechino rivendica la sovranità di Taiwan. Delle prospettive e delle problematiche aperte, Fausta Speranza ha parlato con Filippo Fasulo, dell’Ispi: 

R. – Con la vittoria del Partito democratico progressista, guidato da Tsai Ing-wen, si ha un cambio importante e questo anzitutto perché il partito Dpp ha all’interno della sua carta fondativa del partito la richiesta di indipendenza. Va detto che Tsai Ing-wen, nelle sue prime uscite, si è invece presentata in maniera molto moderata, auspicando il mantenimento dello status quo. Uno status quo che si fotografa in maniera molto pragmatica perché queste elezioni non erano soltanto concentrate sul rapporto con la Cina, come poteva essere in passato, ma avevano anche una grossa attenzione alle dinamiche interne quali l’andamento dell’economia taiwanese; il rapporto con i giovani taiwanesi, tanto più che proprio in queste elezioni c’è stata la crescita di un altro partito legato proprio ai giovani… Quindi, la nuova presidente si dovrà concentrare su queste questioni. Va anche detto che Taiwan ha necessità di accrescere la sua posizione in ambito internazionale: la Cina si oppone ad un ruolo di Taiwan in istituzioni internazionali e quindi di conseguenza un muro contro muro con Pechino limiterebbe le possibilità di Taiwan di crescere in ambito internazionale.

D. – Parliamo di economia: Pechino resta il primo partner commerciale per Taiwan. Giusto?

R. – Sì, Pechino resta il primo partner commerciale per Taiwan e l’obiettivo di Tsai Ing-wen è proprio quello di diversificare gli scambi commerciali soprattutto a favore del Sud-Est Asiatico. E questo anche per sganciarsi politicamente e per diminuire una leva politica da parte di Pechino sulla politica dell’isola. In questo quadro possono inserirsi anche le relazioni con gli Stati Uniti e il Ttp, il Trattato commerciale di Washington con l’area del Pacifico (analogo a quello che è in discussione fra Europa e Stati Uniti). L’adesione di Taiwan a questo Trattato – ancora tutta assolutamente da discutere – potrebbe sicuramente diminuire la dipendenza economica di Taiwan dalla Cina continentale.

D. – In questo status quo la Cina, in qualche modo, può cambiare strategie. E’ possibile ipotizzare comunque dei cambiamenti di relazioni tra Cina e Taiwan?

R. – La Cina per il momento si limita ad osservare, a capire quali saranno le vere azioni di Tsai Ing-wen: quindi si attende il suo primo discorso programmatico e si attende anche di capire come Tsai Ing-wen si rapporterà con le frange più estreme del proprio partito. Sicuramente ora Xi Jinping ha parecchi problemi sul suo tavolo:  il rapporto con gli Stati Uniti; la politica della nuova “via della seta” verso l’Asia Occidentale e anche – come ben sappiamo – i problemi economici interni. Quindi, anche gli stessi cinesi di Pechino non hanno necessità, non hanno urgenza in questo momento di irrigidire i rapporti con Taiwan. Va detto che è probabile che vi siano alcune manifestazioni di insofferenza da parte di Pechino, come – per esempio – una interruzione del dialogo e del rapporto ad altissimo livello: quindi, non possiamo aspettarci un altro incontro fra presidenti come è avvenuto a Singapore; ma questo non toglie che continueranno i rapporti bilaterali con ufficiali di livello inferiore.

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Iran tra nuove sanzioni e aperture al mercato mondiale

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A soli due giorni dalla revoca delle storiche sanzioni americane contro l’Iran e il suo nucleare, gli Stati Uniti tornano a criticare il governo di Hassan Rouhani con nuove “mini” sanzioni per i test effettuati lo scorso ottobre su missili balistici in grado di trasportare testate nucleari. Le nuove sanzioni sono poco più che simboliche e colpiscono solo alcuni individui e piccole società coinvolte nella vendita di componenti missilistici, senza incidere in alcun modo sulla vita della popolazione e dello stato iraniano che, libero dal blocco internazionale, si appresta invece a ricevere oltre 100 miliardi di dollari fino a ieri "congelati" e a tornare sul mercato mondiale, puntando al ruolo di Paese guida nel Medio Oriente e a quello di partner affidabile per l’Europa: fra una settimana il presidente iraniano Rouhani sarà in visita a Roma e in Vaticano per la prima tappa del suo viaggio diplomatico nell’Unione Europea. Se l’apertura dell’Occidente all’Iran sia o meno prematura Stefano Pesce lo ha chiesto a Giorgio Alba, ricercatore presso l’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo: 

R. – La situazione non è stabile nell’area. L’approccio è quello di utilizzare le sanzioni come strumento. Ci sarà un cambio, con tutta probabilità, del presidente degli Stati Uniti, con un orientamento diverso e quindi, come spesso accade in questi cambi di amministrazione, bisogna dare la possibilità al nuovo presidente di valutare tutte le opzioni sul tavolo.

D. – Il presidente iraniano Hassan Rouhani sarà a Roma il 25 e il 26 gennaio. Ci si può fidare di un’apertura economica, diplomatica nei confronti dell’Iran?

R. – Dal punto di vista dell’Italia non ci sono preoccupazioni, in particolare se consideriamo il rischio di terrorismo. Il rischio è quello di fare quello che stiamo già facendo con l’Arabia Saudita, cioè accettare delle cooperazioni dal punto di vista economico, ignorando i problemi di diritti umani o i problemi geopolitici che esistono... L’Iran, quindi, in questo momento è un ottimo partner. L’Arabia Saudita si sta dimostrando un partner sempre più inaffidabile per gli Stati Uniti e per l’Europa. C’è, dunque, un cambiamento di partner in Medio Oriente.

D. – La revoca delle sanzioni decisa a Vienna consentirà a Teheran di mettere le mani su oltre 100 miliardi di dollari "congelati". Saprà utilizzarli bene, secondo lei, o bisognerebbe preoccuparsi prima o poi del risorgere di questa economia in quella parte del mondo?

R. – Da un punto di vista di relazioni internazionali e di politica economica, il trasferimento di grandi somme da parte dell’Occidente nei Paesi del Medio Oriente è un trasferimento che crea dei pericoli. Questo è anche insito nel fatto che dobbiamo cambiare la struttura della nostra economia industriale, il che non è attualmente fattibile, visti gli interessi in gioco e le connessioni economiche e politiche. Finché esisteranno, quindi, queste connessioni in Occidente, nelle industrie, ci sarà sempre il pericolo che grandi trasferimenti economici, in parte o in gran parte, possano spingere a politiche dittatoriali, espansioniste o addirittura a supporto del terrorismo. Questo è inevitabile.

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Ddl Cirinnà, dal Quirinale dubbi di incostituzionalità

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Ddl Cirinnà sulle unioni civili sempre al centro del dibattito italiano. Ieri il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco ha definito il Family day del prossimo 30 gennaio una “manifestazione dalle finalità assolutamente necessarie” e ha denunciato la “grande distrazione da parte del Parlamento” rispetto ai “veri problemi dell’Italia”, disoccupazione in testa. Intanto, secondo il quotidiano La Repubblica, il governo starebbe pensando ad emendamenti al ddl sulla base di dubbi di incostituzionalità sollevati dal Quirinale. Il servizio di Paolo Ondarza: 

Il rimando della presidenza della Repubblica è alla sentenza 138 del 2010 della Corte Costituzionale dove si legge che i costituenti tennero presente la nozione di matrimonio che stabiliva - e ancora oggi stabilisce - che i coniugi debbano essere persone di sesso diverso. Davvero il ddl Cirinnà equipara unioni civili al matrimonio e quali gli aspetti incostituzionali? Lo chiediamo al costituzionalista Carlo Cardia:

R. – Di sicuro quando si fa un rinvio ad uno status o anche a diritti e doveri desunti da uno status matrimoniale, noi stiamo sulla strada dell’equiparazione. Non è un fatto nuovo quello che sta avvenendo in Italia: in altri Paesi è avvenuta la stessa cosa. Io mi riferisco alla Germania in particolare, ma anche all’Inghilterra, dove si fece un parziale riferimento allo status coniugale pur dicendo che non si trattava di matrimonio: poi, però, la Corte Suprema o l’organismo preposto all’interpretazione delle leggi ne desunse che “poiché si trattava di una equiparazione, andavano estesi anche altri diritti”. E quindi l’equiparazione diventava completa. L’altra considerazione è, invece, più di fondo: noi abbiamo la nostra Costituzione in cui si parla di società naturale e quindi è del tutto ovvio che si riferisca al rapporto uomo-donna. Ma tutti dimenticano che le Carte internazionali dei diritti umani parlano addirittura esplicitamente di uomo e di donna: la Convenzione europea del 1950 parla di matrimonio fra uomo e donna; la Dichiarazione – e poi la Convenzione internazionale – sui diritti del fanciullo parla del dovere dei genitori, del padre e della madre e aggiungono “di riconoscere una funzione speciale alla maternità”. Ecco, allora, noi dobbiamo avere davanti questo quadro solenne, formale, incontrovertibile della presenza dei genitori, di un uomo e di una donna, per la crescita e il futuro del bambino.

D. – L’equiparazione al matrimonio contenuta nel Ddl Cirinnà, al di là degli aspetti che regolamentano ad esempio la scelta del cognome o l’abitazione, è sostanziale?

R. – Non c’è dubbio, equipara nella sostanza. Quando lei comincia a parlare delle due persone come se fossero coniugi, la legge già dice che sono coniugi. Noi siamo arrivati ormai in alcuni Paesi – ma non in tutti – a parlare di “genitore 1” e “genitore 2”. Cosa vuol dire questo? Che si nasconde la parola “babbo” e “mamma” o “papà” e “mamma”.

D. – Quindi non è tanto la Stepchild adoption, ovvero l’adozione del figlio del partner, di cui tanto si sta parlando in questi giorni, il nodo critico del Ddl Cirinnà, quando proprio la definizione in essa contenuta di unione civile?

R. – Il vero punto è che se c’è l’equiparazione al matrimonio, l’adozione prima o poi una Corte di Cassazione dirà – come è anche logico che sia – che è una conseguenza del rapporto matrimoniale. Questo è il punto vero!

D. – L’obiezione a questo punto è: quando i costituenti scrissero la Carta, la questione delle unioni civili e quindi delle unioni omosessuali non era urgente. Oggi i tempi sono cambiati…

R. – Se vogliamo metterla sul piano formale diciamo allora che se questa questione non era presente, si deve cambiare la Costituzione, perché adesso questa cosa si è fatta presente. Ma attenzione: non confondiamo i 50-60-70 anni dall’approvazione della Costituzione con i secoli di storia, che arrivano fino alla nascita del primo uomo e della prima donna, il cui matrimonio è sempre stato concepito cosi.

D. – Professore, la stessa sentenza 138 del 2010 della Corte Costituzionale invita a dare un riconoscimento giuridico alle coppie omosessuali: a partire da cosa?

R. – A partire dai diritti che possono richiedere su una serie di temi. Questo si può fare benissimo: i diritti individuali…

D. – Mancano questi diritti oggi?

R. – Non sono chiari; alcuni non ci sono; altri sono affidati possiamo dire alla buona volontà: se due persone si trovano in ospedale e uno vuol fare l’assistenza e vuole avere anche il contatto con il medico, dipende da chi incontra… Non è assicurato in maniera automatica! Quindi c’è un lavoro da fare, ma fermo restando il carattere individuale, che non vuol dire declassare questi diritti – anzi, forse, si rafforzano! – ma tenendo fermo che quella unione, quel rapporto non è il matrimonio naturale.

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Pellegrinaggi a Roma e in Terra Santa. Andreatta: vincere paura

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In occasione del Giubileo degli Operatori dei Pellegrinaggi e dei Santuari, il Pontificio Consiglio della Nuova Evangelizzazione ha promosso dal 19 al 21 gennaio un Incontro internazionale degli addetti ai lavori, parroci, rettori e operatori dei Santuari con l’obiettivo di rilanciare il valore pastorale ed educativo del pellegrinaggio. Una questione oggi non facile. Adriana Masotti ne ha parlato con mons. Liberio Andreatta,  amministratore delegato dell’Opera Romana Pellegrinaggi: 

R. – Innanzitutto, devo dire che il Santo Padre ha voluto fare tra i primi Giubilei proprio quello dei rettori di Santuari, dei parroci e degli organizzatori dei pellegrinaggi, perché entrassero nella cultura e nella mentalità e fossero sensibilizzati al fatto che il pellegrinaggio, oltre ad essere un momento di promozione dell’uomo, è soprattutto evangelizzazione e catechesi. Quindi sensibilizziamo i promotori delle diocesi, delle parrocchie, affinché utilizzino questo strumento del pellegrinaggio come un autentico strumento pastorale di evangelizzazione e di catechesi.

D. – In questo momento non è facile però parlare di pellegrinaggi, organizzare pellegrinaggi. Perché?

R. – Viviamo ormai in una società dove tutto si velocizza, dove si consuma tutto in breve tempo. C’è poi una cultura dell’individualismo molto accentuata che coinvolge anche, purtroppo, i nostri fedeli, agevolati pure da quelli che sono oggi gli strumenti tecnologici: i social media, per esempio, piuttosto che l’utilizzo di trasporti come l’alta velocità, come il low cost, su internet lei può andare e confezionare a sua propria misura l’itinerario. Si è perso, quindi, un po’ il senso della comunità. Ecco, noi dovremmo lavorare molto di più sui sacerdoti, affinché facciano comprendere ai fedeli che un pellegrinaggio non si fa in solitario, ma si fa insieme alla comunità. E’ un’esperienza, infatti, di Chiesa, e l’esperienza di Chiesa è vissuta nella misura in cui si partecipa insieme. Educhiamo l’uomo a camminare insieme, a vivere insieme, ad aiutare il fratello che ha bisogno accanto. Quindi fare del pellegrinaggio uno strumento anche educativo.

D. – A rendere più difficile il pellegrinaggio, però, è anche la crisi economica che ancora stiamo vivendo e, non ultima, la paura, la minaccia del terrorismo…

R. – Sì, questi sono altri ostacoli. Certamente, anche come viene presentato nei media questo momento particolare, scoraggia. Nella nostra esperienza del pellegrinaggio, però, vediamo che le persone hanno una breve memoria. La paura, cioè, è superabile. Il fatto della situazione economica è superabile. Sono ostacoli che, se noi utilizziamo lo strumento – diremmo – del vivere la comunità e della solidarietà, si possono superare.

D. – E’ indubbio, però, che in questo momento anche a Roma vediamo meno presenze di quanto ci si potesse aspettare…

R. – Beh, è comprensibile, perché l’Anno Santo è stato aperto in tutte le cattedrali e santuari del mondo. Quindi questa novità ha fatto in modo che i pellegrini, i primi mesi del pellegrinaggio, li vivano con le loro comunità, nelle loro cattedrali, con i loro vescovi, con i loro sacerdoti, nei loro santuari. Secondo aspetto: è anche un periodo in cui gli eventi di Parigi sono ancora un po’ troppo freschi e quindi la paura in questo momento è imperante. Poi, non è certo la migliore stagione per viaggiare… Io credo, quindi, che con la primavera e verso Pasqua vedremo numericamente una maggiore partecipazione  di pellegrini.

D. – Una parola anche sulla Terra Santa, che è meta da sempre dei pellegrini…

R. – E’ fondamentale! La Terra Santa è il cuore del pellegrinaggio, perché si va laddove tutto è incominciato. Andare, dunque, a ricominciare per se stessi, quindi ritornare alle proprie sorgenti, alle proprie radici. La Terra Santa purtroppo ha degli alti e bassi. Adesso questo è un periodo non molto felice, proprio per i noti fatti che vediamo in televisione. C’è, però, una cosa: i pellegrini che vanno, tornano sereni, perché in Terra Santa pericoli non ce ne sono per i pellegrini. Mai in 40 anni della mia esperienza è stato torto un capello ad un pellegrino. La Terra Santa è accessibile, si può andare, e in massima sicurezza. Io vorrei fare un appello oggi, attraverso la Radio Vaticana, per incoraggiare i sacerdoti, i parroci, i fedeli, i pellegrini a non scoraggiarsi, a non avere paura. In Terra Santa si può, si deve andare. Non possiamo lasciare sole le comunità cristiane che vivono anche economicamente della nostra presenza. Quindi andiamo: fa bene a noi e fa bene a loro.

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"Imun" 2016: studenti ambasciatori Onu per un giorno

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Circa 2.500 studenti, provenienti da 145 scuole italiane ed estere, alla scoperta della diplomazia e delle relazioni internazionali: saranno loro veri e propri ambasciatori per un giorno nelle assemblee dell’Onu e delle più importanti organizzazioni internazionali, grazie alla manifestazione dell’“Italian Model United Nations” (Imun), giunta alla quinta edizione. L’evento si è svolto nell’Auditorium della Conciliazione a Roma, primo appuntamento di una serie di incontri analoghi che oltre al Lazio si svolgeranno in Trentino Alto Adige, Sicilia, Campania e Puglia. Federica Baioni ha intervistato Riccardo Messina, presidente di UN Network: 

R. – In questi giorni, per cinque giorni fino al 21 gennaio, 2.500 studenti provenienti da dieci diversi Paesi del mondo, divisi in 23 commissioni – le stesse commissioni delle Nazioni Unite – affronteranno i temi di politica internazionale di cui l’Onu si sta occupando in questo momento. Affronteranno tutto questo in lingua inglese, facendo finta di essere ambasciatori presso le Nazioni Unite di uno dei diversi 193 Paesi che ne fanno parte.

D. – Quindi, un’esperienza unica per i ragazzi delle nostre scuole, ma anche di quelle straniere, perché l’eco è internazionale. Ambasciatori per un giorno: quali sono le razioni di questi studenti in questa manifestazione singolare che li vede proprio delegati  - nella simulazione chiaramente - delle Nazioni Unite?

R. – Le emozioni sono diverse. Inizialmente c’è la paura, il timore di affrontare un’esperienza nuova. I nostri studenti non sono abituati nelle nostre scuole a vivere direttamente un’esperienza del genere. Sono abituati ad avere un insegnante che insegna loro delle nozioni che studiano e poi ripetono. Invece, durante questa esperienza i ragazzi interagiscono direttamente fra di loro in maniera orizzontale, affrontando dei temi che sono stati precedentemente sottoposti. Quindi, un’esperienza davvero singolare per loro. Però, dopo il primo imbarazzo iniziale, esce fuori tutta la loro vitalità e tutta la loro energia.

D. – I temi sono molti e all’ordine del giorno: dall’immigrazione alla finanza, dai diritti umani ai cambiamenti climatici, quindi di stretta attualità. Entrando nello specifico, cosa fanno nel dettaglio i ragazzi nella loro giornata tipo di lavoro?

R. – Prendo ad esempio una delle commissioni che stiamo simulando: l’Unesco. Quest’anno si sta occupando della tutela del patrimonio culturale siriano in tempo di guerra. Noi abbiamo sottoposto ai ragazzi che si trovano all’interno di questa commissione un tema che è stato approfondito con guide e documenti.  In questi giorni, i ragazzi dibatteranno il tema utilizzando le stesse regole di procedura delle Nazioni Unite e poi, alla fine, approveranno una risoluzione che sia la sintesi di tutte le posizioni presenti in commissione.

D. – Noi sappiamo che questo appuntamento si dipanerà poi per tutto il mese di gennaio e soprattutto in diverse città italiane. Ci vuole parlare di questa esperienza itinerante e di voi, organizzatori, che seguirete i ragazzi a stretto contatto?

R. – È un’esperienza molto bella e molto entusiasmante. C’è uno staff di 150 volontari straordinari e bravissimi che coopera insieme all’International Model of United Nation Association di New York nel dirigere le commissioni. In qualche modo, è un viaggio per la scuola italiana e, nonostante quello che si dice in giro, nonostante quello che potrebbe apparentemente sembrare, ciò che abbiamo notato in questi anni – e che stiamo notando durante questo simbolico viaggio per il Paese – è l’esistenza di realtà strepitose. La nostra scuola italiana ha fatto passi da gigante, soprattutto nello studio della lingua inglese. I ragazzi durante queste giornate parlano esclusivamente in inglese e sono davvero brillanti. Non è più il Paese degli Anni ’80, dove vi era una diffidenza nei confronti delle lingue straniere. I nostri giovani hanno fatto passi da gigante ed è il caso che il Paese se ne accorga.

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Nella Chiesa e nel mondo



Terrorismo in Burkina Faso: la Chiesa prega per la pace

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“Nelle chiese del Burkina Faso i fedeli pregano per la pace” dice all’agenzia Fides padre Oscar Zoungrana, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) del Paese africano, dove il 15 gennaio un gruppo di terroristi di Al Qaida nel Maghreb Islamico (Aqmi) ha ucciso almeno 29 persone di diversa nazionalità nell’assalto all’hotel Splendid (frequentato soprattutto da funzionari dell’Onu) e al vicino ristorante “Le Cappuccino”.

La popolazione è ancora sotto choc 
"È vero che un episodio simile era avvenuto di recente nel Mali, Paese nostro vicino, e molti dicevano che anche il Burkina Faso poteva essere nel mirino dei terroristi, ma non ci si aspettava che potesse accadere un attentato così presto” dice a Fides don Oscar. “Per molti è stata una grande sorpresa, anche perché nel nostro Paese non era mai accaduto un dramma di queste proporzioni. C’era già stato un attacco ad alcuni gendarmi alla frontiera con il Mali, ma un assalto di queste proporzioni nella capitale ci ha colti di sorpresa”.

Lutto nazionale di tre giorni
Il Burkina Faso ha appena concluso un periodo di transizione dopo la cacciata dell’ex Presidente Blaise Compaoré, culminata con le elezioni del 29 novembre che hanno portato alla designazione di Roch Marc Christian Kaboré come nuovo Presidente. “Il governo appena insediato ha tenuto sabato 16 gennaio un Consiglio dei Ministri straordinario che ha preso alcuni provvedimenti, tra cui quello di indire il lutto nazionale di tre giorni” riferisce don Oscar.

Rafforzata la collaborazione con le forze francesi e americane
“È stato inoltre prolungato il coprifuoco stabilito nelle ore dell’assalto terroristico, mentre prosegue l’inchiesta per chiarire come si sono svolti i fatti. Il luogo dell’attentato è ancora circondato dalle forze di sicurezza per permettere il lavoro degli inquirenti. Mali e Burkina Faso hanno inoltre deciso di coordinare gli sforzi per lottare contro i terroristi - afferma padre Zoungrana - mentre è stata rafforzata la collaborazione con le forze francesi e americane presenti da tempo nel nostro Paese, che hanno condotto l’assalto finale per liberare gli ostaggi dell’hotel”.

Un gesto per bloccare la cooperazione tra il Burkina e gli altri Paesi
Secondo il sacerdote, l’obiettivo dei terroristi non è tanto quello di destabilizzare il Paese quanto di “prendere di mira gli stranieri per bloccare la cooperazione tra i Paesi africani, come il Burkina e il Mali, e l’Europa e le istituzioni internazionali”. (L.M.)

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Sako: esercito turco ha bombardato villaggio cristiano in Iraq

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Le truppe turche hanno bombardato nella notte tra il 16 il 17 gennaio il villaggio iracheno di Sharanish, collocato ai confini con la Turchia, nel governatorato di Dohuk, abitato da cristiani caldei e assiri. I bombardamenti hanno diffuso il panico tra la popolazione, costretta a fuggire verso la città di Zakho in piena notte, con condizioni meteorologiche caratterizzate dalla neve e dal freddo pungente A darne notizia è il Patriarcato di Babilonia dei Caldei, che attraverso i suoi canali ufficiali esprime ferma condanna dell'azione militare turca, definendola “totalmente ingiustificata” e facendo anche appello al governo autonomo del Kurdistan iracheno affinchè adotti “le misure necessarie per difendere i propri cittadini”. 

Protesta del patriarcato caldeo all'ambasciata turca a Baghdad
L'attacco – riferisce il comunicato diffuso dal Patriarcato ripreso dall'agenzia Fides - è stato compiuto “con il pretesto della lotta contro le postazioni dei curdi del Pkk (Partîya Karkeren Kurdîstan, Partito dei Lavoratori del Kurdistan)”. Una nota di protesta è stata inviata dal Patriarcato caldeo anche all’ambasciata turca a Baghdad.

Il villaggio ospita decine di famiglie cristiane fuggite dalla piana di Ninive
Negli anni Ottanta, la cittadina era stata completamente devastata durante le campagne militari compiute dall'esercito iracheno contro i curdi. Dopo la fine del regime di Saddam Hussein, parte della originaria popolazione cristiana era tornata ad abitare il villaggio, anche per fuggire alle violenze anti-cristiane sempre più frequenti nelle aree urbane di Baghdad e Mosul. Il villaggio ospita anche decine di famiglie cristiane fuggite nel 2014 dalla piana di Ninive davanti all'avanzata dei jihadisti del sedicente Stato Islamico (Daesh). Già nell'agosto scorso Sharanish e altri villaggi dei monti Qandil abitati da cristiani erano stati fatti oggetto di raid aerei durante le operazioni militari compiute in quell'area dall'esercito turco contro i curdi del Pkk. (G.V.)

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Giakarta: in 10mila di tutte le religioni contro il terrorismo

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A quattro giorni dagli attacchi che hanno sconvolto il centro di Jakarta, 10mila persone si sono radunate a Lapangan Banteng, piazza storica della capitale, per dimostrare che l’Indonesia è un Paese pacifico, tollerante e che “non cederà alla minaccia del terrorismo”. L’evento è stato organizzato dal Nahdlatul Ulama (Nu), il più grande movimento islamico del Paese, ed era in programma già da una decina di giorni come manifestazione interreligiosa. Cattolici, protestanti, confuciani, indù, buddisti e taoisti - riferisce l'agenzia AsiaNews - avevano già confermato la loro partecipazione, insieme alle più alte cariche dello Stato e alla società civile. In prima fila, il ministro della Difesa Ryamizard Ryacudu, il ministro per gli Affari religiosi Lukman Hakim Saifudin, i leader del Nu e di molte organizzazioni interreligiose. La Conferenza episcopale indonesiana ha inviato mons. Yohanes Harun Yuwono, vescovo di Tanjung Karang e presidente della Commissione per il dialogo interreligioso.

Ogni religione insegna il principio dell'amore
“Ogni religione – ha detto l’ex generale Ryamizard Ryacudu – insegna il principio fondamentale dell’amore e invita i propri fedeli ad amarsi a vicenda. Che l’Indonesia si sviluppi o crolli, questo dipende da noi, non da altri. Ogni atto di terrore è contro i veri valori di ogni credo religioso e per questo noi li rigettiamo”. Il ministro della Difesa ha poi invitato le migliaia di persone presenti ad incrementare il proprio spirito patriottico, perché “il terrore e il radicalismo sono il nostro nemico comune”.

Continua la caccia ai terroristi
Nel frattempo, le autorità indonesiane continuano a dare la caccia ai gruppi terroristici, legati al sedicente Stato Islamico, che avrebbero organizzato gli attentati del 14 gennaio scorso. Gli agenti hanno arrestato 12 sospettati. Nelle ultime ore il bilancio delle vittime è stato aggiornato a otto (quattro civili e quattro terroristi) in quanto uno dei feriti è morto in ospedale. Si è scoperto inoltre che il quinto attentatore non identificato, morto nelle esplosioni, era in realtà un civile.

Invito a custodire nel cuore il Pancasila
​Durante la manifestazione in piazza, il ministro della Difesa ha anche ricordato che il dovere di ogni indonesiano è di custodire nel cuore il Pancasila (i cinque pilastri della Costituzione). La restaurazione della nazione, ha detto, è una “guerra non convenzionale”, una guerra fra ideologie religiose che minacciano di dividerla. (M.H.)

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Reliquie del Beato Frassati a Cracovia per la Gmg 2016

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Saranno esposte alla venerazione dei giovani, a Cracovia, le reliquie del Beato Pier Giorgio Frassati, in occasione della 31.ma Giornata mondiale della gioventù, in programma nella città polacca il prossimo luglio. Si tratta di una vera e propria “sorpresa”, informa una nota dell’Associazione Pier Giorgio Frassati, ricordando che lo stesso Papa Francesco, nel messaggio rivolto ai giovani in vista della Gmg, li ha esortati a seguire l’esempio del Beato Frassati.

L’insegnamento del Frassati ai giovani: vivere, non vivacchiare
“Pier Giorgio era un giovane che aveva capito che cosa vuol dire avere un cuore misericordioso, sensibile ai più bisognosi – ha detto il Pontefice - A loro dava molto più che cose materiali: dava se stesso, spendeva tempo, parole, capacità di ascolto. Serviva i poveri con grande discrezione, non mettendosi mai in mostra”. Anche i predecessori di Papa Bergoglio hanno sempre dimostrato ammirazione per questo Beato: a maggio 2010, incontrando i giovani a Torino, città natale del Frassati, Benedetto XVI diceva ai ragazzi: “Abbiate il coraggio di scegliere ciò che è essenziale nella vita” e citava una frase tipica del Beato, cioè “Vivere e non vivacchiare!”, definendolo poi “un ragazzo affascinato dalla bellezza del Vangelo delle Beatitudini”. 

Esempio di “rivoluzione della carità” che accende nei cuori la speranza
Sulla stessa linea si pose anche San Giovanni Paolo II, che beatificò Frassati nel 1990. Nel 2001, infatti, incontrando i giovani della diocesi di Roma, disse loro: “Vi aiutino i tanti vostri coetanei dei quali la Chiesa ha riconosciuto la piena fedeltà al Vangelo e addita come esempi da seguire, intercessori da invocare. Fra questi, vorrei ricordare il Beato Pier Giorgio Frassati. Cercate di conoscerlo! La sua esistenza di giovane “normale” dimostra che si può essere Santi vivendo intensamente l'amicizia, lo studio, lo sport, il servizio ai poveri, in un rapporto costante con Dio”. Dal suo canto, la nipote di Frassati, Wanda Gawronska, afferma: “La santità è possibile per tutti  e solo la rivoluzione della carità può accendere nel cuore degli uomini la speranza di un futuro migliore”.

Reliquie esposte nella Chiesa della Santissima Trinità
​A Cracovia, le reliquie del Beato torinese, vissuto all’inizio del ‘900 e morto a soli 24 anni a causa di una poliomelite fulminante contratta aiutando i poveri della città, saranno esposte nella Basilica della Santissima Trinità, in via Stolarska 12, affidata ai Padri Domenicani. Da ricordare che la Gmg di Cracovia si svolgerà dal 26 al 31 luglio. La presenza di Papa Francesco è attesa dal 28 al 31 luglio. Il motto dell’evento è “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”, ispirato al Vangelo di Matteo (Mt 5,7) ed in sintonia con il Giubileo straordinario della misericordia, in corso fino al 20 novembre prossimo. (A cura di Isabella Piro)

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Vescovi Filippine: aprire Porta della compassione ai migranti

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Aprire la Porta della misericordia e della compassione ai migranti ed ai rifugiati: questo, in sintesi, l’appello che mons. Socrates Villegas, arcivescovo di Lingayen-Dagupan e presidente della Conferenza episcopale filippina (Cbcp) ha rivolto ai fedeli, in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, celebrata ieri. In una nota pubblicata sul sito web della Cbcp, il presule sottolinea che “oggi, purtroppo, c’è una mancanza di misericordia” ed esorta a “mantenere spalancante le porte del cuore per accogliere coloro che abbiamo lasciato fuori a causa di inimicizie, rancori, dolori”.

Oggi, fenomeno migratorio senza precedenti
Poi, lo sguardo di mons. Villegas si allarga al “fenomeno, senza precedenti, che la storia contemporanea sta vivendo”, ovvero “la massa di migranti e il flusso di rifugiati che arrivano non solo in Europa, ma anche in altre parti del mondo”. È comprensibile, sottolinea il presule, che spetti “alle capacità degli Stati far fronte alle ondate di immigrati, ma questa non è una scusa per girare la testa dall’altra parte e non può giustificare in alcun caso il verificarsi di maltrattamenti”.

Affrontare sofferenze dei rifugiati, sfida urgente per Stato e Chiesa
Quindi, soffermandosi in particolare sulle Filippine, il presidente dei vescovi locali ricorda che “la sfida più urgente per le autorità statali, per i cittadini, ma anche per i fratelli e le sorelle della Chiesa, è quella di guardare alle condizioni di coloro che, nel nostro Paese, soffrono immensamente, perché costretti a lasciare le loro case ed il loro ambiente familiare”. Soprattutto – ribadisce il presule – non bisogna dimenticare “le comunità indigene costrette a sfollare e spinti all’emarginazione a causa degli interessi di progetti capitalistici, conflitti armati o indifferenza della società”.

Misericordia non è sentimento passeggero, ma apertura del cuore all’altro
“Nascondere i poveri, i senza tetto e gli sfollati – incalza ancora mons. Villegas – non è una soluzione, ma solo un’operazione di facciata che salva le apparenze, ma non risolve il problema”. Di qui, l’esortazione del vescovo filippino ad affrontare “la sfida di essere misericordiosi”, perché “la misericordia non è un sentimento fugace o un’emozione passeggera”, bensì è la decisione di “aprirsi al dolore ed alle ferite dei sofferenti”. Per questo, spiega mons. Villegas, “la misericordia necessariamente porta all’ospitalità” e tutti i fedeli sono chiamati ad essere “operatori, modelli ed araldi del Vangelo della misericordia”.

Donare un futuro dignitoso a migranti e rifugiati
“Quando apriamo i nostri cuori, le nostre case, le nostre aziende a coloro che sbarcano sulle nostre coste ed arrivano nelle nostre città da luoghi di conflitto – continua il presidente della Cbcp – noi permettiamo loro di guardare al futuro”. “E quando doniamo la nostra forza a coloro che sono stanchi di fuggire e di nascondersi – prosegue mons. Villegas – quando li proteggiamo dalla furia degli elementi così come dalla crudeltà di coloro contro i quali essi non hanno fatto nulla di male, allora noi permettiamo a questi migranti e rifugiati di vivere con dignità”.

Affrontare le cause della violenza per raggiungere la pace
​L’obiettivo primario indicato dal presule, quindi, è quello di “affrontare risolutamente le cause della violenza” che costringe le persone a fuggire dalla loro patria, così da raggiungere la pace. Infine, il presidente dei vescovi filippini esorta i fedeli a vedere nel Giubileo straordinario della misericordia “un Anno indimenticabile sia per coloro che mostrano misericordia, sia per quelli a cui essa viene mostrata”. (I.P.)

 

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Vescovi Argentina contro il flagello della droga

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Comunicazione e spiritualità sono gli “assi cartesiani” per radicarsi “in un vero cammino di prevenzione” dalla tossicodipendenza: è quanto scrive mons. Pedro Candia, amministratore diocesano dell’Ordinariato militare in Argentina. In questi giorni, il presule ha inviato una lettera aperta a tutti i militari, i cappellani, il personale delle Forze armate e di sicurezza in cui esprime la sua “grande preoccupazione” per “la minaccia della droga che colpisce le famiglie, i politici ed i militari”.

Tossicodipendenza, sintomo di malessere esistenziale e di solitudine
Di qui, il richiamo del presule a cercare di fermare “il flagello” della droga e la delinquenza provocata “dalle organizzazioni di narcotraffico”. Poi, mons. Candia invita ad approfondire “cosa ci manca, in quanto persone libere, per vivere davvero in pienezza: quali punti di riferimento abbiamo nella nostra esistenza – chiede il presule – Quali sono i valori che ci sostengono nella vita quotidiana?” Si tratta di domande di senso, spiega l’amministratore diocesano, perché “la tossicodipendenza va considerata come il sintomo di un malessere esistenziale, di una difficoltà nel trovare il proprio posto nella società, di una paura del futuro, con la conseguente fuga in una vita illusoria e fittizia”.

Mondo senza speranza favorisce uso di droghe
Mons. Candia sottolinea che “l’incremento del mercato e del consumo delle droghe dimostra che viviamo in un mondo senza speranza, carente di proposte valide in campo umano e spirituale”. Di conseguenza, “tanti giovani pensano che tutti i comportamenti si equivalgano, non arrivano a distinguere il bene dal male e non hanno il senso dei limiti morali”. Non solo: la mancanza di comunicazione, il “non detto”, può ulteriormente aggravare il loro “vuoto esistenziale”. Infatti, spiega il vescovo argentino, “i tossicodipendenti, quando raccontano la loro esperienza, parlano soprattutto di solitudine: sono arrivati alla droga per evadere, per nascondere un dolore o dimenticare una sofferenza”.

Comunicazione e spiritualità aiutano a trovare il senso della vita
Il vescovo esorta, quindi, ad una comunicazione “cordiale e profonda” con chi è vittima della droga, un dialogo che “porti a condividere pensieri e sentimenti che riguardano la sfera esistenziale”. Naturalmente, anche la spiritualità è quanto mai necessaria in questo percorso di prevenzione, poiché “essa è sempre stata, per gli uomini, fonte di motivazione nella ricerca del significato e del senso della vita e unica porta che apre al trascendente”. E questa apertura – nota ancora mons. Candia – parte dal riconoscimento della nostra essenza spirituale e dell’esistenza di una dimensione interpersonale della vita, in cui ci si trova a contatto con gli altri e, soprattutto, si vive una fondamentale relazione con Dio, segnata dalla sua presenza provvidenziale”.

Atto di coraggio di tutta la società per sconfiggere il narcotraffico
Citando Papa Francesco, poi, mons. Candia sottolinea che “la piaga del narcotraffico, che favorisce la violenza e semina dolore e morte, richiede un atto di coraggio di tutta la società (discorso all’Ospedale San Francesco a Rio de Janeiro, il 24 luglio 2013) Infine, il presule annuncia che, a breve, l’Ordinariato militare pubblicherà un documento orientativo sulla Pastorale con i tossicodipendenti nell’ambito specifico delle Forze Armate e di sicurezza. (I.P.)

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Panama: documento dei vescovi su situazione nel Paese

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La Conferenza episcopale panamense (Cep) presenta in un suo documento le molte domande sul futuro del Paese riguardo a temi quali la riforma elettorale, l'allargamento del Canale transoceanico, la pubblica istruzione e la sanità, chiedendo risposte chiare e concrete. La dichiarazione rientra nell’ambito delle conclusioni della 203.ma sessione plenaria della Cep appena conclusa.

I vescovi denunciano una profonda crisi morale nel Paese
Oggi l'Assemblea Nazionale dovrà iniziare a discutere il pacchetto delle riforme elettorali, secondo la proposta presentata dalla Commissione Nazionale per le riforme elettorali, anche se critiche e dissensi su diversi punti di questa proposta sono sempre in aumento. I vescovi, nel loro documento ripreso dall'agenzia Fides, ribadiscono la necessità del dialogo, essenziale per risolvere i problemi del Paese, e sottolineano che la situazione nazionale rivela una profonda crisi morale, di valori, di atteggiamenti, di motivazioni e comportamenti che andrebbero corretti.

Una riflessione per offrire motivi di speranza
Il documento contiene le conclusioni dell’Assemblea ordinaria della Conferenza episcopale, svoltasi dall’11 al 15 gennaio 2016, riunita per riflettere sulla realtà della Chiesa e della società panamense al fine di offrire motivi di speranza. Elaborato in 11 punti, il testo presenta il panorama ecclesiale e sociale del Paese, riconosce le forze della comunità ed invita ad un impegno serio e profondo dinanzi alle sfide del paese e in questo Giubileo della Misericordia.
I vescovi, tra l’altro, denunciano con forza: "La dignità umana non viene rispettata. Non possiamo abituarci alla violenza, alla criminalità, all'omicidio. Questa non è la nostra natura!"

La Chiesa invita i giovani ad essere missionari della misericordia
​Nella conclusione i vescovi invitano a camminare insieme ai giovani, partecipando al Meeting Nazionale del Rinnovamento della Gioventù, dal 21 al 24 gennaio, che si terrà a Chitre, "per sperimentare il giovane volto gioioso della Chiesa, e incoraggiarli a ‘uscire’, pronti ad essere discepoli e missionari della misericordia del Padre". (C.E.)

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Vescovi Costa d'Avorio: appello autonomia finanziaria della Chiesa

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Un appello ai fedeli affinché contribuiscano ad accrescere l’autonomia finanziaria della Chiesa in Costa d’Avorio: a lanciarlo, in questi giorni, è stato mons. Ignace Bessi, vescovo di Katiola e presidente della Commissione episcopale per l’Azione cattolica, incaricata della gestione dei fondi ecclesiali. In un’intervista pubblicata sul sito della Conferenza episcopale locale, il presule sprona i fedeli a mobilitarsi in vista della colletta nazionale cattolica che si terrà il 15 maggio, domenica di Pentecoste.

A Pentecoste, terza edizione della colletta nazionale cattolica
Si tratterà, sottolinea mons. Bessi, della terza edizione dell’iniziativa. La prima, ricorda il presule, ha portato alla raccolta di 220 milioni in valuta locale, pari a circa 335mila euro; risultato cresciuto nella seconda edizione, in cui i fedeli hanno donato fondi pari a 350mila euro. Per il 2016, quindi, mons. Bessi auspica che si possano raggiungere i 280 milioni in valuta locale, ovvero i 380mila euro. Ed in quest’ottica, il vescovo di Katiola suggerisce alla parrocchie di scegliere un’unica celebrazione, nella domenica di Pentecoste, in cui fare la colletta, così da non scoraggiare i fedeli con tante raccolte diverse.

Aiutare la Chiesa a svolgere la sua missione
Il presule sottolinea, inoltre, l’esigenza di informare meglio e di più i fedeli sul significato e l’importanza di questo avvenimento, affinché “ciascuno di essi conosca il perché di questa colletta”. Un buon metodo per raggiungere questo obiettivo, spiega ancora mons. Bessi, è che “i cattolici siano sempre in contatto con la Commissione episcopale per l’Azione cattolica, affinché comprendano il messaggio che essa vuole offrire”, portando aiuti a “tutte le strutture della Chiesa del Paese, in modo che esse possano svolgere serenamente la loro missione”. In quest’ottica, mons. Bessi si dice sicuro della generosità dei fedeli, “pronti a fare una donazione per sostenere l’opera di evangelizzazione della Chiesa”.

Africa non dipenda troppo da risorse finanziarie straniere
​Da ricordare che la questione dell’autonomia economia è un tema particolarmente sentito dalla Chiesa africana che più volte ha lanciato appelli in questo senso. Basti citare, ad esempio, le parole del Secam (Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar) che nel 2014 affermava: “È tempo per l’Africa di non dipendere troppo dalle risorse finanziarie provenienti dai partner stranieri”. Di qui, l’esortazione all’implementazione delle collette annuali che possano contribuire realmente alle necessità delle Chiesa locali e l’invito, rivolto ai vescovi, a coinvolgere maggiormente i laici in questo settore. (I.P.)

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Caritas Ostia: grave sgomberare rom in emergenza freddo

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“Incomprensibile”. Così don Franco De Donno, responsabile della Caritas di Ostia (XXVI Prefettura diocesana di Roma), definisce lo sgombero forzato di decine di rom – compresi bambini – attuato in questi giorni dalle forze dell’ordine nella pineta locale delle Acque Rosse. Si tratta del quinto sgombero in tre anni con l’abbattimento di alcune baracche di rifugio. “La Caritas di Ostia con la Caritas diocesana di Roma – afferma don De Donno – sta accompagnando da vari anni i senza dimora e i Rom con progetti alternativi di inclusione lavorativa e di autocostruzione senza aver mai avuto il tempo di completare il progetto con gli organi amministrativi comunali e municipali”. 

La gravità dello sgombero coinciso con l'aumento del freddo
​La Caritas di Ostia denuncia in particolare, in un comunicato, la gravità di questo ultimo sgombero in un periodo in cui il freddo si fa sempre più pungente, aggiungendo così altre persone sulle strade e sulle piazze di Roma “per poi avere la paura che qualcuno di loro muoia letteralmente di freddo”. Le famiglie rom – 35 persone - sono state ospitate temporaneamente per tre notti nei locali della parrocchia di Santa Monica di Ostia. Al momento – riferisce sempre don De Donno – queste famiglie, insieme agli altri circa 100 senza fissa dimora della zona, sono in attesa dell’allestimento da parte del Comune di Roma di un “tendone” – gestito dalla Croce Rossa – per trovare riparo durante questi giorni di emergenza freddo. (A.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 18

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.