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Sommario del 13/01/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: Dio ama come una mamma, sempre e con fedeltà

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“Dio si commuove e intenerisce per noi come una madre quando prende in braccio il suo bambino”. È una delle tante immagini che il Papa ha usato nella catechesi dell’udienza generale, tenuta in Aula Paolo VI. E con il primo appuntamento del mercoledì del 2016 Francesco ha fatto coincidere l’inizio di un nuovo ciclo di catechesi sulla “misericordia secondo la prospettiva biblica” per “imparare la misericordia – ha detto – ascoltando quello che Dio stesso ci insegna con la sua Parola”. Il servizio di Alessandro De Carolis

Né i tuoni né i fulmini di un Dio irascibile e indifferente alle cose umane, perché troppo in alto e distante per occuparsene. Chi usa questo stanco cliché per affermare la lontananza di Dio è solitamente perché non ne ha mai sperimentato la vicinanza di Padre buono e attento. Che invece, ricorda Papa Francesco all’inizio della catechesi, è esattamente ciò che di sé Dio rivela a Mosè autodefinendosi “misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”.

Bontà “viscerale”
È dunque fin dall’inizio della Bibbia, spiega Francesco inaugurando con uno sguardo all’Antico Testamento il suo ciclo di catechesi giubilari, che la misericordia appare come il “nome” di Dio – che è anche il titolo del suo libro-intervista appena presentato. Il Papa esamina uno a uno i quattro appellativi, a cominciare dal primo e principale, “Dio è misericordioso”:

“L’immagine che suggerisce è quella di un Dio che si commuove e si intenerisce per noi come una madre quando prende in braccio il suo bambino, desiderosa solo di amare, proteggere, aiutare, pronta a donare tutto, anche sé stessa. Quella è l’immagine che suggerisce questo termine. Un amore, dunque, che si può definire in senso buono ‘viscerale’”.

L’abbraccio del Padre
Il secondo appellativo contenuto nel versetto del libro dell’Esodo è “pietoso”, “nel senso – afferma Francesco – che fa grazia, ha compassione e, nella sua grandezza, si china su chi è debole e povero, sempre pronto ad accogliere, a comprendere, a perdonare:

“È come il padre della parabola riportata dal Vangelo di Luca: un padre che non si chiude nel risentimento per l’abbandono del figlio minore, ma al contrario continua ad aspettarlo - lo ha generato! - , e poi gli corre incontro e lo abbraccia, non gli lascia neppure finire la sua confessione - come se gli coprisse la bocca -, tanto è grande l’amore e la gioia per averlo ritrovato”.

Amore paziente, gratuito, sollecito
Inoltre, prosegue il Papa, Dio “è lento all’ira” – perché in Lui è il “respiro ampio della longanimità e della capacità di sopportare” con una pazienza che l’uomo non ha – e soprattutto, quarto appellativo, è “grande nell’amore e nella fedeltà”.

“Com’è bella questa definizione di Dio! (...) La parola ‘amore’, qui utilizzata, indica l’affetto, la grazia, la bontà. Non è l’amore di telenovela... È l’amore che fa il primo passo, che non dipende dai meriti umani ma da un’immensa gratuità. È la sollecitudine divina che niente può fermare, neppure il peccato, perché sa andare al di là del peccato, vincere il male e perdonarlo.

Il “fedele sempre”
Per concludere, Francesco cita un passo del Salmo 121, che celebra il Signore “Custode” che vigila sempre sull’umanità, e rammenta una frase di San Paolo, nella seconda Lettera a Timoteo, su Dio che rimane sempre fedele anche se l’uomo manca di fedeltà:

“La fedeltà nella misericordia è proprio l’essere di Dio. E per questo Dio è totalmente e sempre affidabile. Una presenza solida e stabile. È questa la certezza della nostra fede. E allora, in questo Giubileo della Misericordia, affidiamoci totalmente a Lui, e sperimentiamo la gioia di essere amati da questo ‘Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore e nella fedeltà’”.

E sempre nello spirito dell’Anno Santo, Papa Francesco ha detto a fine udienza di auspicare “che il passaggio dalla Porta Santa incoraggi a fare esperienza delle opere di misericordia corporali e spirituali”.

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Papa prega per vittime attentato Istanbul e conversione dei violenti

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Al termine dell'udienza generale, il pensiero e la preghiera di Papa Francesco sono andati alle vittime del sanguinoso attentato di ieri a Istanbul. Ricordiamo che un attentatore suicida di origine siriana si è fatto saltare in aria a Sultanahmet, zona turistica vicina alla Moschea Blu, uccidendo 10 stranieri, tra cui almeno 8 tedeschi, e ferendo altre 15 persone. Ascoltiamo le parole del Pontefice nel servizio di Giancarlo La Vella

“Vi invito a pregare per le vittime dell’attentato avvenuto ieri a Istanbul. Che il Signore, il Misericordioso, dia pace eterna ai defunti, conforto ai familiari, fermezza solidale all’intera società, e converta i cuori dei violenti”.

Papa Francesco è profondamente scosso per quanto avvenuto a Istanbul. Anche l’intera Turchia appare turbata di fronte alla ferocia del terrorismo marcato Is, che ancora una volta ha duramente colpito il Paese, e reagisce col pugno duro. La polizia ha fermato tre cittadini russi nella provincia meridionale di Antalya per sospetti legami con il califfato. Secondo l'agenzia Anadolu, sarebbero accusati di aver fornito supporti logistici ai jihadisti. Tra ieri e oggi sono una settantina i sospetti membri del sedicente Stato Islamico arrestati dalla polizia turca. Su quanto accaduto abbiamo sentito l’arcivescovo Ruggero Franceschini, per oltre 30 anni in Turchia:

R. – Io leggo quest'episodio con grande tristezza. Mi dispiace molto, perché questi non sono i metodi per potere instaurare un minimo di convivenza. Ma quelli non sono i turchi, i turchi sono il popolo e io ho provato che è possibile instaurare un dialogo. Bisogna cercare delle intese, perché nella mia lunga esperienza in Turchia ho vissuto degli scontri, però ho vissuto anche degli incontri. Io credo che questo sia possibile, ma bisogna volerlo, anche se ora ci sono fabbricanti di armi che hanno il potere, non sono più i presidenti, ma i fabbricanti di armi… Noi siamo missionari lì, ma siamo missionari di pace. Poi il resto viene da sé. E’ il popolo vecchio che non riesce a superare queste incomprensioni. I giovani invece vanno volentieri insieme.

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Parolin: la misericordia indicata dal Papa è sempre dono da accogliere

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Grande risonanza ha avuto in tutto il mondo la presentazione, ieri a Roma, del libro-conversazione di Papa Francesco intitolato “Il nome di Dio è misericordia”. Insieme all’autore, il vaticanista Andrea Tornielli, era presente tra gli altri anche Roberto Benigni e il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. Al microfono di Fabio Colagrande, il porporato sottolinea come la misericordia indicata dal Papa non riguardi solo la conversione del singolo ma tutta la società: 

R. – Una misericordia – direi - sulla linea, prima di tutto, delle opere di misericordia. Devono, cioè, diventare anche queste una dimensione sociale. Venire, quindi, veramente incontro alle necessità degli uomini, come espressione della misericordia. Certo, come espressione di giustizia, prima di tutto, perché all’uomo in quanto tale è dovuto il rispetto dei suoi diritti e delle sue necessità di fondo. Ma tutto questo deve partire da questo sentimento e da questo atteggiamento del cuore: che si apra verso il fratello e che veda in ciascuno un fratello. Credo che questa sia la dimensione della  misericordia. Poi, l’altra questione è la grande questione del perdono. Deve diventare anche questo un principio, perché se non ci perdoniamo non ne usciremo più e questo circolo non si spezzerà: il circolo della violenza, il circolo del conflitto.

D. – Nel libro il Papa riflette anche sul fatto che si sente talvolta dire anche nella Chiesa che c’è troppa misericordia. Come affronta questo aspetto?

R. – A me pare che sia molto chiaro, il Papa lo ha detto. Io, anzi, ho trovato proprio nel libro questo equilibrio. Anche se nella misericordia non si può parlare di equilibrio, perché è tutto un atteggiamento che nasce proprio indipendentemente dai meriti che la persona ha. Se la misericordia, infatti, guardasse soltanto ai meriti forse, appunto, non sarebbe più misericordia. Dunque, va oltre i meriti. Mi pare, però, che il Papa sottolinei bene: il Signore, cioè, è venuto per chi gli apre la porta, anche per chi solo ha intenzione di aprirgli la porta. Ma certamente se c’è una sovrabbondanza di misericordia, ci deve essere anche un atteggiamento di apertura da parte della persona. Questo è logico. A chi rimane chiuso alla grazia di Dio, la grazia di Dio non può fare nulla, non può entrare. Gesù lo ha detto nell’Apocalisse: “Io sono fuori, alla porta, e busso. Se qualcuno mi apre, io entro”. Ma se uno non gli apre, non entra, non sfonda.

D. – Cosa ha apprezzato dell’intervento di Benigni?

R. – Beh, intanto la passione con cui lui si esprime e poi questa maniera di presentare la Dottrina della Chiesa. E’ stato molto tradizionale in tutto quello che ha detto. Non ha detto niente di… anzi, anzi! Ma con questa capacità proprio di accattivare le persone e di far vibrare un poco il cuore. In fin dei conti, infatti, è questo: se non riusciamo a far vibrare i cuori, il messaggio stesso rimane molto esterno.  

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Tornielli: libro con il Papa, un colloquio da cuore a cuore

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E' da ieri nelle librerie di tutto il mondo "Il nome di Dio è Misericordia", volume nato dalla conversazione di Papa Francesco con il vaticanista Andrea Tornielli proprio sul tema al centro del Giubileo. Al giornalista de "La Stampa", Alessandro Gisotti ha chiesto di raccontare cosa abbia rappresentato per lui questa esperienza e cosa potranno trovare i lettori sfogliando il libro: 

R. – E’ stata un’esperienza che mi ha toccato, perché chiaramente il Papa – come sempre – riesce a trasmettere una capacità di mostrare un volto di vicinanza alle persone. La cosa che più mi ha colpito è il fatto di capire come, attraverso le sue parole e la sua esperienza, Dio "le cerca veramente tutte" per venirci incontro e per donarci il suo perdono: prova ogni spiraglio, ogni fessura per venirci incontro. Ed è una cosa bella e anche molto liberante vedere, nella storia e nell’esperienza di un Papa che definisce se stesso un peccatore perdonato, come l’esperienza del peccato sia comune a tutti: non esistono soltanto alcune categorie di peccatori… Però la misericordia, il perdono c’è per tutti, basta semplicemente fare il primo passo del riconoscersi umili o perlomeno avere questo desiderio.

D. – Il primo contatto con una persona è chiamarla per nome. Pensiamo a quando chiamiamo i nostri bambini … Il Papa dice, ed è il titolo del libro, che "Il nome di Dio è Misericordia". Un messaggio fortissimo...

R. – Sì, è molto forte! Mi ha colpito anche che dica che “la misericordia è la carta di identità del nostro Dio”: quello cioè che di fatto lo definisce di più. Questo credo sia molto bello come messaggio, perché ci dice che la misericordia è vera: non è un sentimento, un sentimentalismo, un attributo accessorio; ma ci parla proprio dell’essenza del messaggio cristiano.

D. – Questo libro che tipo di messaggio può dare? Può essere una sorta di guida per questo Anno Giubilare?

R. – Io credo che spetterà ovviamente ai lettori dire che cosa può essere! Nelle mie intenzioni - e credo anche in quelle del Papa, perché il libro vale per le risposte e non per me che ho solo acceso il registratore - sia la possibilità di comunicare il suo cuore in maniera semplice, accompagnando le persone attraverso un discorso che non è teorico, ma è il racconto di una vita e di una esperienza. Dunque io spero che attraverso queste pagine ci sia una comunicazione da cuore a cuore.

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Iniziativa del Papa: Giornata di ritiro per gli organismi di carità

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Il Santo Padre ha chiesto al Pontificio Consiglio Cor Unum di organizzare una Giornata di ritiro spirituale che ogni organismo di carità - in Italia e nel mondo - è impegnato a realizzare nel corso della Quaresima, nel contesto dell’Anno Giubilare. Il dicastero vaticano per la carità dovrà organizzare le preghiere, le riflessioni e tutto il materiale utile, nonché di darne diffusione agli organismi, che poi faranno questa Giornata di ritiro come e quando riterranno più opportuno nel corso della Quaresima. Roberto Piermarini ha chiesto al segretario di Cor Unum mons. Giampietro Dal Toso perché il Papa ha voluto questa iniziativa per gli organismi caritativi? 

R. – Non è un caso se il Giubileo della Misericordia, nel cui quadro si iscrive questa iniziativa, ha come tema fondamentale “misericordiosi come il Padre: Dio è Padre di misericordia”. La Chiesa – attraverso i suoi membri, nel corso dei secoli – ha sempre realizzato questa misericordia che ha ricevuto da Dio e per questo anche il Papa, nell’indizione del Giubileo, ha sottolineato il ruolo delle opere di misericordia. Quindi nella Chiesa abbiamo una innumerevole quantità di istituzioni, di gruppi, di organismi che lavorano nella carità e che sono testimoni della carità, servendo la persona. Però noi siamo anche consapevoli che possiamo dare misericordia solo se abbiamo ricevuto misericordia: questa è la chiave per capire il senso di questo grande ritiro che vorremmo si realizzasse in tutta la Chiesa a livello locale. Noi possiamo vivere la misericordia, fare opere di misericordia, gestire istituzioni di misericordia solo se prima abbiamo ricevuto la misericordia del Padre.

D. – In questa iniziativa del Papa, qual è il ruolo di Cor Unum?

R. – Il ruolo di Cor Unum è quello di promuovere concretamente questa Giornata, che non sarà una giornata unica per tutta la Chiesa: abbiamo infatti voluto che fosse decisa localmente, in modo che questa Giornata di ritiro si possa anche declinare secondo le necessità del luogo. Tutti sappiamo – e ci tengo a sottolinearlo – che il Papa desidera che questo Giubileo sia soprattutto celebrato in loco e quindi questa Giornata vuole essere proprio un’offerta, che verrà poi concretizzata a seconda delle necessità che i singoli gruppi, i singoli organismi, le singole istituzioni di carità – ripeto – a livello locale decideranno. La funzione di Cor Unum è, quindi, proprio quella di promuovere questa Giornata di ritiro. Abbiamo preparato del materiale, che è disponibile sul nostro sito www.corunum.va, dove si troverà una traccia per organizzare questa Giornata. E’ anche nostro compito sensibilizzare perché si faccia, ma quello a cui abbiamo voluto dare maggiore importanza è che si possa decidere localmente e concretamente come e quando farla, in modo che si possa andare incontro alle necessità locali.

D. – Come riuscirete ad arrivare ai vari organismi caritativi in tutto il mondo?

R. – Il nostro desiderio è che questa Giornata possa arrivare davvero alla base e si possa celebrare alla base: per questo abbiamo due canali fondamentali attraverso i quali vogliamo arrivare a raggiungere questo scopo. Uno è certamente quello delle Conferenze episcopali: tutte sono state informate sia dell’iniziativa e sia anche della disponibilità del materiale. Abbiamo poi come l’altro grande strumento per arrivare alla base anche quello delle grandi reti internazionali di carità: faccio menzione, in primo luogo, di Caritas Internationalis, della Confederazione di San Vincenzo de Paoli e tante altre, che ci sono. Attraverso questi canali si può arrivare – per esempio - anche ai singoli gruppi parrocchiali. 

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Dio converta i cuori dei violenti: all'udienza generale il Papa invita a pregare per le vittime dell'attentato a Istanbul.

Infanzia nell'orrore: drammatica condizione dei bambini iracheni e siriani.

Diego Lainez alle origini dei gesuiti: i contributi di Lydia Salviucci Insolera, Paul Oberholzer e di Mirella Saulini.

Felice Accrocca sul principe dei predicatori: raccolti in un volume le opere agiografiche su san Bernardino da Siena.

Quello spegnersi che illumina: Ferdinando Cancelli recensisce l'ultimo romanzo di Pablo d'Ors dedicato ad Africa Sendino.

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Oggi in Primo Piano



Camerun: kamikaze fa strage in moschea nell'area di Boko Haram

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La violenza del terrorismo torna a colpire l’Africa, in particolare il Camerun nella zona di dominio degli islamisti di Boko Haram, al confine con la Nigeria. E’ di questa mattina la notizia di 12 vittime per un attentato contro una moschea durante le preghiere del mattino. Il servizio di Gabriella Ceraso

La zona è quella dell’estremo nord del Camerun, solitamente attraversata e ferita dalla violenza degli islamisti nigeriani di Boko Haram, che qui vantano lo zoccolo duro della loro leadership, l'etnia dei Kanuri. Loro probabilmente sono gli autori dell’attentato di questa mattina, quando i fedeli si trovavano a pregare nella moschea di Kouyape, villaggio nella zona frontaliera di Kolofata. In 11 sono morti subito, il dodicesimo in ospedale per le ferite. Il kamikaze, forse con un complice, probabili due donne, stava pregando con i fedeli prima di farsi esplodere. I Boko Haram danno così prova di essere forza interregionale, ma assistiamo anche a una risposta all’attivismo del governo, secondo Marco di Liddo, analista del Centro internazionale Studi strategici:

R. – L’entrare a far parte di questa forza multinazionale per colpire l’insorgenza radicale ha fatto di questi territori un obiettivo maggiore rispetto al passato.

D. – Il Camerun ha rinforzato la sua presenza militare proprio al confine nigeriano, tuttavia gli attacchi suicidi non si possono evitare…

R. – E' molto difficile, perché Boko Haram come tutti i gruppi terroristici nel mondo, utilizza tecniche asimmetriche. Oltre a questa azione, però, c’è tutta un’opera sociale e politica ben più pericolosa, che è quella che si basa sull’utilizzo congiunto della forza bruta contro i nemici e dell’aiuto umanitario del welfare verso i fiancheggiatori e i potenziali alleati. E’ lì che il governo camerunense, come gli altri del Ciad e della Nigeria, dovrebbe intervenire con maggiore attenzione per sradicare il problema alla radice.

D. – Musulmani e cristiani: per i terroristi non c’è differenza?

R. – Nelle zone dove agisce Boko Haram, in questo momento la differenza è davvero esigua perché c’è una dinamica etnica e politica di lotta e opposizione contro i governi centrali che supera le sfumature religiose. La religione, in questo caso, nella sua interpretazione più oscurantista che ne fa Boko Haram, è un pretesto. Per fortuna, noi in quei Paesi là abbiamo tanti esempi invece di collaborazione attiva e costruttiva interreligiosa tra cristiani e musulmani. Dobbiamo sottolineare la forza di queste attività costruttive e di dialogo che rappresentano la vera prima linea contro le incomprensioni e contro chi vorrebbe agitare la bandiera dello scontro di civiltà.

D. – Boko Haram di recente si è affiliata ai miliziani del sedicente Stato islamico. Nella aggressione che chiamiamo terroristica, che in questi giorni ha colpito da ultimi anche Egitto e Turchia, si può ipotizzare un piano unitario di attacco?

R. – In questo momento è difficile immaginare una strategia unica, un’unica mente che diriga tutti i singoli attentati. Sicuramente, c’è una volontà condivisa da parte di tutti gli attori di perseguire determinati obiettivi politici e di fronteggiare in maniera aggressiva il mondo libero. Boko Haram agiva come lo Stato islamico ed era uno Stato islamico "de facto" ben prima che al-Baghdadi fondasse l’organizzazione e che a cavallo tra Siria ed Iraq si creasse questo asse che oggi cerchiamo di combattere.

D.  – Il ruolo del governo del Camerun in questo contesto qual è? Può fare di più, soprattutto rispetto a giovani generazioni che hanno voglia di cambiamenti e cambiamenti positivi?

R. – Compito anche morale da parte del governo è fare in modo che queste voci di dissenso che spingono al cambiamento riescano a prendere canali positivi, politici e pacifici. Perché, purtroppo, l’alternativa è l’insorgenza armata e purtroppo l’alternativa potrebbe diventare, soprattutto nel nord del Paese, l’affiliazione al jihadismo che lì è l’unica risposta concreta ai bisogni materiali della popolazione.

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Siria: cristiani perseguitati dall'Is ma testimoni di speranza

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In Siria la guerra continua ad uccidere: oltre 300mila le vittime in quasi 5 anni di conflitto. Sette milioni i profughi interni, più di quattro milioni quelli fuggiti dal Paese. Eppure in questo scenario c’è chi lavora senza risparmiare energie per aiutare una popolazione ridotta ormai allo stremo. Massimiliano Menichetti: 

La Siria è dilaniata dalla guerra civile e da quella contro i jihadisti dell’Is. 300mila i morti dal 2011 ed un popolo in fuga. Chi resta subisce privazioni e torture in particolare i cristiani. Le Nazioni Unite hanno lanciato il monito: ''Moriranno ancora in molti'' se le forze del governo e i ribelli non metteranno fine all'assedio imposto in molte città. Lanciato dall’Onu anche un piano per garantire a un milione di bambini rifugiati l’istruzione entro la fine del 2016. Il progetto avrà nuovi finanziamenti per 250 milioni di dollari dall'Europa, da imprese e governi dei Paesi del Golfo. E mentre bombardamenti e conflitti proseguono, in luoghi come Aleppo, Homs, Latakia, Idlib e Madaya la situazione è critica. E spesso i pochi aiuti internazionali che arrivano finiscono nelle mani di bande che rivendono al mercato nero cibo e generi di prima necessità. Un litro di latte può arrivare a costare fino a 200 dollari. Don Oleksandr Khalayim dell’organizzazione Aiuto alla Chiesa che Soffre, in prima linea anche nell’emergenza siriana: 

R. – Tutti nel Paese vivono in condizioni terribili. E adesso sta arrivando anche l’inverno…

D. – In particolare qual è la condizione dei cristiani?

R. – I cristiani sono i più perseguitati dal sedicente Stato Islamico, perché il cristianesimo è presente in Siria dai primi secoli. L’Is vuole sradicare ogni radice del cristianesimo.

D. – Nonostante questa situazione, ci sono sacerdoti e suore che rimangono al fianco della popolazione, di tutti, con progetti concreti che voi sostenete. Quali ad esempio?

R. – Per esempio nella zona di Aleppo c’è suor Annie che aiuta i bambini dando loro vestiti e cibo. Lei lavora lì da più di 25 anni e nonostante i pericoli, le persecuzioni, è rimasta lì e vuole aiutare i bambini siriani. E lo stesso vale per padre George della diocesi di Homs. Abbiamo aiutato a ricostruire una sala per 300 bambini, perché tutte le scuole di questa zona sono state bombardate; come insegnanti ci sono 10 volontari. Ci sono bambini non solo cristiani, ma di tutta la città di Homs, che adesso hanno un posto dove studiare.

D. – Abbiamo notizie che non tutti gli aiuti internazionali arrivano a destinazione…

R. – Purtroppo è così. Posso dire che i sostegni di “Aiuto alla Chiesa che Soffre” vengono dati sempre tramite i vescovi e le diocesi. Si tratta di supporti a progetti concreti dove controlliamo ogni passaggio. Che i soldi giungano effettivamente a soddisfare i bisogni.

D. – Perché è importante mandare soldi e magari non pacchi con del materiale?

R. – Perché in un contesto di guerra i pacchi non sempre riescono ad arrivare. Le persone che sono per così dire “in prima linea” invece sanno muoversi e capiscono sempre le necessità concrete delle persone che stanno aiutando.

D. – Ci sono molte organizzazioni affidabili: “Aiuto alla Chiesa che Soffre” è tra queste. Chi volesse contribuire ad un progetto in Siria come deve fare?

R. – Basta andare sul nostro sito internet http://acs-italia.org/. Lì è possibile trovare tutte le informazioni. Desidero comunque ringraziare tutti i benefattori e tutti coloro che aiutano, perché – veramente – con poco stiamo facendo tanto. Quello che conta è l’amore: l’amore verso il prossimo e l’amore verso Dio! Questo è l’Anno della Misericordia. Grazie.

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Sud Sudan, allarme carestia: 30 mila persone a rischio

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Un “rischio concreto di carestia” per almeno 30 mila persone. È l’allarme rilanciato dalla Commissione internazionale garante degli accordi di pace in Sud Sudan, in base ad una stima dell’Onu resa nota nelle scorse settimane. L'ex presidente del Botswana, Festus Mogae, capo della Commissione di sorveglianza e valutazione dell’intesa, siglata in agosto tra il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, e il rivale, l'ex presidente Riek Machar, ha fatto appello ai belligeranti affinché permettano il passaggio degli aiuti umanitari nelle zone di conflitto, perché “soltanto una parte del cibo necessario per l'emergenza” ha raggiunto le zone dove ancora si combatte “per le restrizioni imposte ai convogli e in ragione dell'insicurezza”. Nel frattempo, l’Unicef ha denunciato che proprio il Sud Sudan fa registrare la più alta percentuale al mondo di bambini che non vanno a scuola. Giada Aquilino ne ha parlato con Enrica Valentini, direttrice della Rete delle Radio Cattoliche del Paese: 

R. – L’Unicef riporta che più o meno la metà dei bambini in età scolare – scuola primaria e secondaria - non va a scuola. Le cause sono molte: ci sono problemi logistici, quindi legati alla carenza di strutture e di insegnanti, ma anche al movimento delle persone, con gli sfollati che a causa della guerra si sono mossi dalla loro zona di origine e si trovano in campi dove le strutture per fornire educazione sono scarse rispetto al numero di persone che ci sono. Un’altra causa può essere quella economica: le famiglie non possono permettersi di mandare i propri figli a scuola o preferiscono mandarli a lavorare per poter guadagnare di più, perché il costo della vita aumenta di giorno in giorno e i prezzi, nel giro di poche settimane, sono più che raddoppiati, sono triplicati. Un ulteriore elemento è anche la carenza di insegnanti: molto spesso, questi vengono da altre zone del Paese o addirittura da altri Stati. Nel momento in cui alcune zone sono insicure, l’insegnante non va.

D. – In agosto, sono state siglate delle intese di pace per il Sud Sudan, tra i rappresentanti del presidente, Salva Kiir, e quelli del rivale, l’ex-presidente, Riek Machar. Di fatto la situazione sul terreno qual è?

R. – Sul terreno poco si è visto. Il passaggio dalla carta alla realtà richiede tempo: si sono tenuti degli incontri, è stata creata la Commissione garante degli accordi di pace ma la situazione, soprattutto per le persone, non è cambiata.

D. – L’Onu ha parlato di rischio concreto di carestia per almeno 30 mila persone nello Stato di Unity, perché?

R. – La gente è andata via e non ha potuto coltivare. Chi è rimasto, si è nascosto per sfuggire ai combattimenti. Quindi, non c’è stata praticamente produzione agricola. E inoltre, è anche difficile l’accesso per la distribuzione degli aiuti umanitari.

D. – Le restrizioni imposte ai convogli sono in ragione dell’insicurezza? Cioè: si combatte ancora?

R. – Non apertamente. Ci sono magari in alcune zone piccoli scontri. Però comunque c’è tensione e ci sono difficoltà per l’accesso di mezzi umanitari a causa dei vari posti di blocco. A seconda di chi controlla una zona che il convoglio deve attraversare, bisogna sostenere una sorta di autorizzazione informale, per cui l’effettivo raggiungimento della destinazione finale richiede un tempo maggiore.

D. – Il Sud Sudan vive di fatto una guerra civile da oltre due anni. Quali sono stati i motivi che hanno fatto scoppiare la violenza?

R. – La causa fondamentale, alla radice, è stato il disaccordo politico tra le due parti in gioco, tra il presidente e il suo vicepresidente all’epoca dei fatti. L’opposizione per il potere politico si è poi tramutata in opposizione anche a livello tribale. E quindi il conflitto si è esteso in altre zone del Paese.

D. – Come radio cattoliche, quale messaggio della Chiesa locale trasmettete affinché ci sia una pacificazione definitiva nel Paese, ma anche per risolvere problemi quali la bassa scolarizzazione?

R. – Da un lato, c’è l’invito al dialogo e a trovare mezzi non violenti per la soluzione e il confronto verbale. E poi ci sono messaggi un po’ più pratici per ovviare alla situazione quotidiana che le persone affrontano. Abbiamo diversi programmi che cercano di diffondere messaggi di varia natura: dalla promozione dei diritti della persona, a informazioni pratiche su dove trovare servizi sanitari, all’importanza dell’educazione, che sicuramente è la chiave per poter risolvere il conflitto nel lungo periodo.

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Obama: opporsi agli estremisti dell'Is non all'Islam

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Cambiamenti straordinari. Così il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, parla del momento storico nel suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione, in cui ripete più volte la parola speranza e cita Papa Francesco. Il servizio di Giancarlo La Vella

“Chi parla di declino dell'America, in particolare dal punto di vista economico, vende solo fantasia”. Così Barack Obama difende il suo operato dopo sette anni alla guida degli Stati Uniti. Rivolgendosi agli americani, il capo della Casa Bianca invita a non cedere alle paure: in gioco – ha detto – ci sono i progressi fatti in campo economico e sociale. Poi affronta lo spinoso tema della lotta al sedicente Stato Islamico, che non deve tradursi in un’opposizione a tutto il mondo musulmano. Attaccare indiscriminatamente l’Islam - sottolinea il presidente - non ci rende più sicuri e non rispetta i nostri valori. E Obama cita anche Papa Francesco, ricordando le parole che il Pontefice pronunciò proprio davanti al Congresso americano lo scorso settembre: "Imitare l'odio e la violenza dei tiranni e degli assassini è il modo migliore per prendere il loro posto". E in un mondo che cerca a fatica di dialogare, fa anche notizia il fatto che Obama non ha fatto alcun accenno nel suo discorso alle due navi Usa bloccate dall'Iran nel Golfo Persico, in un momento in cui il disgelo con Teheran, grazie all’accordo sul nucleare, è uno dei pochi aspetti positivi nell’agenda internazionale. E dopo le scuse di Washington, l'Iran ha rilasciato i marines.

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Nuovo Family day a Roma: un'iniziativa del laicato cattolico

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Slitta di due giorni l’inizio dell’esame in Aula del Senato del ddl Cirinnà sulle unioni civili: non più il 26 gennaio, come previsto dal precedente calendario dei lavori, ma il 28. Lo ha stabilito a maggioranza, stamattina, la conferenza dei capigruppo di palazzo Madama, dopo una lunga discussione. Intanto sembra certa la data fissata per un nuovo Family day: il 30 gennaio in Piazza San Giovanni in Laterano a Roma. Non sarà una manifestazione promossa dalla Conferenza episcopale italiana, ma organizzata totalmente dal laicato cattolico. I vescovi sono liberi di parteciparvi ma, ha precisato il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, sarà una partecipazione a titolo personale. Il presule, in una intervista al Corriere della Sera, definisce il testo attuale del ddl sulle unioni civili un "garbuglio giuridico prima che politico" e si augura “che ci siano parlamentari e pezzi di società che per convinzione personale sappiano prendere iniziative efficaci per impedire soluzioni pasticciate o fughe in avanti fatte passare per conquiste civili. Assodato che la Chiesa non sono solo i vescovi – aggiunge mons. Galantino - non lasceremo soli quanti nelle sedi opportune e nel rispetto delle proprie competenze vorranno dare un loro contributo costruttivo. Quanto poi alle modalità concrete attraverso le quali rendersi presenti, vale quello che ha detto Papa Francesco: cristiani consapevoli non hanno bisogno di vescovi-piloti”. Una posizione questa che delinea un nuovo rapporto in Italia tra pastori e laici? Adriana Masotti lo ha chiesto a Paolo Siniscalco, professore emerito all’Università di Roma “La Sapienza” dove ha insegnato “Letteratura cristiana antica e storia del cristianesimo”: 

R. – Occorre forse vedere quello che è successo in precedenza: oramai il cammino del laicato in Italia ha tutta una sua storia, che comincia da addirittura oltre 150 anni fa, con la Società della Gioventù cattolica italiana, con l’Opera dei Congressi, col Partito Popolare… Ma il punto di svolta è stato – mi pare – il Concilio Vaticano II e in particolare la Costituzione “Lumen et Gentium”. Qui si passa da una definizione di carattere negativo – il laico non è né chierico né religioso – ad una definizione che individua la ricchezza e la funzione del laicato nella vita della Chiesa. Nella “Lumen et Gentium” si dice che sono tre le grandi vocazioni: da una parte quelle dei membri dell’ordine sacro, dall’altra parte quella dei religiosi e dall’altra ancora quella dei laici. E compito dei laici è proprio il cercare il nome di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio: da qui la grande responsabilità del laico cristiano di affrontare la complessità delle cose del mondo nella luce della Rivelazione.

D. – Venendo all’oggi: il fatto che sia il laicato cattolico a promuovere una manifestazione pubblica e non i vescovi è un fatto positivo?

R. – Direi proprio di sì, anche perché in fondo queste parole del Concilio Vaticano II hanno ancora da essere meglio scoperte e soprattutto applicate alla realtà. Questo può essere un momento, questo può essere un segno di una nuova consapevolezza che lo stesso laicato prende, insieme alla consapevolezza che la gerarchia deve avere dell’importanza del laicato: questo direi che è un punto interessante e molto vivo nel panorama ecclesiale di oggi.

D. – Qualcuno, però, potrebbe dire che da parte della gerarchia in Italia siamo passati dai “valori non negoziabili” di qualche tempo fa al “liberi tutti” di oggi. E’ davvero così?

R. – Direi di no! Bisogna addirittura risalire alla Parola di Gesù: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. E’ qui che nasce una delle grandi scoperte ed anche delle grandi possibilità di una vita civile armoniosa per tutti: da una parte riconoscere, per chi ha fede, Dio e le esigenze di una vita vissuta tenendo conto della trascendenza; dall’altra parte, tener conto delle esigenze della società, della società civile. In questo senso “il dare a Cesare” è il punto fondamentale per la costituzione di una dualità nella vita che la Chiesa deve proporre nella vita comune, nella vita quotidiana; ma l’una cosa non deve minimamente essere di esclusione per l’altra. E per quale fine? Per il bene dell’uomo, per il bene comune.

D. – All’interno del mondo cattolico c’è chi difende il diritto-dovere di scendere in piazza e chi pensa che ci si debba occupare di più di formazione, di educazione. Lei come vede l’esistenza di queste diverse sensibilità?

R. – Mi pare molto chiara la cosa: in fondo il cristiano è un cittadino e in quanto cittadino partecipa alla vita della sua comunità; le comunità sono molte e, partecipando a ciascuna di queste comunità, dice la sua e soprattutto testimonia con la vita quella che è la sua visione, ma rende anche esplicito il suo pensiero. Quindi c’è la testimonianza e c’è anche una manifestazione che può essere quella – diciamo – dello “scendere in piazza”, del fare valere, cioè, quelle che sono le visioni che derivano dall’ispirazione evangelica. Mi pare che questo sia molto, molto chiaro: il cristiano è un cittadino e quindi partecipa alla vita della società.

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Slot machine: nessuna riduzione, aumentano le macchinette

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Dalle attuali 340 mila a circa 390 mila. Sono i numeri delle possibili slot machine che presto potremmo trovare in Italia. Un incremento di 50 mila macchinette a dispetto della politica di riduzione annunciata dal governo. La spiegazione la fornisce oggi il quotidiano Avvenire, che denuncia come il blocco previsto dalla legge di Stabilità 2016 abbia in realtà scatenato, nelle ultime settimane del 2015, una corsa alla richiesta del nulla osta per poter installare le slot. Francesca Sabatinelli ha intervistato Maurizio Fiasco, sociologo, presidente di Alea, Associazione per lo studio del gioco d'azzardo e dei comportamenti a rischio, consulente della Consulta nazionale antiusura Giovanni Paolo II: 

R. –  Si dice che il parco macchine delle slot machine dovrà progressivamente diminuire o, comunque, non dovrà aumentare oltre la soglia del già autorizzato. Ma il già autorizzato lo si data alla fine dell’anno finanziario 2015. Quindi, in questo modo, viene data l’opportunità, a chi ancora non avesse sfruttato il margine di tempo, di chiedere nuove decine di migliaia di concessioni. Ed ecco qui spiegato l’arcano. Questo per preparare un business che ha lo stadio più interessante subito dopo: quello della sostituzione delle vecchie macchine meccaniche con nuove macchine che agiscono come terminale, e quindi per favorire anche indirettamente o direttamente chi fabbrica, vende e installerà queste nuove apparecchiature. Mi colpisce che il principale "player", come dicono loro, la Lottomatica, che oggi si chiama Gtech, abbia acquisito una grande industria americana, la Lgt che, tra le varie attività, ha quella di fabbricare proprio questi terminali di slot machine.

D. – Nonostante le campagne, nonostante il governo stesso si fosse impegnato a una riduzione, quindi invece della frenata c’è un’accelerata…

R. – Perché? Perché viene meno una critica puntuale, non solo da parte delle associazioni, ma anche delle classi colte, economisti, giuristi... E questo naturalmente poi si scontra con la bassa qualità del personale politico che abbiamo nelle Commissioni. Quindi, è evidente che il potere di condizionamento delle lobby è fortissimo, a fronte di una opinione pubblica molto debole ancora e a fronte di una classe politica che padroneggia, quelli in buona fede, o addirittura sottovaluta, quelli già in malafede, le conseguenze sociali, psicologiche, etiche e – aggiungo – economiche e persino fiscali di questa partita. E’ un castello molto complicato che però provoca sofferenze e – lo dico agli economisti – il perdurare della recessione economica nel nostro Paese, con perdita di posti di lavoro e perdita di capacità produttive dell’Italia. E’ strano che si commentino differenze di poche decimali di Pil e non si guardi la trave costituita da un consumo che quest’anno sfiorerà i 90 miliardi di euro. Per farsi capire: 90 miliardi di euro stanno agli 850 miliardi di euro che rappresentano il cumulo generale di tutti i consumi privati delle famiglie in Italia. Siamo, cioè, ben oltre il 10% di questo ammontare dei consumi. Allora, è un aspetto macroeconomico che un economista non può trascurare, quando va a vedere gli effetti di piccoli interventi di detassazione, di riduzione delle tasse o delle imposte su questo o quell’altro aspetto dei consumi o dei redditi.

D. – Dobbiamo pensare che non ci saranno mai degli interventi, nonostante quello che si è detto in passato?

R. – Io non sarei così pessimista. Intanto, perché c’è una continuità di osservazione e di critica che sale dal basso. Poi, abbiamo alle spalle 15 anni di diffidenza da parte di una delle più importanti istituzioni che ci sono in Italia e nel mondo, che è la Chiesa cattolica. Dobbiamo dare atto che è stata l’unica, dagli inizi degli anni 2000, a indicare questa priorità. Io quindi ho fiducia che un po’ di buon senso e di giustizia – siamo nell’Anno del Giubileo della Misericordia – prima o poi si faccia strada. 

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Nella Chiesa e nel mondo



L’impegno della Caritas per i rifugiati in Giordania

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“Se l’Europa chiude le porte ai rifugiati e alle popolazioni in fuga dalle guerre, faccia pure. Ma venga qui ad insegnarci come si raggiunge la pace, come riuscì a fare dopo la Seconda Guerra mondiale”. Lo ha detto all’agenzia Sir il direttore della Caritas Giordania, Wael Suleiman, parlando ieri ai vescovi dell’Holy Land Coordination in visita al centro “Nostra Signora della Pace” di Amman, dove vengono assistite numerose famiglie cristiane irachene fuggite da Mosul, dopo la presa del sedicente Stato Islamico nell’agosto del 2014.

Un milione e 400mila siriani e 130mila iracheni in Giordania
“Attualmente in Giordania accogliamo un milione e 400mila siriani e 130mila iracheni, ma ce ne sono moltissimi altri privi di registrazione Onu. I cristiani siriani – ha spiegato il direttore – sono poco più di 100 famiglie (circa 600 persone), mentre gli iracheni cristiani sono 8.500”. Per loro la Chiesa locale e la Caritas Giordania da tempo sono in prima linea nell’accoglienza e nell’assistenza. È un dato di fatto che “non ci sono cristiani nei campi profughi giordani, ma sono stati tutti accolti prima in Centri parrocchiali e successivamente smistati in nuclei abitativi per favorirne l’integrazione. Provvediamo loro l’istruzione e le cure sanitarie”. Più difficile trovare dei lavori: “Molti cercano un lavoro per vivere più dignitosamente, spesso senza avere contratti. Sono ottimi lavoratori e con grandi competenze, ma il mercato giordano non offre molte opportunità. Nonostante ciò non registriamo particolari tensioni sociali popolazione locale e rifugiati”.

Gli aiuti della Caritas italiana grazie all'8x1000
​Si lavora molto nel campo dell’istruzione. In questo ambito, dice Suleiman, “devo registrare l’enorme sforzo della Chiesa italiana che con oltre un milione di euro, dai fondi dell’8×1000, ha permesso di mandare a scuola 1.000 bambini iracheni. Oltre a ciò ha previsto dei finanziamenti per aiutare anche famiglie giordane bisognose. La speranza è che altre conferenze episcopali seguano l’esempio della Cei”. Lavoro, casa, scuola, nel vocabolario dei rifugiati cristiani in Giordania “manca solo una parola: ‘futuro’. Nessuno – ammette con amarezza il direttore della Caritas – pensa di fare ritorno in Siria e in Iraq. Gli iracheni hanno perso tutto in poche ore, casa, proprietà, affetti, e oggi dicono ‘che torniamo a fare?’. Per loro guardare avanti significa un visto di ingresso per Usa, Canada, Australia. L’Europa, adesso, attira sempre meno”. (L.Z.)

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Vescovi Usa: sospendere l'espulsione degli immigrati clandestini

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La Conferenza Episcopale degli Stati Uniti ha chiesto al governo di sospendere le retate e l’espulsione delle famiglie centroamericane senza documenti in regola, azioni intraprese dalle autorità per l'immigrazione negli Stati Uniti delle ultime settimane.

No all'espulsione di 121 immigrati centroamericani, tra cui donne e bambini
Secondo quanto riferisce l'agenzia Fides, in una lettera al Segretario della Sicurezza Nazionale (Dhs, Department of Homeland Security), Jeh Johnson, la Commissione per le migrazioni della Conferenza episcopale e la Catholic Legal Immigration Network (Clinic) hanno espresso "grande preoccupazione" per la detenzione e l'imminente espulsione di 121 centroamericani, soprattutto madri con bambini.

Le espulsioni hanno generato paura tra gli immigrati 
La lettera, firmata dal vescovo ausiliare di Seattle, mons. Eusebio Elizondo, e dal vescovo di Orange in California, mons. Kevin W. Vann, ricorda che nel primo weekend dell'anno, il Dhs ha arrestato 121 immigrati clandestini, soprattutto in Georgia, Texas e North Carolina, per espellerli dal Paese. "Queste azioni hanno generato paura tra gli immigrati e hanno causato nelle loro comunità un calo di fiducia nelle forze dell'ordine" si legge nella lettera.

Per Obama espulsioni solo per criminali e membri di bande
Si ricorda che il Presidente Barack Obama, nel novembre 2014, ha dichiarato che il suo governo avrebbe perseguito l’espulsione dei criminali e dei membri delle bande, ma non delle famiglie, dei bambini o delle madri "che lavorano duramente per mantenere i loro figli", e tali azioni contrastano con quelle parole. Nel frattempo la Us Customs and Border Protection (Cbp) ha notato un forte aumento del flusso di immigrati clandestini dal confine meridionale.

Vescovi chiedono al governo di mettere fine alla detenzione di donne e bambini
Da qualche mese i vescovi cattolici invitano il governo a porre fine alla "pratica dannosa della detenzione di donne e bambini" e hanno chiesto al Congresso di sostenere "gli sforzi umanitari nella regione, che contribuiranno ad eliminare la violenza e a fermare le situazioni che costringono le persone ad abbandonare le proprie case". Anche un gruppo di 146 deputati democratici al Congresso ha chiesto all'amministrazione Obama di fermare l’espulsione dei centroamericani in fuga dai conflitti e di considerarli come rifugiati. (C.E.)

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Vescovi Kenya: sconcerto per norme che regoleranno il culto

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Con “turbamento e sorpresa” i vescovi del Kenya affermano di aver appreso la notizia che il governo di Nairobi ha elaborato nuove regole che, “se applicate, avranno un impatto negativo e diretto sulla nostra missione evangelizzatrice”. Lo afferma una dichiarazione ripresa dall'agenzia Fides dopo che sono state pubblicate le proposte per una nuova regolamentazione delle confessioni religiose (“Religious Societies Rules 2015”).

La Carta costituzionale “stabilisce esplicitamente la libertà di culto
La Chiesa cattolica contesta in particolare che le nuove regole rischiano di compromettere “la chiara linea di distinzione tra Stato e religione” stabilita dalla Costituzione del Kenya. La Carta costituzionale inoltre “stabilisce esplicitamente la libertà di culto”. Secondo i vescovi il governo, con la proposta di legislazione, intende interferire nel culto: “Come può il governo pretendere di regolare come i keniani pregano? Non si tratta di una chiara violazione della Costituzione?”.

Impossibile avere un registro aggiornato con tutti i membri
I vescovi rimarcano che “ampie parti della legge sono irrealistiche e utopiche. Per esempio, in alcuni parti la legge richiede che le diverse fedi tengano un registro aggiornato di tutti i loro membri”. “Vorremmo ricordare - prosegue il comunicato - che il lavoro di conquistare le anime a Cristo è un compito continuo, che avviene ogni secondo, ogni minuto, ogni giorno e notte. Ogni secondo, milioni di anime sono conquistate da Cristo. Chiedere che tutte le fedi tengano un registro delle persone conquistate da Cristo ogni minuto e di coloro che sono diventati inattivi è quindi irrealistico e irrealizzabile”.

Verifiche fiscali istantanee violano la libertà di culto
Un altro punto controverso riguarda il “potere di irrompere nelle chiese per condurre verifiche fiscali istantanee”. Un fatto qualificato come “una licenza per il governo di violare la libertà di culto costituzionalmente garantita”.

La Chiesa cattolica è regolata dal Codice di Diritto Canonico
​Prendendo atto che la nuova regolamentazione si è resa necessaria per i casi di abusi da parte di auto proclamati leader religiosi, i vescovi ricordano che la Chiesa cattolica è regolata dal Codice di Diritto Canonico ed ha quindi al suo interno “procedure per punire i leader che commettono errori”. Il Presidente Uhuru Kenyatta ha chiesto al Procuratore Generale di rivedere la nuove legge sulle “società religiose” consultandosi con tutte le parti interessate. (L.M.)

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Vescovi Ghana: timori per accoglienza jihadisti di Guantanamo

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I vescovi del Ghana criticano la decisione del Governo di Accra di accogliere due ex prigionieri di Guantanamo legati ad al-Qaeda, rilasciati dalle autorità statunitensi. In una dichiarazione diffusa l’11 gennaio e ripresa dall’agenzia Cns, i presuli chiedono all’Esecutivo di rispedire i due uomini nei loro Paesi di provenienza “nell’interesse del Paese ”. Il timore, infatti, è che possano costituire un pericolo per la sicurezza nazionale.

Un rischio per la sicurezza del Paese
“Se queste persone sono  veramente innocue e sono state assolte dall’accusa di atti terroristici sul suolo americano, come vogliono farci credere il nostro governo e quello americano, perché - chiedono i presuli – non sono stati rinviati in Yemen, Arabia Saudita o Afghanistan da dove provenivano, o portati negli Stati Uniti? Il nostro Parlamento ha discusso i pro e i contro di questa decisione?”. Di qui l’appello all’Esecutivo a non intraprendere azioni che possono avere serie conseguenze sul Paese: “In passato il Ghana è stato aperto all’accoglienza dei rifugiati, ma questi uomini – affermano - non rientrano in tale categoria. Non sono rifugiati, ma bombe ad orologeria e il governo dovrebbe fare il possibile per rimandarli indietro al più presto”.

La minaccia di Boko Haram
​A preoccupare i vescovi ghanesi è il rischio che i due ex-prigionieri possano creare una nuova base per l’espansione in Africa Occidentale di Boko Haram, ormai affiliato al sedicente Stato Islamico. “Il Governo – affermano – dovrebbe riflettere con lucidità su come mettere in sicurezza le frontiere del nostro Paese per proteggerlo da attacchi di questi gruppi terroristici in un prossimo futuro. L’avere accettato i due ex prigionieri di Guantanamo - concludono i vescovi ghanesi - non è una buona mossa per la sicurezza della Nazione”. (L.Z.)

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Taiwan: col nuovo anno apre la prima Tv cattolica

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Si chiama Mod, acronimo di “Multimedia On Demand”, il primo canale televisivo cattolico di Taiwan. Le trasmissioni dei suoi programmi - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono iniziate il 1° gennaio,  dopo anni di sforzi, raccolte fondi e preparazione dei contenuti opera di sei volenterosi laici cattolici di Taipei che già lavoravano nel campo dei media in altre istituzioni.

Rispondere alla crescente richiesta di produzioni cattoliche in cinese
La piattaforma – riporta l’agenzia Asianews - è offerta da Chunghwa Telecom come parte della sua offerta di televisione via internet direttamente all’abbonato. Per accedere al canale occorre digitare il numero 959 sul decoder digitale. L’iniziativa – spiega uno dei promotori Paul Su - vuole rispondere alla crescente richiesta di produzioni cattoliche in cinese sullo schermo e di ascoltare il messaggio del Papa. 

Un canale nato all’insegna della collaborazione interreligiosa
Il canale è nato all'insegna della collaborazione interreligiosa: esso si inserisce infatti all’interno di un gruppo di altri canali religiosi, soprattutto taoisti e buddisti, che hanno aiutato ad ammortizzare le spese, viste le limitate risorse disponibili. Un’esperienza positiva, ha detto Pau, che ha permesso ai promotori di scoprire diverse prospettive religiose. Sono tre le istituzioni che sponsorizzano la nuova piattaforma: Catholic Voice, Radio Veritas e Kuangchi Program Service. La libreria dei contenuti è offerta soprattutto dal grosso archivio del Kuangchi Program Service, la cui nascita risale al 1958. Poco a poco anche le vecchie produzioni vengono caricate sulla piattaforma in modo che si possa ricordare soprattutto la storia della presenza cattolica sull'isola.

Una voce cattolica in un panorama dove sono presenti diversi canali religiosi
Taiwan ha già un canale televisivo via cavo legato alle Chiese evangeliche, la Good Tv, (canale numero 15) e diversi canali frutto degli investimenti dei monaci buddisti, primo fra tutti il canale DaAi  che arricchiscono il messaggio religioso e dei valori umani nel mondo dei media sull'isola. In questo panorama mancava appunto una voce cattolica diventata oggi una realtà grazie alla perseveranza e al duro lavoro di questi sei laici che ci hanno creduto con forza. (L.Z.)

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Una app per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

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La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani sbarca anche su smartphone, tablet e computer. Per la prima volta, infatti, tutto il materiale per l’animazione e la meditazione di quello che rappresenta il più importante e tradizionale appuntamento ecumenico mondiale, che nell’emisfero boreale prenderà il via tra pochi giorni — dal 18 al 25 gennaio — sarà realmente a portata di mano grazie alla facile installazione di una applicazione gratuita per dispositivi elettronici. Lo rende noto il sito in rete del Consiglio Mondiale delle Chiesa spiegando che l’innovazione è stata resa possibile in seguito alla collaborazione avviata con YouVersion, la società che ha già realizzato “The Bible App”.

“The Bible App” già installata in oltre 200milioni di cellulari
Proprio attraverso l’utilizzo di questa applicazione le riflessioni bibliche della Settimana di preghiera saranno disponibili in cinque lingue (inglese, francese, spagnolo, tedesco e portoghese). L’applicazione, oltre alla lettura dei brani biblici, consente anche la condivisione degli stessi con gli utenti dei social network. «Sempre più persone leggono la Bibbia attraverso i loro smartphone o scaricandola su tablet e computer. Per questo la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è sembrato il momento ideale per iniziare la collaborazione con il Wcc», ha detto il reverendo Geoff Tunnicliffe, responsabile di YouVersion e già segretario generale di World Evangelical Alliance. “The Bible App” è già installata in oltre 200 milioni di telefonini. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 13

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.