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Sommario del 09/01/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il card. Parolin si racconta: la mia vita nelle mani di Dio

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E' il più stretto collaboratore di Papa Francesco: il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, veneto, 61 anni il prossimo 17 gennaio, si racconta ai microfoni della Radio Vaticana. Parla della sua vocazione, del suo lavoro accanto al Papa, delle vicende della Chiesa. Padre Vito Magno gli ha chiesto innanzitutto se si può essere diplomatici e insieme sacerdoti:

R. - Penso di sì, altrimenti non sarei qui  e non avrei accettato di impegnare la mia vita in questo ambito così “particolare” della vita della Chiesa.  Negli anni della formazione sacerdotale avevo ben altre idee circa il mio ministero futuro.   Pensavo che, diventato sacerdote, avrei lavorato in parrocchia o in Seminario.  Di fatto,  sono stato, per alcuni anni, Viceparroco; poi improvvisamente e con mia stessa sorpresa le cose sono cambiate.  E’ stato chiesto al mio Vescovo di mettermi a disposizione della Santa Sede per il servizio diplomatico. Mai ho trovato questo servizio incompatibile con il ministero sacerdotale. Innanzitutto, ho sempre cercato di esercitare il ministero anche nei periodi in cui il lavoro mi prendeva di più.  E poi mi sono sempre proposto di vivere la diplomazia come  sacerdote e da sacerdote.  In varie occasioni, ad esempio, ho notato che, in questa veste, potevo dire una parola dove altri non avevano voce per  farlo; una parola che forse non ha cambiato le cose, ma che era importante dire in quel momento.  Naturalmente le maniere di aiutare gli altri sono molteplici, ma anche attraverso il servizio diplomatico della Santa Sede si può annunciare il Vangelo e impregnare la società dei suoi valori.

D. - Del resto ad un sacerdote in diplomazia non mancano le occasioni di esercitare il ministero pastorale dove vive!

R. - Sì, certo! Questa è stata sempre la linea che, come ho detto,  ho tentato di seguire e credo sia la linea che segue la maggior parte di coloro che svolgono il servizio diplomatico nella Santa Sede. I Rappresentanti Pontifici, nei limiti del possibile, coniugano le attività legate al loro ufficio con quelle più specificamente pastorali.  Incontrare le comunità cristiane, celebrare per loro l’Eucaristia, amministrare i Sacramenti, ecc. sono stati i momenti più belli della mia attività come Nunzio Apostolico in Venezuela.  Li ricordo con tanta commozione e gioia e un po’ li rimpiango!

D. - Anche oggi è una linea pastorale che lei persegue, nonostante l’impegno di principale collaboratore del Papa nel governo della Chiesa. A proposito, come vive questo compito del tutto particolare?

 R. - Lo vivo come una grazia, perché è davvero un dono grande del Signore essere vicino al Successore di Pietro nel compito di confermare i fratelli nella fede e tenerli uniti nella comunione della Chiesa, ma lo vivo anche come una grossa responsabilità,  per essere in grado di offrirgli un contributo che sia il più competente ed efficace possibile, nel momento così difficile e complesso che sta vivendo l’intera umanità.  Inoltre, poiché Papa Francesco insiste molto sulla dimensione missionaria della Chiesa e sulla necessità di riformarne le strutture, in primis la Curia Romana, per diventare trasparenza di Gesù, il compito di Segretario di Stato risuona per me come un appello particolare e urgente a essere un testimone credibile e a mettermi in atteggiamento di costante e sincera conversione.  Inoltre, vorrei tanto essere capace, sull’esempio del Papa, di mostrare sempre, anche nelle questioni più spiccatamente burocratiche, il volto accogliente e misericordioso della Chiesa gerarchica.

D. - Un compito che ogni sacerdote, nel posto assegnatogli dalla Chiesa, deve svolgere! Lo ricorda Papa Francesco nel Messaggio per la prossima Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, richiamando l’attenzione al dono grande che è il sacerdozio. Per questo dono lei chi si sente di ringraziare, dopo naturalmente il “Padrone della Messe”?

R. - Nella mia vita ho incontrato numerosissime persone a cui debbo gratitudine, perché mi hanno aiutato a scoprire e a vivere la mia vocazione al sacerdozio, con la parola e soprattutto con il buon esempio.   Quanto abbiamo bisogno del buon esempio!  Di meno parole e di più buon esempio!  Se posso indicare qualcuno, direi  che devo ringraziare prima di tutto la mia famiglia. E’ lì,  con il papà, la mamma e i fratelli, che ho sperimentato una fede profonda, una vita cristiana autentica, un quotidiano impregnato di valori evangelici.  Nonostante i limiti comuni ad ogni esperienza umana e le tante prove che l’hanno accompagnata,  il Signore mi ha dato davvero una bella famiglia! In secondo luogo dico grazie al mio Parroco, un sacerdote che mi ha fatto desiderare di essere come lui. Ma potrei e dovrei continuare l’elenco citando il Vescovo che mi ha ordinato sacerdote, Mons. Onisto, i Superiori del Seminario, i miei compagni, ecc.  Mi ricordo che un sacerdote venezuelano, mio amico, mi diceva spesso, ricordando i suoi genitori e i suoi formatori: “Nunca he encontrado un malo ejemplo”, mai ho visto in loro un cattivo esempio.  Sento di poter ripetere anch’io oggi queste parole! 

D. - Una vocazione svelata da segni particolari?

R. - No, non c’è stato nessun segno particolare. Mi sento molto normale sotto questo aspetto. La mia è stata la storia di un ragazzo che il Signore ha chiamato nelle circostanze comuni e correnti della vita e che ha avuto la grazia  di trovare chi, attorno a lui, ha saputo aiutarlo a coltivare il seme della vocazione e farlo fruttificare.

D. - Da allora sono passati 36 anni. Nel frattempo cosa è cambiato del ruolo del sacerdote nella Chiesa e nella società?

R. - Sociologicamente sono cambiate molte cose. La  società di oggi non è la stessa di ieri ed è quindi logico che anche da parte nostra non debba mancare uno sforzo di adattamento alle nuove condizioni di vita.  Già Papa Giovanni XXIII, cinquant’anni fa, parlava di “aggiornamento”.  Io credo però che la vocazione e la missione di un prete rimangano sempre le stesse: portare Dio alla gente e portare la gente a Dio.  E non a un Dio qualunque, ma al Dio di Gesù Cristo, al Dio del Vangelo.  Una missione che non cambia nei mutamenti delle situazioni o delle contingenze storiche; una missione che oggi diventa tanto più impellente quanto più sembra oscurarsi l’orizzonte della fede e il nostro mondo sembra diventare sempre più secolarizzato.  Il prete deve essere un uomo di Dio, un segno credibile e il più possibile  luminoso della sua presenza d’amore e di salvezza nel mondo, un ponte che permette e favorisce l’incontro con Colui che solo è capace di dare senso e significato compiuti alla vita, di rispondere agli interrogativi più profondi, di insegnare ad amare e a spendersi per tutti e, specialmente, per i più poveri e abbandonati.

R. - Fa bene, allora, Papa Francesco ad invitare i sacerdoti a dirigersi verso le periferie geografiche ed esistenziali! Questo, però, dovrebbe richiedere  una formazione adeguata!

D. - Papa Francesco ci manda verso le periferie geografiche ed esistenziali!  Non fa altro che ricordarci, semplicemente, che il sacerdote, come Cristo, nella cui egli persona agisce, è inviato ad evangelizzare i poveri.  Penso, dunque, che anche la formazione nei Seminari deve prestare particolare attenzione a questa dimensione, cioè deve essere in grado di  preparare i futuri sacerdoti ad evangelizzare i poveri (e lasciarsi evangelizzare dai poveri). E non si può farlo se non si tengono gli occhi aperti sulle loro condizioni di vita  e se queste condizioni, frutto spesso di ingiustizie, non ci feriscono continuamente il cuore … fino a farlo sanguinare, come il cuore di Gesú.  A me sembra, a questo riguardo, che il pericolo maggiore sia quello che il Papa denuncia nel messaggio della Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace 2016, appena celebrata: l’indifferenza, figlia dell’assuefazione. Come preti dovremmo lasciarci invece interpellare da ogni sofferenza, da ogni dolore, da ogni povertà, sia materiale che spirituale.  Se il Seminario aiuta un candidato al sacerdozio  a coltivare questa sensibilità, costui, da prete, non avrà difficoltà a trovare le maniere adatte per andare incontro ai poveri.  Lo fanno già tantissimi confratelli, in maniera discreta e silenziosa, senza pubblicità: ad essi vorrei qui rendere un sentito omaggio, pieno di ammirazione nei loro confronti.

R. - Un fenomeno che non si può ignorare, ma che non appartiene soltanto della nostra epoca, riguarda gli scandali che coinvolgono sacerdoti. Quando emergono sui giornali si è soliti accusare la legge canonica del celibato. Lei cosa pensa?

D. - A mio parere vivere il celibato nella società attuale, per le caratteristiche che tutti conosciamo, è meno facile rispetto a un tempo. Prima c’erano molti più aiuti per così dire “esterni”.  Tutto oggi  è diventato più complesso. Però il celibato è e rimane un grande dono che il Signore ha fatto alla  Chiesa, di cui essere profondamente grati, e non è certamente esso, in quanto tale, la causa degli scandali che coinvolgono i sacerdoti.   Cause ne sono l’immaturità e la fragilità delle persone, la loro malizia, la scarsa formazione, l’insufficiente discernimento, ecc.  Uno dei principali sforzi da mettere in atto è pertanto quello di una seria ed efficace educazione affettiva, da cominciare nella famiglia, affiancata dalla scuola, e proseguire poi nel tempo del Seminario,  che tenda alla maturazione dell’amore fino alla sua maturità, che è il dono di sé e che si può vivere in pienezza sia nella forma del matrimonio che nella forma del celibato.

 D. - E in tale disposizione entra indubbiamente il ministero della confessione. Al riguardo Papa Francesco indica come modelli due sacerdoti: Padre Pio e Padre Leopoldo Mandic, che sono vissuti nella prima metà del secolo scorso. La loro testimonianza può essere tradotta anche da un prete di oggi?

R. - Devo confessare che, di fronte a queste figure, mi trovo un po’ in difficoltà, perché i tempi di cui dispongo non mi permettono di esercitare il ministero della confessione, che è fondamentale nella vita del sacerdote.  Del ministero esercitato da Padre Pio da Pietrelcina e da Padre Leopoldo Mandic resta al prete di oggi il messaggio fondamentale: apprezzare e amare il Sacramento della confessione, essere disponibile a celebrarlo e dedicarvi il tempo necessario.  Parliamo di misericordia, il Papa vi insiste tanto, ma è nella confessione che la misericordia di Dio ci raggiunge, ci tocca e ci trasforma.  Siamo tutti peccatori, abbiamo tanto bisogno del perdono del Signore, che ci viene dato attraverso la mediazione della Chiesa. Cosa c’è di più bello e di più consolante di questo Sacramento, sia per chi lo riceve che per chi lo amministra! L’esempio di questi due santi  rimane fondamentale e costituisce un richiamo a recuperare questo aspetto del ministero sacerdotale, non tenuto spesso sufficientemente in considerazione.

D. - Bisognerebbe recuperare anche la concezione stessa della misericordia, nella sua valenza di “medicina per l’umanità ferita”!

R. - Sì, certamente.  Noi cristiani dovremmo fare della misericordia un principio di vita sociale.  Se riuscissimo a farlo, forse saremmo capaci di cambiare un po’ il volto della nostra società.  Penso, ad esempio, al tema del superamento dei conflitti, come lo affronta  il Papa nella Evangelii Gaudium:  il conflitto fa parte della nostra realtà umana, segnata dal peccato e quindi dalla divisione, ma, nello stesso tempo – egli afferma –  è occasione, attraverso la sua ricomposizione, per andare più avanti, per crescere, per raggiungere mete più elevate.  Ma non si supera il conflitto se non c’è atteggiamento di misericordia, nel senso soprattutto del perdono e di un atteggiamento di benevolenza verso l’altro, anche nei suoi limiti e nei suoi errori.  Medicina per l’umanità ferita è pure la misericordia nel senso delle opere di misericordia, corporali e spirituali, il venire cioè incontro con l’atteggiamento del buon Samaritano a tanti bisogni e necessità che piagano il corpo e l’anima degli uomini.

D. - L’atteggiamento di misericordia non dovrebbe trovare una sponda anche nelle altre religioni?

R. - Nel corso del Giubileo straordinario si dovrà fare attenzione anche a questo aspetto, come sottolinea il Papa nella Bolla Misericordiae Vultus.  Il pensiero corre soprattutto al terribile fenomeno della giustificazione dell’odio e della violenza in nome di Dio.  C’è uno spazio, dunque, e direi di più, c’e un obbligo per i fedeli di tutte le religioni di combattere questa degenerazione della religione, testimoniando concretamente, da soli e soprattutto insieme, che Dio è  misericordia e amore.

D. - Mi permetta una curiosità a conclusione di questa conversazione. Mi accorgo che nelle fotografie lei appare sempre sorridente. Qual è il  segreto che la fa stare sereno nonostante le difficoltà, le paure e i problemi del nostro tempo, e anche della Chiesa?

R. - A parte un po’ il carattere, che facilita le cose, sento che la mia vita è nelle mani del Signore, che Lui guida la mia storia e la storia del mondo verso approdi di pace e di salvezza, che Lui mi vuole bene e che, per dirla con il Manzoni, non toglie mai una gioia se non per prepararne una più grande.  E poi percepisco il sostegno della preghiera di tante persone.  Così mi piacerebbe andare avanti, negli anni che mi restano, fino all’incontro “faccia a faccia”.

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Fisichella: centinaia di milioni i fedeli passati nelle Porte Sante nel mondo

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Dall’8 dicembre, giorno dell’apertura della Porta Santa nella Basilica di San Pietro, sono oltre un milione i pellegrini che in questo primo mese del Giubileo della Misericordia hanno vissuto a Roma questo grande evento della fede. Tante le prenotazioni previste anche per i prossimi mesi: tra gli eventi più attesi, l’arrivo delle spoglie di San Pio da Pietrelcina il prossimo 3 febbraio. Ascoltiamo mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, al microfono di Marina Tomarro: 

R. – Dobbiamo dire subito che stiamo parlando di oltre un milione di pellegrini qui a Roma. Se dovesse essere fatto un calcolo in tutte le diocesi del mondo dove si è aperta la Porta Santa allora i numeri sarebbero veramente centinaia di milioni, ma non è questo il problema. Il problema è poter verificare ad un mese di distanza dal Giubileo che si sta realizzando quanto Papa Francesco desiderava, vale a dire che il Giubileo venga celebrato in tutto il mondo. Abbiamo visto che domenica 13 dicembre, quando sono state aperte le Porte Sante delle Misericordia in tutte le cattedrali del mondo, c’è stato un flusso enorme, un fiume di fedeli, di credenti che hanno partecipato, e a detta di molti vescovi è stato un evento straordinario. Questo, però, non ha tolto al momento quello che è il ruolo fondamentale dei pellegrini che vengono a Roma. Infatti oltre un milione in un mese sono una cifra davvero considerevole.

D. – Quali sono le aspettative future per gli altri eventi del Giubileo?

R. – Ci stiamo avviando sempre di più verso eventi estremamente importanti: dal 3 fino all’11 febbraio avremo le spoglie di Padre Pio e Padre Leopoldo. Devo dire che le previsioni sono veramente di una grandissima partecipazione di popolo. Ci saranno tutti gli altri eventi giubilari, però, la cosa più importante non sono i numeri; è piuttosto la forma di partecipazione. Il nostro scopo è che il tema della Misericordia possa diventare un contenuto quotidiano nella vita dei cristiani e che soprattutto con la preghiera possano sentire la presenza, la vicinanza di Dio in modo da diventare loro stessi strumento di Misericordia per tutti.

D. – Parte di Via della Conciliazione è stata pedonalizzata. Come va questa nuova iniziativa?

R. – Abbiamo proposto che il Giubileo, secondo il desiderio di Papa Francesco, fosse anche segnato da un breve pellegrinaggio verso la Porta Santa. È per questo motivo che qui a Roma, da Castel Sant’Angelo fino alla Porta Santa c’è un percorso privilegiato. Devo dire che in questi giorni stiamo vedendo gruppi di persone che con la Croce giubilare vanno verso la Porta Santa, così come vediamo singoli uomini, donne, giovani, a cui diamo istruzioni, dei foglietti, strumenti per la preghiera. Loro sono la testimonianza che anche in mezzo ad una via anche molto trafficata come Via della Conciliazione, c’è il segno di una testimonianza di preghiera e di un cammino per un evento come il Giubileo che richiede l’attraversamento della Porta Santa.

D. – Sono tanti i pellegrini che giungono a Roma per vivere il Giubileo. Ha avuto modo di parlare con loro, di poter capire quali sono le loro emozioni, in che modo vivono?

R. – Ho parlato con tante persone, perché il nostro centro di accoglienza, che si trova in Via della Conciliazione n. 7, è costantemente preso d’assalto. È bello sentire tanti accenti provenienti dalle diverse parti d’Italia e tanti stranieri che sono giunti per questo evento straordinario. La cosa più bella è sentirmi dire di ringraziare continuamente Papa Francesco per questo dono dell’Anno giubilare. Posso testimoniare che non ho visto la paura negli occhi di tutte queste persone - ne ho incontrate centinaia di migliaia - ma ho visto soltanto un grande desiderio di preghiera, di forza, di consolazione e di profonda fede.

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Mons. Zuppi: omelie Papa Santa Marta, ispirazione per scelte importanti

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Dopo la pausa natalizia, sono riprese il 7 gennaio le Messe mattutine di Papa Francesco a Casa Santa Marta. Un momento molto atteso dai fedeli, e non solo, di tutto il mondo che ogni giorno – attraverso i servizi della Radio Vaticana e gli articoli dell’Osservatore Romano – possono accostarsi alle omelie che il Papa pronuncia nella cappella della struttura dove risiede. Su cosa rappresenti questa dimensione del Pontificato per il Papa e per il Popolo di Dio, Alessandro Gisotti ha intervistato il nuovo arcivescovo di Bologna, mons. Matteo Zuppi

R. – Rappresenta mi sembra due aspetti, che sono entrambi molto importanti: il primo, quello di un Papa che incontra, che celebra con una comunità; il secondo, una celebrazione che offre la predicazione della Parola, anche se appunto breve come è nello stile del Papa e come è nella necessità di una celebrazione ordinaria, però sempre spezzando la Parola. Credo che questi due aspetti, quello di una dimensione di comunità e quello dello spezzare la Parola siano un’indicazione importante per tutti quanti: per i preti e per tutti noi.

D. – Il linguaggio di Francesco nelle omelie a Santa Marta è semplice, diretto, pieno di immagini. Come pastore ha fatto suo qualcosa di questo stile di predicazione di Francesco?

R. – Molto! Come dice lei, il Papa usa un linguaggio estremamente semplice, molto diretto, chiaro, comprensibile a tutti, esigente, molto aderente al testo evangelico, con delle immagini. Ecco, questo mi è servito moltissimo, così come le riflessioni che ha proposto nella Evangelii Gaudium proprio sull’omelia e che, sostanzialmente, descrivono quello che poi il Papa materialmente fa nelle omelie che tiene durante la Messa ordinaria a Santa Marta. Mi sono servite molto, mi è servito molto a semplificare, perché è una comunicazione che in realtà richiede molta attenzione. Non è improvvisazione, sarebbe sbagliato pensare questo! Il Papa prepara con grande cura le sue omelie e, allo stesso tempo, queste hanno un carattere di immediatezza. E’ una immediatezza frutto di un grande lavoro interiore, di un grande ascolto e lettura della Parola e anche della realtà. Penso che sia un’indicazione importante per tutti quanti noi: perché il Vangelo tocchi davvero il cuore e perché tutti possiamo ricordarci qualcosa. A me impressiona come anche persone che a Messa non andrebbero mai, hanno curiosità di ascoltare le parole del Papa o di riprendere le espressioni del Papa a Santa Marta.

D. – Per molti osservatori le omelie di Francesco a Casa Santa Marta sono il cuore pulsante del Pontificato. Da qui, dalla cappella di Santa Marta, nascono discorsi, testi, idee...

R. – Io credo che, come è nel cammino di ognuno di noi, l’ascolto, il confronto con la Parola sia sempre motivo di ispirazione, di conferma, di conversione. Il Papa ci coinvolge in questo cammino, che lui stesso compie e che vuole compiere con noi. Certamente queste riflessioni nutrono anche delle scelte più grandi. Sono profondamente unite! Mi sembra che l’unione sia di un uomo che con semplicità cammina, cerca di camminare con noi, spezza la Parola e affronta i grandi temi con una vita ordinaria, quella appunto di fare propria la Parola e di misurarsi con questa. Credo senz’altro che le predicazioni della mattina siano un nutrimento quotidiano anche per delle scelte più di fondo, per il confronto sui grandi temi che la Chiesa si trova a guardare e ad affrontare.

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Udienze di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza il card. Marc Ouellet, P.S.S., Prefetto della Congregazione per i Vescovi; il card. Ricardo Ezzati Andrello, S.D.B., Arcivescovo di Santiago de Chile (Cile), Presidente della Conferenza Episcopale del Cile, con Mons. Alejandro Goić Karmelić, Vescovo di Rancagua, Vice Presidente; e Mons. Cristián Contreras Villarroel, Vescovo di Melipilla, Segretario Generale; Padre Adolfo Nicolás Pachón, Preposito Generale della Compagnia di Gesù (Gesuiti), con Padre Mauro Jöhri, Ministro Generale dell’Ordine Francescano dei Frati Minori Cappuccini, Presidente dell’Unione dei Superiori Generali (U.S.G.). Sempre stamani , il Papa ha ricevuto l’onorevole Nicola Zingaretti, Presidente della Regione Lazio.

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Nomina episcopale di Francesco in Portogallo

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In Portogallo, Papa Francesco ha nominato ausiliare di Porto, il reverendo António Augusto de Oliveira Azevedo, Rettore del Seminario Maggiore di Porto, assegnandogli la sede titolare vescovile di Cemeriniano.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale di Marcelo Figueroa dal titolo “Un carisma speciale”: il dialogo tra le religioni nel primo video del Papa per l’Apostolato della preghiera.

Giulia Galeotti sull’evangelico galateo: ripubblicata la versione del 1918.

Parole semplici: Silvia Guidi su un libro dedicato ai linguaggi del Papa.

Un occhio dolce che dove guarda vede: Isabella Farinelli su Pasolini e il suo incontro, in India, con Madre Teresa.

Melo Freni su Leonardo Sciascia, il piccolo giudice: porte aperte alla giustizia e all’ingiustizia.

Non c’è più tempo per il canto del cigno: Gabriele Nicolò ricorda lo scrittore statunitense Jack London a 140 anni dalla nascita.

La sfida della comunione: da lunedì a Londra l’incontro dei primati anglicani.

Camminare insieme: Piero Coda sulla sinodalità cuore del Vaticano II.

Nelle acque del Giordano: Maurizio Gronchi sul Battesimo di Cristo.

Tra cielo e terra: Giubileo della Misericordia e cura del Creato nell’intervista di Nicola Gori al cardinale Beniamino Stella.

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Oggi in Primo Piano



Egitto: attacchi terroristici contro turisti e polizia

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Torna alta l’allerta terrorismo in Egitto. Due gli attacchi nelle ultime 24 ore. Ieri sera due uomini armati e in possesso di una bandiera dell’Is hanno assalito un resort turistico a Hurghada, sul Mar Rosso, ferendo tre turisti europei. Uno degli attentatori è morto, l’atro è rimasto ferito dopo la pronta reazione della sicurezza. Stamane, due poliziotti sono stati uccisi in un attacco ad un posto di blocco a sud de Il Cairo. Continuano quindi i tentativi di destabilizzare il Paese da parte di gruppi radicali islamisti, nonostante il pungo di ferro del Presidente al Sisi. Marco Guerra ha raccolto il commento dell’analista di strategia Alessandro Politi: 

R. – Nonostante tutti gli sforzi dell’attuale governo, è chiaro che il Paese è in una condizione di strutturale instabilità, e ci vorrà molto tempo per ricomporre il quadro politico, che è l’unica soluzione reale per isolare i terroristi.

D. – L’attacco sul Mar Rosso è stato condotto da uomini con la bandiera del sedicente Stato Islamico. Ma c’è veramente la mano del Califfato dietro a queste azioni? Ricordiamo anche la bomba sull’aereo russo …

R. – Mentre sulla bomba dell’aereo russo ci sono discussioni, e ovviamente gli egiziani cercano di evitare di dare l’impressione che il turismo sia sotto attacco – per ovvi motivi – nel caso di Hurgada è evidente che il fenomeno di attrazione del sedicente Stato Islamico ha però radici nel Sinai. Il Sinai è un posto ancora largamente fuori controllo, dove c’è di tutto: predoni, campi di schiavi e anche – purtroppo – terroristi.

D. – L’Egitto è un Paese guida del mondo arabo, con oltre 80 milioni di abitanti. Riuscire a stabilizzare l’Egitto è fondamentale per tutta la regione?

R. – L’Egitto ha sempre avuto un ruolo molto importante, ma la crisi del sistema politico egiziano che è già visibile da molto tempo, non solo a livello interno ma anche a livello della qualità della sua presenza nella regione, limita l’impatto della stabilizzazione, paradossalmente, ma non quello della destabilizzazione. Quindi, stabilizzare l’Egitto è importante perché c’è il Canale di Suez, è importante perché l’Egitto è comunque una delle grandi capitali del mondo arabo, però oggi l’Egitto è così debole che non può fare molto per – una volta stabilizzato – influenzare subito positivamente il resto del Levante e del Golfo. Dopodiché è assolutamente controproducente lasciarlo scendere giù nella spirale. Ma qui è il governo del Presidente che deve chiudere una ferita politica molto profonda, con una fetta importante della popolazione.

D. – Intanto, in Tunisia si susseguono in questi giorni arresti di sospetti appartenenti a organizzazioni terroristiche …

R. – Devo dire che la Tunisia è proprio un caso di eclatante insipienza politica, perché tutti sanno perfettamente che aiutare la Tunisia è un’ottima idea, che per ora è l’unica cosa dove veramente si può agire con una certa tempestività e moltissimi, troppi ci dormono su. Sarebbe ora che una serie di governi europei concertino le loro azioni, anche senza tanta pubblicità, ma che aiutino energicamente l’unica democrazia che per ora è uscita dalle rivoluzioni arabe e che ancora è un faro in tutta la regione e che naturalmente le forze terroristiche vogliono spegnere. E non solo quelle, perché ci sono i loro finanziatori che spesso sono illiberali – per essere proprio diplomatici.

D. – Rimane il fatto che con il caos libico è destabilizzato tutto il Maghreb, tutta la sponda sud del Mediterraneo è quindi coinvolta nella lotta al terrorismo …

R. – Sì, ma direi che in Libia si è fatto un passo avanti politico – il governo di unità nazionale – che però va velocemente consolidato. Anche qui la concordia tra i governi europei, dove invece sottobanco temo ci siano ancora manovre per mettere questa o quella bandierina, è indispensabile, come dimostra l’attentato a cui è sfuggito il primo ministro del governo provvisorio. Quindi, è un’operazione che riesce soltanto se i vari governi non si lasciano distogliere da molto miopi e molto inefficaci interessi nazionali.

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Merkel: leggi più dure dopo le violenze contro le donne

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"Nella notte di Capodanno sono avvenuti atti criminali disgustosi che richiedono risposte energiche". Lo ha detto Angela Merkel riferendosi alle denunce di molestie e ruberie compiute ai danni di numerose donne la notte di San Silvestro a Colonia e in altre città tedesche e che hanno coinvolto anche dei profughi. La cancelliera parla di inasprimento delle regole per le procedure d'asilo e di espulsione laddove le accuse siano confermate, pure in caso di condanna sospesa con la condizionale. Finora sono state fermate e interrogate 31 persone tra cui 18 profughi. Salgono a 108 anche ad Amburgo le denunce e nuovi casi spuntano in Finlandia, alla stazione di Helsinki. A Colonia è stato costretto a lasciare il capo della Polizia Albers dopo le polemiche sulla gestione dell’emergenza e su eventuali silenzi. Nella città si svolgono oggi due manifestazioni contrapposte: una promossa da un movimento xenofobo e l'altra dagli anti-razzisti. Intanto, la Slovacchia chiede un nuovo vertice Ue sull’immigrazione. Sul clima molto teso in questi giorni in Germania, Fausta Speranza ha sentito Rudolf Lill, docente di Storia contemporanea all’Università di Bonn: 

R. – Certamente il clima è teso e sarà ancora più teso. Il Frankfurter Allgemeine Zeitung, il primo quotidiano tedesco, oggi dice che il muro che la politica tedesca ha cercato di costruire sta per sbriciolarsi. Ora è tempo di dire la piena verità e con questo si intende naturalmente la verità sui legami tra immigrazione di massa e fatti criminali.

D. - La Germania che in qualche modo era stata orgogliosa del gesto di apertura della Merkel adesso è spaventata?

R. - Premetto che io approvo tutto quello che dice il Papa sull'immigrazione, sugli aiuti, sull’integrazione da fare. Era giusto che i Paesi europei, soprattutto la Germania, offrissero il loro aiuto. Però i tedeschi non sono mai stati d’accordo con le misure che la Merkel ha adottato per fare questi passi, non solo la destra, che viene rafforzata dai fatti di questi giorni, ma anche molte persone che per tradizione sono vicine alla Cdu. Fin dall’inizio abbiamo detto che la cancelleria è saggia. Nella classe politica tedesca c’è ogni tanto una certa tendenza all’esagerazione. Vogliamo fare tutto nel modo più perfetto possibile e meglio degli altri. Con questo atteggiamento la Merkel e i suoi seguaci, tutta la sinistra liberale, hanno esagerato ed hanno creato uno stato di cose che è veramente intollerabile, perché non bisogna dimenticare il famoso detto del Diritto romano: “Ultra posse nemo obligatur” (Nessuno è obbligato a fare ciò che la propria forza non consente, ndr). Significa che non si può integrare in breve tempo un milione di persone provenienti da culture diverse dalla nostra. Ora viene alla luce ciò che è successo.

D. - Da storico, secondo lei, quanto pesa l’elemento culturale di un certo fondamentalismo islamico contro le donne o una becera strumentalizzazione a fini di criminalità?

R. - Dai rapporti della polizia che si è cercato di nascondere, risulta che loro hanno aggredito le donne piuttosto che rubare; non sappiamo esattamente cosa sia successo. Deve immaginare la piazza tra la stazione centrale di Colonia e la bellissima Cattedrale: è una grande piazza con una scala lunghissima che porta dal piano superiore a quello inferiore, dalla Cattedrale alla stazione. Era piena di gente, c’erano migliaia di persone e la presenza della polizia era troppo scarsa. La presenza delle due polizie - quella della Regione e quella della Federazione - era troppo scarsa. Ma i poliziotti che hanno detto la verità, che hanno fatto rapporti esatti, hanno detto che fin dall’inizio loro se la prendevano con le donne e che poi si è creata una confusione tale in cui nessuno poteva più aiutare. Evidentemente questi giovani, che si trovano nei campi, hanno saputo che la fine dell’anno in Germania viene festeggiata con tante feste pubbliche; si sono mischiati con la gente tedesca ed hanno fatto la festa “a modo loro”. Ora nasce un dibattito troppo violento. Praticamente questi fatti e i retroscena aiutano la destra xenofoba.

D. - E questo è inquietante …

R. - È inquietante, però era una conseguenza prevedibile: lo affermo come veterano della politica di centro.

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Messico: arrestato il boss dei narcos, ma resta molto da fare

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Arrestato in Messico il boss dei narcos, Joaquín Guzmán, chiamato El Chapo. Era ricercato da luglio dopo la sua seconda evasione da un carcere di massima sicurezza. Ad ottobre l’uomo venne ferito durante un’operazione di polizia per catturarlo in una zona montuosa del Paese. Grande la soddisfazione del presidente Enrique Peña Nieto che ha parlato del trionfo dello stato di diritto e ha ringraziato le forze di sicurezza per l’impegno. Eugenio Bonanata ha intervistato Roberto Da Rin, inviato del Sole 24 Ore ed esperto di questioni latino americane: 

R. – Quello di Joaquín Guzmán, detto El Chapo, è un arresto che fa notizia, perché si tratta di uno dei più importanti narcotrafficanti del Messico. E’ stato arrestato, forse, per eccesso di vanità. Si stava, infatti, accingendo a girare un film sulla sua vita. Quindi i suoi pretoriani, coloro che lo proteggevano, avevano fatto affluire delle attrici, delle modelle, dei registi. E tutto questo ha provocato delle fughe di notizie ed è stato possibile arrestarlo.  

D. – Cosa dire della soddisfazione espressa dalla presidenza messicana?

R. – In verità, la piaga del narcotraffico è quanto mai aperta e soprattutto densa di significati politici, che non sono rassicuranti per il vertice del governo. Innanzitutto, perché i 100 mila morti che, negli ultimi dieci anni, si sono registrati in Messico sono la dimostrazione chiara di un problema irrisolto nei rapporti politici interni. Si parla, quindi, di un sistema giudiziario totalmente inefficace e che garantisce, soprattutto, una sostanziale impunità e poi di una corruzione diffusa all’interno del Paese. Ci sono poi le problematiche di politica estera, cioè di accordi mai siglati con gli Stati Uniti che rappresentano, come tutti sanno, il principale mercato di sbocco della droga che arriva dal Messico e da altri Paesi latinoamericani.

D. – Quali sono le misure che servono per imprimere un passo in avanti significativo alla lotta al narcotraffico?

R. – Innanzitutto il problema delle armi, che sta affrontando proprio in questi giorni Obama negli Stati Uniti: le armi che armano i narcotrafficanti arrivano tutte dagli Stati Uniti. Poi, naturalmente, c'è la porosità dei confini tra Messico e Stati Uniti che consente il flusso quotidiano di varie tonnellate di droga. Poi, ogni tanto, viene catturato un narcotrafficante e quindi si finge di perpetuare una lotta al narcotraffico che in verità non c’è: non è strutturata, non è pensata, non è messa in pratica. Quindi, bisognerebbe ripartire da una scelta politica definita da parte dei messicani e naturalmente condivisa e appoggiata dagli Stati Uniti.

D. – Si parla di una possibile estradizione di El Chapo negli Stati Uniti. Questa volta andrà finire davvero così?

R. – Questo nessuno lo può dire. Vedremo. Si toglie, però, un capo narcos dalle carceri messicane e lo si mette in un carcere nordamericano. Lì finisce e si esaurisce la strategia. Quindi se tutto questo non viene accompagnato da un tavolo di trattative bilaterali tra Messico e Stati Uniti, anche l’estradizione di El Chapo non sarà un fatto significativo.

D. – Che tipo di atteggiamento ha l’opinione pubblica, la società civile di fronte al fenomeno e agli arresti?

R. – Con un evento che tutto il mondo ha conosciuto, quello dei 43 studenti uccisi, più di un anno fa, c’è stato uno scossone: l’opinione pubblica in qualche modo ha cercato di interessarsi di più. La poca chiarezza con cui il governo si è mosso per arrivare a dirimere la questione dei responsabili ha sollevato l’opinione pubblica. Poi, naturalmente,  i mesi sono passati, altre notizie hanno dominato i giornali, compresa la crisi economica che il Messico sta attraversando, e questa cosa è caduta inevitabilmente nel dimenticatoio.

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Carcere di Paliano: l'apertura della Porta Santa

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Si sono aperte oggi nel carcere di Paliano le celebrazioni dell'anno giubilare. Nell'Istituto di pena in provincia di Frosinone, i detenuti hanno attraversato la Porta Santa della cappella intitolata a Santa Maria in Arce. Il servizio di Davide Dionisi

"La libertà è dentro di noi, non fuori da qui. Apriamo il nostro cuore e chiediamo perdono. Toccate questa Porta, così come oggi il Signore tocca il nostro cuore e quello delle vostre famiglie che non possono essere con voi". Con questo invito rivolto ai detenuti di Paliano, don Bartolo Calderone, rettore dei seminaristi Missionari del Preziosissimo Sangue, ha aperto le celebrazioni giubilari nell'Istituto di pena del frusinate. Che la vera liberazione si ottenga attraverso la conversione e il radicale mutamento di spirito e di vita, ne è convinta la direttrice, Nadia Cersosimo, che ha raccolto immediatamente la raccomandazione di Papa Francesco a far sì che i riti nelle carceri assumano uno speciale significato nell'Anno Misericordia.

“E’  importantissimo negli istituti penitenziari cogliere l’occasione che il Santo Padre ci ha dato quest’anno con l’Anno giubilare dedicato alla misericordia. L’uomo può cambiare e noi dobbiamo mettere in atto tutto quello che è possibile per poter aprire il cuore anche dei nostri detenuti e far sì che possano guardare gli altri così come Dio guarda loro, con lo sguardo misericordioso rispetto a quello che hanno fatto. Questa è la cosa più importante per renderli liberi, liberi nel cuore, liberi di amare e liberi di poter essere risorsa per la società”.

Alla celebrazione hanno partecipato gli ospiti, tutti collaboratori di giustizia, che non potranno essere presenti alla giornata giubilare a loro dedicata, ma hanno voluto ugualmente vivere da protagonisti questo momento particolare. La testimonianza di Don Bartolo Calderone:

“Questa giornata è una porta aperta sul mondo in questo luogo di reclusione di Paliano. E vuole essere anche una porta aperta del mondo verso questo luogo, verso questo luogo di reclusione. Il senso dell’Anno della misericordia è proprio questo: spalancare le porte di Dio al suo ingresso nel nostro mondo. E le porte di Dio sono sempre spalancate nei confronti degli uomini. Forse oggi dobbiamo più del passato riscoprire il nostro essere ponte nei confronti di Dio. E il nostro essere Chiesa oggi è questo: farci tramite all’uomo di questo tempo nei confronti di Dio, dobbiamo essere questo ponte, questa porta aperta verso Dio, lasciare che Dio tocchi il cuore dell’uomo e lasciare che l’uomo possa toccare e essere toccato dal cuore di Dio.

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Il Vangelo oltre la Grande Muraglia: un libro sulle sfide della Chiesa in Cina

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“Il Vangelo oltre la Grande Muraglia–Sfide e prospettive del cristianesimo in Cina”. E’ il libro scritto dal teologo cattolico cinese Kin Sheung Chiaretto Yan e presentato presso la nostra emittente. Presenti tra gli altri oltre all’autore, mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, e il direttore della Sala Stampa della Santa Sede e della Radio Vaticana padre Federico Lombardi, che ha ribadito l’importante contributo, anche attraverso i social network, della sezione cinese dell’emittente per la diffusione della vita della Chiesa e delle parole del Papa. Massimiliano Menichetti: 

Ripercorrendo la storia missionaria della Chiesa in Cina e ricordando il desiderio di dialogo ed incontro più volte espresso da Papa Francesco, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha aperto la presentazione del libro di Kin Sheung Chiaretto Yan:

“Il Papa ci sta abituando a parlare con molta naturalezza del rapporto con la Cina e del desiderio di sviluppare questo rapporto. Questo ci dà un atteggiamento, un clima di grande libertà nel dire il nostro interesse, il nostro affetto, il nostro desiderio che questi rapporti si sviluppino, la ricerca di trovare le vie perché si sviluppino positivamente. Mi pare che questo libro di Chiaretto vada veramente molto in questa direzione.”

Mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, è ritornato con i ricordi a quando lavorava in Segreteria di Stato quale responsabile dell’area asiatica, ha parlato delle consacrazioni clandestine e quelle illegittime, ovvero quelle decise dal governo cinese, ed i primi passi di dialogo con la Cina sotto il Papato di San Giovanni Paolo II. Mons. Celli ha usato il termine “passione” per una Chiesa che ha definito "gloriosa”:

“Correggerei, alle volte, certe dizioni che in maniera molto concreta qualcuno fa parlando di Chiesa 'clandestina' e di Chiesa 'ufficiale'.  No: in Cina abbiamo una sola Chiesa, con una comunità ufficiale, con una comunità clandestina, ma abbiamo una sola Chiesa cattolica. Durante il tempo di Giovanni Paolo II c’era da un lato il cammino di fedeltà della Chiesa cattolica e quindi aveva accettato la clandestinità e la tematica di un recupero a una piena comunione di coloro che avevano accettato determinate realtà imposte loro dalle autorità. Ma c’era anche in coloro che avevano fatto un cammino ufficiale un grande rapporto di fedeltà e di comunione con Pietro”.

Mons. Celli ha arricchito la presentazione del libro con ricordi significativi del legame della comunità in Cina con il Successore di Pietro come quello di un dono - ha detto - che venne mandato a Giovanni Paolo II. Era un moscerino fossile in una piccola pietra di giada - ha spiegato - accompagnato con un biglietto che diceva: “Questa piccola mosca è rimasta intatta nei secoli, così la nostra fedeltà a te”.  Il presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali ha tracciato anche il legame con la Cina nel Pontificato di Benedetto XVI:

“Il cardinale Ratzinger era stato sempre coinvolto nel dialogo sulla Cina. Toccava a me andare a parlargli e il Papa voleva sapere cosa lui pensasse. Ecco perché il cardinale Ratzinger, diventato Papa, sapeva perfettamente quello che era il cammino del dialogo con la Cina, che poi l'ha condotto, nel 2007, alla pubblicazione della famosa lettera di una grande apertura”.

Centrale per l’autore del libro Kin Sheung Chiaretto Yan, il dialogo nella continuità che tre Papi hanno tenuto nel solco del Concilio Ecumenico Vaticano II. Ma per Chiaretto Yan, come dice il titolo del suo libro, nei prossimi anni, ancora di più, il Vangelo sarà oltre la Grande Muraglia:

“Con Papa Francesco c’è una continuità tra lo spirito di apertura del Vaticano II e lo spirito carismatico di Giovanni Paolo II e anche con Benedetto XVI che ha scritto la lettera alla Cina, quindi ha messo la base per il dialogo. Papa Francesco ha presentato una Chiesa umile, vicina al popolo, e questo subito in Cina è stato accolto. Papa Francesco è molto ben visto non solo dai cattolici, ma anche dai non cattolici in Cina. Per la prima volta nella storia un presidente ha risposto a una lettera di un Papa. Per la prima volta l’aereo del Papa ha potuto sorvolare sopra la Cina e il Ministero degli Affari Esteri ha cambiato il suo tono riguardo i rapporti con il Vaticano, dicendo che sono sinceri nel voler migliorare i loro rapporti con il Vaticano e hanno fatto segni positivi per questo. Penso che se la Chiesa prosegue la strada del dialogo, queste sono le prospettive per il futuro del Vangelo in Cina”.

Il professore Agostino Giovagnoli, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha sottolineato che il testo racconta la Cina dalla parte cinese e per questo dà un contributo imprescindibile. Di un libro “che non ha formule ad effetto ma che inquadra con sintesi e capacità il cristianesimo in Cina dai primi secoli, mantenendo uno sguardo sul presente”, ha invece parlato il giornalista Gianni Valente. Ribadito anche che i “cattolici sono un gruppo marginale nella società cinese”, peraltro realtà non priva di problematiche, ma un gregge vivo da cui partire per testimonianza e confronto:

“Chiaretto racconta questa verità un po’ politicamente scorretta del fatto che pur dentro tutti i condizionamenti, le ferite, le fatiche, le sofferenze, in Cina ci sono seminari dove si preparano preti, ci sono noviziati dove studiano e si preparano le suore… Ci sono almeno 100 mila battezzati adulti ogni anno… Ci sono tipografie che stampano e pubblicano anche i libri del Papa, siti internet e blog che rendono accessibile ogni giorno ciò che il Papa dice nelle omelie di Santa Marta… E questo è un dato che c’è per la prima volta nella storia e di cui forse non ci siamo ancora resi conto quanto sia importante”.

Il lavoro
E proprio le omelie di Santa Marta, ha detto padre Lombardi, sono attività giornaliera della sezione cinese della Radio Vaticana, realtà in continuo aggiornamento proprio per rispondere a sfide ed esigenze di oggi:

“La sezione cinese della Radio Vaticana ogni giorno presenta le omelie di Santa Marta e ha imparato a usare i social specifici che si usano nel continente cinese. Questo permette di far giungere capillarmente le informazioni sulla vita della Chiesa, sulle attività del Papa, in un modo che prima non era possibile, mentre adesso è ordinario e quotidiano”.

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Sporting Club Locri, dopo le minacce di nuovo in campo

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Le minacce non fermano il calcio in Calabria, lo Sporting Club Locri torna in campo domenica prossima. Dopo le intimidazioni subite a dicembre, il presidente della società del calcio a 5 femminile, Ferdinando Armeni, aveva deciso di dimettersi e di ritirare la squadra dalla serie A. E’ grazie alla mobilitazione delle giocatrici, del Comune di Locri e della Figc Nazionale che il 10 gennaio la partita Sporting Club Locri - Lazio sarà anche trasmessa in diretta Rai. Il servizio di Veronica Di Benedetto Montaccini

“Il Locri va chiuso se non vuoi avere danni”. Così il presidente della squadra di calcio a 5 Armeni leggeva ormai quotidianamente nei biglietti anonimi ritrovati sulla sua macchina. Ha così sciolto la società a dicembre, ritenendo le ragazze in pericolo. La squadra non si è arresa e il sindaco del Comune di Locri, Giovanni Calabrese, è diventato il garante fino all’assegnazione a nuovi soci:

“E’ la prima volta che una società sportiva viene minacciata con un’azione del genere. Certo, in città siamo abituati ad episodi ben più gravi e che portano anche a morti da parte della 'ndrangheta, ma non è questo il caso secondo me, sarebbe anche la prima volta che la 'ndrangheta lascia dei pizzini scritti al computer. Ma sarà la polizia investigativa a verificare tutto. Per quanto riguarda il futuro siamo convinti che con i nuovi soci continueremo fino alla fine del campionato con l’esperienza dello Sporting. Un’azione importante perché la città non può perdere un patrimonio sportivo importante che ha dato molto in questi anni al territorio. Non solo a livello dello sport e della competizione ma anche con iniziative sociali e culturali e di aggregazione!”

Ancora non è chiaro alla Procura se si tratti di minacce personali o di intimidazioni di stampo mafioso. Intanto la Figc ha aperto un fascicolo per andare a fondo. La mobilitazione arriva appunto dal mondo del calcio nazionale, come sottolinea Fabrizio Tonelli, presidente della divisione calcio a 5:

“Lo dissi dal primo momento, così no! Ora si gioca e noi giochiamo, mi auguro. Il significato più profondo è che si deve poter giocare. Lo sport in questo senso ha sempre dato testimonianza che i valori di libertà e democrazia sono veramente in campo”

“Locri è l’Italia intera e noi non ci arrendiamo”, scrivono le ragazze della squadra su Facebook. Domenica sfidano le minacce e tornano in campo come racconta la giocatrice Rosanna Rovito:

“Per noi questa è la seconda famiglia, sangue diverso ma condividiamo la stessa passione. Noi non abbiamo mollato dal primo minuto e abbiamo ripreso da subito gli allenamenti. Domenica per noi è una partita importante però ora la solidarietà deve trasformarsi in qualcosa di concreto”

La partita del 10 è fondamentale, continua la giocatrice, per ricordare a chiunque abbia scritto le frasi intimidatorie, che lo spirito di squadra è più forte di qualsiasi altra cosa.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Questa Domenica la Chiesa celebra la Festa del Battesimo del Signore. La liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù viene battezzato da Giovanni. Il cielo si apre, scende sopra di lui lo Spirito Santo in forma di colomba e una voce dall’alto dice:

«Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento». 

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti

Questa domenica del Battesimo del Signore fa esplodere, sin dall’inizio, tutto il mistero che celebreremo durante l’anno. Siamo condotti alle acque del Giordano, dove Giovanni sta battezzando, e dove anche Gesù riceve la consacrazione del Padre per dare inizio alla sua missione profetica. Gesù si pone in preghiera, come sempre nei momenti decisivi della sua vita (il Battesimo, la Trasfigurazione, la Croce), ed ecco che i cieli si aprono, quei cieli che il peccato aveva chiuso. E dai cieli, dal Padre, scende il Dono, lo Spirito Santo, per tornare a posarsi e rimanere per sempre nell’umanità del Figlio e da questa “umanità” farsi dono per ogni uomo nel battesimo. Dal cielo viene anche una voce, una parola: “Tu sei il Figlio mio, l’Amato – il Diletto –; in te ho posto il mio compiacimento”. Quel Dio che amava “passeggiare nel giardino alla brezza del giorno” (Gn 3,8), torna a trovare gradita la dimora tra gli uomini, nell’umanità del Figlio suo. Ed ora il Figlio, con lo Spirito Santo, può dare inizio alla Divina Liturgia del Padre, all’”opera per il popolo” voluta dal Padre, ossia deve annunciare l’evangelo del Regno, deve compiere le opere della Carità del Regno, deve riportare tutti al culto del Padre, e deve acquistarsi la sua sposa d’amore e di sangue (T. Federici). Contempliamo oggi questo mistero di grazia, e pensiamo al dono del nostro Battesimo; che ne abbiamo fatto? Siamo forse nel numero dei tanti “battezzati non-cristiani” di cui parla Papa Francesco? Il Vangelo oggi ci invita a risvegliare la fede per riscoprire le ricchezze del nostro Battesimo, e dare inizio alla nostra missione profetica nel mondo di oggi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Betlemme: Natale ortodosso nel segno della pace

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A Betlemme è ancora Natale. Sono vive le celebrazioni natalizie ortodosse che hanno fatto seguito a quelle cattoliche culminate il 6 gennaio con l’Epifania. Greci ortodossi, siriaci e copti hanno festeggiato il Natale il 7 gennaio, secondo il calendario giuliano. Pellegrini cristiano ortodossi, in modo particolare siriaci, copti, greci e etiopi, stanno arrivando in questi giorni a Betlemme. 

Il Natale della comunità copta
Per la comunità copta si è trattato di un Natale particolare, il primo dopo la morte, avvenuta lo scorso dicembre, di mons. Abraham, vescovo di Gerusalemme dal 1992. A salutare i fedeli copti è stato il vescovo Anba Epiphanius, abate del Monastero di San Macario che ha invocato “pace e gioia per tutti i cristiani e per tutte le città di questa regione”. Il vescovo ha ricordato le sue origini betlemite: “desidero per la mia città la pace, perché la pace è la possibilità di portare gioia al cuore di ogni persona. Anche se avessimo tutto il mondo, la pace è la cosa più importante” ha detto riferendosi al conflitti in atto tra israeliani e palestinesi”. 

Il Natale della comunità siriaca
Ai fedeli siriaci è giunto il saluto dell’arcivescovo Swerios Malki Murad, vicario patriarcale di Terra Santa e Giordania, che ha guidato in processione i fedeli fino alla chiesa siriaca di Betlemme. “Il messaggio di Cristo – ha ribadito – è un messaggio di pace e riconciliazione. È stato per noi un esempio di umiltà, per poter vivere in questo mondo con purezza e santità. Gesù ci ha dato queste lezioni per la vita cristiana, per vivere in sintonia e armonia tra le diverse comunità e per collaborare insieme nella costruzione del Paese, dei nostri santuari, delle nostre famiglie”. (R.P.)

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Tawadros: terrorismo non distingue tra cristiani e musulmani

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Il terrorismo “non fa differenze tra cristiani e musulmani”, e anche quando si alimenta di ideologie religiose, colpisce indistintamente tutti i credenti in Dio, fomentando conflitti settari dove persone si uccidono a vicenda per “stupidità umana”, per “denaro” o per far prevalere “i propri interessi. Così si è espresso il Patriarca copto ortodosso Tawadros II nel corso di alcune interviste diffuse giovedì scorso da diversi media egiziani, compreso il quotidiano al- Ahram. 

Tawadros ha invocato la stabilità e la sicurezza di tutto l'Egitto
Nel corso dei suoi interventi - riferisce l'agenzia Fides - il Primate della Chiesa copta ortodossa ha sviluppato alcune riflessioni sul contributo positivo che le religioni possono fornire per aiutare gli uomini a vivere in pienezza la propria umanità e a convivere in pace, ribadendo di non temere il terrorismo solo per le sofferenze che esso causa ai cristiani, ma perchè esso colpisce tutto il Paese. Papa Tawadros ha ribadito di avere a cuore, come capo della Chiesa più numerosa del Medio Oriente, la stabilità e la sicurezza di tutto l'Egitto.

Presidente al Sisi si è impegnato a ricostruire le chiese distrutte nei disordini del 2013
​Intanto continuano nella Chiesa copta i commenti positivi alle parole che il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha pronunciato in occasione della sua partecipazione alla Veglia per la solennità del Natale, celebrata da Papa Tawadros nella cattedrale cairota di San Marco a partire dalla tarda serata di mercoledì 6 gennaio. Il capo di Stato, parlando al microfono alla fine della celebrazione, si è tra le altre cose impegnato a far accelerare le procedure per la riparazione delle chiese distrutte soprattutto durante i disordini dell'agosto 2013, quando una cinquantina di istituzioni e luoghi di culto cristiani vennero assaltati e devastati da bande di facinorosi legati ai Fratelli Musulmani e ai gruppi salafiti. (G.V.)

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Iraq. Leader sciita: restituire le case sottratte ai cristiani

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La politica cristiana caldea Pascale Warda, già ministro dell'immigrazione nel primo governo di transizione seguito alla caduta del regime di Saddam Hussein, ha espresso pubblicamente il suo compiacimento per la prese di posizione del leader sciita Muqtada al-Sadr, che di recente ha sostenuto la necessità di restituire ai legittimi proprietari le case e i beni immobiliari sottratti illegalmente nei mesi scorsi a famiglie cristiane a Baghdad, Kirkuk e in altre città irachene. Secondo quanto riferito da media iracheni, compreso il sito ankawa.com ripreso dall'agenzia Fides, la Pascale Warda chiede ha tutti i cittadini iracheni di sostenere la reintegrazione dei diritti dei proprietari cristiani appoggiata dal Muqtada al-sadr e per la quale si sono mobilitate anche organizzazioni della società civile come l'associazione Hammurabi per i diritti umani e il Coordinamento delle Donne irachene.

Case sottratte ai cristiani per connivenze e coperture di funzionari corrotti
Il fenomeno della sottrazione illegale delle case dei cristiani ha potuto prendere piede anche grazie a connivenze e coperture di funzionari corrotti e disonesti, che si mettono a servizio di singoli impostori e gruppi organizzati di truffatori. Il furto “legalizzato” delle proprietà delle famiglie cristiane è strettamente collegato all'esodo di massa dei cristiani iracheni, seguito degli interventi militari a guida Usa per abbattere il regime di Saddam Hussein. I truffatori si appropriano di case e immobili rimasti vuoti, contando sulla facile previsione che nessuno dei proprietari tornerà a reclamarne la proprietà. Parlamentari e associazioni cristiane hanno da tempo fatto appello alle istituzioni amministrative locali, chiedendo di stroncare il fenomeno delle false certificazioni su cui si regge questo tipo di truffa.

Chi è Muqtada al-Sadr
E' il leader del Movimento sadrista, partito a cui appartengono almeno trenta parlamentari iracheni. E' stato anche il fondatore dell'esercito del Mahdi, la milizia – ufficialmente sciolta nel 2008 - creata nel 2003 per combattere le forze armate straniere presenti in Iraq dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. (G.V.)

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Terra Santa: profanato il cimitero cristiano di Beit Gémal

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Il cimitero adiacente al monastero salesiano di Beit Gémal, nella città israeliana di Beit Shemesh, a ovest di Gerusalemme, è stato profanato e le croci di legno e di cemento poste su molte tombe sono state distrutte. L'episodio di vandalismo sacrilego risale alla metà di dicembre, ma solo nelle ultime ore ne hanno dato notizia le fonti ufficiali del Patriarcato Latino di Gerusalemme. La polizia locale - riporta l'agenzia Fides - ha aperto un'inchiesta contro ignoti, ma nessuno per l'atto vandalico ha presentato denunce a carico di individui o gruppi specifici.

Atti vandalici nell'area anche nel 2014
Nella notte tra il 31 marzo e il primo aprile del 2014, sempre nell'area di Beit Shemesh, ignoti vandali avevano tracciato scritte blasfeme sulle mura di due case appartenenti al Monastero cattolico latino di Deir Rafat. Le suore del monastero, appartenenti alla Famiglia monastica di Betlemme, dell'Assunzione della Vergine Maria e di San Bruno, avevano in quell'occasione riferito all'agenzia Fides che tra le scritte tracciate in ebraico, alcune esprimevano “frasi blasfeme contro Gesù e la Vergine Maria”. Altre scritte invocavano “vendetta” e accusano di “nazismo” la Germania e gli Stati Uniti. Anche alcune auto parcheggiate nella zona erano state vandalizzate.

Attacchi a chiese e moschee di gruppi oltranzisti legati ai coloni
Il vandalismo subito dal Monastero di Deir Rafat rienrava nella serie di atti intimidatori compiuti a danno di monasteri cristiani a partire dal febbraio 2012. Da allora, in più occasioni, siglandosi con la formula “il prezzo da pagare” (price to tag), gruppi oltranzisti vicini al movimento dei coloni hanno portato attacchi ai danni di luoghi di culto - chiese e moschee – frequentati dalla popolazione araba. (G.V.)

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Costa d'Avorio. Chiesa al presidente Ouattara: aiutare i poveri

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Mons. Alexis Touabli Youlo, presidente della Conferenza episcopale ivoriana, ha chiesto impegno perché della crescita economica possano beneficiare tutti, soprattutto i più poveri e disagiati, perché in molte case il paniere alimentare è ancora vuoto e molte famiglie hanno un solo pasto al giorno. Incontrando martedì scorso il presidente Alassane Ouattara insieme ad altri rappresentanti religiosi per il tradizionale scambio degli auguri, il presule ha esortato a raddoppiare gli sforzi per la riconciliazione, la pace e la coesione sociale.

I cristiani pregheranno per la rinascita del Paese
“Dobbiamo tutti lavorare ciascuno secondo le proprie competenze - ha affermato mons. Youlo – e questo sotto la vostra guida”. Il presule, riferisce il portale Koaci, ha assicurato che i cristiani pregheranno perché il 2016 sia un anno di rinnovamento sociale e di rinascita nazionale e perché si realizzino le aspirazioni più profonde degli ivoriani. Nonostante le gravi crisi attraversate, il Paese è in piena crescita, e nulla, ha aggiunto il presule, deve fermare tale crescita. Il presidente della Conferenza episcopale si è anche congratulato con il Capo dello Stato per aver facilitato il ritorno nel Paese di tanti ivoriani in esilio e lo ha incoraggiato ad un ulteriore sforzo per quanti non sono ancora tornati e per il rilascio di prigionieri.

La comunità musulmana chiede interventi in campo educativo e sociale
Al presidente Ouattara ha rivolto poi gli auguri, a nome del Consiglio Superiore degli Imam, Cheikh Al Aima Boikary Fofana, guida della comunità musulmana della Costa d'Avorio. Il leader musulmano ha esortato il Presidente ad intraprendere azioni forti per le priorità del Paese, a garantire sicurezza ai cittadini, ad intervenire nel campo dell’istruzione e della formazione con la promozione della cultura della pace e dell'educazione civica e morale e a prendere misure contro la corruzione, la depravazione morale e l’odio sociale promuovendo lo sviluppo e valorizzando il merito e la competenza. (A cura di Tiziana Campisi)

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Vescovi Congo: comitato di sorveglianza per il processo elettorale

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Un Comitato di sorveglianza per incoraggiare iniziative volte al rilancio del processo elettorale. Lo ha costituito la Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco) preoccupata per l’incertezza che sta vivendo il Paese in attesa che venga definito il calendario delle elezioni.

8 vescovi per promuovere il dialogo e la collaborazione nel processo elettorale
Da mesi le diverse parti politiche continuano a discutere e a non trovare accordi e in seguito ai pressanti appelli giunti ai vescovi da più parti, la Cenco, riunita a Kinshasa dal 28 al 30 dicembre, ha avviato delle consultazioni. Proprio al termine di tali consultazioni è nato il Comitato di sorveglianza che consta di 8 vescovi, tra cui anche il presidente della Cenco, mons. Nicola Djomo, vescovo di Tshumbe.

Appello della Cenco perché i politici si impegnino per il bene del Paese
Di tale organismo - che vuole promuovere la collaborazione fra i vari esponenti politici - da notizia un comunicato firmato da mons. Djomo che rende noto anche l’esito degli incontri della Cenco. “Colgo questa occasione per ribadire agli uni e agli altri l’appello pressante della Cenco, perché ciascuno possa assumersi le proprie responsabilità dinanzi alla storia in vista di un dialogo che risponda alle aspirazioni di tutti per l’interesse superiore del Paese” scrive il vescovo di Tshumbe. Il presule conclude il comunicato auspicando per il Congo pace e gioia e invitando i congolesi a pregare per il buon esito del processo elettorale e per il consolidamento della democrazia. (T.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 9

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.