Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 08/01/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: l'abbraccio dell'amore di Dio fa tacere l'accusa del peccato

◊  

Non tutto l’amore viene da Dio, ma è Dio il “vero amore”. È il pensiero, ispirato dalla liturgia del giorno, sul quale Papa Francesco ha imperniato l’omelia della Messa del mattino celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Dio, ha ripetuto il Papa, ama sempre e ama per primo, non importa quanto siamo peccatori. Il servizio di Alessandro De Carolis

Amore, compassione. Quanto diversamente possono intenderli Dio e l’uomo. Nella sua prima Lettera, l’Apostolo Giovanni – osserva Papa Francesco – intesse una lunga riflessione sui due comandamenti principali della vita di fede: l’amore di Dio e l’amore del prossimo. L’amore di per sé “è bello, amare è bello”, assicura il Papa, e tuttavia un amore sincero “si fa forte e cresce nel dono della propria vita”:

“Questa parola ‘amore’ è una parola che si usa tante volte e non si sa, quando si usa, cosa significhi esattamente. Cosa è l’amore? Delle volte pensiamo all’amore delle telenovele, no, quello non sembra amore. O l’amore può sembrare un entusiasmo per una persona e poi… si spegne. Da dove viene il vero amore? Chiunque ama è stato generato da Dio, perché Dio è amore. Non dice: 'Ogni amore è Dio', no: Dio è amore”.

L'anno del perdono
Giovanni sottolinea una caratteristica dell’amore di Dio: ama “per primo”. Ne è una prova la scena del Vangelo della moltiplicazione dei pani, proposta dalla liturgia: Gesù guarda la folla e ne “ha compassione”, il  che – puntualizza Francesco – “non è la stessa cosa che avere pena”. Perché l’amore che Gesù nutre per le persone che lo circondano “lo porta a ‘patire con' loro, a coinvolgersi – spiega il Papa – nella vita della gente”. E questo amore di Dio, mai preceduto dall’amore dell’uomo, conta mille esempi, che Francesco cita, da Zaccheo, a Natanaele, al figliol prodigo:

“Quando noi abbiamo qualcosa nel cuore e vogliamo chiedere perdono al Signore, è Lui che ci aspetta per dare il perdono. Quest’Anno della Misericordia un po’ è anche questo: che noi sappiamo che il Signore ci sta aspettando, ognuno di noi. Perché? Per abbracciarci. Niente di più. Per dire: 'Figlio, figlia, ti amo. Ho lasciato che crocifiggessero mio Figlio per te; questo è il prezzo del mio amore'. Questo è il regalo di amore”.

"Con un abbraccio ti farà tacere"
“Il Signore mi aspetta, il Signore vuole che io apra la porta del mio cuore”: questa certezza, insiste Francesco, si deve averla “sempre”. E se sorgesse lo scrupolo di non sentirsi degni dell’amore di Dio, “è meglio - esclama il Papa - perché Lui ti aspetta, così come tu sei, non come ti dicono ‘che si deve fare’”:

“Andare dal Signore e dire: ‘Ma tu sai Signore che io ti amo’. O se non me la sento di dirla così: 'Tu sai Signore che io vorrei amarti, ma sono tanto peccatore, tanto peccatrice'. E lui farà lo stesso che ha fatto col figliol prodigo che ha speso tutti i soldi nei vizi: non ti lascerà finire il tuo discorso, con un abbraccio ti farà tacere. L’abbraccio dell’amore di Dio”.

inizio pagina

Papa, tweet: mondo dorme nell’egoismo, cristiani lo sveglino

◊  

Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Quando il mondo dorme nella comodità e nell’egoismo, la missione cristiana è di aiutarlo a svegliarsi”.

inizio pagina

Roy: mobilitazione Caritas Internationalis per la pace in Siria

◊  

Cinque anni di guerra, migliaia di vittime, milioni di sfollati. E’ il terribile bilancio della guerra in Siria che anche in questo inizio del 2016 continua a sconvolgere la vita del popolo siriano. Di questi giorni la notizia di gente che muore di fame nella città di Madaya stretta d'assedio dalle forze fedeli ad Assad che proprio nelle ultime ore, annuncia l'Onu, ha autorizzato l'apertura di corridoi umanitari. Per porre fine a questa guerra insensata, Caritas Internationalis ha lanciato una campagna di mobilitazione generale per i prossimi 12 mesi. Alessandro Gisotti ne ha parlato con il segretario dell’organismo caritativo internazionale, Michel Roy

R. – La domanda è venuta sempre più forte dai membri della Caritas della regione - Caritas Siria, Caritas Iraq, Caritas Libano, Caritas Giordania e Caritas Turchia – a tal punto che l’ultima volta che ci siamo incontrati, nel settembre scorso, quando è stato domandato “Di cosa avete bisogno?” l’unica parola che è uscita fuori è stata "la pace". La domanda per la pace è primordiale per i nostri amici delle Caritas del Medio Oriente. Caritas Internationalis, rispondendo all'urgenza della gente di questa regione, ha deciso dunque di lanciare una campagna di mobilitazione contro questa indifferenza, e di pressione, perché i governi vadano avanti, in maniera seria, a trovare delle vie per fermare questo conflitto ed intervenire a livello politico: chiediamo che i governi si impegnino in modo vero e responsabile per facilitare questo.

D. – Nel messaggio per la Giornata mondiale della pace, Papa Francesco chiede di "vincere l’indifferenza, per conquistare la pace". Dopo cinque anni di guerra in Siria, secondo lei, ci si è quasi abituati all’impossibilità di risolvere la situazione?

R. – Sì, c'è l’indifferenza dell’opinione pubblica. Uno, infatti, si abitua a questo. Chi parla adesso della guerra del Darfur, dopo 12 anni? Nessuno. L’indifferenza dell’opinione pubblica da una parte e, però, ci sono gli interessi degli Stati e delle multinazionali. Il Medio Oriente è una regione ricca, infatti, e interessa a quanti vendono le armi: c’è un grande mercato per i grandi Paesi e c’è un interesse geopolitico molto grande. Ciò che ha fatto cambiare l’opinione pubblica in Europa è stato l’arrivo di centinaia di migliaia di persone che hanno chiesto asilo nel continente. Questo fiume di gente, dalla Turchia fino alla Germania, ha svegliato tutti.

D. – Parlavamo di indifferenza. Un altro sentimento che a volte può esserci è "impotenza". In questo anno giubilare - il Giubileo della Misericordia - i cristiani anche attraverso Caritas cosa possono fare per i siriani?

R. – Per prima cosa, penso, pregare. Ricordo il Giorno di preghiera per la Siria che aveva organizzato Papa Francesco due anni fa. Sono sicuro che per cominciare dobbiamo pregare Dio, perché ci aiuti a trovare la strada giusta per arrivare dove vogliamo andare. Seconda cosa: domandare ai politici, ai governi, che si impegnino su questa via di ricerca della pace, non vendendo armi. Ognuno di noi può domandare al suo deputato o senatore, ai capi di governo, di andare su questa strada. Aiutare i rifugiati rimane una grande sfida, perché la comunità internazionale, che è stata parte della guerra, delle motivazioni per le quali c’è questa guerra, non si assume le sue responsabilità di aiutare la gente sfollata all’interno della Siria: sono 8 milioni. E’ incredibile il numero! Non bisogna dimenticare nemmeno l’Iraq e quelli che sono in Giordania, in Turchia, in Libano, che sono quattro milioni. Tutte queste persone devono essere aiutate, perché non hanno la possibilità di sopravvivere da soli.

inizio pagina

Papa nomina membro dell'Apsa il card. Ricardo Blázquez Pérez

◊  

In Spagna, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Vitoria, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Miguel José Asurmendi Aramendía, salesiano. Al suo posto, il Pontefice ha nominato il sacerdote Juan Carlos Elizalde Espinal, del clero dell’arcidiocesi di Pamplona y Tudela, finora vicario episcopale. Il neo presule è nato a Mezkiritz (Navarra) il 25 giugno 1960. Ha conseguito la Licenza in Filosofia presso l’Università di Navarra e quella in Teologia presso la Facoltà di Teologia del Nord della Spagna con sede in Burgos. Ha ottenuto poi la Licenza in Teologia Spirituale presso la Pontificia Università di Comillas a Madrid e ha fatto il Corso di Direttori di Esercizi Spirituali presso i PP. Gesuiti di Salamanca. È stato ordinato sacerdote il 3 ottobre 1987 incardinandosi nell’arcidiocesi di Pamplona y Tudela. Membro dell’Istituto Secolare “Cruzados de Santa María”, i primi anni dopo l’ordinazione ha svolto il ministero sacerdotale a Madrid nell’apostolato giovanile dell’Istituto e come Cappellano dell’Università Politecnica di Madrid. Uscito dall’Istituto e rientrato in diocesi, ha ricoperto i seguenti incarichi ed uffici: Direttore delle Residenze Universitarie Diocesane (1999-2004); Parroco di Santa María di Ermitagaña e della Sagrada Familia (2005-2009); Professore di Teologia e Responsabile di Pastorale dell’Università Pubblica di Navarra (dal 1998); Vicario Episcopale della Zona di Pamplona-Cuenca-Roncesvalles (dal 2009); Professore di Omiletica del Ceset San Miguel Arcángel (dal 2011); Coordinatore del Centro di Direzione Spirituale diocesano nella Cappella della Divina Misericordia nell’Oratorio di San Felipe Neri (dal 2012) e Canonico-Priore della Regale Collegiata di Roncesvalles (dal 2013).

Papa Francesco ha nominato membro dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa) il cardinale Ricardo Blázquez Pérez, arcivescovo di Valladolid in Spagna.

inizio pagina

Lotteria vaticana a favore dei profughi: biglietti fino al primo febbraio

◊  

Il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano informa che i biglietti della terza edizione della Lotteria di beneficenza per le opere di carità del Santo Padre si potranno acquistare fino al prossimo primo febbraio. I biglietti, dal costo di 10 euro ciascuno, si possono trovare in Vaticano presso la Farmacia, le Poste, gli Spacci Annonari, il Magazzino “Stazione”, i punti vendita dell’Ufficio Filatelico e Numismatico e i ‘Bookshop’ dei Musei Vaticani. Per quanti desiderassero partecipare acquistando uno o più tagliandi a distanza, si potrà effettuare un vaglia postale indirizzato al Coordinamento Eventi del Governatorato – 00120 Città del Vaticano.

Mons. Diego Ravelli, capo ufficio dell’Elemosineria Apostolica, spiega che “quest’anno il Papa ha avuto il desiderio che tutto il ricavato vada a favore di profughi e senzatetto. I premi della lotteria sono stati messi a disposizione da lui: è lui stesso che ha voluto donare questi premi che sono doni che gli sono stati fatti e che ha voluto ridonare”. “Acquistare o donare un biglietto - sottolinea - è un piccolo gesto ma concreto per far circolare e condividere l’amore che, prima di tutto, abbiamo ricevuto noi (…) con quest’anno giubilare”.

L’estrazione dei biglietti vincenti della Lotteria avverrà il 2 febbraio. Nel ringraziare le moltissime persone che hanno già contribuito a sostenere  l’iniziativa, il Coordinamento Eventi del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano (eventi@scv.va) ricorda che è a disposizione per fornire qualsiasi chiarimento od ulteriore informazione.

inizio pagina

Pastorale San Gregorio Magno nella cattedrale di Canterbury

◊  

Un’iniziativa culturale e religiosa di grande significato ecumenico: da oggi al 18 gennaio prossimo viene esposto nella Cattedrale anglicana di Canterbury il “Ricciolo”, ovvero la parte estrema, del pastorale di San Gregorio Magno. L’esposizione temporanea avviene in occasione della riunione dei Primati della Comunione Anglicana, che avrà luogo dall’11 al 16 gennaio. La reliquia è storicamente conservata nel monastero di San Gregorio al Celio a Roma.

Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero della Cultura, sottolinea il valore “altamente simbolico del prestito” della reliquia “cara alla Chiesa d’Inghilterra che venera nel Papa San Gregorio Magno il promotore della missione evangelizzatrice del popolo anglosassone e quindi segno di legame che unisce spiritualmente le Chiese cattolica e anglicana”. Fu proprio San Gregorio Magno, infatti, a inviare Sant’Agostino in Inghilterra – nel 597 d.C. – per evangelizzare le popolazioni anglo-sassoni.

Il decano della cattedrale di Canterbury, il reverendo Robert Willis, ha espresso la sua gioia per la presenza della reliquia come “simbolo di incoraggiamento ecumenico nel momento in cui si riuniscono i Primati anglicani e come un legame con San Gregorio la cui visione di conversione dell’Inghilterra ha portato Agostino a fondare la comunità a Canterbury”.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Responsabilità comune: appello dei leader per una strategia unica sull’immigrazione.

Un mese fa: in prima pagina, l’arcivescovo Rino Fisichella sull’inizio del giubileo, da San Pietro al mondo.

Le violenze sulle donne diventano un caso europeo: molestie segnalate anche in Finlandia.

Lo spirito del Concilio nel discorso di Paolo VI, mezzo secolo fa.

Montini e Chiara Lubich in un articolo di Lucetta Scaraffia dal titolo “L’uomo che seppe leggere i segni di una donna”.

Nell’ora delle tenebre: un documentario su Pio XII prodotto dalla Rai.

Visioni di Paradiso: da Londra, Alessandro Scafi sulla mostra, alla National Gallery, dedicata all’“Assunzione della Vergine” di Botticini.

Magic Land: Antonio Paolucci recensisce il libro “Terre senz’ombra” in cui il paesaggio italiano assurge a protagonista nella storia dell’arte.

Sorpresi da un abbraccio: Messa a Santa Marta.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Libia-Ue: dopo le stragi serve subito un governo nazionale

◊  

All’indomani della doppia offensiva jihadista che ha investito la Libia con decine di vittime, oggi la parola passa alla diplomazia. C’è attesa a Tunisi per il vertice tra l’Unione europea e il Consiglio di presidenza libico con al centro il sostegno internazionale concreto alla formazione di un governo di unità nazionale, sulla base dell’accordo sancito con la mediazione dell’Onu nel dicembre scorso. Il servizio di Gabriella Ceraso

Con un messaggio su Internet i combattenti del sedicente Stato islamico hanno rivendicato l'attentato avvenuto ieri con un'autobomba, contro un posto di blocco all'entrata orientale di Ras Lanuf, nell'Est della Libia dove i jihadisti da giorni, combattendo contro le milizie tribali, puntano ad arrivare al terminal petrolifero di al Sidra. Almeno 6 i morti. Decine invece le vittime, a Zlitan, vicino Misurata, dove l’Is, che in Libia conta 10mila adepti per lo più stranieri, ha causato sempre ieri una strage kamikaze presso una caserma della Guardia costiera. Due dunque i fronti battuti dalla controffensiva del Califfato: verso Ovest, per allargare l’enclave intorno a Sirte e lanciare un avvertimento a chi in quell’area si prepara alla resistenza forte dell'alleanza internazionale; e verso Est, cioè verso la "mezzaluna del petrolio", cuore ricco del Paese che si intende sottrarre al nascente Stato unitario libico - frutto del faticoso accordo tra Tripoli e Tobruk- che dovrebbe insediarsi a febbraio. Oggi la parola d’ordine della diplomazia è "fare presto", dare concretezza all’accordo politico sancito a dicembre con il sostegno della comunità internazionale. A questo scopo, l’incontro a Tunisi tra l’Alto rappresentante per la politica estera europea, Federica Mogherini, i membri del Consiglio di presidenza libico e il premier Fayez al-Sarraj incaricato di formare un governo di unità nazionale.

Con gli attacchi stragisti di ieri, in particolare a Zlitan, stiamo assistendo ad una strategia espansionistica dell’Is? E con quali obiettivi? Gabriella Ceraso ne ha parlato con Antonio Morone, docente all’Universita’ di Pavia ed esperto di Storia dell’Africa: 

R. – La strategia sicuramente è quella di approfittare della congiuntura complicata e complessa dell’attuale fase politica di trattative tra i due fronti. Gli obiettivi sono molti: il petrolio, le risorse libiche, indebolire più in generale la transizione libica. Però, probabilmente, quello che alcune analisi non colgono è un significato un po’ più profondo. Zliten è storicamente una città molto importante, perché è sede di una delle più importanti moschee e tomba di un famoso santo islamico, venerato in buona parte del Maghreb, e sicuramente attaccare Zlitan ha soprattutto il significato di colpire una certa interpretazione dell’islam che è ovviamente opposta a quella dell’estremismo. Non è probabilmente un caso che nel 2012 alcuni gruppi fondamentalisti avessero già attaccato, e in effetti fatto saltare, parte della moschea che tra l’altro ospitava una delle più rinomate università islamiche. Come dire: questo dimostra che in effetti l’Is non è qualcosa di nuovo, ma si appoggia su una storia più o meno recente di radicalizzazione dell’islam, anche in Libia, e questa è probabilmente la partita più importante nel Paese, perché ovviamente la risposta alla minaccia dell’Is, può venire anche attraverso l’appoggio internazionale ma dev’essere soprattutto una risposta libica.

D. – Effettivamente, però, manca il concreto: chi dovrebbe essere la nuova leva politica in Libia sembra pensare di più – nonostante il pericolo dell’Is – al controllo delle istituzioni, alle lotte per il potere che ad altro. Che cosa manca?

R. – Al momento, il famoso accordo non sembra essere ancora condiviso da tutte le parti in lotta e soprattutto sembra ancora essere accettato con molte riserve da parte di Misurata, che sicuramente è il vero potere in Libia. Il problema, ovviamente, dalla parte dei mediatori internazionali, è che più si spinge e più il rischio è che l’accordo venga percepito come qualcosa di esterno, di imposto da parte di una buona parte della leadership libica e quindi di fatto poi rigettato.

D. – Un eventuale intervento militare non può scattare senza un accordo sul terreno, quindi questo non può in nessun modo “impaurire” l’espansionismo dell’Is?

R. – Io rimango del parere che l’espansionismo dell’Is sarebbe felice di un intervento internazionale: probabilmente è proprio quello a cui mira. Anche l’idea, si leggeva su alcuni giornali libici, di far compiere in effetti il gesto a Zlitan ad un kamikaze tunisino, in effetti può avere anche un po’ l’obiettivo di alimentare questa tensione che già è assolutamente evidente tra i due Paesi, tra Libia e Tunisia. Non dimentichiamoci che la Tunisia, dopo l’attentato di qualche settimana fa durante la settimana internazionale del cinema di Tunisi, che ha fatto saltare un autobus in pieno centro con dei soldati della guardia presidenziale, uno dei primi effetti è stato quello di sigillare la frontiera con la Libia avendo in mente che, appunto, la Libia ormai è parte dei problemi interni della Tunisia però al tempo stesso non si deve dimenticare che la stessa crisi libica ha un versante tunisino, perché molte di queste persone che vengono definite come "dell’Is" provengono dalla Tunisia. Sicuramente quindi, ribadisco, un intervento internazionale non farebbe altro che fare il gioco dell’estremismo che trae il massimo dalla conflittualità e dalla destabilizzazione.

inizio pagina

Cina: incertezze economiche pesano su fiducia investitori

◊  

In recupero le borse cinesi, dopo il giovedì nero le autorità di Pechino autorizzano un’immissione di liquidità per 20 miliardi che permette a Shanghai di chiudere in rialzo dell'1,97%. Ma si prospettano in Cina fughe di capitali all’estero e svalutazione continua dello yuan. Anche le esportazioni, da sempre motore della crescita dello scorso decennio in Cina, sono in calo. Veronica Di Benedetto Montaccini ne ha parlato con Valeria Zanier, ricercatrice di economia politica cinese alla London School of Economics: 

R. – Senz’altro una delle maggiori difficoltà, sia nella crisi finanziaria di luglio scorso sia in quella dei primi giorni del 2016, è il calo della fiducia da parte di investitori cinesi nei confronti dell’economia del Paese. Bisogna tener conto del fatto che la Cina è ormai a pieno titolo integrata nell’economia globale e questa sfiducia pesa a livello internazionale.

D. – Queste crisi, che – ricordiamo – vengono dopo una crescita della Borsa del 150%, hanno effetti deflazionistici: cosa significa questa discesa dello yuan?

R. – L’andamento dello yuan da poco tempo è completamente liberalizzato. Il Fondo Monetario Internazionale, subito prima della fine del 2015, ha accettato lo yuan nel paniere delle valute internazionali che sono privilegiate. Sicuramente il crollo della Borsa favorisce anche la svalutazione dello yuan, quindi è qualcosa che ha un effetto immediato e che favorisce una ripresa dell’export cinese che sta andando molto male nell'ultimo anno.

D. – C’è anche una grande difficoltà dell’economia reale e forse la Cina sta cercando di invertire la direzione: da economia delle esportazioni a un modello basato sui consumi interni. Questo cambiamento nella società è possibile secondo lei?

R. – Una restrizione dell’attività manifatturiera è evidente. Allo stesso tempo, però, questo fa parte del programma della leadership per portare avanti una trasformazione del modello cinese. Già all’inizio del decennio scorso, si cerca di passare da un modello “export-led” ad uno “consumer-led”: quindi ad una crescita economica che possa partire direttamente da un maggior consumo all’interno del mercato cinese, invece che dall’esportazione dei prodotti della sua economia. Questa trasformazione necessita però da parte del governo di riformare strutturalmente il sistema economico cinese. C’è ad oggi questo ibrido di economia capitalista ed economia di Stato, nel quale ancora esistono diversi settori che restano oligopoli statali chiusi sia alle aziende straniere sia a quelle private locali. Allo stesso tempo c'è bisogno di riformare alcuni settori particolari, i più altalenanti, come per esempio quello finanziario.

D. – L’incertezza del futuro economico della Cina si lega ad una incertezza politica?

R. – Direi che l’economia cinese ha passato senz’altro degli anni in cui erano necessarie delle riforme, e queste non sono state portate avanti con celerità. Quindi sicuramente la leadership di adesso si trova davanti a degli “aut-aut” per arrivare ad un nuovo modello. Deve essere verificato qual è la volontà di questa leadership di portare avanti queste riforme che diano più potere al mercato e meno alla politica.

inizio pagina

Nessuna guerra per il petrolio tra Arabia Saudita e Iran

◊  

Prezzi del petrolio in leggero rialzo sui mercati asiatici in linea con il recupero delle piazze cinesi. Un’inversione di tendenza che arriva dopo i minimi storici toccati in questi giorni, quando – per la prima volta dal 2004 – il prezzo del greggio è crollato sotto i 30 dollari al barile. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Alberto Clò, direttore della rivista Energia: 

R. – I mercati hanno reagito in una maniera incredibilmente tenue al precipitare dello scontro diretto, il primo, tra i due maggiori Paesi islamici del Medio Oriente: Arabia Saudita e Iran. In altri tempi si sarebbero avute impennate incredibili. Questa reazione inattesa, che potrebbe comunque essere modificata dal divenire delle cose nei prossimi giorni, indica, a mio avviso, che non solo la situazione di eccesso di offerta sui mercati internazionali resta molto robusta, ma che non vi è aspettativa da parte della miriade di operatori, che quotidianamente operano sui mercati e sulle Borse petrolifere, che la situazione possa precipitare. Nessuno dei due Paesi si avvantaggerebbe da uno scontro che avrebbe conseguenze imprevedibili.

D. – Ma quali sono gli scenari futuri?

R. – Come dicevo, nessuno dei due Paesi ha interesse a passare da una guerra diplomatica ad una guerra guerreggiata. L’Iran era in procinto di vedersi eliminate le sanzioni che hanno messo in ginocchio la sua economia, con la prospettiva non solo di vedersi consegnati 100 miliardi di dollari che ha congelati in banche straniere, ma anche di riprendere lo sviluppo dell’attività di estrazione del petrolio, che era stata fortemente penalizzata. E proprio all’inizio di quest’anno ci doveva essere un iniziale allentamento delle sanzioni riguardo al petrolio, con la prospettiva che l’Iran potesse, nell’arco di sei, sette, otto mesi, aumentare le sue esportazioni di 500.000 barili al giorno. Quindi, qualsiasi gesto avventato – a mio avviso – da parte dell’Iran, evidentemente bloccherebbe questa prospettiva di eliminazione delle sanzioni. L’Arabia Saudita, da parte sua, non avrebbe certamente vantaggi. Ha già situazioni di difficoltà economiche interne a causa del crollo del prezzo del petrolio. Quindi non esistono i presupposti oppure c’è la speranza che la situazione non abbia a precipitare. Certo è che i mercati scontano che questo non debba accadere.

D. – Quali sono le principali conseguenze per l’Europa?

R. – L’Europa oggi sta beneficiando massimamente dei bassi prezzi del petrolio. I bassi prezzi del petrolio hanno significato, ad esempio, per il nostro Paese, lo scorso anno, una minore bolletta energetica introno a dieci miliardi di euro. E le tasche delle famiglie si sono avvantaggiate per sette miliardi di euro: ciò ha consentito un aumento della capacità di spesa che si riflette nel fatto che, pur se i consumi aumentano leggermente, certo però sono aumentati, dopo anni e anni, i consumi di petrolio, di benzina, e soprattutto le immatricolazioni di nuove auto. Quindi una situazione di questo genere avvantaggia l’economia italiana, mentre chiaramente la svantaggerebbe enormemente se ci dovesse essere una risalita dei prezzi, che oggi però i mercati sembrano non scontare.

D. – Quindi, in definitiva, cosa ci dobbiamo augurare?

R. – L’augurio è che la diplomazia internazionale – Stati Uniti, la Russia e anche l’Europa – si adoperino in modo rapido, accelerato, per evitare il precipitare delle cose. Siamo sull’orlo di un abisso: nessuno poteva immaginare che una situazione mediorientale già attraversata dal 2010 in poi, con le Primavere arabe, da instabilità politica interna, possa precipitare in uno scontro diretto tra Arabia Saudita e Iran. Siamo quindi nelle mani di chi può adoperarsi perché questo non accada.

D. – Quali diventano le priorità per l’agenda europea e quella italiana, a livello di politica energetica?

R.  – A livello di politica energetica, bisognerebbe che si arrivasse finalmente a una politica energetica europea, che oggi non esiste: al di là dei numerosi volumi che vengono sfornati continuamente, le politiche sono ancora nazionali. Vi è stato negli ultimi anni un ritorno prepotente degli Stati nel governo dei loro sistemi energetici con politiche tra loro discordanti, spesso conflittuali, in cui sono prevalsi gli interessi nazionali, quelli particolari, rispetto a quelli comunitari. Vi è sempre da sperare che questa situazione di criticità, che vediamo lacerare l’Europa su tanti capitoli - a cominciare da quello dell’immigrazione - nell’energia riesca invece a produrre uno scatto di consapevolezza da parte dei Paesi; sapendo che singolarmente non si riesce ad ottenere nulla, mentre invece, unitariamente, l’Europa potrebbe conseguire obiettivi di maggiore integrazione dei mercati, maggiore sicurezza energetica e rispetto ambientale.

inizio pagina

Centrafrica: ballottaggio presidenziale per due ex premier

◊  

Nella Repubblica Centrafricana i risultati delle presidenziali dello scorso 30 dicembre vedono un testa a testa tra due candidati. Si tratta di due ex primi ministri: Anicet Georges Dologuélé e Faustin Archange Touadéra, che andranno al ballottaggio il prossimo 31 gennaio. Secondo i primi risultati diffusi dall'Autorità nazionale delle lezioni, Dologuélé, uno dei favoriti per la vittoria, ha raccolto 281.420 voti, il 23,78% dei suffragi, davanti al suo principale avversario, Touadéra, forte di 229.764 voti, pari al 19,42%. Per tracciare un profilo dei due sfidanti, Elvira Ragosta ha intervistato Enrico Casale, redattore della rivista “Africa” dei Padri Bianchi: 

R. – Sono due persone che hanno già una grande esperienza. Intanto, sono coetanei: hanno entrambi 59 anni. Georges Dologuélé ha una formazione di carattere economico: è stato ministro delle Finanze nel 1997 e primo ministro dal 1999 al 2001. Il suo incarico come premier si è sviluppato soprattutto sotto la presidenza di Ange Philippe Patassé. Lui è il fondatore dell’Unione per il rinnovamento centrafricano, quindi è l’espressione di questo partito: dopo aver concluso il suo mandato, ha ricoperto importanti ruoli nell’ambito della finanza internazionale. Mentre Faustin Archange Touadéra è stato anch’egli premier della Repubblica Centrafricana ma dal 2008 al 2013, sotto la presidenza di François Bozizé, il presidente che poi è stato rovesciato dalla rivolta guidata da Seleka. A differenza di Dologuélé, Touadéra ha una formazione di carattere matematico e ha svolto la sua carriera professionale tutta all’interno dell’università di Bangui. Ma le differenze tra i partiti sono difficili da definire precisamente, perché non ci sono forti connotazioni di carattere ideologico.

D. – Il secondo turno delle presidenziali è previsto per il prossimo 31 gennaio. Quali saranno le priorità per il nuovo presidente della Repubblica Centrafricana?

R. – La prima priorità è quella della riappacificazione nazionale. Il Centrafrica è innanzitutto un Paese diviso dal punto di vista religioso e queste divisioni hanno portato a una spaccatura della società. Quindi, la riconciliazione è certamente la priorità assoluta per chiunque venga eletto alla presidenza. In secondo luogo, il Centrafrica sta vivendo un’emergenza economica, perché è uno dei Paesi più poveri al mondo nonostante sia un Paese che ha ottime riserve di risorse naturali: penso al legname pregiato ma anche all’oro e soprattutto all’uranio.

D. – E in questa instabilità di tipo economico, quanto pesano gli interessi degli altri Paesi?

R. – Tantissimo. In Repubblica Centrafricana si sta giocando una partita più grossa a livello internazionale, per il controllo delle risorse naturali. La Repubblica Centrafricana è uno dei Paesi che con il suo uranio, per esempio, ha favorito lo sviluppo dell’industria nucleare in Francia, ma ci sono anche altri interessi di altre nazioni. Penso alla Cina e agli Stati Uniti, al Sudafrica … Si parla anche di ingenti giacimenti di diamanti, ai quali proprio il Sudafrica appare interessato.

D. – Due anni di guerra civile e poi, nel 2013, la deposizione del presidente Bozizé; infine, il governo di transizione. Di cosa ha bisogno la Repubblica Centrafricana per garantire la pace?

R. – Bè, ha bisogno di un sostegno internazionale, di una missione consistente che riporti la pace in tutto il Paese, non soltanto nella capitale Bangui e nelle principali città. Poi, c’è bisogno di una riconciliazione tra le diverse fedi religiose: penso soprattutto alla comunità musulmana e alla comunità cristiana. A livello di gerarchie della Chiesa cattolica, delle Chiese riformate ma anche della gerarchia musulmana la volontà c’è, ma la rappacificazione deve arrivare nella società e non è ancora abbastanza diffusa l’idea di una riconciliazione generale con una sorta di perdono per riuscire ad andare avanti, come ha capito il Sudafrica dopo l’apartheid.

D. – A proposito di questo e in occasione della visita di Papa Francesco per l’inaugurazione del Giubileo della Misericordia, la presidente di transizione Samba Panza ha invocato nel suo discorso, a nome della classe politica, il perdono per gli abomini commessi nel Paese in nome della religione. Quanto è stato forte, secondo lei, questo discorso per la classe dirigente centrafricana?

R. – Questo non si può dire adesso: si vedrà nei prossimi mesi se non addirittura nei prossimi anni. E’ vero che le divisioni tra le comunità musulmane e cristiane fossero artificiose: non c’era mai stata una contrapposizione tra le due fedi, tra le due comunità nella Repubblica Centrafricana. C’erano stati altri problemi politici, ma mai questo e questa contrapposizione è legata soprattutto agli interessi di cui si parlava prima: di carattere economico, per lo sfruttamento delle risorse naturali della Repubblica Centrafricana.

inizio pagina

Colonia: 31 arresti. Slovacchia: no a profughi musulmani

◊  

Le molestie sessuali denunciate da tantissime donne a Colonia nella notte di San Silvestro sono "atti ripugnanti e criminali assolutamente inaccettabili per la Germania". Angela Merkel prende la parola sulle aggressioni di massa, non escludendo la via delle espulsioni rapide. I tedeschi - dice la cancelliera tedesca - hanno diritto a una risposta adeguata alle gravi circostanze, con misure giuridiche e interventi sulla sicurezza. La Merkel ritiene importante
"che la piena verità sia messa sul tavolo" senza "sconti ed edulcorazioni". Diversamente si avrebbe un "danno" allo stato di diritto e alla grande maggioranza dei profughi che non ha alcuna colpa e cerca protezione. La polizia di Colonia, intanto, ha fermato oggi 31 sospetti, di cui 18 richiedenti asilo: si tratta di 9 algerini, 8 marocchini, 4 siriani, 5 iraniani,1 iracheno, 1 serbo, 1 statunitense e due tedeschi. C’è poi da segnalare la dura presa di posizione della Slovacchia dove il premier, Robert Fico, annuncia di voler chiudere le frontiere ai profughi musulmani. Di queste dichiarazioni parla, nell’intervista di Fausta Speranza, Giandonato Caggiano, docente di diritto dell’Ue all’Università Roma Tre: 

R. – Ci troviamo di fronte ad osservazioni critiche, perché sono sicuramente contrarie sia al diritto dell’Unione che alla Convenzione europea dei diritti umani, in quanto pongono l’accento su una discriminazione di tipo religioso, che è inammissibile sia nell’ordinamento dell’Unione che nella Convenzione europea dei diritti umani.

D. – Ci dice un po’ in dettaglio perché?

R. – Sì, nel diritto dell’Unione Europea abbiamo due direttive – la n° 43 del 2000 e la n° 78 del 2000 – che rispettivamente vietano la discriminazione per motivi di origine etnica e motivi di tipo religioso. Queste due direttive, quindi, sono considerate il perno della democrazia. Si applicano chiaramente anche ai cittadini degli Stati terzi, ai cittadini stranieri, anche se nelle direttive medesime c’è scritto che non possono mettere in discussione le politiche di immigrazione in cui ci può entrare la nazionalità. Ma la base religiosa ed etnica della discriminazione è certamente vietata ed è vietata anche dall’art. 9 della Convenzione europea dei diritti umani sulla libertà di religione, in combinato con l’art. 14 che vieta le discriminazioni. Ancora più in generale, posso dire che si tratterebbe di una violazione ex 7 del Trattato dell’Unione Europea, vale a dire una di quelle gravi violazioni dello Stato di diritto che possono portare alla perdita del voto di uno Stato.

D. – Diversa è invece la posizione della Germania, che parla di espulsioni immediate con procedimenti più rapidi, nel caso vengano riconosciuti colpevoli alcuni in particolare di questi presunti profughi, che stavano in piazza a Colonia…

R. – Certo, questo è un argomento molto serio, sia per gli immigrati che per i rifugiati, perché coloro che ricevono lo status sono ormai equiparati agli immigrati a lungo soggiornanti ormai, dal 2011. Per entrambe le categorie - quella generale degli immigrati e quella più specifica dei rifugiati - non può esistere un concetto di impunità dalle leggi, in particolare dalle leggi penali. Certo, si pongono dei problemi di attuazione del provvedimento di espulsione. L’unico divieto, infatti, che esiste è quello di non rimandare nel Paese di origine una persona che ha il beneficio della protezione internazionale. Certo, quindi, se fossero rifugiati, non potrebbero essere rimandati nel Paese di origine e tecnicamente può risultare difficile mandarli da qualche altra parte. Ma per gli immigrati, che non beneficiano di questo elemento della protezione, evidentemente è possibile l’espulsione, cosa che si fa anche abbastanza regolarmente in Italia, con l’alternativa del carcere, per chi ha commesso dei reati. Naturalmente, ripeto, per quello che riguarda i rifugiati, che sono ormai in Germania una gran parte degli ultimi arrivi, ci sono queste difficoltà: che si possono rimandare dappertutto, ma non nel Paese di origine.

inizio pagina

Abolizione reato clandestinità, Cei: si tutela Stato di diritto

◊  

In Italia l’immigrazione clandestina non sarà più un reato. Secondo fonti di stampa, il governo avrebbe già pronto un decreto per introdurre quella che tecnicamente viene definita "depenalizzazione". Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Il governo dovrebbe abrogare con un decreto, probabilmente il prossimo 15 gennaio, il reato di immigrazione clandestina, introdotto con la legge Bossi-Fini per tutti coloro che entrano in Italia senza regolare permesso di soggiorno. Sarà cancellata la multa dai 5 ai 10 mila euro, di fatto somme inesigibili che impegnano i tribunali con migliaia di procedimenti. Dovrebbe, invece, restare in vigore il provvedimento di espulsione deciso dal prefetto per motivi di ordine pubblico o di sicurezza. Il reato di immigrazione clandestina, più volte bocciato dall'Unione Europea perché non punisce un comportamento ma uno status, è anche ritenuto “un ostacolo alle indagini” per individuare i responsabili della tratta di migranti: se l’immigrato viene sentito come imputato e non semplicemente come persona informata sui fatti – afferma Franco Roberti procuratore antimafia – “può tacere trincerandosi dietro la facoltà di non rispondere”. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, sottolinea inoltre che l’introduzione di questo reato “non ha avuto alcuna funzione deterrente” sui flussi migratori. La decisione del governo è destinata ad innescare una spaccatura nella maggioranza: contro il provvedimento si schiera, in particolare, il Nuovo Centro Destra guidato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano. La Lega, contraria all’abolizione del reato di immigrazione clandestina, annuncia “barricate in Parlamento e poi nelle piazze con un referendum”.

 

L’abolizione del reato di immigrazione clandestina è un passo importante, rincuorante. La legge Bossi–Fini “fa acqua da tutte le parti”. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il direttore generale della Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana, mons. Giancarlo Perego

R. – Certamente va nella linea della tutela di uno Stato di diritto: non si condanna uno status, ma si condanna un reato e questo già lo aveva chiaramente deciso la Corte europea di Giustizia del Lussemburgo. E quindi, da questo punto di vista, è un ritorno ad uno Stato di diritto questa abolizione del reato di clandestinità. Al tempo stesso, come ha fatto notare anche il procuratore antimafia e antiterrorismo, in questi anni noi abbiamo perso molte occasioni di avere collaboratori di giustizia nella lotta ai trafficanti e ai terroristi. Quindi, ancora di più, questa abolizione del reato va anche nel senso di una lotta alle mafie dei trafficanti e al terrorismo che noi tutti auspichiamo.

D. – Con questo provvedimento, come cambieranno le possibili risposte dell’accoglienza?

R. – Certamente, l’accoglienza continuerà nella logica secondo la quale se una persona arriva nel nostro territorio e presenta una domanda di asilo o di protezione internazionale, sarà accolta perché questa persona non è un clandestino o un irregolare fin quando non avrà un decreto di allontanamento. Quindi, in questo senso, soltanto un decreto di allontanamento non darà diritto alla persona di permanere sul nostro territorio e quindi di essere anche accolta all’interno di una nostra struttura. Quindi, da questo punto di vista, ci sarà ancora più chiarezza proprio nell’accompagnamento delle persone e nella loro tutela.

D. – Questa decisione restituisce anche dignità all’immigrato, un ulteriore tassello anche per una vera integrazione …

R. – Sconfigge quella brutta parola “clandestinità”, che tante volte viene utilizzata per identificare migranti e rifugiati prima ancora di incontrarli, di ascoltare la loro storia e prima ancora di mettere in atto, invece, quello che è l’aspetto fondamentale: l’accoglienza e l’ospitalità di una persona, dopo la quale soltanto – attraverso un iter giuridico – si potrà capire se la persona ha un diritto di soggiornare regolarmente nel nostro Paese.

D. – Dunque, un provvedimento importante. Quali altri passi dovrebbe compiere il governo in materia di immigrazione?

R. – Certamente, ormai è evidente che la legge Bossi-Fini che regola l’immigrazione nel nostro Paese è una legge che fa acqua da tutte le parti; e soprattutto, non interpreta un’esigenza fondamentale che sta emergendo sempre più, non solo in Italia ma nel contesto europeo: l’immigrazione va accompagnata, va accolta, va regolata verso percorsi di inclusione e di integrazione. La legge Bossi-Fini è una legge fondata soltanto sulla sicurezza, genera uno Stato semplicemente poliziesco nella lettura dell’immigrazione e non aiuta, invece, quei percorsi e quei processi di integrazione che sono i veri processi del futuro dell’Europa e del futuro dell’Italia.

inizio pagina

Pio XII, uomo di pace in un docu-film inedito di Rai Cultura

◊  

Far luce sulla personalità e sugli aspetti meno conosciuti di Papa Pio XII. E’ quanto si propone il film-documentario intitolato “Pio XII. Uomo della pace e Papa della guerra”, prodotto da Rai Cultura per il programma “Italiani” e presentato ieri nella Curia generalizia dei Gesuiti. Il filmato, che andrà in onda martedì 12 gennaio alle 22.00 su “Rai Storia”, ha unito per la prima volta alle immagini d’epoca provenienti dalle Teche Rai l’audio dell’Archivio sonoro Pontificio della Radio Vaticana. Il servizio di Michele Raviart: 

Eletto al soglio di Pietro pochi mesi prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, Eugenio Pacelli, Papa Pio XII, guidò la Chiesa negli anni terribili del conflitto. La sua condotta durante la guerra, imparziale nelle posizioni ufficiali e sempre volta alla pace, ne hanno fatto negli anni una figura molto dibattuta. Antonia Pilloso, autrice del documentario:

“Abbiamo cercato di ricostruire anche l’anima del Papa Pacelli: quindi andare un po’ oltre a quell’immagine stigmatizzata del Papa freddo, del Papa lontano; mentre era molto vicino alla gente e si è dato veramente molto da fare per Roma e per gli ebrei. Molti religiosi, in città e fuori Roma, hanno accolto l’invito del Papa. Abbiamo filmato anche dei diari delle monache agostiniane, dove il Papa parla dei fratelli ebrei e quindi chiede che siano ospitati anche nei conventi, là dove c’era la clausura”

Si calcola che furono oltre 4 mila gli ebrei protetti nei conventi durante l’occupazione nazista, più della metà di quelli residenti a Roma. Un’operazione in larga scala che non poté avvenire senza l’avallo papale. Tra questi c’era anche Renato Astrologo, sopravvissuto anche al bombardamento di Roma:

“Il 19 luglio del 1943, quando il palazzo fu colpito, io rimasi sei ore sotto le macerie. Quando alle sei del pomeriggio vennero i Vigili del fuoco e ci tirarono fuori, uscendo alla luce del sole – era luglio – la prima immagine che vidi fu quella del Papa: il Papa nella sua veste bianca, una figura ieratica che benediceva la gente disperata, e tutta la sua tunica piena di sangue”.

Le immagini del documentario mostrano infatti Pio XII nel quartiere di San Lorenzo subito dopo l’attacco alleato alla città occupata dai nazisti. Pacelli, l’ultimo Papa romano, era molto legato alla sua città, come dimostrano le tonnellate di cibo che la Santa Sede forniva alla cittadinanza. Su di lui è in corso una Causa di beatificazione affidata da Benedetto XVI ai Gesuiti. Uno di loro è padre Peter Gumpel, storico e relatore della Causa:

“Quello che oggi, più di ogni altra cosa è necessario cambiare è l’opinione pubblica: far vedere che Pio XII non era come a volte è descritto da una stampa sensazionalistica ideologicamente manipolata. Sin dall’inizio la Chiesa cattolica ha preso la difesa degli ebrei: si calcola che migliaia di persone furono salvate da Pio XII. L’opinione pubblica da tutte le parti, inclusi gli ebrei, era che Pio XII aveva fatto moltissimo per loro e aveva salvato tante vite”.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Crisi in Venezuela. I vescovi: stop a dispotismo e militarismo

◊  

In Venezuela sale la tensione politica dopo che le elezioni parlamentari del 6 dicembre scorso hanno segnato la vittoria, dopo 17 anni, dell’opposizione antichavista. L’attuale presidente Nicolas Maduro conserva il potere esecutivo e la direzione delle Forze Armate ancora per altri tre anni, ma deve convivere con la maggioranza parlamentare del Mud, la Tavola dell’Unità Democratica.

I deputati chavisti hanno presentato una denuncia di fronte al Tribunale Supremo di Giustizia per chiedere la nullità di tutte le decisioni assunte dal parlamento, contestando l'insediamento di tre deputati del Mud. Il caso riguarda tre deputati della regione dell'Amazzonia per i quali il Tribunale Supremo aveva chiesto di sospendere l'insediamento, in seguito ad un ricorso dei chavisti. Ma il nuovo parlamento, che si è insediato questa settimana ed è ora presieduto da un esponente del Mud, Henry Ramos, ha provveduto comunque a farli giurare mercoledì. Con i tre deputati contestati, il Mud raggiunge 112 seggi e ottiene la maggioranza dei due terzi. Intanto i deputati del Mud hanno già convocato una commissione speciale per rivedere la nomina, decisa il mese scorso, di 13 giudici del Tribunale Supremo. Nomina che l’ex opposizione considera una frode per alterare gli equilibri in seno al Tribunale a favore dei chavisti. Da parte sua l'esercito venezuelano ha ribadito "fedeltà assoluta" e "sostegno incondizionato" al presidente Nicolas Maduro.

Intanto, mons. Diego Rafael Padrón Sánchez, arcivescovo di Cumaná e presidente dell'Episcopato venezuelano, aprendo ieri l'Assemblea plenaria dei vescovi, ha parlato della situazione nel Paese dopo le elezioni del 6 dicembre: i risultati elettorali – ha detto - sono un netto "rifiuto al despotismo, al militarismo, all'arbitrarietà e alla corruzione". Lo riferisce l’Agenzia Fides. "È un punto di partenza - ha proseguito - per recuperare lo Stato di diritto, il rinnovamento del Paese, la revisione delle politiche nazionali e della politica internazionale. Ma soprattutto, è una vittoria della volontà popolare che richiede un reale cambiamento in materia di libertà, giustizia, diritti umani, sicurezza ed economia". "La nuova Assemblea nazionale - sottolinea - deve dare risposte soddisfacenti, non perché cambia l'economia, ma perché dovrà correggere gli errori e le procedure irregolari, con misure che possano contribuire alla distensione e alla riconciliazione nazionale, come l'amnistia per i prigionieri politici, il ritorno degli esiliati” e la lotta alla corruzione.

inizio pagina

Sparizioni forzate in Guatemala: arrestati 14 militari

◊  

In Guatemala, quattordici militari in pensione sono stati arrestati il 6 gennaio perché sospettati di aver partecipato ad almeno 558 sparizioni forzate avvenute nel Paese tra il 1981 e il 1988. Una nota, inviata a Fides da una fonte locale, informa che in conferenza stampa, la responsabile del Ministero della Giustizia Thelma Aldana ha confermato che gli arresti rappresentano l’esecuzione della sentenza emessa a marzo 2012 dal tribunale che indaga sul massacro del "Plan de Sánchez". In quella strage, perpetrata da squadre dell’esercito il 18 luglio 1982, furono massacrate 256 persone, tra cui donne, bambini e anziani. Nel marzo 2012, per quell’eccidio, cinque ex paramilitari sono stati condannati a 7.710 anni di carcere.
Thelma Aldana ha riferito che 558 scheletri di indigeni sequestrati e giustiziati da squadre dell’esercito sono stati ritrovati in una zona di Coban, Alta Verapaz, che a quel tempo era sotto controllo militare e ora ospita il Comando regionale di formazione per le operazioni di mantenimento della pace (CREOMPAZ).

Un rapporto delle Nazioni Unite ha accertato che in Guatemala sono state 245 mila le persone morte o scomparse durante il conflitto armato (1960-1996). Secondo il rapporto, Il 97% delle morti violente sono state causate dall’azione di gruppi militari e paramilitari.

Gli indigeni in Guatemala sono stati quella parte di popolazione "senza voce" difesa solo dalla Chiesa. Nel 2012, l'intervento di mons. Alvaro Ramazzini è stato fondamentale per favorire il dialogo di migliaia di indigeni con il governo, seguito alla marcia indigena a Totonicapán nell’ottobre 2012.
Va ricordato anche il prezioso ruolo svolto dal cardinale Rodolfo Quezada Toruño, arcivescovo emerito di Guatemala, morto il 4 giugno 2012 ad 80 anni, come grande fautore del dialogo tra il governo e i guerriglieri. Il dialogo si concluse con la firma degli storici "Acuerdos de Paz" che misero fine, nel 1996, a 36 anni di sanguinoso conflitto interno.

inizio pagina

Vescovi argentini: risvegliare le coscienze per costruire la pace

◊  

La pace è un compito che impegna tutti: è quanto afferma mons. José María Arancedo, presidente della Conferenza episcopale argentina (Cea), in una nota pubblicata per l’inizio del nuovo anno. “Desideriamo la pace, ma non sempre investiamo su di essa e lavoriamo per ottenerla – scrive il presule – Sembrerebbe che la desideriamo come un dono, un regalo e non come un qualcosa che dobbiamo conquistare con il nostro operato, la nostra testimonianza, il nostro impegno”.

Pace non è compromesso politico, ma costruzione di verità e giustizia
Di qui, il richiamo al fatto che “la vera pace non è un compromesso politico, a breve durata, poiché essa si costruisce con i valori della verità, della giustizia, dell’amore, della solidarietà, rispettando la vita e la dignità di ogni uomo”. Quindi, il presule argentino si sofferma sull’attualità: “Il mondo di oggi – dice – ci rende tutti spettatori attraverso un’informazione costante sui fatti, ma non risveglia in noi un atteggiamento responsabile e solidale”. “Storditi” dalla quantità di informazioni che ricevono, spiega mons. Arancedo, gli uomini contemporanei “finiscono per essere consumatori indifferenti di notizie” e tale indifferenza porta “isolamento, ignoranza, egoismo, disinteresse” nei confronti del prossimo.

Risvegliare le coscienze per vincere l’indifferenza
Per risvegliare le coscienze, allora – è l’indicazione del presidente della Cea – sarà necessario “interiorizzare valori che divengano poi vincolanti nel nostro agire e nel nostro stile di vita”, vere e proprie “virtù che orientino e determinino il comportamento morale delle persone e della società”, perché “la pace ha bisogno dello sforzo di tutti, in quanto essa è una conquista che riguarda tutti”.

Riconciliazione richiede conversione
Per questo – conclude il presule – ciascuno è invitato a porsi una domanda fondamentale, ispirata alla “Preghiera semplice”, attribuita a San Francesco: “Signore, nella mia vita e nelle mie relazioni sono strumento della tua pace?”, perché la riconciliazione, “dono portato da Cristo”, richiede “la conversione di tutti”. (A cura di Isabella Piro)

inizio pagina

Roma. Migranti, incontro sull'accoglienza a San Gregorio VII

◊  

Un incontro su un tema “caldo”, l’immigrazione, e in un luogo altrettanto cruciale, dopo l’appello di Papa Francesco ad aprire le porte delle parrocchie a chi è in fuga da guerre e miseria. E proprio la parrocchia di San Gregorio VII, a due passi da San Pietro, ospita il 9 gennaio alle 16.30 un incontro sul tema dei migranti ispirato dalle parole pronunciate dal Papa a Lampedusa, l’8 luglio del 2013: “Sempre più spesso le vittime della violenza e della povertà, abbandonando le loro terre d’origine, subiscono l’oltraggio dei trafficanti di persone umane nel viaggio verso il sogno di un futuro migliore. Se, poi, sopravvivono agli abusi e alle avversità, devono fare i conti con realtà dove si annidano sospetti e paure”.

I relatori
Protagonisti del dibattito, dal titolo “Se, perché, come accogliere”, saranno il deputato Khalid Chaouki, Giuseppe Dardes di Caritas italiana, la giornalista Eva Giovannini e Mohammad Jafari, un rifugiato che porterà la sua testimonianza”.

Gli appelli non bastano
“La Chiesa italiana – si afferma nel comunicato di presentazione dell’incontro –  secondo la sua tradizione, si è dimostrata e si dimostra attenta e accogliente; nella nostra città tanto si continua a fare, non sempre questo è riconosciuto, a torto o a ragione. Trovare risposte non è mai semplice, ma sicuramente non bastano appelli superficiali ad assumere maggiore responsabilità”. A moderare l’incontro sarà moderato dalla giornalista Elisa Calessi. (A.D.C.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 8

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.