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Sommario del 04/01/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco in visita privata al Santuario francescano di Greccio

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Nel primo pomeriggio di oggi, Papa Francesco si è recato in auto, in visita privata, a Greccio, in provincia di Rieti, per visitare il luogo in cui San Francesco istituì il Presepe. Il Pontefice è stato a pranzo con il vescovo locale, mons. Domenico Pompili, ha poi visitato la cappella del Santuario francescano, quindi ha incontrato la comunità francescana locale e ha salutato anche un gruppo di giovani.

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Dal 6 gennaio, videomessaggi del Papa per le intenzioni di preghiera

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Dal mese di gennaio, Papa Francesco affiderà ad un suo videomessaggio le tradizionali intenzioni di preghiera per il mese. Si tratta di una nuova e inedita iniziativa dell’Apostolato della Preghiera che prenderà il via con un messaggio il prossimo 6 gennaio. L’ideazione dei video - realizzati in collaborazione con il Centro Televisivo Vaticano - è dell’agenzia di comunicazione “La Machi”. Su questa iniziativa, Alessandro Gisotti ha intervistato il padre gesuita Frederic Fornos, direttore internazionale dell’Apostolato della Preghiera: 

R. – L’Apostolato della Preghiera è la rete mondiale di preghiera del Papa; è una rete di preghiera al servizio delle sfide dell’umanità e della missione della Chiesa, perché sono questo le intenzioni mensili di preghiera del Papa: ci aiutano a conoscere meglio le grandi sfide del mondo di oggi. Sono sfide che ci aiutano a essere molto più coinvolti in questo mondo, in spirito – come diceva Papa Francesco in occasione della Giornata mondiale della pace – di solidarietà, misericordia e compassione per il nostro mondo. Ricordo un messaggio di Papa Francesco in Quaresima, molto forte, e che recitava così: “Siamo saturi di notizie e di immagini sconvolgenti che ci narrano le sofferenze umane e sentiamo, nel medesimo tempo, tutta la nostra incapacità a intervenire”.

D. – In questo nuovo coinvolgimento dell’Apostolato della Preghiera c’è dunque un’iniziativa davvero inedita, nuova, che vede il Papa impegnato in prima persona …

R. – In questo Giubileo della Misericordia, per far conoscere le sfide poste dall’umanità alla missione della Chiesa che il Papa ci affida ogni mese, vogliamo presentarle con un video del Papa: un video di alta qualità, con un équipe di tutto il mondo, con molto talento e creatività; ogni video sarà in dieci lingue. Perché? Per aiutare la gente, i cattolici ma non solo, tutte le persone che desiderino pregare e mobilitarsi per queste sfide dell’umanità; pregare insieme a Papa Francesco per queste sfide ci aiuterà molto. Abbiamo un video ogni mese anche su tutte le Reti Sociali: Facebook, Twitter, Instagram, YouTube dove sarà presentato questo video. E’ un video nel quale sarà il Papa stesso a parlare e ci aiuterà a pregare con lui per queste sfide dell’umanità.

D. – Il 6 gennaio ci sarà il primo video del Papa per le intenzioni di preghiera del mese. Proprio Papa Francesco, qualche giorno fa, parlando ai “Pueri Cantores”, ha detto che come impegno suo, personale, per il 2016 aveva preso quello di pregare di più: questo risponde anche a questo impegno del Santo Padre, no?

R. – Sì, esattamente: questa è la via, questo è il desiderio che lui può avere e che possiamo avere tutti! Pregare con lui per queste sfide dell’umanità e della missione della Chiesa e pregare per un mondo nuovo. Per esempio, per questo mese di gennaio, Papa Francesco ci propone di pregare e di coinvolgerci nel dialogo interreligioso, perché pensa che sia veramente importante, oggi, il rispetto dell’altro per la pace nel mondo. Chiede di pregare perché il dialogo sincero tra uomini e donne di religioni diverse porti frutti di pace e di giustizia.

D. – Papa Francesco parla, in questi videomessaggi, nella sua lingua madre, lo spagnolo, e poi ovviamente ci sono i sottotitoli nelle altre lingue: anche questo è molto bello: sono nella lingua in cui il Papa prega, in cui il Papa probabilmente – anche se di origini italiane – ha imparato a pregare …

R. – E’ vero questo: è bello sentirlo parlare la sua lingua; ci sarà naturalmente la traduzione nelle altre lingue, anche perché sicuramente sarebbe stato difficile che potesse parlare in cinese o in arabo … Abbiamo preferito quindi che parlasse nella sua lingua, la lingua del cuore, della preghiera, della sua intimità con il Signore.

D. – Qual è il messaggio più forte che in questo Anno della Misericordia il Papa vuole dare con questa iniziativa di preghiera?

R. – Penso che con questo video ci aiuti ad aprire il nostro cuore agli altri, alle grandi sfide dell’umanità. Non si tratta di cose generiche: si tratta di uomini, donne, famiglie, bambini. E questo aiuta noi stessi a coinvolgerci in queste sfide, con la nostra preghiera, con la nostra azione perché il nostro mondo possa essere un mondo di più grande solidarietà e compassione, per vincere così l’indifferenza.

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Papa ringrazia vescovi Usa per colletta a Chiese latinoamericane

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Papa Francesco esprime, in una lettera, la propria gratitudine ai vescovi statunitensi per la loro colletta destinata alle Chiese dell’America Latina e dei Caraibi. L’iniziativa, nata nel 1966 e giunta quindi alla 50.ma edizione, è definita dal Pontefice “segno di comunità e solidarietà”, “strumento prezioso per il sostentamento spirituale e materiale” della regione, un modo per “diffondere il Regno di Dio, Regno di giustizia, santità e pace”. “Sono fiducioso – scrive il Papa – che con il supporto della Conferenza episcopale degli Stati Uniti e dei singoli individui, la colletta continuerà a portare abbondanti frutti alla vita spirituale ed alla testimonianza evangelica della Chiesa latinoamericana”.

“Condividere la fede”, motto dell’iniziativa
La colletta si tiene ogni anno nel mese di gennaio, con il motto “Condividere la fede”: Per il 2016, l’appuntamento è il 23 e 24 gennaio. “La Chiesa latinoamericana – scrive in una nota mons. Eusebio Elizondo, presidente della Sottocommissione episcopale che si occupa dell’iniziativa – si trova di fronte a molte sfide, come la mancanza di risorse per aiutare la vita spirituale dei fedeli, la carenza di sacerdoti, l’isolamento di tante comunità”.

Supportare l’evangelizzazione dell’America Latina
Per questo, c’è un bisogno “vitale” di supportare l’opera di evangelizzazione in questa regione del mondo. Infine, il presule ricorda i tanti frutti della colletta, ottenuti nel corso di mezzo secolo di attività: decine le Chiese che sono state aiutate negli anni, attraverso “lo sviluppo di programmi di catechesi, la promozione dell’incontro con Cristo ed il rafforzamento dei legami tra le comunità ecclesiale”. (A cura di Isabella Piro)

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Il Papa crea eparchia per i Siro-Malankaresi in Usa e Canada

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Papa Francesco ha eretto l’Eparchia di St. Mary, Queen of Peace, of the United States of America and Canada dei Siro-Malankaresi e ha nominato primo vescovo eparchiale mons. Thomas Mar Eusebios Naickamparambil, finora esarca apostolico per i Siro-Malankaresi residenti negli Stati Uniti nonché visitatore apostolico per i fedeli in Canada ed Europa.

L’Eparchia conta circa 11.500 fedeli, specialmente negli Stati dell’Illinois, Texas, Michigan, Florida, New York, e il District of Columbia (Washington, DC). Sono distribuiti in 19 parrocchie o missioni, servite da altrettanti sacerdoti. Sul territorio operano anche tre Istituti religiosi femminili. La nuova Circoscrizione ecclesiastica nasce dall’elevazione dell’Esarcato Apostolico per i fedeli Siro-Malankaresi residenti negli Stati Uniti, insieme all’estensione dei confini per includere il Canada, ove la cura pastorale sinora era coordinata da mons. Thomas Mar Eusebios Naickamparambil in qualità di visitatore apostolico. La sede a Elmont (New York), presso la St. Vincent de Paul Malankara Catholic Cathedral.

Mar Eusebios Naickamparambil è nato a Mylapra, nell’Arcieparchia di Trivandrum, il 6 giugno del 1961, è stato ordinato presbitero il 29 dicembre 1986. Dopo aver compiuto gli studi di filosofia e teologia al Jnanadeepa a Poona, ha conseguito il dottorato in filosofia a Roma. Parla malayalam, inglese, tedesco, italiano, hindi e conosce il siriaco, il greco e il francese. Mar Eusebios ha ricoperto i seguenti incarichi: vice parroco e parroco in diverse comunità, professore e poi decano di filosofia al St. Mary’s Malankara Major Seminary, Segretario Generale dell'Arcivescovado Maggiore della Chiesa Siro-Malankarese, “Public Relations Officer”, coordinatore per il dialogo interreligioso e segretario del Consiglio presbiterale, direttore della Sarvodaya Vidyalaya, una scuola di Trivandrum, ed economo del Mar Baselios Engineering College. Il 14 luglio 2010, l’Ecc.mo Mons. Naickamparambil è stato nominato Vescovo titolare di Lares e primo Esarca per i fedeli Siro-Malankaresi residenti negli Stati Uniti. Allo stesso tempo, gli è stato affidato l’incarico di Visitatore Apostolico per i fedeli Siro-Malankaresi residenti in Canada e in Europa, compiti cessati con la sua nomina a Vescovo Eparchiale di St. Mary Queen of Peace.

Nel Salvador, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Santiago de María, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Rodrigo Orlando Cabrera Cuellar. Al suo posto, il Pontefice ha nominato il sacerdote William Ernesto Iraheta Rivera, del clero dell’arcidiocesi di San Salvador, finora Parroco della Parrocchia “San Marcos”. Il neo presule è nato a Jayaque, arcidiocesi di San Salvador, il 24 gennaio 1962. Prima di entrare in Seminario ha conseguito il Baccalaureato in Matematica e Scienze Fisiche presso l’Istituto “Francisco Linares” di Apopa. Ha frequentato gli studi di Filosofia e di Teologia presso il Seminario Maggiore “San José de la Montaña”. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale per l’arcidiocesi di San Salvador il 27 dicembre 1988. Ha svolto i seguenti incarichi: Viceparroco nella Parrocchia “San Roque”, Direttore del Centro Scolastico “La Rosa Blanca”, Parroco della Parrocchia “San Roque”, Moderatore della Curia arcidiocesana, Direttore della Caritas, Delegato Episcopale per l’Educazione e, dal 2008, Parroco della Parrocchia “San Marcos”.

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Rabbino Momigliano: visita Papa a Sinagoga Roma è molto importante

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E’ necessario “ribadire con convinzione alle nostre comunità e a tutti gli uomini ricchi di sensibilità e di sapienza” l’urgenza di “proseguire il cammino di dialogo che vent’anni fa abbiamo voluto iniziare”. E’ questa la priorità indicata nel messaggio congiunto di Cei-Rabbini d'Italia che presenta la XX Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. La Giornata si celebrerà il prossimo 17 gennaio, lo stesso giorno in cui Papa Francesco si recherà in visita alla Sinagoga di Roma. La visita al Tempio Maggiore avverrà esattamente sei anni dopo quella di Benedetto XVI (17 gennaio del 2010). Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

Attraverso le loro fedi, cattolici ed ebrei riconoscono “anzitutto tutto il bene che c’è nel mondo”, scrivono nel messaggio mons. Bruno Forte, presidente della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale italiana, e il rabbino Giuseppe Momigliano, presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia. La Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei avrà per tema: “Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo”.

Un cammino comune tra le angosce del presente
E’ un cammino comune – spiegano mons. Bruno Forte e il rabbino Giuseppe Momigliano - quello che porta a vivere “con angoscia gli eventi del presente” e a cogliere con preoccupazione “i segni sempre più frequenti di un’umanità smarrita, delusa da tante false idolatrie che hanno condotto i loro seguaci in percorsi colmi di rovine e senza futuro”.

Senza la ricerca dell’Eterno, si perde il valore del tempo
E’ un tempo - si legge nel testo - segnato dalla fatica degli uomini “a concepire progetti per il futuro”, a custodire “responsabilmente i beni del creato” per le generazioni future, poiché “quando viene a mancare la ricerca dell’Eterno, si smarrisce anche il valore del tempo” oltre i confini della vita.

Dialogo fecondo per una reciproca conoscenza
Viene inoltre ribadita la fiducia che proprio “dal fecondo dialogo intrapreso”, “dalla ricerca di valori morali e spirituali condivisi nei quali operare in sintonia”, possa scaturire “una positiva testimonianza di fede”. Ogni cammino – si sottolinea nel messaggio – può conoscere “tappe di maggiore slancio”. Ma ogni cammino fatto insieme “è indispensabile per la reciproca conoscenza”.

La ‘Nostra Aetate’ ha aperto una nuova epoca
Il percorso di dialogo intrapreso è una concreta realizzazione di quel dialogo fraterno di cui parlava la Nostra Aetate, “per entrambi le parti una pietra miliare nell’apertura di una nuova epoca”. La fraternità - si legge infine nel documento - “per troppo tempo nascosta e disumanamente ostacolata” si manifesta sempre nella “sua provvidenziale attualità”.

La Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei sarà coronata, il prossimo 17 gennaio, dalla visita di Papa Francesco alla Sinagoga di Roma. Sarà un evento molto importante, sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco il presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia, il rabbino Giuseppe Momigliano:

 

R. – E’ un evento importante che conferma sia l’attualità del dialogo sia l’importanza di manifestare con eventi che richiamano l’approfondimento dei temi del dialogo stesso… Quindi sicuramente, così come avvenuto negli incontri in Sinagoga realizzati a partire da Papa Giovanni Paolo II, anche questo avrà un ruolo molto importante nel mantenere l’attenzione sui temi più importanti su cui si deve concentrare il dialogo.

D.  – Il dialogo fecondo tra cattolici ed ebrei prosegue in un tempo segnato da angosce per il presente. L’umanità - si legge nel messaggio - è smarrita, "delusa da tante false idolatrie"…

R. – In questo momento il dialogo ha valore non soltanto in quanto momento importante nelle relazioni ebraico-cristiane ma anche come un tema che viene proposto come richiamo alla coscienza, per la ricerca dei valori spirituali, la ricerca del rapporto con l’eterno, di chiavi di risposta e di interpretazione di un periodo drammatico. In questo tempo è necessaria la difesa, ma occorre anche richiamarsi a temi morali, a valori più alti… Penso che la fede ci aiuti anche a ragionare in ambiti più ampi, quindi a fare propositi e progetti che non siano solo per l’immediato.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Impegno contro l'indifferenza: all'Angelus il Papa rilancia il messaggio della Giornata mondiale della pace.

Muro contro muro tra Riad e Teheran: l'Arabia saudita rompe le relazioni diplomatiche con l'Iran.

Una crepa nell'armatura: Edoardo Zaccagnini sulla serie televisiva "The Americans".

Il barbaro santo: Giovanni Cerro su una biografia di Carlo Magno.

Silvia Guidi su Lévinas e il selfie di capodanno: storie di ordinaria disumanità in mezzo ai brindisi per l'arrivo del 2016.

Fabrizio Bisconti sulla stella di Matteo nell'iconografia dei magi.

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Oggi in Primo Piano



Dopo i sauditi, anche Bahrein e Sudan rompono rapporti con l'Iran

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Continua la crisi tra Arabia Saudita e Iran dopo la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, leader delle comunità sunnite e sciite. Ora anche il Bahrein e altri Paesi musulmani hanno preso provvedimenti contro Teheran, mentre l’Unione Europea ricorda che “nessuno sforzo va risparmiato per evitare l’escalation della tensione”. Il servizio di Michele Raviart

I diplomatici sauditi, circa 80, hanno lasciato Teheran nella notte, dopo l’attacco alla loro ambasciata, incendiata e saccheggiata da un gruppo di civili. Il gesto, nato dalle proteste per la morte dell’imam sciita Al-Nimr, condannato e ucciso per terrorismo in Arabia Saudita insieme ad altre 46 persone, ha portato a decine di arresti. Un provvedimento non ritenuto sufficiente dal governo saudita, che ha rotto le relazioni diplomatiche tra i due Paesi e ha dato 48 ore di tempo al personale diplomatico iraniano per lasciare il Paese arabo. Interrotti i rapporti con l'Iran anche da parte di Bahrein e Sudan, mentre gli Emirati Arabi Uniti hanno richiamato l’ambasciatore e ridotto il personale a Teheran. Si accentua così la frattura tra mondo musulmano sunnita e sciita, che rischia di ripercuotersi in tutto il Medio Oriente. L’Alto rappresentate per la politica estera europea Mogherini teme che queste tensioni mettano in discussione i colloqui di pace per la Siria delle prossime settimane, mentre la Russia si è offerta di mediare tra i due Paesi.

In questo contesto appare decisivo il ruolo degli Stati Uniti, come spiega Antonio Negri esperto dell'area mediorientale per il “Sole 24 ore”:

 

R. – Era molto probabile che ci potesse essere un innesco di alta tensione tra Riad e Teheran. Ma questo messaggio, a chi è diretto? Da una parte, ovviamente, agli iraniani, la potenza rivale dei sauditi, e dall’altra parte agli Stati Uniti perché hanno cambiato le regole del gioco nel Golfo facendo questo accordo con l’Iran - il 14 luglio scorso - in cui si è arrivati all’intesa sul nucleare e alla prossima cancellazione delle sanzioni. I sauditi sono in difficoltà perché stanno perdendo la guerra in Yemen, non vincono quella in Siria e quindi chiedono agli americani di tirarli "fuori dai guai". Dalla reazione americana si commisureranno tutte le altre reazioni degli attori della regione, in primo luogo degli iraniani.

D. – Che ripercussioni avrà questa scelta di rompere le relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran in tutta l’area, pensando soprattutto alla Siria …

R. – Ovviamente avrà delle ripercussioni anche sul negoziato che intendono avviare le Nazioni Unite intorno al 20, 25 gennaio. Questo negoziato sulla Siria è decisivo per dare una rappresentanza soprattutto al fronte sunnita di cui i sauditi si fanno portabandiera. Ma, certamente, con la rottura di queste relazioni diplomatiche sarà sempre più difficile arrivare a compromessi.

D. – Si può pensare all’idea che ci sia una guerra diretta tra queste due grandi potenze regionali?

R. – Certamente si può pensare, perché quelle indirette sono state tantissime, a cominciare dall’80 quando Saddam Hussein attaccò l’Iran sciita di Khomeini e i sauditi e le monarchie del Golfo lo finanziarono con 50 miliardi di dollari, una guerra che durò otto anni con un milione di morti. Poi, indirettamente, ci sono state guerre tra sciiti e sunniti, quelle dell’Afghanistan ma anche quella dell’Iraq nel 2003 che portò alla caduta di Saddam e all’ascesa di un governo a maggioranza sciita a Baghdad. In tutto questo è chiaro che questi conflitti come in quelli in Siria sono stati dei conflitti per procura. Uno scontro diretto è possibile, ma certamente tutti gli attori regionali, soprattutto le grandi potenze e in particolare gli Stati Uniti, cercheranno di frenarlo in un momento come questo, perché l’America - lo abbiamo visto - non ha voglia di esser coinvolta in un conflitto mediorientale nell’anno delle elezioni presidenziali.

D. - In che cosa differiscono gli interessi di Arabia Saudita ed Iran?

R. - Differiscono dal punto di vista ideologico, religioso ma anche economico. Quello economico è determinato dal prezzo del petrolio. I sauditi nel novembre del 2014 hanno cominciato una sovrapproduzione per deprimere i prezzi ed occupare quote di mercato, minacciato dallo "shale oil" americano e dal ritorno dell’Iran sui mercati e cercando di metterne con le spalle al muro l’economia. Questa strategia in parte non è solo fallita, ma soprattutto è stata pagata anche dai sauditi. Poi c’è quello religioso tra sunniti e sciiti che ha radici storiche, dal 680, che sono poi state rinnovate negli anni ‘70 e ‘80 con l’ascesa della repubblica islamica iraniana a Teheran.

D. - Il terrorismo può trovare terreno fertile da questa tensione?

R. - Innanzitutto questo conflitto approfondisce ancora di più la disgregazione degli Stati della regione che si trova anche con frontiere sempre più insicure. Questi Stati in qualche modo vacillano nella loro stessa essenza ed è per questo che la situazione è pericolosa; oltre tutto, è chiaro, che questa destabilizzazione e questa disgregazione favoriscono un’ulteriore intensificazione del terrorismo.

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Béchara Raï: cristiani in fuga per i contrasti tra sciiti e sunniti

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La crisi tra Iran e Arabia Saudita, tra sunniti e sciiti, coinvolge i cristiani della regione. Ma in che modo i cristiani dell’area mediorientale stanno vivendo questa situazione? Eugenio Bonanata lo ha chiesto al patriarca maronita libanese, il cardinale Boutros Béchara Raï

R. – Purtroppo questa crisi fa del male a tutti quanti: sia ai cristiani sia ai musulmani. I cittadini tranquilli sono costretti a lasciare i loro Paesi perché non possono vivere sotto i bombardamenti. Quanto a noi cristiani, portiamo sempre il messaggio che oggi più che mai questo Medio Oriente ha bisogno della presenza cristiana perché possa sempre annunciare il Vangelo della fratellanza, della dignità della persona umana e quindi la nostra predicazione diventa sempre più necessaria. Purtroppo la guerra è la guerra e la gente è costretta a scappare. Noi cerchiamo in tutti i modi di aiutarli, di supportarli e speriamo che anche il mondo occidentale possa fare lo stesso. E’ molto facile dire: “Venite da noi”, però è più importante aiutarli a rimanere nei loro Paesi. Dobbiamo conservare la nostra presenza, la nostra missione. Per noi  è molto importante questa convivenza con i musulmani.

D.  – Qual è il significato di questa crisi, cosa c’è dietro secondo lei?

R. – Da 1.300 anni c’è un conflitto latente tra sunniti e sciiti. Purtroppo ci sono degli interessi regionali e internazionali. Gli interessi regionali sono l’Arabia Saudita e l’Iran, due potenze che vogliono ognuna fare la sua strategia politica ed economica e raggiungere il Mediterraneo. E questo contrasto politico purtroppo è diventato un conflitto di guerra. Poi a livello internazionale ci sono gli alleati sia dell’Arabia Saudita sia dell’Iran che hanno i loro interessi. Posso dire che tutta questa guerra in Siria, in Iran, nello Yemen – e che Dio preservi adesso l’Arabia Saudita – ci sono in gioco solo gli interessi internazionali e locali: interessi economici, politici e strategici. Purtroppo la fonte di tutti questi malanni è l’insolubile crisi palestinese. Finché la comunità internazionale non risolve il conflitto israelo-palestinese non avremo mai pace in Medio Oriente.

D. - Cosa dire delle conseguenze pratiche nell’intera regione?

R. – La conseguenza è la distruzione di Paesi, di culture, di identità, di persone. E noi cristiani, in 1.400 anni di vita in comune nel Medio Oriente con i musulmani, nonostante tutte le peripezie, abbiamo creato la moderazione. Purtroppo oggi la si sta distruggendo. Comunque noi vogliamo rimanere qui e vogliamo aiutare l’islam a vivere una vita moderata e non lasciarlo in preda a tutte le organizzazioni terroristiche e fondamentaliste. Sappiamo che queste organizzazioni sono aiutate e sostenute politicamente con i soldi e con le armi da Paesi che hanno influenza nella regione e hanno i loro interessi. Questa è la verità chiara e tonda.

D. – In conclusione, come contrastare questo stato di cose? Qual è l’auspicio?

R. – Bisogna sempre mobilitare, come fa il Santo Padre, tutti quelli che sono di buona volontà e insistere sulla necessità di smettere le guerre. Il Santo Padre Francesco aveva predetto fin dall’inizio che si tratta di un commercio di armi. E’ vero, è vero! Tutte queste guerre…Bisogna alzare la voce al Consiglio di Sicurezza dell’Onu e dire che bisogna cessare le guerre! E’ inutile, la guerra non risolve niente. La guerra genera altre guerre, altro odio nel mondo. Questo è quello che chiediamo ovunque: bisogna alzare la voce. Purtroppo si sente una sola voce, quella di Papa Francesco. Nessun Paese parla di pace, nessun Paese parla di cessare la guerra.

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Messico, sindaco anti-narcos uccisa a poche ore da insediamento

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In Messico, il sindaco anti-narcos Gisela Mota Ocampo è stata uccisa nel primo giorno del suo mandato: ad assassinarla sono stati quattro uomini armati appartenenti al gruppo criminale locale “Los Rojos”. Secondo quanto riferito dalle autorità, due dei killer sono stati uccisi dalla polizia mentre tentavano di fuggire, altri tre sospetti sono stati catturati. La 33enne esponente del Partito della Rivoluzione Democratica aveva vinto le elezioni a Temixco, a 80 chilometri dalla capitale, Città del Messico, con la promessa di combattere la corruzione e il narcotraffico, grandi problemi non solo della città ma di tutto il Paese. Veronica Di Benedetto Montaccini ha intervistato Mario Javier Osorio, corrispondente dell’agenzia Notimex in Messico: 

R. – A Morelos, che è la regione dove era stata eletta Gisela Mota, non solo per la presenza di gruppi di traffico illegale ma per una situazione di corruzione generale, la presenza della criminalità organizzata si è sviluppata ed è cresciuta negli anni. In alcune regioni è diventata potente e trova il modo di fare soldi non solo tramite la droga ma anche attraverso il rapimento di persone, il sequestro, l’estorsione. Tutti metodi che possono essere definiti mafiosi. E’ una presenza molto pervasiva quella del narcotraffico ed attecchisce soprattutto in due regioni molto problematiche: quella di Guerrero, dove nel 2013 sono stati assassinati 43 studenti, che sono stati poi fatti sparire, e quella di Michoacán, culla di un noto cartello del narcotraffico chiamato "la famiglia di Michoacán". A quanto sembra Gisela Mota è stata assassinata, nel primo giorno del suo mandato insieme ad altre due persone, da un gruppo di sicari chiamati “Los Rojos” che sono narcotrafficanti territoriali. 

D. - Di che tipo di organizzazioni criminali si tratta?

R. - Ci sono diverse tipologie di narcotrafficanti. “Los Rojos”, in particolare, è il gruppo più locale anche se oggettivamente ha rapporti con Guerrero e di Michoacán che hanno una presenza più diffusa e internazionale nel narcotraffico. La parte più redditizia è il traffico di droga verso gli Stati Uniti. Infatti, Michoacán, anche se si trova a nord, è una delle rotte tipiche per cui passa la droga per gli Usa.

D. - Secondo il Rapporto per la Sicurezza Pubblica del 2015 ci sono stati 499 omicidi solo nella zona di Morelos, solo in un anno e secondo l’International Institute for Strategic Studies di Londra, il Messico è il 3° Paese con più morti in un conflitto armato dopo Siria ed Iraq. La violenza fa parte della strategia del narcotraffico?

R. – Le faccio solo un esempio di come si sia evoluta in peggio la situazione in Messico: Cuernavaca era chiamata la “città dell’eterna primavera” solo dieci anni fa perchè era scelta da molte persone come rifugio, come posto dove avere la casa per il fine settimana, quindi una città molto tranquilla. Adesso purtroppo, da qualche hanno, la situazione è completamente cambiata a causa di questa presenza criminale che usa la violenza per terrorizzare la popolazione, per stabilire il proprio potere e la propria influenza in tutta la zona e non ha paura di uccidere. 

D. – Gisela Mota è solo uno dei politici diventati "scomodi". Quali sono le campagne elettorali che spaventano di più il narcotraffico?

R. – Molti sono i casi recenti, la prima vittima è stata il 2 marzo scorso Aidè Gonzales, candidata per il Partito della Rivoluzione Democratica nello Stato di Guerrero. Il primo maggio scorso Ulises Quiroz, nella città di Chilapa. Poi ancora due candidati ad amministratori comunali freddati a colpi di fucile mentre tornavano a casa sempre a maggio. Ci sono situazioni molto complesse dove oltre al narcotraffico c’è la corruzione politica, che si è insediata dappertutto: Gisela era del Partido de la Revolucion Democratica, di centro-sinistra, che pure al suo interno nella sua storia ha avuto diversi episodi di corruzione, di legami con il narcotraffico...

D. – Il 7 giugno prossimo ci sono le elezioni amministrative per eleggiare i nuovi 500 deputati. Anche il processo elettorale è corrotto secondo lei?

R.  -  Non si può generalizzare, naturalmente. Però ci sono situazioni di corruzione e l’intreccio tra potere politico e potere criminale esiste. Credo però che il sistema elettorale in senso stretto, ovvero gli spogli, il voto ancora segreto, siano ancora puliti e siano una speranza di cambiare le cose anche nelle prossime elezioni.

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Catalogna: la sinistra non appoggia Mas. Elezioni anticipate

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Spagna. In Catalogna tutto da rifare per il governo locale. La sinistra radicale ha negato il proprio sostegno al leader separatista, Artur Mas, vanificando di fatto la sua investitura alla guida dell’esecutivo dopo le elezioni di fine settembre. Adesso c’è tempo fino al prossimo 9 gennaio per negoziare un nuovo difficile accordo. In caso contrario si tornerà alle urne. Sulla situazione Giancarlo La Vella ha intervistato il giornalista spagnolo, Antonio Pelayo, corrispondente in Italia per l’emittente Antena Tres: 

R. – Non è facile neanche per noi spagnoli capire questi avvenimenti, perché c’è una tale complessità nei giochi tra le forze politiche in Catalogna, che non è facile seguire. Oggi siamo arrivati a un punto finale, perché il progetto del presidente Mas è naufragato, cioè il suo partito si sta sgretolando. L’altro partito maggioritario non lo sostiene e dunque vedremo che cosa decideranno le urne quando saranno convocate.

D. – Questo vuol dire che le istanze indipendentiste sulle quali Mas avrebbe voluto aggregare la maggioranza, non sono così forti come era sembrato?

R. – Intanto, nelle ultime elezioni, le cifre non davano la maggioranza ai movimenti indipendentisti. Ma poi succede che tra questi movimenti indipendentisti la frantumazione è enorme: non riescono a mettersi d’accordo partiti con partiti e non riescono a mettersi d’accordo all’interno dei singoli partiti. Speriamo che riescano a dare una soluzione a una regione che è una di quelle più importanti della Spagna e che ha bisogno di essere governata. La crisi sta causando enormi problemi all’economia della Catalogna, perché chi vuole fare investimenti in una regione della quale non si sa quale possa essere il futuro immediato della politica?

D. – Le vicende catalane, in che modo possono influire a livello nazionale?

R. – La lettura che si può fare è dare appoggio a un governo che sia stabile, a un governo che abbia la fiducia dei cittadini, e in questo senso il Partito popolare, che è stato comunque il più votato delle ultime elezioni, anche se non ha avuto la maggioranza assoluta, potrà vedersi rinforzato.

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Unioni Civili. Mons. Fragnelli: mettersi dalla parte dei più deboli

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Tema caldo nell’agenda politica di inizio 2016 in Italia il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili. L’avvio del dibattito a Palazzo Madama è previsto per il prossimo 26 gennaio. Per il premier Renzi è “una ferita che va sanata, l’Italia è fanalino di coda in Europa”. La maggioranza è spaccata soprattutto sul nodo della "stepchild adoption", ovvero l’adozione da parte di uno dei due componenti di una coppia, anche omosessuale, del figlio naturale o adottivo del partner. Secondo i più critici il provvedimento equipara unioni gay e matrimonio e rischia di aprire alla pratica dell’utero in affitto. Al microfono di Paolo Ondarza la riflessione di mons. Pietro Maria Fragnelli, vescovo di Trapani e presidente della Commissione Cei per la famiglia: 

R. – Certamente la materia che si appresta a passare dalla Commissione al Parlamento sollecita la coscienza civile di tutti gli italiani, quindi anche dei cattolici. Si tratta, da un lato, di arrivare a definire un quadro sia giuridico che psicologico adeguato alla necessità reale di ogni persona e dall’altro - anche al di là delle possibili strumentalizzazioni ideologiche - di mettersi veramente dalla parte dei più deboli.

D. – In particolare, il dibattito si sta concentrando sulla questione della “step child adoption” che, secondo alcuni, aprirebbe di fatto all’adozione più in generale per le coppie omosessuali e quindi andrebbe contro il diritto dei minori ad un papà ed una mamma …

R. – La sensibilità nei confronti del minore, del bambino, non solo dei cattolici ma di ogni sano esperto di psicologia, dice che il bambino ha diritto alla rappresentanza maschile e femminile, alla presenza del padre e della madre. Quindi su questa materia bisognerà ancora confrontarsi, non rimanere in situazioni grigie che si servono del bambino per questioni – se vogliamo – più di potere da affermare, piuttosto che di servizio da offrire.

D. – Pensando al valore fondante che ha il matrimonio tra un uomo ed una donna per la società, quali considerazioni si possono fare nel momento in cui si affronta il nodo, la questione, delle unioni civili?

R. – Forse Papa Francesco ha dato, fin da quando è stato a Filadelfia, un’indicazione: ci ha voluto dire che c’è una "fabbrica naturale" di speranza, la famiglia, oltre la quale non è lecito - come dire - ”passare oltre” semplicemente perché magari ci sono altre urgenze che impongono attenzioni immediate, dirette a qualcos’altro. Perciò, noi cattolici abbiamo il dovere di riscoprire che cosa vuol dire che la famiglia è una fabbrica di speranza non solo nel nostro Paese, ma forse anche negli altri Paesi. Gli altri Paesi, quelli europei, a cui a volte si pensa di conformarsi, hanno bisogno di riattingere a questa fabbrica di speranza che invece la Chiesa porta avanti nel mondo intero.

D. – Altrimenti, cosa si rischia?

R. – Si rischia di complicare il rapporto tra noi e si rischia di definire sempre meno chiaramente una società dove abbiamo la gioia di vivere insieme. Rischiamo di fare un Paese legale che invece di aiutare il Paese reale non lo comprende più, va per conto suo e noi non abbiamo nessun interesse a costruire un Paese legale che sia in contrapposizione o comunque indifferente al Paese reale.

D. – Qual è il ruolo del laicato cattolico?

R. – Il laicato cattolico ha una responsabilità grande: quella, da un lato, di continuare a nutrirsi delle sue radici, delle sue fonti di ispirazione - la Parola di Dio, il confronto con il Magistero - e, dall’altro, quello di leggere i segni dei tempi, di aprirsi al dialogo serrato e serio con qualunque persona su cose che sono diventate di emergenza, urgenti, nel dibattito interno dell’Europa e del mondo. Se il tema, il percorso delle unioni civili porterà avanti insieme una visione personalistica e comunitaria, questa sicuramente potrà essere un’occasione, un segno dei tempi all’interno dei quali noi vogliamo essere presenti senza paura, con grande fiducia nel Signore da un lato, ma anche nella ragione umana, nel buonsenso, nella capacità di dialogo.

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Quattro donne morte di parto. Per l'Iss è "tragica fatalità"

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In Italia, dolore e sconcerto per la morte - durante la settimana natalizia - di cinque donne in gravidanza, arrivate allo scadere del parto e così anche di quattro dei loro bimbi che non hanno visto la luce. Sui diversi casi avvenuti a Torino, Verona, Bassano del Grappa, Brescia e Foggia, il Ministero della sanità ha disposto inchieste per accertare le cause ed eventuali responsabilità. Siamo di fronte ad una tragica casualità o ci sono motivi di sospettare potessero essere morti evitabili? Roberta Gisotti lo ha chiesto a Serena Donati, responsabile del Sistema sorveglianza mortalità materna dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss): 

R. – Direi decisamente una tragica fatalità. Nel senso che la mortalità materna nel nostro Paese è un evento estremamente raro: parliamo di 10 morti materne ogni 100 mila bambini che nascono vivi, quindi un evento molto raro. E purtroppo, tutti gli eventi rari si distribuiscono nel tempo in maniera molto insolita e capricciosa, per cui abbiamo tanti eventi in un intervallo di tempo molto breve, poi magari abbiamo mesi senza alcun evento. Quindi, è una casualità che non rispecchia in alcun modo la qualità dell’assistenza nel nostro Paese. Noi, per fortuna, abbiamo un sistema di sorveglianza che ci permette di avere un dato rispetto a quante morti ci attendiamo ogni anno nel Paese e noi sappiamo che questi 5 decessi rientrano nei circa 50 decessi annui che si verificano nel nostro Paese a seguito di gravidanza, parto e puerperio.

D. – Questi dati che lei ha citato, e che pongono l’Italia tra i primi dieci Paesi per una mortalità materna più bassa, sono dati aggiornati?

R. – Noi abbiamo un dato che è prodotto da un sistema di sorveglianza che è finanziato dal ministero della Salute ed è coordinato dall’Istituto superiore di sanità e che al momento copre il 73% dei nati del Paese, con otto regioni importanti ben distribuite tra il Nord, il Centro e il Sud del Paese. Questo dei 10 per 100 mila è un dato che abbiamo prodotto qui in Istituto, ed è relativo agli anni 2006-2012 in sei di queste otto regioni, che coprono la metà dei nati del Paese. Quindi è un dato affidabile, solido, che ha corretto una stima che non è precisa quando viene fatta esclusivamente attraverso i certificati di morte. Per cui, ogni decesso materno che avviene nel Paese in queste regioni che partecipano alla sorveglianza viene studiato nel dettaglio per capire se ci sono delle criticità nell’assistenza o nell’organizzazione dell’assistenza che possano essere migliorate e che ci possano aiutare a ridurre le morti evitabili. Si stima che nei Paesi socialmente avanzati, circa il 50% delle morti possa essere evitato. Quindi, il sistema di sorveglianza è in piedi non solo per avere un dato corretto, completo, valido con cui confrontarci con il resto del mondo, ma principalmente per capire dove e come possiamo migliorare per ridurre a zero le morti evitabili. Non possiamo ridurre a zero la mortalità materna: nessuno può farlo, in nessun Paese del mondo. Però possiamo cercare, appunto, di limitare quei casi in cui un miglioramento nell’assistenza ci metta nella condizione di ridurre i casi prevedibili.

D. – In questi giorni, il presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia, il dr. Paolo Scollo, ha rassicurato sulla sicurezza del Sistema sanitario in Italia ma ha pure detto che si può fare forse di più nel monitorare le gravidanze. Ad esempio, ha citato il caso di due tra le donne morte che avrebbero sofferto di obesità…

R. – Sui casi recenti non abbiamo ancora la documentazione clinica per poter esprimere un parere in merito. In assoluto, noi sappiamo che esistono dei fattori di rischio per la mortalità materna, che sono l’età materna avanzata, il basso livello di istruzione e anche una condizione di obesità rappresenta un fattore di rischio per una gravidanza che si complica più facilmente. Quindi, noi sappiamo qual è l’identikit delle donne a rischio, e l’Istituto – da questo punto di vista – si è fatto carico in pieno della sorveglianza, non soltanto raccogliendo i dati ma promuovendo anche tutte le azioni necessarie a migliorare l’assistenza. Per esempio, per l’emorragia del post-partum, che è la prima causa di mortalità nel nostro Paese, l’Istituto ha già predisposto un corso di formazione a distanza per i professionisti sanitari, sta poi preparando una linea-guida sulla prevenzione e il trattamento dell’emorragia post-partum ed ha iniziato una raccolta di dati attraverso uno studio nelle regioni che partecipano, per capire nel dettaglio quali siano le criticità delle donne che arrivano quasi a morire ma non decedono per questa patologia. Quindi, si fa formazione, si producono raccomandazioni per la pratica clinica, si fa aggiornamento, si fa ricerca, proprio per ridurre anche quella piccola quota di evitabilità che ci consentirebbe di ridurre un po’ questo numero che è già comunque molto contenuto.

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Nella Chiesa e nel mondo



Pakistan: per il Giubileo, nuova Chiesa dedicata a San Pietro

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Una nuova Chiesa dedicata a San Pietro Apostolo è il dono che l’Anno della Misericordia porta con sé per i fedeli pakistani di un piccolo villaggio nei pressi della città di Okara, nella diocesi di Faisalabad. Come riferito dall’Agenzia Fides, la nuova Chiesa, eretta sul luogo dove prima sorgeva una cappellina divenuta insufficiente come spazio di culto, è stata inaugurata e benedetta con un solenne Eucaristia da Mons. Joseph Arshad, vescovo di Faisalabad, alla presenza del parroco locale, padre John Murad, e di altri sacerdoti e religiosi.

Un segno di unità, di amore e di misericordia
La comunità locale, guidata da p. Murad, si è data molto da fare nei mesi corsi per reperire materiali, mano d’opera, piccoli finanziamenti o donazioni, per ricostruire la Chiese che ora serve le oltre 100 famiglie cattoliche presenti nel villaggio. “La nuova Chiesa è segno di unità tra i fedele e vuole essere un segno di amore, unità e misericordia verso tutta la popolazione del villaggio”, ha rimarcato il Vescovo alla celebrazione, gremita di fedeli locali, bambini, e anche di non cristiani”.

Durante il Giubileo, deporre ogni spirito di odio e di vendetta
“La nuova chiesa è segno visibile della presenza di Cristo in mezzo a noi”, ha proseguito il presule ringraziando, poi, quanti si sono dati da fare per l’edificazione. “Nell’anno del Giubileo della Misericordia, Cristo ci vuole misericordiosi come il Padre”, ha ricordato, invitando infine a deporre ogni spirito di odio e vendetta e a “riempire tutto il territorio e tutto il Pakistan con la misericordia di Dio”.

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Bangladesh: cattolici in festa per la nuova diocesi di Barisal

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I cattolici dell’area di Barisal, 123 chilometri dalla capitale del Bangladesh, aspettavano da tempo di avere una propria diocesi. "Ora il Papa ha esaudito il loro desiderio, farò di tutto per prendermi cura di loro”, ha detto ad AsiaNews mons. Lawrence Subrato Howlader, primo vescovo della nuova diocesi creata da Francesco il 29 dicembre scorso. La nuova circoscrizione ecclesiastica è nata per dismembramento della diocesi di Chittagong, e sarà suffraganea della sede metropolitana di Dhaka.

Il Paese ha ora sette diocesi per circa 161 mila cattolici
Per il presule “la distanza fra Barisal e Chittagong era una barriera imponente per il nostro lavoro pastorale. Ora questa barriera è stata rimossa, e io rendo grazie a Dio onnipotente”. Con la decisione del Papa, ora il Paese ha sette diocesi e un’arcidiocesi. Barisal confinerà a Est con la diocesi-madre di Chittagong e ad Ovest con la diocesi di Khulna. La chiesa cattedrale della nuova diocesi sarà la chiesa di San Pietro in Barisal e patrono della nuova sede sarà San Pietro Apostolo. Su una popolazione di 161 milioni di persone, in Bangladesh i cattolici rappresentano una minoranza di appena lo 0,1%, contro l'89,5% di musulmani e il 9,6% di indù.

 

 

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La Reunion. Mons. Aubry stila un “decalogo” per il Giubileo

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“Lasciarsi avvolgere dalla misericordia di Dio per essere in grado di donarla agli altri”: questo l’incoraggiamento rivolto da mons. Gilbert Aubry, vescovo de La Reunion, ai suoi fedeli in occasione del Giubileo della misericordia. In questi giorni, il presule ha aperto la Porta Santa di due delle quattro Chiese giubilari del Paese: la Cattedrale principale, intitolata a Saint-Denis, e la Chiesa del Sacro Cuore a Colimaçons.

Un “decalogo” per il Giubileo
Nell’omelia pronunciata in Cattedrale, mons. Aubry ha ricordato che “Dio, attraverso Gesù, si pone risolutamente sempre a fianco dell’uomo” anche quando “l’umanità innalza dei muri, agisce di testa sua e talvolta rinnega Dio stesso”. Al contrario, “il cuore di Gesù, fatto carne e Parola di vita, diventa il simbolo della riuscita relazione tra gli uomini, tra loro e Dio, e tra l’umanità ed il Creato”. Per questo, ha aggiunto mons. Aubry. “con Gesù misericordioso diventa possibile vivere insieme nel modo migliore”. Durante la celebrazione nella Chiesa del Sacro Cuore, invece, il vescovo de La Reunion ha proposto ai suoi fedeli una sorta di “decalogo giubilare”, invitando ad “accogliere l’altro, ascoltarlo, comprenderlo, farsi carico dei suoi problemi, cambiare mentalità, non giudicarlo, abbandonare i sospetti, incoraggiarlo, chiedergli perdono ed saperlo accettare”.

Diventare agenti di pace e di riconciliazione nel mondo
Ad aprire le altre due Porte Sante del Paese, situate nella Chiesa di Gesù Misericordioso di Cambuston e in quella di San Francesco di Sales a Tampon, sono stati poi i rispettivi vicari generali, padre Lilian Payet e padre Daniel Gavard. Entrambi, nelle loro omelie, hanno richiamato l’importanza delle opere di misericordia corporali e spirituali perché – hanno spiegato – “passare la Porta Santa senza una concretizzazione di questa misericordia nella vita di tutti i giorni, è inutile”. Ciò che conta, dunque, durante il Giubileo, è “diventare agenti di pace e di riconciliazione nei confronti di tante persone”. (I.P.)

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Gambia: appello vescovo Banjul per salvaguardia del Creato

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Cambiare mentalità per salvaguardare il Creato: questo l’appello di mons. Robert Ellison, arcivescovo di Banjul, in Gambia, in occasione del nuovo anno. Evocando l’attenzione di Papa Francesco per il tema ecologico, esplicato anche nell’Enciclica “Laudato si’ sulla cura della casa comune”, il presule ha diffuso un messaggio in cui si esorta a rilanciare “un processo educativo” nel settore, guardando in particolare ai giovani, “futuro del Paese”.

Invertire il processo di desertificazione del Sahel
Mons. Ellison cita, poi, il primo viaggio di Giovanni Paolo II in Africa, nel 1980, e la decisione che ne scaturì di creare la Fondazione per il Sahel che, a partire dal 1984, ha donato e dona tuttora aiuti a Paesi come Burkina Faso, Capo Verde, Gambia, Guinea Bissau, Mali, Mauritania, Niger, Senegal e Ciad. “Questa importante iniziativa – afferma il vescovo di Banjul – ha contribuito in modo significativo alla vita del continente africano” per cercare di “invertire il processo di desertificazione del Sahel”.

Tutti apparteniamo alla famiglia umana
Bisogna tenere presente, continua il presule, “una domanda importante: che tipo di mondo vogliamo lasciare ai nostri figli? E per quanto tempo possiamo sperare in sufficienti risorse idriche e forestali?”. Di qui, il richiamo del vescovo a ricordare che “tutti noi, in Gambia, apparteniamo alla famiglia umana e che, quindi, non ci devono essere confini o barriere dietro alle quali nascondersi”, perché “come ha detto Papa Francesco, bisogna porre fine alla globalizzazione dell’indifferenza”. (I.P.)

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Lettonia. Arcidiocesi di Riga: nuova pagina sito web in inglese

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“Offrire informazioni agli stranieri riguardo la Chiesa cattolica in Lettonia”: questa la motivazione che ha spinto l’arcidiocesi lettone di Riga a inaugurare una pagina web in inglese sul proprio sito Internet. Le informazioni reperibili – spiega l’agenzia Sir – rigurdano “la storia della Chiesa cattolica, l’arcivescovado di Riga, la conferenza episcopale, i Santuari e le testimonianze di fede locali”. La pagina web mette a disposizione anche sono anche il calendario degli eventi ecclesiali e una sintesi delle notizie principali che appaiono sul portale.

Cristiani lettoni autori del materiale per la Settimana di preghiera per l’unità
Pensato per “i cattolici che visitano i vivono in Lettonia”, il sito fornisce informazioni per contattare le parrocchie, i sacerdoti e le organizzazioni cattoliche. “Da molto tempo avevamo in cuore l’idea di far nascere la versione inglese di 'katolis.lv'”, ha dichiarato Ingrīda Lisenkova, responsabile del Servizio informazione della Chiesa cattolica in Lettonia. “Dal momento che i cristiani lettoni hanno preparato il materiale per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2016, ci aspettiamo una crescita dell’interesse internazionale sulla Chiesa lettone e la sua storia”, ha spiegato ancora Lisenkova.

Paese prevalentemente luterano
Secondo gli ultimi dati, in Lettonia il 34,3% della popolazione è luterana, il 25,1 è cattolica, il 19,4 ortodossa e vetero-cattolica, mentre l’1,2% appartiene ad altre chiese cristiane. Infine, il 20% si dichiara appartenente ad altre religioni o agnostico.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 4

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.